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sentenza 14 gennaio 1986, n. 5 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 22 gennaio 1986, n. 3); Pres....

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Page 1: sentenza 14 gennaio 1986, n. 5 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 22 gennaio 1986, n. 3); Pres. Paladin, Rel. Reale; Alberti; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Corte conti, sez.

sentenza 14 gennaio 1986, n. 5 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 22 gennaio 1986, n. 3);Pres. Paladin, Rel. Reale; Alberti; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Corte conti, sez. IV, 19gennaio 1978 (G. U. n. 45 del 1979)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 2995/2996-2997/2998Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181624 .

Accessed: 24/06/2014 23:39

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2995 PARTE PRIMA 2996

Diritto. - La Corte d'appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., dell'art. 52, T e 5° comma, t.u. della previdenza marinara, approvato con il

d.p.r. n. 2109 del 1962, il quale prevede a carico del pensionato della Cassa nazionale della previdenza marinara, che dopo il

pensionamento continua a lavorare alle dipendenze di un terzo, non obbligato alla iscrizione alla detta cassa, la riduzione di un

quarto della pensione nel limite massimo del quarto della retribu

zione, in quanto detta norma sarebbe analoga all'art. 5, lett. a e

b, 1. n. 238 del 1968 ed all'art. 20, lett. b, d.p.r. n. 488 del 1968, dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 155 del 1969 di questa corte (Foro it., 1970, I, 395).

2. - La questione non è fondata. Invero non sussiste la ritenuta

analogia. Questa corte, con la citata sentenza, ha dichiarato l'illegittimità

costituzionale, per violazione degli art. 3 e 36 Cost., delle dette norme nella parte in cui disponevano che le pensioni di vecchiaia non erano cumulabili con la retribuzione (divieto di cumulo

totale). La corte ha, però, ritenuto, in via generale, non contrastante

con l'art. 36 e con l'art. 38 Cost., la norma che riduce la misura del trattamento pensionistico quando, per effetto del lavoro del

pensionato, esso viene a concorrere con la retribuzione, in quanto si limita l'esigenza previdenziale in funzione della quale è

predisposta la provvidenza pensionistica ed in quanto l'ulteriore

contribuzione, per effetto dell'opera prestata, consente di riliqui dare in meglio la pensione già erogata ed il guadagno derivante dall'ulteriore attività lavorativa fa dimunire lo stato di bisogno del pensionato.

Ha ritenuto, però, sindacabile la discrezionalità legislativa per quanto riguarda la congruità della riduzione della pensione rispet to agli elementi essenziali del rapporto sociale creati dagli art. 36 e 38 Cost, in quanto il riferimento all'art. 36 alla proporzione della retribuzione dovuta al prestatore di opera costituisce, sotto un particolare aspetto, sviluppo del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

Ha precisato che in un sistema mutualistico e di solidarietà

sociale, quale è quello dell "I.n.p.s., per quanto i contributi del lavoratore servano per il conseguimento di finalità che trascendo no gli interessi dei singoli ed abbiano carattere generale, pur tuttavia è innegabile che essi diano vita ad un diritto del prestatore d'opera a conseguire le prestazioni previdenziali di

guisa che il legislatore non può, senza violare quel principio di

proporzionalità che sorregge il sistema pensionistico, non tenere conto delle dette contribuzioni.

Conseguentemente, mentre è costituzionalmente illegittimo il divieto del cumulo totale che importa la privazione integrale del lavoratore di quanto egli ha diritto di percepire per effetto dei contributi versati, non lo è il divieto del cumulo parziale in

quanto, sia pure con la dovuta e necessaria approssimazione, esso non toglie al pensionato più di quello che gli sarebbe spettato per effetto dei contributi versati.

Pertanto, la stessa corte, nella sentenza n. 155 del 1969, cui il giudice a quo fa riferimento, ha ritenuto costituzionalmente legittima la 1. 30 aprile 1969 n. 153 la quale ha disposto che, a decorrere dal 1° maggio 1969, non sono cumulabili con la retribuzione nella misura del 50 % dell'importo le quote eccedenti il trattamento minimo delle pensioni di invalidità e vecchiaia proprio perché essa non toglie al pensionato più di quello che gli sarebbe spettato per effetto dei contributi versati.

Egualmente si è detto in ordine alla stessa legge del 1968 per quanto riguarda il divieto del cumulo nella ragione di 1/3 tra retribuzione e pensione di invalidità.

3. - Questa corte aveva affermato principi analoghi a quelli innanzi richiamati già con la sent. n. 105 del 1963 (id., 1963, I, 1527) mentre li ha poi ribaditi con la sent. n. 30 del 1976 (id., 1976, I, 903).

Essa ha anche rilevato l'identità della situazione per le pensioni retributive e per le pensioni contributive in quanto, per i profili pubblicistici, vi è in ogni caso il concorso finanziario dello Stato e nelle pensioni contributive la presenza di quote fisse aggiuntive e di coefficienti di rivalutazione non rispondenti ai criteri che informano il calcolo delle rendite da assicurazione private; non ché, almeno allo stato, la razionalità di un sistema pensionistico

riporta) è prevista solo una riduzione della pensione per effetto del divieto parziale di cumulo con la retribuzione. Per riferimenti, in genere, sul cumulo pensione-retribuzione, cfr. da ultimo Cass. 4 dicembre 1984, n. 6566, ibid., 732, con nota di richiami.

che prevede differenti posizioni di pensionati in relazione ai

diversi regimi previsti dalle varie leggi in materia.

4. - Questi stessi principi trovano applicazione nella fattispecie in quanto l'art. 52, 2° e 5° comma, t.u. n. 2109 del 1962,

sospettato di incostituzionalità, prevede il divieto del cumulo tra

pensione e retribuzione per un quarto della pensione nei limiti

massimi del quarto della retribuzione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, 2° e 5°

comma, t.u. sulla previdenza marinara, approvato con il d.p.r. 2109 del 1962, sollevata con l'ordinanza in epigrafe in riferimento

agli art. 3 e 36 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 gennaio 1986, n. 5

(Gazzetta ufficiale, 1" serie speciale, 22 gennaio 1986, n. 3); Pres. Paladin, Rei. Reale; Alberti; interv. Pres. cons, mini stri. Ord. Corte conti, sez. IV, 19 gennaio 1978 (G. U. n. 45 del

1979).

Pensione — Vedova di guerra — Matrimonio non ancora contrat to — Equiparazione delle pubblicazioni alla procura — Esclu sione — Incostituzionalità — Questione inammissibile di co stituzionalità (Cost., art. 3; 1. 10 agosto 1950 n. 648, rior dinamento delle disposizioni stille pensioni di guerra, art.

55; 1. 9 novembre 1961 n. 1240, integrazioni e modificazio ni della legislazione delle pensioni di guerra, art. 12; 1. 18 marzo 1968 n. 313, riordinamento della legislazione pensioni stica di guerra, art. 42; d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, t.u. delle norme in materia di pensioni di guerra, art. 7).

Sono illegittimi, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 55, ult. comma, l. 10 agosto 1950 n. 648, nel testo originario e in

quello modificato dall'art. 12 l. 9 novembre 1961, n. 1240, e l'art. 42, 2° e 3° comma, l. 18 marzo 1968 n. 313, nella parte in cui non considerano come vedova di guerra la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare o del civile, avvenuta a causa della guerra, oltre che nel caso in cui risulti rilasciata dal defunto una procura al matrimonio, anche nel caso in cui siano state richieste le prescritte pubbli cazioni. (1)

È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 7, 3° e 4° comma, d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, nella parte in cui non considera come vedova di guerra la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare o del civile, avvenuta a causa della guerra, oltre che nel caso in cui risulti rilasciata dal defunto una procura al matrimonio, anche nel caso in cui siano state richieste le prescritte pubblicazio ni. (2)

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, 4" comma, l. 18 marzo 1968 n. 313, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non consentirebbe di individuare come vedova di guerra la donna che non abbia potuto contrarre matri monio per la morte del militare o del civile, avvenuta a causa della guerra, nel caso in cui siano state richieste le prescritte pubblicazioni, in quanto la norma denunciata riguarda l'ipotesi di una persistente situazione di convivenza dei nubendi, estranea alla fattispecie dedotta alla cognizione della Corte costitu zionale. (3)

Diritto. — 1. - La Corte dei conti era chiamata a decidere sulla domanda di pensione di guerra di una donna il cui fidanzato,

<1-2) L'ordinanza di rimessione, Corte conti, sez. I, 19 gennaio 1978, si rinviene in Foro it., 1979, III, 297, con nota di richiami.

Come si rileva in motivazione, la stessa Corte conti, sez. IV, 5 marzo 1975, n. 43237, id., Rep. 1977, voce Pensione, n. 253, ha ritenuto possibile l'equiparazione della richiesta di pubblicazioni al rilascio della procura desumendola in via interpretativa dalla disciplina dettata dalla 1. 1240/61. La diversa opinione manifestata poi con l'ordinanza citata s'è rivelata fondata alla luce della sentenza che si riporta che ha la funzione, non solo di emendare la denunciata disparità di trattamento, ma anche di evidenziare come, ancora nel 1986, si verta sul diritto a pensione di una signora resa vedova (almeno nell'equiparazione legislativa della fidanzata a tale figura) da un evento bellico risalente al 1940.

(3) Nel senso che l'art. 42, 4° comma, 1. 313/68, riconosce il diritto a pensione di guerra alla donna convivente da almeno un anno con un militare deceduto per causa bellica, v. Corte conti, sez. IV, 21 dicem bre 1972, n. 39534, Foro it., Rep. 1974, voce Pensione, n. 238.

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tenente di vascello col quale avrebbe dovuto contrarre matrimo

nio nel luglio 1940, tanto che, premesso il « regio assentimento »,

gli sposi avevano chiesto e ottenuto le prescritte pubblicazioni, era deceduto in azione di guerra il 29 giugno 1940. L'istante

chiedeva agli effetti pensionistici la sua equiparazione a vedova

di guerra in virtù dell'art. 55 1. 10 agosto 1050 n. 648.

La Corte dei conti, escludendo che la normativa vigente consentisse l'accoglimento della domanda, poiché la richiesta

equiparazione poteva essere riconosciuta soltanto quando la morte

del militare o del civile a causa di guerra era avvenuta entro tre

mesi dalla data della procura da lui rilasciata per la celebrazione

del matrimonio, sospetta di incostituzionalità gli art. 55, 3° comma,

1. 10 agosto 1950 n. 648, 12 1. 9 novembre 1961 n. 1240 (erronea mente indicata nel dispositivo come 1. 18 marzo 1968 n. 313) e

42, 2°, 3° e 4° comma, 1. 18 marzo 1968 n. 313, nella parte in cui

dette norme « condizionano al solo fatto del rilascio della procura

per la celebrazione del matrimonio, e non anco alla esistenza di

altri documenti certi, l'assimilazione alla vedova di guerra, ai soli

effetti pensionistici, della donna che non abbia potuto contrarre il

matrimonio per la morte, a causa della guerra, del militare o

civile ».

La rilevanza della questione, entro i limiti della quale va

mantenuto il giudizio della corte, derivava dal fatto che, nella

specie, vi era stato da parte del militare morto in guerra non il

rilascio della procura, ma la richiesta delle pubblicazioni, re

golarmente effettuate.

La corte deve, dunque, decidere se non sia illegittima la

mancata equiparazione, ai ricordati effetti, della richiesta delle

pubblicazioni al rilascio della procura.

2. - La questione è fondata.

Non è, intanto, senza significato che il d.lgt. 27 ottobre 1918 n.

1726, emesso in occasione della prima guerra mondiale (art. 11),

considerava « come vedova del militare la donna che non abbia

potuto contrarre matrimonio per essere il militare deceduto entro

un mese dalla data del mandato di procura o dalla richiesta delle

pubblicazioni ».

Né è dato rintracciare nei lavori preparatori della 1. 10 agosto 1950 n. 648 alcun cenno alle ragioni della esclusione per l'avve

nuta richiesta di pubblicazioni dello stesso effetto accordato al

rilascio della procura. E lo stesso è a dirsi dei lavori preparatori della 1. 9 novembre 1961 n. 1240, che pure provvide a sostituire

l'ult. comma dell'art. 55 della 1. n. 648, espungendo, quando la

morte del militare o del civile a causa di guerra sia avvenuta

entro tre mesi dal « mandato di procura », la ulteriore condizione

che le cause per le quali il matrimonio non fu contratto « non

risultino imputabili a volontà delle parti »; nonché dai lavori

preparatori della 1. n. 312/68 che si limitò a riprodurre testual

mente nel 2° e 3° comma dell'art. 42 le disposizioni del penultimo e ultimo comma dell'art. 55 1. n. 648/50 nel testo modificato dal

l'art. 12 1. n. 1240/61.

E non sembra neppure inopportuno ricordare che in un prece

dente caso la stessa Corte dei conti aveva fatto richiamare

all'intenzione del legislatore per ritenere che l'equiparazione della

richiesta di pubblicazioni al rilascio della procura già potesse

desumersi in via interpretativa dalla legge vigente.

Ma, indipendentemente dall'indicazione fornita da tali prece

denti, la corte ritiene che nella mancata equiparazione si sostanzi

una violazione dell'art. 3 Cost.

3. - L'avvocatura dello Stato contesta che nel diverso tratta

mento delle due ipotesi il legislatore abbia toccato i limiti della

non ragionevolezza perché « sul piano volitivo le quantità di

volontà manifestata nelle due fattispecie non sono coincidenti » e

ammonisce che l'equiparazione alla procura di « qualunque altro

tipo di documento attestante un intendimento a contrarre matri

monio » creerebbe difficoltà di applicazione con riflessi sul settore

della pensionistica ordinaria.

Ma né l'una né l'altra obiezione sono convincenti.

Non la seconda perché l'equiparazione sulla quale la corte deve

decidere, non riguarda qualsiasi tipo di documento generico, ma

riguarda soltanto la richiesta di pubblicazioni. Non la prima perché « sul piano volitivo » la richiesta di

pubblicazioni ha un valore quanto meno non inferiore al rilascio

della procura. Che rispetto alle richieste pubblicazioni possa verificarsi, come

dice l'avvocatura, un atto di pentimento, è circostanza che si può

verificare anche rispetto al rilascio della procura; in entrambi i

casi i nubendi possono pentirsi fino al momento della celebrazio

ne del matrimonio.

E proprio l'avere esattamente riconosciuto, come fa l'avvocatu

ra, che l'equiparazione alla vedova è fatta dalla legge con

riferimento alla volontà espressa nella procura e non alla insussi

stente eguaglianza di situazioni giuridiche (vedova o equiparata a

vedova) colpite dalla morte del militare o del civile avvenuta per causa di guerra, deve condurre a riconoscere che non si può

privilegiare come espressione di volontà la procura rispetto alla

domanda di pubblicazioni. Andando in contrario avviso, si incorrerebbe nell'assurdo, rilevato

nell'ordinanza di rimessione, di concedere la pensione alla fidan

zata in possesso di procura a contrarre matrimonio non celebrato

per la successiva morte del militare o del civile a causa della

guerra e di negarla alla fidanzata che, adempiute tutte le formali

tà richieste, fra cui le pubblicazioni, « non potè contrarre matri

monio per la morte del promesso sposo, militare o civile, avvenu

ta a causa della guerra (bombardamento, mitragliamento, ecc.) la

mattina stessa in cui il matrimonio doveva essere celebrato e, al

limite, nel corso stesso della cerimonia nuziale ».

Deve, dunque, dichiararsi l'illegittimità costituzionale, nella par te in cui non assimilano le pubblicazioni alla procura, degli art.

55, ult. comma, 1. n. 648/50 sia nel testo originario sia nel testo

modificato dall'art. 12 1. n. 1240/61, nonché dei comma 2° e 3°

dell'art. 42 1. n. 313/68 e non, invece, del 4° comma dello stesso

articolo, pure denunciato d'illegittimità costituzionale dal giudice a quo, perché relativo a una preesistente situazione di convivenza

dei nubendi, estranea alla fattispecie sottoposta alla corte.

Essendo poi sopravvenuto il d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915

(t.u. delle norme in materia di pensioni di guerra) il quale, all'art. 37 riproduce testualmente i comma 2° e 3° della citata 1.

n. 313/68, occorre anche a tale disposizione estendere, in virtù

dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87, la pronuncia d'illegittimità nei

termini sopra indicati.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, a) dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 55, ult. comma, 1. 10 agosto 1950 n.

n. 648 (riordinamento delle disposizioni sulle pensioni di guerra) nel testo originario e nel testo modificato dall'art. 12 1. 9

novembre 1961 n. 1240 (integrazioni e modificazioni della legisla zione delle pensioni di guerra), nonché dell'art. 42, 2° e 3°

comma, 1. 18 marzo 1968 n. 313 (riordinamento della legislazione

pensionistica di guerra), nella parte in cui non considerano come

vedova di guerra la donna che non abbia potuto contrarre

matrimonio per la morte del militare o del civile, avvenuta a

causa della guerra, anche nel caso che siano state richieste le

prescritte pubblicazioni; b) dichiara, in applicazione dell'art. 27

1. 11 marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, 3°

e 4° comma, d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, nei termini di cui al

capo precedente; c) dichiara inammissibile la questione di legit timità costituzionale dell'art. 42, 4° comma, 1. 18 marzo 1968 n.

313, sollevata dalla Corte dei conti con l'ordinanza (n. 607 del

reg. ord. 1978) di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 3 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1985, n. 222

(Gazzetta ufficiale 7 agosto 1985, n. 185 bis); Pres. Roehrssen,

Rei. Corasaniti; imp. Arena; interv. Pres. cons, ministri. Orci.

Pret. Roma 17 marzo 1977 (G. U. n. 278 del 1978).

Spese giudiziali in materia penale — Compensazione tra im

putato e parte civile — Questione infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3; cod. proc. pen., art. 489).

E infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 489 c.p.p., nella parte in cui

non consente la compensazione delle spese processuali tra

l'imputato e la parte civile. (1)

(1 ) La questione, sollevata dal Pretore di Roma in riferimento all'art. 3 Cost. (ord. 17 marzo 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Spese giudiziali penali, n. 5), riguardava la legittimità costituzionale dell'art.

489, ult. comma, c.p.p., nella parte in cui non consente la compensa zione delle spese processuali tra l'imputato e la parte civile in

relazione alla disciplina di cui all'art. 92, 2° comma, c.p.c. che prevede la compensazione delle spese nel caso di condanna dell'autore dell'il

lecito al risarcimento del danno. Al riguardo, va ricordato che la giurisprudenza della Corte di

cassazione è prevalentemente orientata nel senso che, nel processo

penale, non è ammesso l'istituto della compensazione delle spese

processuali, fatta eccezione per l'ipotesi relativa al querelante in caso

di proscioglimento dell'imputato (Cass. 16 marzo 1979, Spadaro, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 6; 12 febbraio 1981, Farina, id., Rep. 1982, voce cit., n. 5; 5 marzo 1981, De Luca, ibid., n. 6; 4 febbraio 1983,

Il Foro Italiano — 1986.

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