sentenza 13 giugno 1995, n. 237 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 21 giugno 1995, n. 26);Pres. Baldassarre, Est. Santosuosso; Guglieri c. Fall. soc. G.F.P.; Stilli c. Conservatore deiregistri immobiliari di Pinerolo. Ord. Trib. Milano 6 ottobre 1994 e Trib. Pinerolo 14 ottobre1994 (G.U., 1 a s.s., n. 1 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 12 (DICEMBRE 1995), pp. 3403/3404-3407/3408Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190676 .
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3403 PARTE PRIMA 3404
non ritenersi vincolato da un preciso quadro normativo conte
nente regole di generale applicazione. 4. - Non cosi, invece, per il riconoscimento del servizio ai
fini della carriera, riguardo al quale la delega introduce due
determinanti distinzioni, precisando che il riconoscimento è even
tuale ed effettuato in analogia con le norme generali sul pubbli co impiego.
Ebbene, su tale ultimo punto deve escludersi l'esistenza di
un comune canone enucleabile dalla legislazione in materia di
pubblico impiego, al quale si possa attribuire la valenza di nor
ma generale sul riconoscimento, ai fini della carriera, dei servizi
prestati, tanto più ove si ponga mente al frazionato panorama normativo che si offriva al legislatore delegato. Anzi, i pochi
segmenti di legislazione qualificabili come regola — al di là del le contingenti discipline dettate per specifici settori — sembrano
limitare il riconoscimento ai casi di passaggi di carriera tra di verse amministrazioni, in presenza però di un'identità ordina
mentale che consenta di ravvisare una corrispondenza di quali fiche, ovvero addirittura all'ipotesi di omogeneità di carriera
per il servizio prestato anteriormente alla nomina (cfr. ad es.,
rispettivamente, gli art. 200 ss. d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 e
26 1. 28 ottobre 1970 n. 775). Ed anche a voler spostare l'indagine circa la sopravvenienza
nel sistema di tale generale principio nel periodo successivo al l'emanazione del d.p.r. n. 382 del 1980, deve parimenti giun
gersi a conclusioni negative in ragione del progressivo abbando
no di una prospettiva di legificazione dei trattamenti e di reduc
tio ad unum del criterio di valutazione dei servizi, a favore
dell'opposto principio della contrattualizzazione espresso dalla
legge delega 23 ottobre 1992 n. 421. In proposito va anzi osservato che l'art. 1, 5° comma, d.leg.
3 febbraio 1993 n. 29 ha ulteriormente distinto il rapporto d'im
piego dei professori e ricercatori universitari, collegandolo espres samente a quell'autonomia dell'università che l'art. 33 Cost, ga rantisce e che questa corte ha più volte posto in luce (cfr. sen
tenza n. 281 del 1992, id., Rep. 1992, voce Istruzione pubblica, n. 54). Autonomia che, in subiecta materia, risulta evidente dal
l'intento del legislatore di avviare un regime nuovo e diverso
rispetto al previgente, mirato a privilegiare esclusivamente l'at
tività svolta all'interno dei comparti della ricerca e della didatti
ca. La previsione di cui al citato art. 12, con il riferimento a
tale attività, si distacca infatti nettamente e volutamente dalla
possibilità offerta in passato dagli art. 17 e 18 1. 18 marzo 1958
n. 311, che consentivano tra l'altro, a domanda, il computo dei servizi prestati nelle carriere di altri ruoli in qualifiche a
partire dal grado sesto del gruppo A. Soltanto in via transitoria
l'art. 36 del più volte citato d.p.r. n. 382 del 1980 riconosce, al 7° comma, la possibilità di fruire dell'inquadramento in base alle disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore del d.p.r. medesimo.
5. - Il denunciato art. 103 d.p.r. n. 382 del 1980 ammette il riconoscimento del servizio prestato in una delle anzidette fi
gure di cui all'art. 7 1. n. 28 del 1980 (caratterizzate tutte, ripe tesi, dall'appartenenza all'università) nella misura di un terzo
per i professori ordinari, della metà per i professori associati e di due terzi per i ricercatori confermati (cfr., rispettivamente, 1°, 2° e 3° comma).
Dopo aver operato, nel 6° comma, il rinvio ai servizi prestati in altri ruoli a fini pensionistici (di cui s'è detto sub 2), il 7° comma aggiunge che «gli stessi periodi prestati nella scuola se condaria sono assimilati ai fini della ricostruzione di carriera
al servizio in una delle figure di cui all'art. 7 1. n. 28 del 1980». Alla luce delle descritte premesse, il richiamo a (inesistenti) prin cipi generali in tema di valutazione dei servizi, può leggersi sol
tanto nel senso di una certa discrezionalità quoad quantum del
riconoscimento, cosi che l'indicazione contenuta nel medesimo art. 12, secondo cui il servizio deve effettivamente essere presta to nell'università, conserva intatto il suo valore cogente e risul
ta tanto più perentoria se si considera la complessiva ratio della
delega, volta a valorizzare — ripetesi — l'autonomia della sfera
universitaria.
L'assimilazione — a fini di carriera — dell'insegnamento nel la scuola secondaria alle figure, squisitamente universitarie, di
borsisti, lettori, assistenti, ecc. di cui all'art. 7 vulnera quindi l'invocato art. 76 Cost., per la contraddizione con il dato te stuale (oltre che con il complessivo senso) della legge di dele
gazione.
Il Foro Italiano — 1995.
6. - La declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 103, 1° e 7° comma, in parte qua, comporta altresì, in via conse
guenziale, l'illegittimità anche del 2° e 3° comma, sempre in
relazione al 7° comma, con riguardo alla posizione dei profes sori associati e dei ricercatori confermati.
7. - Esula invece dalle finalità caducatone della decisione il denunciato art. 1, 3° comma, 1. n. 312 del 1980, trattandosi
d'una norma di mero rinvio, del tutto indifferente al denuncia
to vulnus e che viene in evidenza solo in quanto rende applica bile la disciplina dei professori universitari ai profili professio nali ivi elencati.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 103, 1° e 7° comma, d.p.r. 11 lu
glio 1980 n. 382 (riordinamento della docenza universitaria, re
lativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzati va e didattica), nella parte in cui, ai fini della ricostruzione di carriera dei professori di ruolo, rende valutabili i servizi prestati nella scuola secondaria, assimilandoli al servizio prestato in una delle figure di cui all'art. 7 1. 21 febbraio 1980 n. 28 (delega al governo per il riordinamento della docenza universitaria e
relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organiz zativa e didattica).
Dichiara — in applicazione dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n.
87 — l'illegittimità costituzionale dell'art. 103, 2° e 3° comma,
d.p.r. n. 382 del 1980, nella parte in cui, ai fini della ricostru
zione di carriera, rispettivamente, dei professori associati e dei
ricercatori confermati, rende valutabili i servizi prestati nella
scuola secondaria assimilandoli al servizio prestato in una delle
figure di cui all'art. 7 1. 21 febbraio 1980 n. 28.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 13 giugno 1995, n. 237
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 giugno 1995, n. 26); Pres. Baldassarre, Est. Santosuosso; Guglieri c. Fall. soc.
G.F.P.; Stilli c. Conservatore dei registri immobiliari di Pine rolo. Orci. Trib. Milano 6 ottobre 1994 e Trib. Pinerolo 14
ottobre 1994 (G.U., la s.s., n. 1 del 1995).
Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale — Sequestro conservativo — Termine per l'esecuzione — Decorrenza dalla
data della pronuncia — Questione infondata di costituziona
lità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 675).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 675 c.p.c., nella parte in cui prevede che il termine per l'ese cuzione del sequestro inizia a decorrere dalla data del deposi to del provvedimento, anziché da quella della sua comunica
zione, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Trib. Milano 6 ottobre 1994 è riportata in Foro it., 1994, I, 3528, con nota di richiami.
La Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del l'art. 675 c.p.c. nella parte in cui fa decorrere il termine di esecuzione del sequestro dalla data del deposito del provvedimento e non invece dalla sua comunicazione (ord. 31 marzo 1988, n. 386, id., 1989, I, 1677; 15 maggio 1990, n. 258, id., Rep. 1991, voce Sequestro conservativo, n. 8), ma in questo caso viene chiamata ad affrontare la questione da un nuovo punto di vista, e cioè alla luce della nuova disciplina generale dei procedimenti cautelari, introdotta dalla 1. 26 novembre 1990 n. 353.
In particolare, i giudici di merito considerano il nuovo art. 669 octies
c.p.c., secondo cui il termine per instaurare il giudizio di merito a se
guito del rilascio ante causam del provvedimento cautelare, decorre dal la comunicazione dello stesso e non dal suo deposito, in conformità con i principi affermati dalla Corte costituzionale per i termini delle impugnative (vedi le pronunce citate nella nota a Trib. Milano, ord. 6 ottobre 1994).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - La questione sottoposta dal Tribunale di Mi
lano e dal Tribunale di Pinerolo all'esame della corte è se l'art.
675 c.p.p., nella parte in cui prevede che il termine per l'esecu
zione del sequestro cominci a decorrere dal deposito del provve dimento cautelare anziché da quello della sua formale comuni
cazione, sia in contrasto: — con l'art. 3 Cost, in quanto discrimina irragionevolmente
il sequestrante rispetto a colui che ricorra ad altre misure caute
lari in ordine alle quali, ai sensi dell'art. 669 octies, il termine per l'inizio del giudizio di merito decorre dalla formale comuni cazione del provvedimento, se la pronuncia è avvenuta fuori
udienza; — con l'art. 24 Cost, in quanto il diritto di difesa del seque
strante viene reso meno agevole imponendosi ad esso l'eccessivo
onere di informarsi continuamente in cancelleria dell'avvenuto
deposito del provvedimento cautelare.
2. - Deve anzitutto dichiararsi l'inammissibilità dell'atto di
costituzione del fallimento della s.p.a. G.F.P. in quanto deposi tato il 12 aprile 1995 oltre il termine di venti giorni dalla pub blicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'ordinanza di rimessione
avvenuta il 4 gennaio 1995.
3. - Vanno inoltre riunite in un solo giudizio le ordinanze
emesse dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Pinerolo, in quanto relative alla stessa questione.
4. - Sempre con riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questio ne era già stata sollevata con ordinanza 1° ottobre 1982 dal
Tribunale di Palermo, e ritenuta da questa corte manifestamen
te infondata con ordinanza 31 marzo 1988, n. 386 (.Foro it.,
1989, I, 1677) per le seguenti considerazioni: a) che, nell'istitui
re un termine di efficacia di trenta giorni del provvedimento di sequestro, alla cui scadenza cessa l'autorizzazione ad eseguire il sequestro stesso, il legislatore ha giustamente posto, a carico
della parte interessata alla misura cautelare, un preciso onere
di diligenza strettamente connesso con la natura di detta misura
che esige una rapida esecuzione; b) che l'adempimento di tale
onere di diligenza implica preliminarmente, per un evidente nes so logico, che il sequestrante — nella ipotesi in cui il provvedi mento venga emesso fuori dall'udienza — segua lo svolgimento della procedura da lui messa in moto e venga cosi' a conoscenza
dell'avvenuto deposito del provvedimento richiesto; c) che la
previsione di un attivo impegno della parte istante nell'infor
marsi sull'esito del procedimento da essa promosso, non può certo considerarsi intrinsecamente irrazionale perché intimamente
connesso alla sua richiesta, sicché non è configurabile alcuna
violazione del diritto di difesa. 5. - In realtà, la questione oggetto dell'ordinanza del 1982
non è del tutto identica a quelle ora sollevate dai Tribunali di
Milano e di Pinerolo, dal momento che con la precedente si
denunziava anche l'ingiustificata disparità di trattamento a se
conda che il sequestro fosse stato pronunciato in udienza o fuo
In contrasto con quella parte della dottrina che ritiene di poter esten
dere la disposizione dell'art. 669 octies c.p.c. anche al termine per l'ese cuzione del sequestro ex art. 675 c.p.c., il Tribunale di Milano esclude
tale possibilità e conseguentemente sostiene la non manifesta infonda tezza della questione di costituzionalità dell'art. 675 c.p.c., alla luce
del principio generale secondo cui i termini per le impugnative o per altre attività processuali decorrono solo dal momento della comunica
zione del provvedimento alla parte onerata. La Corte costituzionale respinge però la questione sollevata, e ciò
perché ritiene che le diversità esistenti tra le varie misure cautelari per mettano al legislatore di dettare discipline parzialmente difformi.
In particolare, ritiene che il termine di efficacia del sequestro di cui
all'art. 675 c.p.c. sia giustificato sia dall'esigenza di bilanciare la posi zione del sequestrante con quella del sequestrato — il quale ultimo non
deve essere eccessivamente pregiudicato dal provvedimento cautelare —
sia dal fatto che non può essere considerato troppo gravoso l'onere che incombe sul sequestrante di seguire con attenzione lo svolgimento del procedimento da lui stesso instaurato, in modo da avere tempestiva conoscenza dell'avvenuta emanazione del provvedimento, tenuto conto
anche del fatto che la mancata esecuzione entro il termine di legge non
gli impedisce di proporre una nuova istanza di sequestro. Per i precedenti giurisprudenziali e per le posizioni sostenute dalla
dottrina, vedi la nota a Trib. Milano, ord. 6 ottobre 1994, cit. Ai ri chiami di tale nota va però aggiunto che Carpi-Colesanti-Taruffo (Com mentario breve al codice di procedura civile, Padova, 3" ed., 1994,
1377) hanno recentemente escluso l'estensione della disposizione del
l'art. 669 octies all'art. 675 c.p.c., ritenendo giustificata una differenza
di disciplina tra le due fattispecie, in conformità con la soluzione adot
tata dalla pronuncia in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1995.
ri udienza, peraltro con un'arbitraria discriminazione delle parti in relazione al fatto del tutto casuale della maggiore o minore
tempestività della comunicazione.
Inoltre, a notevole distanza di tempo, gli attuali giudici ri
mettenti ravvisano nuovi elementi sopravvenuti (in particolare la 1. n. 353 del 1990 di riforma del codice di procedura civile) che giustificano una rivisitazione del problema.
6. - Il Tribunale di Milano non ignora che, nel vigore della
disciplina anteriore alla novella del 1990, per un verso la Corte
di cassazione riteneva che il termine di trenta giorni per l'esecu
zione del sequestro decorresse dal momento del deposito del
provvedimento in cancelleria, e per altro verso che la Corte co
stituzionale aveva dichiarato — come già ricordato — manife
stamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 675
c.p.c. in relazione agli art. 3 e 24 Cost. Rileva ancora il giudice a quo che alcuni interpreti della nuova disciplina superano la
disposizione del menzionato art. 675 ritenendo possibile l'appli cazione — anche all'ipotesi del termine per l'esecuzione del se
questro — del nuovo criterio di decorrenza previsto dall'ultimo
comma dell'art. 669 octies, e cioè «dalla pronuncia dell'ordi
nanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comuni
cazione».
Il Tribunale di Milano tuttavia esclude la possibilità di far
luogo a tale applicazione in via meramente interpretativa, e ri
tiene la non manifesta infondatezza della questione di costitu
zionalità dell'art. 675 c.p.c., alla luce delle sopravvenute norme
del codice di procedura civile, di altri principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di alcuni orientamenti
della dottrina e della giurisprudenza di merito.
In particolare si osserva che, se la ratio legis della novellazio
ne in materia di procedimenti cautelari è stata quella di una
razionalizzazione e di una uniformità di tutti i procedimenti stessi, e se l'orientamento della Corte costituzionale appare chiaramente
indirizzato verso il principio generale secondo il quale i termini
per gravami o altre attività processuali da compiere a pena di
inefficacia scattano solo dal momento in cui alla parte «onera
ta» è data formale comunicazione dell'esistenza del provvedi mento giudiziario da impugnare o da eseguire, appare inspiega bile la mancata riforma dell'art. 675; la disposizione, pertanto, risulterebbe in contrasto: a) con l'art. 3 Cost, per disparità di
trattamento rispetto alla disciplina di altri procedimenti cautela
ri, ai quali si applicano le regole dettate circa la decorrenza
dei termini dagli art. 669 octies e novies c.p.c.; b) con l'art.
24 Cost, in quanto rende meno agevole il diritto di difesa del
sequestrante rispetto ai ricorrenti di altri procedimenti, che non
hanno l'onere di informarsi quotidianamente in cancelleria sul
l'avvenuto deposito del provvedimento. 7. - Il Tribunale di Pinerolo solleva la stessa questione di
costituzionalità osservando in particolare: a) «che l'attuale for
mulazione dell'art. 669 octies, 3° comma, c.p.c. denota come
il legislatore abbia inteso assicurare l'esercizio del diritto di di
fesa si da evitare l'inefficacia dei provvedimenti cautelari pro nunciati fuori udienza qualora venga omessa la tempestiva in
staurazione del giudizio di merito da parte di chi non è stato informato dell'avvenuta pronuncia di detti provvedimenti, di
modo che non sussiste più un generale onere di diligenza che
impone alla parte interessata di attivarsi per conoscere la deci
sione del giudice onde evitare decadenze»; b) «che la 1. 26 no
vembre 1990 n. 353 ha disciplinato in modo unitario i procedi menti cautelari e che la necessità di rapida esecuzione sussiste
tanto per i sequestri quanto per le altre misure cautelari (in par ticolare i provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c.), con la
conseguenza che la disposizione dettata dall'art. 675 c.p.c. per
i soli sequestri non pare più avere oggettiva giustificazione e
può cosi ravvisarsi un'ingiustificata disparità di trattamento tra
chi intenda eseguire le diverse misure cautelari».
8. - La questione non è fondata.
È pur vero che la 1. 26 novembre 1990 n. 353 inserisce nel
capo III del libro IV del codice di procedura civile una sezione
prima, contenente norme generali relative a tutti i procedimenti
cautelari (tra le quali quella sulla nuova decorrenza del termine
per l'inizio della causa di merito); e che tali disposizioni si di chiarano (nell'art. 669 quaterdecies) applicabili anche ai prov
vedimenti della sezione seconda (relativa al sequestro), mentre
solo per altri provvedimenti sono applicabili «in quanto compa
tibili»; ma ciò non toglie che, per la disomogeneità delle varie
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3407 PARTE PRIMA 3408
misure cautelari, nulla impedisca al legislatore di modulare di
versamente alcuni aspetti dei vari procedimenti con speciali norme.
In effetti, non uniformi sono le discipline relative ai vari tipi di sequestro, e — per quanto qui interessa — diverse sono le
norme che concernono le distinte ipotesi di inefficacia del prov vedimento di sequestro: a) quella del mancato inizio del proce dimento di merito nel termine perentorio che, per l'art. 669 oc
ties, ultimo comma, «decorre dalla pronunzia dell'ordinanza se
avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione»; b) e l'ipotesi di mancata esecuzione del provvedimento stesso nel
termine decorrente in ogni caso dalla pronuncia. Se quindi non si ravvisano elementi di ingiustificato tratta
mento, occorre, piuttosto, verificare se la diversa disciplina che
il riformatore del 1990 ha voluto mantenere per questa seconda
ipotesi di termine sollecitatorio risulti irragionevole o contra
stante con altri principi costituzionali.
9. - In proposito, l'ordinanza di rimessione fa leva su alcuni
principi affermati anche recentemente da questa corte, tra i quali vanno particolarmente considerati i seguenti: a) anche se il di
ritto di difesa può variamente atteggiarsi in funzione delle pecu liari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e delle esi
genze di giustizia, esso deve essere assicurato in modo effettivo
ed adeguato alle circostanze; in applicazione di tale principio è stato infatti ritenuto che i termini previsti per il gravame di
provvedimenti o per compiere atti processuali, la cui omissione
determini pregiudizio, decorrano dalla tempestiva ed effettiva
conoscibilità dell'esistenza di detti eventi (sentenze n. 68 del 1994,
id., 1994, I, 1659 e n. 223 del 1993, id., 1993, I, 2779); b) nel quadro del diritto di difesa e con riferimento ad ipotesi in
cui un termine sia stabilito per il compimento di atti la cui omis
sione importi un pregiudizio per situazione soggettiva giuridica mente tutelata, la garanzia di cui all'art. 24 Cost, deve esten
dersi alla conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del
termine stesso, al fine di assicurarne all'interessato l'utilizzazio
ne nella sua interezza (sentenze nn. 223 del 1993, cit. 303 del
1985, id., 1985, I, 3066; 155 del 1980, id., 1981, I, 1; 14 del 1977, id., 1977, I, 259; 255 del 1974, id., 1975, I, 12); c) non può reputarsi legittimo un criterio per il quale il decorso di un
termine sia ricollegato ad un evento la cui conoscibilità può ottenersi con l'impiego di una diligenza più che normale fino
al punto di un controllo giornaliero (sentenze nn. 14 del 1977, cit.; 15 del 1977, id., 1977, I, 278; 34 del 1970, id., 1970, I, 681); d) la comunicazione del provvedimento è necessaria per il decreto di fissazione dell'udienza di discussione (sentenze nn.
120 del 1986, id., 1986, I, 1753 e 14 del 1977, cit.), e, in tema di procedure concorsuali, riguardo al deposito dello stato passi vo (sentenze nn. 538 del 1990, id., 1992, I, 602, e 102 del 1986, id., 1986, I, 1762), alla omologazione o rigetto del concordato preventivo (sentenza n. 255 del 1974, cit.), alla liquidazione del
compenso ad ausiliari (sentenza n. 303 del 1985, cit.). 10 . - Tuttavia questa linea tendenziale della giurisprudenza
costituzionale circa la decorrenza dei termini dalla comunica
zione dell'atto non impedisce di ritenere, da una parte, che nel la presente ipotesi sussistano quelle peculiari caratteristiche del
procedimento e quelle esigenze di giustizia che giustificano la
decorrenza del termine di esecuzione dal momento dell'emissio
ne della pronunzia di concessione del sequestro, e, dall'altra, che la conoscibilità dell'esistenza del provvedimento non richie
da nella specie un eccessivo onere per l'interessato al di là della normale diligenza.
Sotto il primo profilo, premesso in generale che è legittimo
«imporre all'esercizio di facoltà o poteri processuali limitazioni
temporali, al fine dell'accelerazione del corso della giustizia»
(ord. n. 900 del 1988, id., 1989, 2031), va rilevata in particolare l'esigenza di un bilanciamento degli interessi del sequestrante con quelli del soggetto passivo del sequestro, la cui grave situa
zione non può essere protratta oltre una durata rigorosamente limitata.
Ove il termine di esecuzione di questo provvedimento caute
lare concesso fuori udienza dovesse decorrere dalla sua comuni
cazione più o meno tempestiva, si determinerebbe, non solo una ulteriore perdita di tempo per entrambe le parti, ma si toglie rebbe al soggetto passivo la garanzia di un breve termine decor
rente dal momento fisso della pronuncia.
Il Foro Italiano — 1995.
Quanto al profilo degli interessi del sequestrante, l'onere del
la sua attivazione — oltre a rispondere alla natura particolar mente urgente del procedimento — non può considerarsi ecces
sivamente gravoso, data la evidente attenzione al sollecito acco
glimento della sua istanza; senza contare che la mancata
esecuzione entro detto termine non gli impedisce di reiterare
la richiesta.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 675 c.p.c. sollevata dai Tribunali di Milano e Pinerolo, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., con le ordinanze indicate
in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 maggio 1994, n. 183
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 25 maggio 1994, n. 22); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Di Lazzaro (Aw. Resta, Sco
ca); interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Freni). Ord.
App. Roma 25 settembre 1993 (G.U., la s.s., n. 51 del 1993).
Adozione e affidamento — Convenzione europea in materia di
adozione di minori — Persona singola — Ammissibilità —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 29, 30; 1. 22 maggio 1974 n. 357, ratifica ed esecuzione della conven zione europea in materia di adozione di minori, firmata a
Strasburgo il 24 aprile 1967: convenzione, art. 2).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
2 l. 22 maggio 1974 n. 357, nella parte in cui, dando esecu
zione all'art. 6 della convenzione europea in materia di ado
zione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, per mette senza limiti l'adozione di un minore da parte di un
solo adottante, in riferimento agli art. 3, 29 e 30 Cost. (1)
(1, 6) Le decisioni si inseriscono in una vicenda che ha avuto ampio rilievo di cronaca avendo per protagonista l'attrice Dalila Di Lazzaro ed il suo intendimento di pervenire, quale persona singola, all'adozione di un minore sulla base degli stessi presupposti e con gli stessi effetti
previsti per i coniugi, vicenda che sul piano processuale può cosi riassu mersi: proposto ricorso con cui si chiedeva che venisse disposta nei con fronti della Di Lazzaro l'adozione di un minore sulla base della 1. 357/74 di ratifica della convenzione europea di Strasburgo sull'adozione di mi
nori, il Tribunale per i minorenni di Roma, con decreto 22 marzo 1993 (Foro it., Rep. 1993, voce Adozione, n. 67, e Giust. civ., 1993, I, 2821, con nota di Beghe Loreti; Giur. it., 1994, I, 2, 234, con nota di Lenti-Rossi Carleo, e Dir. famiglia, 1993, 165) dichiarava inammissi bile la domanda di adozione, non essendo l'art. 6 della convenzione norma di applicazione immediata; il decreto veniva impugnato con re clamo e la corte d'appello con ordinanza 25 settembre 1993 (Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 67, e Giust. civ., 1993, I, 2821, con nota di Beghe Loreti; Nuove leggi civ., 1994, con nota di Dogliotti) solle vava questione di legittimità costituzionale di tale disposizione «nella
parte in cui permette senza limiti l'adozione di un minore da parte di un solo adottante» dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, con sentenza 16 maggio 1994, n. 183 in epigrafe, annotata da Bonamo re e Guglielmi, in Giust. civ., 1994, 2107; Cristiani, in Nuova giur. civ., 1994, I, 605; Fioravanti, in Nuove leggi civ., 1994, 1418. Prose guito il giudizio innanzi al giudice a quo, questo, riconfermata l'inter
pretazione della normativa pattizia già posta a base dell'ordinanza di rimessione (interpretazione respinta dal giudice delle leggi), con decreto 28 novembre 1994 (Giust. civ., 1995, 252, con nota di Beghe Loreti e Orlandi; Dir. famiglia, 1995, 174, con nota di Dogliotti, e 1995, 517, con osservazioni di Astone, L'adozione del minore da parte del
singolo, Emanuele, Nuove prospettive in tema di adozione del single, e Gosso, Il «caso Di Lazzaro» ed il gioco delle tre carte) ha accolto il reclamo e dichiarato la ricorrente «legittimata a proporre doman da di adozione»; la decisione 7950 in epigrafe, pronunciata su
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