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sentenza 13 novembre 1980; Giud. Bozza; imp. Perini e altro

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sentenza 13 novembre 1980; Giud. Bozza; imp. Perini e altro Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 483/484-487/488 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172976 . Accessed: 28/06/2014 09:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.34 on Sat, 28 Jun 2014 09:50:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 13 novembre 1980; Giud. Bozza; imp. Perini e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 483/484-487/488Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172976 .

Accessed: 28/06/2014 09:50

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PARTE SECONDA

Nella fattispecie del reato di estorsione l'elemento maggior mente controverso, in dottrina e giurisprudenza, in relazione al

caso in esame, è quello della minaccia. Il tribunale non ritiene di potere condividere le obiezioni che tendono ad escludere l'ipo tesi della minaccia penalmente rilevante.

In primo luogo è stato osservato che il proprietario, non aven

do l'obbligo giuridico di locare il suo immobile, si limita ad eser

citare il suo diritto di proprietà, quando prospetta all'inquilino l'eventualità di non fittare la casa. Ma è facile replicare, secondo

un orientamento costante della Suprema corte in tema di estor

sione, che il male minacciato, anche se obiettivamente rientra

nell'esercizio di un diritto, diventa ingiusto quando tale è il fine

cui è diretto; né sul piano logico-giuridico l'ipotesi della minac

cia può escludersi, quando il diritto si esercita, non già mediante

un'attività positiva, ma in forma di omissione e questa è diretta

a conseguire un ingiusto profitto. Si è obiettato ancora che si ha minaccia solo quando il danno

prospettato alla vittima dipende dalla volontà dell'agente e non

già quando, come nel caso di chi non ha un'abitazione, la parte

lesa versa in uno stato di necessità, del quale l'altro intende ap

profittare per conseguire un illecito profitto; in questa seconda

ipotesi sarebbero ipotizzabili solo il reato di usura o quello di

circonvenzione di incapaci. Ma anche questa obiezione non può essere condivisa, se si considera che il danno prospettato dall'aspi rante inquilino consiste nel protrarsi nel suo stato di disagio; orbene, tale ulteriore danno dipende certamente dalla volontà del proprietario.

Pertanto può ben ravvisarsi nel comportamento del locatore

l'elemento della minaccia. È evidente però che il delitto di estor

sione, che (giova ricordarlo) è un reato plurioffensivo che lede

anche la libertà morale delle persone, si consuma quando tale

minaccia abbia in concreto limitato la libertà di determinazione

dell'inquilino, che è costretto a versare la somma non dovuta

per evitare il male minacciato.

In definitiva, a parere del collegio, nel caso in esame il reato

di estorsione sussiste solo quando, in presenza di particolari con

dizioni soggettive e oggettive note al locatore, la minaccia espres sa con la sua pretesa illegittima abbia avuto l'effetto di coartare

la volontà del locatario, oppure, nell'ipotesi del tentativo, si ri

veli idonea a sortire tale effetto. È chiaro che, in una situazione

accertata di carenza degli alloggi, la prospettiva di restare a lun

go ancora senza una casa, per chi né è privo (perché, per esem

pio, è stato sfrattato e non ha mezzi economici adeguati), può

costringere a subire condizioni contrattuali, che diversamente non

sarebbero state accettate. Per contro condizioni astrattamente ini

que possono essere liberamente accettate dall'aspirante inquilino ove siano ugualmente vantaggiose per le sue particolari esigenze

(per esempio, per la ubicazione dell'immobile non lontano dal

suo posto di lavoro). Certamente l'entità della pretesa illegittima del proprietario (e quindi lo scarto eccessivo tra il canone pat tuito e quello legale), in relazione alle possibilità economiche del la controparte, può essere un indice significativo della coazione, che si intende porre in essere per conseguire un ingiusto profitto.

Facendo applicazione dei precedenti rilievi al caso di specie, innanzi tutto si deve dare atto che non risulta che in Mola di

Bari, all'epoca dei fatti, vi fosse carenza di alloggi: la circostan za è stata esclusa dal maresciallo Cantore; d'altra parte Io stesso Va sto nel corso del 1980 ha trovato un altro appartamento, dove si è

trasferito, con un canone mensile di lire 75.000 (cfr. la deposi zione della moglie). Inoltre va rilevato che il Vasto accettò sen za riserve la proposta di un canone di lire 60.000 (eccedente di lire 14.050, quello legale) e non manifestò eccessiva resistenza alla richiesta del pagamento anticipato, in un'unica soluzione, se è vero che accettò questa proposta nella sera stessa, in cui venne avanzata dal locatore (su consiglio dell'avv. Pesce), e si impegnò a versare la somma la sera successiva.

In sostanza, a parere del collegio, gli elementi di fatto acqui siti non consentono di ritenere provato che il Brescia abbia con

sapevolmente esercitato una violenza morale sulla volontà del

Vasto; anzi le modalità ed i tempi delle trattative, che precedet tero l'accordo, la disponibilità manifestata dal Vasto ad accet tare un canone superiore a quello legale e la stessa situazione

degli alloggi in Mola di Bari inducono ad escludere l'elemento

soggettivo del reato. Ne deriva la assoluzione dell'imputato Bre scia Benito dalla imputazione ascrittagli, perché il fatto non co stituisce reato.

L'imputato Pesce Vito va invece assolto perché il fatto non sussiste, in quanto si limitò a svolgere una mera opera di consu lenza legale a richiesta di entrambe le parti: queste si presen tarono nello studio dell'avvocato Pesce, quan3o erano già d'ac cordo sulla misura del canone, e pagarono entrambe (in misura

uguale) l'onorario del professionista. Va aggiunto che, alla stre

gua degli atti, deve escludersi che l'avvocato Pesce abbia pre stato la sua attività professionale per un interesse che possa averlo mosso non semplicemente a consigliare, ma anche a volere — rendendosi cosi partecipe moralmente del fatto — la conclu sione del contratto di locazione a condizioni illecite.

Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI TRENTO; sentenza 13 novembre 1980; Giud.

Bozza; imp. Perini e altro.

PRETURA DI TRENTO;

Violazione di domicilio e della vita privata — Stabilimento in dustriale — Luogo di privata dimora — Limiti — Fattispecie (Cod. pen., art. 614).

I locali di uno stabilimento industriale, aperti al libero accesso dei lavoratori o di una parte di essi, non costituiscono luogo di

privata dimora ai sensi dell'art. 614 cod. pen., sicché non

integra gli estremi del reato di violazione di domicilio la condotta di un sindacalista che, contro la volontà dell'imprendi tore, si sia introdotto nello stabilimento e abbia partecipato ad un'assemblea di protesta tenuta dai lavoratori nell'atrio antistan te gli uffici della direzione. (1)

(1) La sentenza riportata si discosta dall'orientamento consolidato della Corte di cassazione che, da circa un trentennio, è ferma nell'opinione che gli stabilimenti industriali, essendo destinati all'espli cazione di attività privata, costituiscono luoghi di privata dimora ai sensi dell'art. 614 cod. pen. e sono, quindi, oggetto della tutela penale prevista per la violazione di domicilio. In tal senso cfr. Cass. 17 aprile 1978, Maida, Foro it., Rep. 1979, voce Violazione di domicilio, n. 1; 30 ottobre 1968, Pisano, id., Rep. 1969, voce cit., n. 2, citata in motivazione; per la giurisprudenza di merito: Trib. Torino 8 giugno 1977, id., 1978, II, 193, con nota di richiami; Pret. Milano 17 aprile 1972, id., Rep. 1973, voce cit., nn. 9, 10 e 13 gennaio 1972, ibid., n. £; Pret. Treviso, 26 aprile 1972, ibid., n. 11. La tesi è condivisa in dottrina da Santoro, Il delitto di violazione del domicilio e l'ingresso dì sindacalisti estranei negli stabilimenti industriali, in Mass. giur. lav., 1974, 91 ss.; Cadetto, Violazione di domicilio ed ingresso « invito domino » di sindacalista in stabilimento industriale, ibid., 100 ss.; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, 1977, I, 172 ss.; Morsillo, Note sull'introduzione abusiva negli stabilimenti industriali, in Mass. giur. lav., 1972, 631 ss.; Gramiccia, Tutela penale e civile della disponibilità dei beni aziendali (reati di invasione e di occupa zione di azienda, di violazione di domicilio, ecc., spoglio e turbativa del possesso), id., 1969, 359 ss.; Testi, Privata dimora e stabili mento industriale nella violazione di domicilio, in Giust. pen., 1954, 831; Pisapia, Rilievi sulle nozioni di «luogo pubblico», «luogo aperto al pubblico » e « luogo di privata dimora », in Riv. it. dir. pen., 1950, 109; Id., Nuovi appunti in tema di ingresso vrbitrario in stabilimenti industriali, ibid., 672; Grispigni, Ingresso arbitrario in stabilimento industriale, in Scuola positiva, 1949, 573.

L'opposto indirizzo interpretativo, seguito dalla sentenza in epigrafe, muove da una visione meno ampia dell'oggetto giuridico del reato rilevando che il domicilio è tutelato dall'ordinamento quale proiezione spaziale della persona (v. Amorth, La Costituzione italiana, 1948, 62) e che l'interesse protetto dalla norma incriminatrice si identifica con quello alla sicurezza, alla pace e alla tranquillità della vita domestica: con la conseguenza che, restando circoscritta la nozione di privata dimora ai luoghi nei quali si realizza un'intima relazione persona ambiente, nell'introduzione non autorizzata in uno stabilimento indu striale non sarebbe ravvisabile il delitto di violazione di domicilio, se non rispetto a quelle parti specificamente destinate alla vita domestica. Tale tesi ha trovato largo seguito sia nella giurisprudenza di merito che nella dottrina: Pret. Milano 11 luglio 1978, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 3; Trib. Milano 30 ottobre 1973, id., 1974, II, 244, con nota di richiami, citata in motivazione; Trib. Pordenone 16 gennaio 1973, id., Rep. 1974, voce cit., n. 15; Trib. Bologna 31 ottobre 1972, ibid., nn. 13, 14; Pret. Firenze 16 febbraio 1973, id., 1975, II, 357, con nota di richiami; Pret. Maniago 27 marzo 1972, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 9-12; per la dottrina: Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 1964, Vili, 813; Ferraro, Ancora sull'ingresso dei sindacalisti esterni nello stabilimento industriale, in Giur. merito, 1975, II, 248; Volpi, In tema di violazione di domicilio, in Giur. costit., 1975, 504; Giordano, Osservazioni intorno alla tutela penale del domicilio e dello stabilimento industriale, in Riv. giur. lav., 1973, II, 1177; Siniscalco, Domicilio (violazione di), voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1964, XIII, 873 ss.; Vassalli, Appunti sulla tutela penale dei luoghi di lavoro, in Riv. giur. lav., 1954, II, 215; Battagline L'oggetto della tutela penale nella violazione di domicilio, in Giust. pen., 1953, 878. Da segnalare che l'opinione contraria alla configurazione dello stabilimento industria le come luogo di privata dimora ha tratto rinnovato impulso dopo l'entrata in vigore della legge 20 maggio 1970 n. 300 in quanto si è ritenuto che numerose norme dello statuto dei lavoratori abbiano definitivamente conferito ai luoghi di lavoro il carattere di « comunità aperte » nelle quali si manifesta il sistema conflittuale posto a base dell'attuale assetto delle relazioni industriali. Per interessanti spunti in

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GIURISPRUDENZA PENALE

Il Pretore, ecc. — In fatto e in diritto. — Con atto di querela in data 31 luglio 1979, Laverda Francesco, in qualità di procura tore e legale rappresentante della s.p.a. Laverda, denunciava per il

reato di violazione di domicilio Perini Modesto, sindacalista della

Federazione lavoratori metalmeccanici, e Pompermaier Tullio,

rappresentante sindacale aziendale. Il querelante esponeva che il

giorno 8 giugno 1979 il Perini, presentatosi dinanzi ai cancelli

degli stabilimenti Laverda di Spini di Gardolo, contro la volontà della guardia giurata Rota Pietro, che non intendeva farlo accede

re ai reparti di lavorazione, penetrava all'interno dell'azienda,

istigato in tale comportamento, contrario alla volontà della dire

zione dell'impresa, dal lavoratore Pompermaier Tullio.

Il Pretore di Trento esercitava l'azione penale emettendo in data 15 ottobre 1980 decreto di citazione a giudizio nei confronti

degli attuali imputati in ordine al reato in rubrica loro ascritto.

All'esito dell'odierno dibattimento, conclusosi con sentenza, e nel quale il Laverda si è costituito parte civile, il pretore osserva.

L'istruttoria svolta nel corso dell'udienza, in particolare la deposi zione del teste Rota Pietro e le dichiarazioni rese dai due

prevenuti, ha permesso di giungere ad una abbastanza precisa ricostruzione dei fatti di causa. Nel giugno del 1979 nel corso di

agitazioni sindacali, che in un clima sempre più acceso, si

protraevano da alcuni mesi, il Perini quale segretario della F.l.m.

provinciale, chiamato telefonicamente da uno dei delegati di

fabbrica della Laverda, si recava, nuovamente, presso lo stabili

mento di Gardolo nel tentativo di raggiungere un accordo con la

direzione aziendale: quest'ultima, a seguito dei numerosi scioperi « a singhiozzo » posti in essere dai lavoratori, aveva fatto manca

re la corrente in alcuni reparti produttivi. Ad attenderlo dinanzi

al cancello della fabbrica (su cui, secondo la deposizione del

querelante Laverda, era posto il cartello di divieto di ingresso agli

estranei) vi era il Pompermaier Tullio, delegato sindacale interno, insieme con il quale il Perini, superato il cancello, velocemente si

dirigeva verso i vicini reparti produttivi. Giunto dinanzi alla

guardiola di controllo mentre il Pompermaier lo precedeva di

alcuni metri, il segretario della F.l.m. veniva fermato dalla guar dia giurata Rota Pietro il quale, nel rispetto degli ordini ricevuti dalla direzione, non intendeva lasciarlo passare. Al che il Perini

lo apostrofava con l'espressione « non mi metta le mani addosso,

potete chiamare i carabinieri tanto io entro lo stesso » e, spalleg

giato dall'altro imputato, che lo invitava comunque a proseguire, si dirigeva ad entrare all'interno degli stabilimenti partecipando ad una assemblea tenuta dai lavoratori nell'atrio antistante gli uffici della direzione. Riusciti, infine, vani i tentativi di incontro

con il vertice aziendale il sindacalista della F.l.m. lasciava la

fabbrica.

A parere dello scrivente non è ravvisabile nel comportamento dei due prevenuti il delitto loro contestato di violazione di

domicilio. L'art. 614 cod. pen. sanziona penalmente l'agire di

quella persona che si introduce nell'abitazione altrui o in altro

luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa, contro la

volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo. Orbene, non sembra possibile far rientrare lo stabilimento industriale nei

concetti di « abitazione » o di « privata dimora » utilizzati dalla

norma.

Non certo nel termine « abitazione » comunemente inteso quale « luogo adibito alla vita domestica »; occorre invece prestare

maggiore attenzione al concetto di privata dimora. Non ignora, questo pretore, che la costante giurisprudenza della Suprema corte

nonché la maggioranza della dottrina attribuiscono al concetto in

questione una portata più ampia di quella che il termine in sé

lascerebbe intendere: è privata dimora quel luogo, diverso dall'a

bitazione, ove in qualunque forma sia esplicata un'attività (lavora tiva e non) afferente alla vita privata di una persona (tra le tante

Cass. 18 giugno 1963, Del Corno, Foro it., Rep. 1963, voce

Violazione di domicilio, n. 4, e Cass. 27 marzo 1973, Spiritoso ed

altri, id., Rep. 1974, voce cit., n. 8). In tale logica si è pertanto ritenuto oggetto di tutela della norma anche lo stabilimento

tale direzione, già prima dello statuto dei lavoratori, cons. Smura

glia, Lo stabilimento industriale come « formazione sociale » (note sulla inapplicabilità del reato di violazione di domicilio all'ipotesi di

occupazione di fabbrica), in Giust. pen., 1963, II, 168. Sul concetto di luogo di privata dimora cfr. Cass. 5 marzo 1976,

Granzotto, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 1, che ha ribadito

l'estensione di tale nozione a qualsiasi luogo utilizzato per lo svolgi mento dell'attività privata, come quella di studio, di svago, di lavoro, di commercio, ritenendo suscettibili della tutela penale ex art. 614 cod.

pen. anche i pubblici esercizi. Per l'identificazione degli elementi oggettivi e soggettivi che differen

ziano le figure di reato ipotizzate dall'art. 508 cod. pen. (arbitraria invasione e occupazione di aziende), dall'art. 633 (invasione di edifici) e dall'art. 614 (violazione di domicilio) v. Trib. Torino 8 giugno 1977,

cit., ed ivi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza ai quali si rinvia.

industriale in cui l'imprenditore svolge la sua attività d'impresa (cfr. Cass. 30 ottobre 1968, Pisani ed altro, id., Rep. 1969, voce

cit., n. 213, ed anche Pret. Milano 17 aprile 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 9). Una tale tesi non può essere accolta dn quanto, a parere del giudicante, ha portato ad un'interpretazione eccessi

vamente estensiva del concetto di privata dimora, interpretazione, che dettata da giuste ragioni di politica giudiziaria (l'evitare

possibili lacune dell'ordinamento penale) è finita in realtà per andare al di là delle intenzioni del legislatore. L'espressione « privata dimora » sembra, infatti, richiedere uno stretto rapporto di interdipendenza tra il luogo oggetto di tutela e la persona, tale

che l'accesso a detto luogo risulti limitato ad un ristretto numero

di persone autorizzate in tal senso dal titolare dello ius escluden di. Da ciò consegue che lo stabilimento industriale, a cui, di

regola, accedono una moltitudine relativamente indeterminata di

persone, non può qualificarsi privata dimora in quanto mancante di quella relazione immediata persona-ambiente oggetto della tutela penale (conf. Trib. Milano 30 ottobre 1973, id., 1974, II, 244). Il discorso a questo punto ha, anche, una portata più generale. Se invece, da un lato, secondo i nostri principi civilistici l'azienda è qualcosa di strettamente collegato alla figura dell'im

prenditore sia esso persona fisica o giuridica (basti pensare alla definizione del codice civile di cui all'art. 2555), dall'altro non

può essere trascurato il fatto che nella realtà odierna l'azienda,

specie quella di certe dimensioni, ha assunto, anche sotto un

profilo giuridico, rilievo e caratteristiche del tutto particolari; non

può più essere considerata pura e semplice centro di svolgimento di una attività di produzione. Con l'emanazione della legge n. 300 del 1970 e l'attribuzione del diritto ai lavoratori di costituire

organismi sindacali interni (r.s.a.: art. 19), di partecipare ad

assemblee regolarmente retribuite (art. 20), di avere a disposizione dei locali per riunirsi (art. 27), il legislatore ha attribuito all'a

zienda una valenza che prima le era sconosciuta; è diventata da

un lato comunità di lavoro e nello stesso tempo esplicito punto di

riferimento di interessi contrapposti, in pratica il primo gradino su cui poggia il sistema di relazioni industriali del nostro paese. Alla luce di tali considerazioni non vi è chi non veda quanto sia

difficile se non impossibile far rientrare lo stabilimento produttivo nel concetto di privata dimora quantomeno nei confronti di quei

soggetti che, pur non appartenendo alla comunità di lavoro (quali invece impiegati, operai, dirigenti), ne sono in qualche modo

partecipi in quanto direttamente coinvolti nella realtà conflittuale del lavoro che storicamente trascende i cancelli della fabbrica

(come appunto il Perini sindacalista provinciale della F.l.m.). Le considerazioni ora svolte si riferiscono ovviamente a quelle

parti dello stabilimento produttivo a cui liberamente accedono in

genere, tutti i lavoratori o parte di essi; il discorso è diverso per quei locali ove l'accesso è autorizzato ad un numero limitato di

persone come nel caso degli uffici della direzione, che vanno sicuramente inquadrati nel concetto di privata dimora. Peraltro al Perini non può essere mosso tale addebito in quanto l'imputato, come è risultato chiaramente dall'istruttoria dibattimentale, supe rati i cancelli dello stabilimento si è limitato a partecipare all'assemblea di protesta tenuta dai lavoratori nell'atrio antistante

detti uffici. Si tenga infine presente che tale atrio o slargo non

può essere considerato ai sensi dell'art. 614 « appartenenza »

della privata dimora: è si vero che da esso si accede agli uffici

della direzione dello stabilimento ma dallo stesso atrio i lavoratori della Laverda hanno ingresso ai vari reparti produttivi dell'azien

da (tra l'altro detto slargo è consuetudinariamente luogo di sosta

per gli operai data la presenza di alcune macchinette per il caffè

e altre bevande). La difesa dei due imputati in sede di discussione ha tra l'altro

escluso la sussistenza del reato di violazione di domicilio affer

mando che il Perini nell'entrare in fabbrica esercitava un suo

diritto, quello di partecipare all'assemblea indetta dai lavoratori in

fabbrica ai sensi dell'art. 20 legge n. 300 del 1970. Tale tesi non

può essere accolta, il diritto di partecipazione da parte dei

dirigenti esterni del sindacato alle assemblee interne dei lavoratori

è sottoposto dalla legge n. 300 ad alcune condizioni (art. 20, 1° e

2° comma) in particolare al previo preavviso del datore di lavoro

(art. 20, 3° comma); deve ritenersi, come nelle fattispecie in

questione, che il mancato rispetto di tali presupposti esclude la

sussistenza del diritto. Pertanto la partecipazione del segretario

provinciale della F.l.m. all'assemblea non può ritenersi una esi

mente del delitto di violazione di domicilio (conf. Pret. Milano

17 aprile 1972, già citata).

Alla luce di quanto sopra esposto entrambi gli imputati vanno

dunque assolti, il Perini dal reato di violazione di domicilio, il

Pompermaier da quello di concorso morale nello stesso, perché il

fatto non è preveduto dalla legge come reato: i prevenuti hanno

si commesso il fatto materiale loro contestato in rubrica ma esso

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PARTE SECONDA

non rientra nell'ipotesi criminosa prevista dall'art. 614. Dall'asso luzione con la formula piena del Perini e del Pompermaier consegue la condanna del querelante al pagamento delle spese processuali. Sulla domanda avanzata dalla difesa di rifusione delle

spese sostenute dagli imputati da parte del Laverda, il pretore ritiene ricorrano giusti motivi per dichiararle integralmente com

pensate. Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI AUGUSTA; sentenza 12 novembre 1979; Giud. Condorelli ; imp. Grandizio e altri quattro.

PRETURA DI AUGUSTA;

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Inse diamenti sprovvisti di licenza di agibilità e abitabilità — Au torizzazione provvisoria tacita allo scarico — Inosservanza dei limiti di accettabilità previsti per i nuovi insediamenti — Con

seguenze (Legge 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art. 10, 15, 22).

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Man cato adeguamento ai limiti previsti dalla legge — Revoca « ipso iure » dell'autorizzazione provvisoria — Mantenimento

degli scarichi — Conseguenze (Legge 10 maggio 1976 n. 319, art. 10, 21).

Agli effetti del reato previsto e punito dall'art. 22 legge n. 319/ 1976, l'obbligo di adeguamento ai limiti della tabella A, stabi lito per gli insediamenti esistenti e funzionanti ma privi di licenza di agibilità ed abitabilità all'entrata in vigore della leg ge, è da considerare come una prescrizione inserita automati camente nell'autorizzazione provvisoria tacita di cui all'art. 15, 8° e 9° comma, della stessa legge. (1)

Agli effetti del reato previsto e punito dall'art. 21, 2° e 3" com ma, legge n. 319/1976, la caducazione ipso iure dell'autorizza zione provvisoria in conseguenza del mancato adeguamento de

gli scarichi ai limiti e nei termini previsti dal capoverso del l'art. 10, equivale alla revoca dell'autorizzazione stessa. (2)

(1-2) Non constano precedenti in termini. Nel primo capo di imputazione è stata contestata la violazione della

prescrizione contenuta nella autorizzazione provvisoria ottenuta in for ma tacita ed individuata nella mancata osservanza dei limiti previsti dal combinato disposto degli art. 10, 2° comma, e 12, n. 1, legge n. 319/1976. In tale prospettazione la sentenza si inserisce in quell'in dirizzo giurisprudenziale tendente ad estendere la figura del reato pre visto dall'art. 22 della legge 319/1976 anche alle autorizzazioni ta cite (Trib. Treviso 18 dicembre 1978, Foro it., Rep. 1979, voce Acque pubbliche, n. 121 (in motivazione); Pret. Nereto 5 luglio 1977, id., 1978, II, 220), che finora ha trovato ostile la maggioranza della dot trina che si è interessata espressamente del problema (P. Giampietro, L'inosservanza delle prescrizioni di autorizzazione allo scarico ai sensi dell'art. 22 legge Merli, in Giust. pen., 1977, II, 382, che peraltro avverte il grave dubbio di illegittimità costituzionale di una interpre tazione riduttiva della norma che escluda la sua applicazione alla au torizzazione tacita; G. Amendola, La nuova legge sull'inquinamento delle acque, 1977, 132; F. e P. Giampietro, Commento alla legge sul l'inquinamento delle acque e del suolo, 1978, 270; e per ulteriori ri ferimenti A. M. Marini, in nota a Pret. Nereto, cit.).

Altri autori sono invece favorevoli all'indicato indirizzo giurispru denziale: v. Cicala, La tutela dell'ambiente nel diritto amministra tivo, penale e civile, 1976, 169, che afferma che il rispetto delle tabelle e prescrizioni di tollerabilità contenute nella legge è condizione im plicita di tutte le autorizzazioni, anche di quelle tacite; nonché Di Giovine, La tutela delle acque dall'inquinamento, 1977, 129, il quale, pur non affrontando direttamente il problema, rileva la grande impor tanza pratica dell'art. 22 che permette di sanzionare tutta una serie di comportamenti altrimenti irrilevanti (tra i quali cita ad esempio l'omesso funzionamento degli impianti di depurazione, che, di certo, è circostanza talmente generica da potersi riferire tanto agli insedia menti dotati di autorizzazione espressa che a quelli muniti di auto rizzazione tacita, purché sia indicata nella domanda).

Sull'autorizzazione tacita e sul procedimento amministrativo previ sto dal 9° comma dell'art. 15, cfr. G. Amendola, La nuova legge, cit., 49; F. e P. Giampietro, Commento, cit., 127-133; Greco-Lazza ro, La tutela delle acque dall'inquinamento. La legge 10 maggio 1976 n. 319 illustrata con i lavori preparatori, 1977, 234.

Sul « silenzio » amministrativo, da ultimo v. T.A.R. Lazio, Sez. Ili, 22 ottobre 1979, n. 676, Foro it., 1981, III, 201, con nota di richiami.

La sentenza riportata ha individuato gli insediamenti ai quali ap plicare il regime transitorio previsto dal capov. dell'art. 10 della legge (adeguamento ai limiti previsti per i nuovi insediamenti entro due anni dall'entrata in vigore della legge) in quelli che all'entrata in vigore della legge erano già esistenti e funzionanti pur se privi di li cenza di agibilità ed abitabilità: questione disputata in dottrina e giu risprudenza fino all'emanazione della legge 24 dicembre 1979 n. 650,

Il Pretore, ecc. — Fatto — Con rapporto del 23 ottobre 1979, il comandante della squadra di p. g. di Augusta, brigadiere Pluchino, riferiva che: 1) gli insediamenti petrolchimici delle società Li quichimica, Esso e Montedison, con reflui tutti recapitanti in corsi d'acqua superficiali (torrenti e, soprattutto, acque marine della rada di Augusta) compresi nel territorio del mandamento di questa pretura, avevano, ininterrottamente, salvo che per qual che occasionale e parziale pausa, svolto la loro attività produtti

che, modificando l'art. 10, capov., ha limitato l'applicazione del regime transitorio ai soli insediamenti in corso di eostruzione. La modifica ha perciò accolto parzialmente in sede legislativa quanto già antici pato con la circolare n. 85 del 29 dicembre 1976 del comitato dei ministri previsto dall'art. 3 della legge 319/1976, oggi modificato in comitato interministeriale (art. 21 legge 650/1979), e nella quale, con singolare eclettismo, dopo aver individuato, oltre quelli nuovi ed esistenti, una terza categoria di insediamenti caratterizzata dalla mancanza di licenza di agibilità ed abitabilità, si afferma che nella norma rientrerebbero anche gli insediamenti in fase di costruzione o già costruiti ma non ancora in esercizio, mentre ne sarebbero esclusi quelli esistenti che, in base alla normativa anteriore all'entrata in vigore della legge 319/1976, non fossero stati obbligati a richiedere la suddetta licenza.

Aveva già auspicato un'interpretazione autentica della norma Maz zoni, Controllo amministrativo sugli scarichi idrici e sugli usi delle acque. Relazione al convegno di Sirmione « dal controllo della qua lità alla gestione delle acque », l°-3 giugno 1978, in Ambiente e dir., 1978, 424.

Sull'interpretazione del 2° comma dell'art. 10 vedi in senso con forme Pret. Genova 5 luglio 1979 e 17 luglio 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., nn. 105, 106, dove, conformemente a quanto affermato nella decisione che si riporta, si sottolinea tra l'altro la connessione della licenza di agibilità e abitabilità di cui all'art. 221 r. d. 27 luglio 1934 n. 1265 con le esigenze ecologiche di tutela dell'ambiente esterno all'insediamento. Contra T.A.R. Lombardia 26 luglio 1978, n. 501, id., Rep. 1979, voce cit., n. 105 (per esteso in Le regioni, 1979, 422, con nota critica di Gaia, La normativa comunitaria protegge gli inquina tori?, ove, per confutare l'assunto del tribunale amministrativo, si richiama l'art. 10 della direttiva 76/464/CEE, in GUCE 18 maggio 1976, 1 n. 129 « Sull'inquinamento provocato da sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico dalla Comunità», secondo il quale «uno o più Stati membri possono, ove occorra, stabilire individualmente o congiuntamente disposizioni più severe di quelle previste dalla pre sente direttiva », senza che ciò comporti la violazione delle condizioni di concorrenza previste dall'art. 101 del trattato CEE).

Questione di costituzionalità dell'art. 10, 2° comma, legge n. 319/ 1976 è stata sollevata da Pret. Roma 18 aprile 1979, Foro it., 1979, II, 479.

In dottrina in senso conforme alla sentenza F. e P. Giampiftro, Commento, cit., 184; F. Giampietro, La disciplina degli scarichi da insediamenti produttivi esistenti secondo l'art. 10 della legge Merli, in Riv. giur. edilizia, 1978, II, 270-271; Mazzoni, Controllo ammini strativo, cit., 422 ss., che peraltro rileva l'incongruità della interpre tazione letterale della norma. In senso contrario Cicala, La tutela, cit., 150-152, secondo cui la speciale disciplina transitoria è applica bile solo a quegli insediamenti che non possono dirsi né compiuta mente esistenti né del tutto nuovi.

Come sopra accennato, l'art. 10 della legge n. 319/1976 è stato integralmente sostituito dall'art. 13 della legge n. 650/1979, che ha rettificato il precedente disposto prevedendo espressamente l'adegua mento entro il 30 giugno 1980 ai limiti di accettabilità previsti per i nuovi scarichi (cioè nella tabella A) da parte dei soli insediamenti produttivi in corso di costruzione all'entrata in vigore della legge ma privi di licenza di agibilità ed abitabilità. Oggi, perciò, gli insedia menti produttivi che siano ancora in corso di costruzione sono equi parati totalmente ai nuovi insediamenti e dovranno adeguare gli sca richi alla tabella A sin dall'inizio dell'attività, senza alcuna ulteriore proroga.

L'indicata legge 650/1979 ha modificato anche la prima parte del l'art. 10 accogliendo, anche in questo caso, l'orientamento espresso dal comitato dei ministri con circolare n. 144 del 30 dicembre 1977. Sull'art. 10, 1° comma, nel testo anteriore alla modifica, v. Pret. Bo logna 9 dicembre 1978, Foro it., 1979, II, 391, con nota di A. M. Marini cui si rinvia per ulteriori indicazioni, ed in Giur. merito, 1980, II, 649, con nota di F. M. Agnoli; Pret. Forlì 18 ottobre 1978, Foro it., Rep. 1979, voce cit., nn. 112-114.

Altro aspetto originale della sentenza riportata consiste nell'aver ritenuto come condizione implicita dell'autorizzazione tacita, ai fini della sanzione dell'art. 22, una prescrizione dedotta direttamente dalla legge, diversamente dalle citate pronunce di Pret. Piacenza e di Trib. Treviso, che avevano richiamato come prescrizioni dell'autorizzazione tacita alcune indicazioni presenti nella domanda. L'affermazione, che nei suoi termini ha oggi perso rilevanza a seguito dell'indicata modi fica dell'art. 10, offre peraltro spunti interessanti anche per il futuro nella misura in cui la stessa sia ritenuta valida anche più in generale per tutti i « limiti intermedi » previsti dalla legge.

La tesi, del resto, era stata già prospettata con la più ampia esten sione da Pret. Nereto, cit., che, in base alla considerazione che l'au torizzazione espressa mai avrebbe potuto consentire il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalle tabelle, aveva ritenuto che nell'autorizzazione tacita i limiti della tabella C sarebbero stati im

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