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Sentenza 13 maggio 1963; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Consorzio sovvenzioni valori industriali...

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Sentenza 13 maggio 1963; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Consorzio sovvenzioni valori industriali (Avv Maracchi, Lami) c. Fall. Consorzio produttori cinematografici (Avv. Cellai, Zoli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 2007/2008-2009/2010 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152883 . Accessed: 24/06/2014 22:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.31 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:48 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 13 maggio 1963; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Consorzio sovvenzioni valoriindustriali (Avv Maracchi, Lami) c. Fall. Consorzio produttori cinematografici (Avv. Cellai,Zoli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 2007/2008-2009/2010Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152883 .

Accessed: 24/06/2014 22:00

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2007 PARTE PRIMA 2008

grosso in borsa, era venuta meno ogni incidenza di tale

motivo sul rifiuto dell'Amministrazione ; è ovvio, infatti, che tale incidenza, come giustamente ha osservato il Tri

bunale, non può essere disconosciuta, fino alla data del 13

febbraio 1960, in cui la Camera di commercio, abbando

nando il suo originario assunto, scrisse alla Società S.o.f.i.a. di « riconoscere che il rilascio delle tessere di accesso allo

spazio riservato al pubblico spettava a chiunque si tro

vasse nelle condizioni richieste dalla legge, anche se il ri

chiedente non sia presentato da un agente, da una banca, o da un commissionario ». L'altro motivo del rifiuto, se

condo cui il diritto di ingresso allo spazio riservato al pub blico non spetterebbe alle persone giuridiche, fu affac ciato dopo, precisamente nella seduta tenuta dalla Giunta della Camera di commercio in data 18 marzo 1960 (v. lettera 1° aprile 1960).

Infondato si ravvisa, infine, anche l'ultimo motivo con cui si censura la sentenza del Tribunale per avere giudicato che il diritto di ingresso nel recinto del pubblico competa, oltre che alle persone fisiche, anche alle persone giuridiche.

L'appellante, dopo una dettagliata analisi dei diversi

recinti esistenti nelle borse italiane, conclude che l'accesso al recinto del pubblico debba essere limitato a chi sia in

grado di assistere « visivamente ed auricolarmente » alle sedute in borsa, con esclusione delle persone giuridiche cui fanno difetto, sia il senso della vista, sia dell'udito, ma

l'argomento non ha pregio, che mai nella teoria generale si

è negato che, anche le persone giuridiche, nonostante la

loro astrattezza, possano, attraverso gli organi sensitivi ed

intellettivi di coloro che le rappresentano, stabilire col

mondo esterno quegli indispensabili contatti fisici senza

cui sarebbero condannate alla sterilità e all'impotenza. La Camera di commercio non contesta che le persone

giuridiche abbiano capacità di obbligarsi e che le società, del tipo al quale appartiene la Società S.o.f.i.a., svolgano una attività commerciale, ma osserva che, per avvalersi dei

servizi di borsa, non occorra accedere materialmente nei

suoi recinti.

Neppure quest'argomento appare calzante, poiché, in re

lazione all'oggetto dedotto in questa lite, non interessa af

fatto che si abbia la possibilità di usufruire dei servizi di borsa standosene comodamente a casa o nel proprio ufficio, facendo magari soltanto uso del telefono, ma occorre ricer

care quali i motivi che rendano incompatibile con la strut

tura della persona giuridica l'esercizio del diritto di ingresso nei recinti delle borse destinati al pubblico. Su questo essenziale punto della controversia, la Camera di commercio si è limitata all'apodittica affermazione che, come i diritti di uso e di abitazione si esercitano mediante la persona fisica del soggetto, così il diritto di assistere alle sedute di borsa « si esercita eon gli occhi e con le orecchie e cioè con la propria persona fisica ».

Ma il paragone fra diritti di uso e di abitazione, dall'un

canto, e diritto di ingresso in borsa, dall'altro, non regge assolutamente, poiché, mentre l'incompatibilità dei primi due diritti, rispetto alla persona giuridica, si evince dal loro

substrato rigorosamente fisico, altrettanto non può dirsi

per il diritto d'ingresso in borsa, potendo benissimo la

persona giuridica, nonostante la sua astratta struttura, assistere alle sedute in borsa e controllarne lo svolgimento con gli occhi e con le orecchie della persona fisica da cui è

rappresentata. È principio pacifico del nostro ordinamento che la per

sona giuridica, dotata, come la persona fisica, di capacità

giuridica (art. 2 della Costituzione), opera nel mondo esterno

con pienezza di diritti e di doveri, fatta eccezione per quei diritti e doveri, rispetto ai quali vi sia una limitazione pre veduta dalla legge, o che siano incompatibili con la sua ideale struttura, o che, comunque, presuppongano, nel so

getto chiamato ad esercitarli o ad adempierli, l'esistenza di un elemento corporeo.

Per il diritto d'ingresso in borsa non è prevista dalla

legge alcuna limitazione rispetto alla persona giuridica, avuto riguardo alla sua natura, nè sussiste alcuna incompa tibilità, ben potendo essa, come si è dianzi accennato, par

tecipare alle sedute di un qualsivoglia organismo, borse

comprese, in qualità di osservatore, a mezzo delle persone fisiche che la rappresentano. Di ciò vi è chiara conferma

nella disposizione dell'art. 14 del r. decreto legge 30 giugno 1932 che ha attribuito agli istituti di credito, aventi un

capitale versato di almeno 100.000.000, la facoltà di acce

dere, come osservatore, a mezzo di un proprio rappresen tante « nei recinti delle grida ». Nè è concludente l'obie

zione che tale norma si applicherebbe per il recinto della

grida e non per il recinto del pubblico, poiché il richiamo

della legge del 1932 serve solo per dimostrare che alcune

incompatibilità, sussiste fra persona giuridica e l'esercizio

di quel generico diritto di ingresso in borsa che ha base

nell'ampia formulazione dell'art. 8 della legge n. 267 : « han

no ingresso in borsa coloro che sono capaci di obbligarsi ».

capacità che indubbiamente compete anche alle persone

giuridiche.

Sorge da ciò l'illegittimità del rifiuto opposto dalla

Camera di commercio al rilascio della tessera di irgreeso alla Società S.o.f.i.a. in considerazione della sua natura di

persona giuridica. Occorre chiarire, per eliminare talune perplessità cui

potrebbe dar luogo, nel separato giudizio per i danni, la mo

tivazione della sentenza del Tribunale che, ai fini della loro

valutazione dovrà tenersi conto che l'illegittimo rifiuto

dell'Amministrazione ebbe ad oggetto non il rilascio della

tessera annuale di cui all'art. 10 della legge n. 272, ma della

tessera generica, che altro diritto non conferiva alla Società

richiedente che quello di accedere al recinto riservato

al pubblico. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE.

Sentenza 13 maggio 1963 ; Pres. Del Giudice P., Est.

Poggi ; Consorzio sovvenzioni valori industriali (Avv

Makacchi, Lami) o. Fall. Consorzio produttori cinema

tografici (Avv. Cellai. Zoli).

Fallimento — Azione cambiaria — Prescrizione —

Ricorso per insinuazione tardiva di credito — Inter

ruzione (Cod. civ., art. 2943; r. d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 94).

La presentazione del ricorso per insinuazione tardiva di cre

dito al passivo del fallimento interrompe la prescrizione dell'azione cambiaria del creditore. (1)

La Corte, ecc. — Il Tribunale ha respinto l'opposiziore del Consorzio considerando maturata la preecriziore trien nale dell'azione cambiaria relativa agli effetti in base fci

quali era stata chiesta (tardivpmente : art. 101 legge fall.) l'insinuazione al passivo.

Osservano i primi Giudici : che l'ultimo atto di costitu zione in mora notificato dall'opponente portava la data del 9 giugno 1958 e che, pertanto, il triennio per la prescri zione dell'azione cambiaria andava a compiersi l'8 giugno 1961, ossia lo stesso giorno in cui era stato depositato in cancelleria i] ricorso per l'insinuazione tardiva ; che, perai

(1) Non constano precedenti in termini. Si consulti tuttavia Trib. Roma 10 settembre 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Falli mento, n. 332, in motivazione, che fa riferimento, al fine di esa minare se la prescrizione dell'azione del creditore dovesse rite nersi compiuta, alla « data di proposizione della domanda di insinuazione tardiva », aderendo pertanto alla tesi accolta dalla sentenza, in epigrafe.

Sull'efficacia interruttiva della prescrizione della domanda, di insinuazione al passivo, si veda Cass. 28 maggio 1943, n. 1324, id., Rep. 1943-45, voce Prescrizione civ., n. 26 e, in dottrina, Provinciali, Manuale di dir. fallim., Il, pag. 709 ; Satta, Istituzioni di dir. fallim., pag. 252 ; Ferrara, Il fallimento, pag. 364.

Cass. 28 maggio 1943, n .1324, citata, esclude poi che la in terruzione della prescrizione dell'azione del creditore possa farsi decorrere dalla sentenza dichiarativa di fallimento.

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2009 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2010

tro, l'azione cambiaria doveva ritenersi ugualmente pre scritta, in quanto, nell'ipotesi di insinuazione tardiva, l'ef

fetto interruttivo non sarebbe prodotto al semplice depo sito del ricorso, ma solo alla notificazione al curatore dello

stesso ricorso, unitamente al decreto del giudice delegato,

previsto dal 2° comma dell'art. 101 ; che la prescrizione non

poteva essere esclusa nemmeno con riguardo al più ampio termine concesso per l'azione causale, mancando nella

specie le condizioni per ritenere che tale azione fosse stata

effettivamente proposta e che ad essa, comunque, si rife

rissero i precedenti atti di costituzione in mora.

Con l'appello proposto il Consorzio contesta la validità di

quelle ragioni, innanzi tutto per quanto riguarda il negato effetto interruttivo del semplice deposito in cancelleria de]

ricorso per insinuazione tardiva ; e l'appello, sotto questo

primo ed assorbente profilo, appare alla Corte pienamente fondato.

Giustamente il Tribunale ha posto in rilievo il carattere

eccezionale (rispetto all'art. 2943 cod. civ.) della disposi zione di cui all'art. 94 legge fall., la quale stabilisce che «la

domanda di ammissione al passivo produce gli effetti di

una domanda giudiziale e impedisce la decadenza dei ter

mini per gli atti che non possono compiersi durante il fal

limento» ; la Corte non può tuttavia concordare con la sen

tenza impugnata circa l'affermazione che quella norma si

riferisca soltanto alle domande di insinuazione tempesti vamente proposte, mentre i principi generali (art. 2943) troverebbero nuovamente applicazione per le domande di

insinuazione tardiva, ove l'effetto interruttivo si verifi

cherebbe solo con la notificazione al curatore del ricorso e

del relativo decreto del giudice delegato, nel termine peren torio ivi appositamente stabilito.

Ravvisato il fondamento della disposizione di cui all'art.

94 legge fall., nel fatto che, una volta dichiarato il falli

mento, e perduta dal fallito la legittimazione passiva a stare

in giudizio, non è più a lui che i creditori debbono far co

noscere la loro volontà relativa alla realizzazione del credito, bensì agli organi fallimentari, onde ai fini dell'effetto inter

ruttivo basta che questa sia depositata in cancelleria, il

Tribunale ha creduto che l'inapplicabilità della stessa norma

all'ipotesi di insinuazione tardiva sia giustificata dalla con

siderazione che, in tal caso, il creditore debba non già pro

porre una « domanda », bensì presentare un ricorso, con il

quale non si esaurisce l'impulso processuale di parte, essen

done necessaria anche la notifica al curatore, analogamente

per tutte le altre procedure che si iniziano con ricorso.

Le ragioni così addotte non sono affatto decisive.

Innanzi tutto, il testo dell'art. 94 legge fall, enuncia,

nell'àmbito della procedura concorsuale, un principio gene rale circa gli effetti della domanda di ammissione al pas

sivo, senza punto distinguere fra domande tempestive e

richieste tardive di insinuazione, le quali ultime, non meno

che la prima, sono sostanzialmente domande, così, del resto,

definite anche in altre disposizioni (art. 251) della stessa

legge. D'altra parte, le ragioni che il Tribunale ha esattamente

individuato, come giustificatrici della speciale disposizione di cui all'art. 94 hanno identica validità, tanto se riferite

all'ipotesi di domanda tempestiva come a quella di domanda

di insinuazione tardiva, per le quali ultime si ha indubbia

mente un divario per ciò che riguarda le possibilità di con

corso nella ripartizione dell'attivo (art. 112), ma nessuna

differenza può ravvisarsi circa la particolare situazione,

già lumeggiata, che induce a ritenere, non il fallito, ma gli

organi fallimentari destinatari dell'atto interruttivo.

Tutto si riduce quindi a stabilire se l'esigenza, posta dall'art. 101, del ricorso del successivo decreto del giudice

delegato e della notificazione di entrambi al curatore, che

comporta innegabilmente un diverso dispositivo processuale

riguardo alle domande di insinuazione tardiva, implichi

altresì uno spostamento rispetto al momento in cui si ve

rifica l'effetto interruttivo.

La Corte ritiene di no.

È chiaro, innanzitutto, che l'art. 94, ricollegando l'ef

fetto interruttivo al semplice deposito della domanda di

insinuazione presso l'ufficio fallimentare, prescinde da una

effettiva e contestuale conoscenza, della domanda mede

sima da parte del curatore ; in altri termini l'interruzione

della prescrizione si verifica nel momento stesso in cui la

domanda viene presentata (ci si riferisce al caso di ordi

narie domande di insinuazione) anche se il curatore ne possa

prendere conoscenza in un momento successivo, e, magari, soltanto in occasione dell'adunanza destinata all'esame

dello stato passivo. Se cosi è, e nessuno ne dubita, nel caso di domande tem

pestivamente proposte, non si vede perchè, nell'ipotesi di domanda tardiva, la produzione dell'effetto interruttivo dovrebbe essere condizionata alla notificazione della stessa domanda al curatore.

Non basta infatti osservare che è la legge stessa a imporre tale notificazione : bisogna piuttosto domandarsi quale sia la ragione per la quale la legge la impone. Ed è appunto per questa via che il problema trova il suo chiarimento.

Per le domande ordinarie è la stessa sentenza dichiara

tiva di fallimento (art. 16, n. 5) che stabilisce il luogo, il

giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame

dello stato passivo ; per le domande tardive si presentava invece la necessità di fissare una nuova adunanza (il che

viene fatto col decreto del giudice delegato (art. 101, capov.) e di informarne, mediante la prescritta notificazione, il

curatore (art. 101, capov., cit.). Lo speciale dispositivo processuale non ha quindi alcun rapporto con la produzione dell'effetto interruttivo (dovendo tale effetto ricollegarsi in ogni caso alla presentazione della domanda che vale, in

forza dell'art. 94, come domanda giudiziale, e come valido atto di costituzione in mora indipendentemente dalla ef

fettiva conoscenza da parte del curatore), ma appare di

retto al controllo della sostanziale fondatezza della domanda, la quale, secondo i principi generali, è un requisito intrin

seco che non incide affatto sulla idoneità dell'atto di costi

tuzione in mora.

L'appello deve pertanto essere accolto : l'appello prin

cipale ammettendosi al passivo il credito del Consorzio, che è fondato su cambiali, e contro il quale è stata unica

mente opposta, e infondatamente, la prescrizione. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Decreto 10 maggio 1963 ; Pres. Benedicenti P., Est. Della

Valle"; I.n.a.m. c. F.i.m.l.e.

Concordato preventivo — Cessione dei beni — Man

cato pagamento dei creditori privilegiati — Riso

luzione— Ammissibilità (R. d. 16 marzo 1942 n. 267,

disciplina del fallimento, art. 186).

Il concordato preventivo mediante cessione di beni si risolve

nell'ipotesi che non siano stati integralmente soddisfatti i creditori privilegiati. (1)

(1) Molto discussa sia nella giurisprudenza sia in dottrira

la questione della risolubilità del concordato preventivo, attuato

mediante cessio honorum, nel caso che i creditori privilegiati non

siano integralmente soddisfatti, come nella fattispecie, o in

quello, più comune, che i chirografari si vedano attribuire una

percentuale inferiore al 40 %, o addirittura nulla.

Il Supremo collegio non si è ancora pronunciato su alcuna

delle due questioni, ma si è limitato, con sentenza 26 ottobre

1961, n. 2403, Foro it., Rep. 1961, voce Concordato preventivo, n. 29, ad elencare tra i presupposti della risoluzione del concor

dato preventivo, che non rivesta la forma della cessio honorum.

Per un precedente conforme, vedi App. Genova 29 ottobre 1962,

richiamata da Casanova, Risoluzione del concordato preventivo con « cessio honorum », in Riv. dir. comm., 1963, I, 93, con ampia

rassegna di dottrina e giurisprudenza cui si rinvia. È da notare

che il decreto della Corte di appello di Milano, nella motiva

zione, ha escluso la risoluzione nel caso che i chirografari non

siano soddisfatti nella percentuale prevista, o non ottengano alcunché : vedi, in senso conferme, App. Milano 1° settembre

1961. Foro it., Rep. 1961, voce cit., n. 34,, e, in senso contrario,

la citata sentenza della Corte d'appello di Genova.

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