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sentenza 14 luglio 1982, n. 131 (Gazzetta ufficiale 21 luglio 1982, n. 199); Pres. Elia, Rel. De...

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sentenza 14 luglio 1982, n. 131 (Gazzetta ufficiale 21 luglio 1982, n. 199); Pres. Elia, Rel. De Stefano; Calderone ed altri (Avv. Silvestri); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. T.A.R. Lazio, sez. I, 10 ottobre 1979 (Gazz. uff. 26 marzo 1980, n. 85) Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 25/26-31/32 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176813 . Accessed: 28/06/2014 08:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.135 on Sat, 28 Jun 2014 08:28:54 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 14 luglio 1982, n. 131 (Gazzetta ufficiale 21 luglio 1982, n. 199); Pres. Elia, Rel. DeStefano; Calderone ed altri (Avv. Silvestri); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello StatoAzzariti). Ord. T.A.R. Lazio, sez. I, 10 ottobre 1979 (Gazz. uff. 26 marzo 1980, n. 85)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 25/26-31/32Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176813 .

Accessed: 28/06/2014 08:28

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - Le cinque ordinanze, avendo tutte sollevato

la medesima questione ed impugnato le medesime norme, pos sono essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - L'art. 83, 5° comma, t. u. delle norme sulla circolazione stradale — comunemente noto come « codice stradale » — ap provato con ii d. p. r. 15 giugno 1959 n. 393, dispone che « chiun

que, autorizzato per l'esercitazione, guida senza avere a fianco, in funzione di istruttore, persona provvista di patente valida

per la stessa categoria di veicoli, è punito con le pene stabilite dall'art. 80, 9° comma », divenuto 13° per effetto della novella 14 febbraio 1974 n. 62. A sua volta, il detto comma dell'art. 80 dispone che « chiunque guida autoveicoli o motoveicoli sen za essere munito della patente di guida o del certificato di abi litazione professionale, quando prescritto, è punito con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da lire 25.000 a lire 100.000». Dalla disciplina di cui sopra, consistente nel rinvio dell'art. 83 all'art. 80, effettivamente risulta la piena equiparazione, quoad poenam, delle due fattispecie, che i giudici a quibus concorde mente ritengono disposta in violazione dell'art. 3 Cost, sotto il

profilo della irragionevolezza del trattamento sanzionatorio in differenziato.

Tale opinione non può tuttavia condividersi. Ai fini dell'esatta valutazione della sollevata questione, infatti, rilevano non tanto

gli elementi che, almeno in apparenza, diversificano, quanto quelli che agguagliano. Sui requisiti — dell'età, psico-fisici e mo rali — valorizzati nelle ordinanze dei Pretori di Lucerà, Bassano del Grappa e Voltri non può non prevalere, a parte l'obiezione dell'avvocatura dello Stato sul momento in cui il loro possesso va accertato, la considerazione che l'art. 80, 9° comma, puni sce il fatto di chi, pur munito di autorizzazione per l'esercita

zione, guida senza avere a fianco, in funzione di istruttore, una

persona esperta, la quale, potendo consigliare, moderare, sorve

gliare, dirigere e, occorrendo, tempestivamente prevenire, sia in

grado di assicurare per ciò stesso una guida non incauta e, quindi, non pericolosa per la circolazione. Entrambe le fattispe cie hanno, dunque, in comune la presunzione di pericolo deri vante dalla mancanza, al posto di guida o al posto di fianco al

guidatore, di una persona esperta, munita di patente. Del re

sto, non a caso, il legislatore ha dapprima stabilito una sanzione

penale più mite ed ora addirittura depenalizzato, con l'art. 33,

bia l'autorizzazione ad esercitarsi (c.d. foglio rosa), anziché chi non l'abbia. Senza contare che l'autorizzazione alla guida sotto forma di possesso del « foglio rosa » non presuppone alcuna concreta capacità di conduzione di veicoli, cosa che risulta particolarmente evidente nelle ipotesi di chi intraprenda per la prima volta l'esercitazione o risulti inetto per caratteristiche psico-fisiche che sfuggono all'accerta mento (in senso analogo v. già, in motivazione, Cass. 11 novembre 1964, Magrini, Foro it., Rep. 1965, voce cit., nn. 101-103). Da questo punto di vista sembra dunque abbastanza plausibile la conclusione che, in entrambe le fattispecie oggetto di denuncia (cioè di guida senza istruttore a fianco da parte di soggetto autorizzato e da parte di sog getto non autorizzato per l'esercitazione), risulta decisivo l'elemento comune, costituito dalla « presunzione di pericolo derivante dalla mancanza, al posto di guida o al posto di fianco del guidatore, di una persona esperta munita di patente » (può sotto alcuni aspetti consi derarsi analoga a quella in epigrafe la recente sentenza 14 gennaio 1982, n. 1, id., 1982, I, 367, con nota di Fiandaca, con la quale la corte ha ritenuto costituzionalmente legittima l'equiparazione quoad poenam dell'impiego nella preparazione degli alimenti di additivi non auto rizzati e dell'omessa indicazione di additivi autorizzati, questa volta sul presupposto — nella sostanza — che i vigenti sistemi di controllo amministrativo non garantiscono che gli stessi prodotti « autorizzati » non siano pericolosi per i beni protetti).

Sempre con riguardo ad illeciti penali preveduti dal codice della strada, la tesi secondo cui il principio di uguaglianza non va conce pito nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa è stata enunciata dai giudici costituzionali in altre occasioni: cfr. la sentenza 26 luglio 1979, n. 91, id., 1980, I, 16, con riguardo alla previsione di una identica sanzione penale nei casi ri spettivi di affidamento di veicolo a minore e a persona adulta sfor nita di patente, e la sentenza 10 luglio 1973, n. 121, id., 1973, I, 2348, a

proposito della parificazione nel trattamento penale delle ipotesi di chi guida veicoli senza essere munito di patente e di chi guida mu nito di patente estera.

Nel senso della manifesta infondatezza di questioni identiche a quella affrontata nella pronuncia in epigrafe v. già, nella giurispru denza ordinaria, Cass. 1! novembre 1964, Magrini, cit. e Cass. 11 ottobre 1971, Patelli, id., Rep. 1972, voce cit., n. 211.

In dottrina, in relazione agli art. 82 e 83 del codice della strada, cfr. Duni, Trattato di diritto della circolazione stradale, 1961, II; Geraci-Bellini, Commento al codice della strada, 1965. In ordine poi ai requisiti richiesti per il rilascio della patente di guida cfr. Roehrssen, cit., nonché Macherione, Lo spinoso tema delle patenti (comunicazione al VII Convegno dell'ACI), in Pregi e difetti del nuovo progetto di codice della strada, 1954, 9.

G. Fiandaca

lett. d), 1. n. 689 del 1981, l'ipotesi, prevista dall'art. 83, 6°

comma, cod. stradale, di chi guidi senza autorizzazione, ma « avendo a fianco, in funzione di istruttore, persona provvista di patente di guida per la stessa categoria di veicoli».

3. - Ancor minor pregio ha l'argomento che « il valore sociale violato dalle due norme è sicuramente diverso ». La proposi zione, assertoriamente enunciata dal Pretore di Pescaia, che po ne in rilievo « la dimensione dialettica della prospettata que stione», e riecheggiata dal Pretore di Trento, per dedurne al

riguardo che la discrezionalità del legislatore è limitata, si ap piglia, come già detto in narrativa, ad una sentenza della Corte di cassazione, che riconosce « assolutamente diversi i due inte ressi protetti dalle disposizioni di legge citate». Nella specie, tuttavia, la citazione non è perfettamente esatta: la sentenza massimata (Cass., sez. IV pen., 24 gennaio 1969, Testi, Foro it., 1969, II, 620) afferma, è vero, che « diverso è soprattutto l'inte resse » protetto dagli art. 80 e 83 cod. stradale, ma per dedurne la non « configurabilità della continuazione tra il reato di guida senza

patente e la contravvenzione di cui all'art. 83 cod. stradale ». A questo punto la corte ribadisce che rilevano, non tanto gli

elementi diversificanti, quanto quelli egualizzanti, e riafferma che sulla denunziata diversità tra chi è munito del c. d. « fo

glio rosa » e chi ne è privo non può non prevalere il secondo

degli elementi cui in precedenza si è fatto cenno, e di cui non v'è alcuna traccia nelle ordinanze. Il bene tutelato dalla disci

plina della circolazione dei veicoli a motore è — come que sta corte ha già affermato con la sentenza n. 54 del 1982 (id., 1982, I, 905) — « il preminente interesse all'incolumità dei

partecipanti alla circolazione stradale », cioè l'incolumità delle

.persone, e non solo dei pedoni, ma anche del guidatore e dei

viaggiatori. Tale bene non corre minor rischio, se alla guida senza istruttore a fianco si ponga chi abbia l'autorizzazione ad

esercitarsi, anziché chi non l'abbia. Oltre tutto, proprio se fosse sostenibile il contrario, potrebbe sorgere, sulla base di una ri gida concezione del principio d'eguaglianza, una questione di le

gittimità costituzionale per l'eventuale carente dosaggio della pe na edittale tra chi guidi senza istruttore il giorno dopo aver ot tenuto il « foglio rosa » e chi, viceversa, commetta lo stesso fatto il giorno prima di sostenere con esito positivo il prescritto esame.

Il vero è che, guardando la questione, non già in termini astratti, ma concreti, la disciplina denunziata non appare irra gionevole, configurandosi entrambe le fattispecie pur sempre gui da senza patente e senza istruttore. E non può non considerarsi altresì che la pena edittale prevista consente al giudice di gra duare la pena, commisurandola alle circostanze delle singole fat

tispecie. La questione deve, quindi, dichiararsi infondata. Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legitti

mità costituzionale dell'art. 83, penult, comma, in relazione al l'art. 80, 13° comma, t. u. delle norme sulla circolazione stra

dale, approvato con d. p.r. 15 giugno 1959 n. 393, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con le ordinanze in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 luglio 1982, n. 131

(Gazzetta ufficiale 21 luglio 1982, n. 199); Pres. Elia, Rei. De Stefano; Calderone ed altri (Avv. Silvestri); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. T.A.R. Lazio, sez. I, 10 ottobre 1979 (Gazz. uff. 26 marzo 1980, n. 85).

Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistra tura — Componenti togati — Disparità di trattamento econo mico rispetto ai componenti laici — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 97; 1. 24 marzo 1958 n. 195, costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della ma

gistratura, art. 40).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 40 l. 24 mar zo 1958 n. 195, nella parte in cui prevede che sia corrisposto ai soli componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal parlamento un assegno mensile lordo pari al tratta mento spettante ai presidenti di sezione della Corte di cassa

zione, mentre i magistrati eletti componenti del consiglio stes so percepiscono solamente lo stipendio previsto per le rispet tive categorie di appartenenza, in riferimento agli art. 3, 36 e 97 Cost. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione è riportata in Foro it., 1980, 111, 324, con nota di richiami.

Per altre questioni di costituzionalità esaminate dalla Corte costi tuzionale in ordine al diverso trattamento tra componenti « laici » e

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PARTE PRIMA

Diritto. — 1. - L'art. 40 1. 24 marzo 1958 n. 195, recante norme

sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore

della magistratura, dispone che al vice presidente del consiglio

venga corrisposto un assegno mensile lordo pari al trattamento

complessivo spettante al primo presidente della Corte di cassa

zione; ed agli altri componenti eletti dal parlamento un assegno

mensile lordo pari al trattamento complessivo spettante ai magi

strati indicati nell'art. 6, n. 3, 1. 24 maggio 1951 n. 392 (presi

dente di sezione della Corte di cassazione ed uffici direttivi equi

parati). Qualora i componenti eletti dal parlamento fruiscano

di stipendi od assegni a carico del bilancio dello Stato, spetta

loro il trattamento più favorevole, restando a carico dell'ammini

strazione di appartenenza l'onere inerente al trattamento di cui

risultino già provvisti, ed a carico del consiglio quello relativo

all'eventuale eccedenza del trattamento loro spettante quali com

ponenti del consiglio medesimo.

L'ultimo comma del citato art. 40 prevede che a tutti i com

ponenti del consiglio venga corrisposta una indennità per ogni

seduta, la cui misura, originariamente fissata dalla stessa norma

in lire cinquemila, viene ora, per effetto dell'art. 7 1. 3 gennaio

1981 n. 1, determinata dal consiglio, insieme con il numero mas

simo giornaliero delle sedute che dànno diritto a indennità, se

condo criteri stabiliti nel regolamento di amministrazione e con

tabilità. Infine, a tutti i componenti che risiedono fuori Roma

spetta l'indennità di missione per i giorni di viaggio e di perma

nenza a Roma.

L'ordinanza del T.A.R. del Lazio deferisce al giudizio di que

sta corte, come esposto in narrativa, la questione di legittimità

costituzionale del ripetuto art. 40, nella parte in cui dispone che

solo ai componenti del consiglio eletti dal parlamento venga cor

risposto l'indicato assegno mensile, e non anche ai magistrati com

ponenti elettivi, i quali, invece, continuano a percepire il tratta

mento economico previsto per le rispettive categorie di appar

tenenza. La denunciata norma contrasterebbe, secondo il giudice

a quo, con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost.;

con il principio della proporzionalità delle retribuzioni in rap

porto alla qualità e quantità delle prestazioni corrispondenti, sta

componenti «togati» del C.S.M. cfr., citata in motivazione, sent.

30 aprile 1973, n. 51, id., 1973, I, 1682, con nota di richiami e

osservazioni di Pizzorusso, commentata da Daga, in Giur. costit.,

1973, 436, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 54 d.p.r. 16

settembre 1958 n. 916 che escludeva i membri di diritto del C.S.M.

dal divieto di partecipare alle deliberazioni del consiglio sui ricorsi

e reclami avverso gli atti e le deliberazioni delle commissioni; 2 feb

braio 1971, n. 12, Foro it., 1971, I, 536, con nota di richiami, in ordine

alla composizione della sezione disciplinare; 23 dicembre 1963, n.

168, id., 1964, I, 3, con nota di richiami, circa il maggior numero di

consiglieri da eleggere fra i magistrati di cassazione rispetto a quelli

da eleggere fra i magistrati delle corti di appello e dei tribunali.

In tema di disparità di trattamento economico tra componenti di

organi collegiali v., da ultimo, Corte cost. 14 luglio 1982, n. 130, id.,

1982, I, 3011, con nota di richiami, con riguardo alla spettanza dei

compensi per la partecipazione alle decisioni dei ricorsi in materia

tributaria come componenti delle commissioni tributarie di I e di II

grado agli impiegati amministrativi dello Stato con trattamento onni

comprensivo; Corte cost. 22 dicembre 1980, n. 176, id., 1981, I, 335,

con nota di richiami, in ordine alla corresponsione dei compensi agli

amministratori ed ai dipendenti degli enti ospedalieri chiamati a far

parte di commissioni per esami di concorso per l'assunzione di perso

nale presso gli enti stessi. Sulla composizione della sezione disciplinare del C.S.M. v., di re

cente, Corte cost. 10 maggio 1982, n. 87, id., 1982, I, 1495, con nota

di richiami e osservazione di Pizzorusso, Tanto rumore per nulla,

commentata da Di Majo e Galasso, in Questione Giustizia, 1982,

405 ss. e da V. Zagrebelskv, in Quaderni costituzionali, 1982, 470.

Sul trattamento economico dei magistrati v., da ultimo, T.A.R. La

zio, sez. I, 15 luglio 1981, n. 563, Foro it., 1982, III, 437, con nota

di richiami e osservazioni critiche di Romboli.

In dottrina, sulla legittimità del diverso trattamento economico dei

componenti « laici » e « togati » del C.S.M., v. Santosuosso, Il Con

siglio superiore della magistratura, 1958, 400; Glinni, Il Consiglio

superiore della magistratura, 1959, 155; Colitto, Il Consiglio supe

riore della magistratura, 1973, 166, e, più in generale, sul ruolo e le

funzioni del C.S.M., Bonifacio, Indipendenza della magistratura, in

Iustitia, 1965, 359; Annunziata, Cenni sulla natura dell'ordine giu

diziario, del Consiglio superiore della magistratura e sui rapporti tra

loro, in Giur. it., 1973, IV, 40; Daga, Il Consiglio superiore della ma

gistratura, 1973; Ferrari, Consiglio superiore della magistratura, au

tonomia dell'ordine giudiziario e magistrati, in Studi in memoria di

C. Esposito, 1973-74, IV, 2263; Devoto, Costituzione del giudice e

Consiglio superiore della magistratura, in Scritti Mortati, 1977, IV,

149; Bartole, Materiale per un riesame della posizione del Consiglio

superiore della magistratura, id., 1978, IV, 10 e Consiglio superiore

della magistratura, voce del Novissimo digesto, appendice, 1981, II,

459; Volpe, Ordinamento giudiziario generale, voce dell'Enciclopedia

del diritto, 1980, XXX, 843 ss.; Pizzorusso, L'organizzazione della

giustizia in Italia, 1982, 87 ss.

bilito dall'art. 36 Cost.; con il principio della razionale organiz

zazione dei pubblici uffici, tale da assicurare il buon andamento

della p. a., fissato dall'art. 97 Cost.

2. - La pronuncia sulla questione sottoposta all'esame della

corte postula che sia preliminarmente acclarato il titolo giustifi

cativo dell'assegno in discussione.

È pacifico che tutti i componenti partecipano ai lavori e alle

deliberazioni del consiglio e delle sue commissioni in posizione

di assoluta parità, secondo l'esplicito dettato dell'art. 8 del rego

lamento interno del consiglio medesimo, approvato il 26 marzo

1976; come, del resto, già affermato da questa corte nella sen

tenza n. 51 del 1973 (Foro it., 1973, I, 1682). Ed in ragione di

siffatta partecipazione viene loro corrisposta, per ciascuna se

duta, l'indennità menzionata dall'ult. comma dell'art. 40 1. n.

195 del 1958. Indennità, nella quale si concreta appunto lo spe

cifico compenso in relazione all'effettivo esercizio del commesso

ufficio, in misura eguale per tutti i partecipanti ai lavori, senza

veruna discriminazione a motivo della loro diversa estrazione:

come fatto palese dai lavori parlamentari afferenti alla legge me

desima, che vollero estesa a tutti i componenti tale indennità,

originariamente prevista, nel disegno di legge governativo, per

i soli componenti magistrati.

L'assegno mensile spetta invece, come già detto, soltanto ai

membri che il parlamento, a norma del 4° comma dell'art. 104

Cost., elegge, in seduta comune, tra professori ordinari di uni

versità in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di

esercizio. Gli eletti non possono, finché sono in carica, restare

o venire iscritti negli albi professionali, essere titolari di imprese

commerciali, far parte di consigli di amministrazione di società

commerciali (art. 104, ult. comma, Cost.; art. 33, 2° comma, 1.

n. 195 del 1958). La elezione al consiglio, perciò, comporta per

essi una rinuncia, che non trova riscontro nei componenti ma

gistrati, per i quali siffatte incompatibilità non discendono dal

l'essere chiamati a far parte del consiglio, ma preesistono in

via permanente in ragione del loro stesso status di magistrati

(art. 16 dell'ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gen

naio 1941 n. 12 e successive modificazioni). Ed è una rinuncia,

il cui disagio si fa particolarmente acuto per coloro che prima della elezione esercitavano soltanto la libera professione, la cui

interruzione, quindi, fa venir meno, per i quattro anni di durata

della carica, la precipua fonte del loro sostentamento. Va, dun

que, condivisa l'affermazione dell'avvocatura dello Stato, che l'as

segno in parola sia stato istituito proprio « a ristoro di peculiari

sacrifici », intendendo sopperire — nel suo ammontare fissato in

modo uniforme dal legislatore mediante il ragguaglio al tratta

mento economico spettante al presidente di sezione della Corte

di cassazione — alla cessazione dei proventi professionali. Una

conferma dell'assunto può trarsi dall'art. 1 1. 3 maggio 1971 n.

312, che prevede, solo per i componenti del consiglio eletti dal

parlamento, nei termini che saranno precisati più avanti, la cor

responsione, all'atto della cessazione dalla carica per decorso del

quadriennio, di una indennità (originariamente fissata in lire cin

que milioni, e successivamente elevata, dall'art. 14 1. 3 gennaio

1981 n. 1, a lire quindici milioni). Nei relativi lavori parlamen

tari è stato infatti sottolineato come « alla scadenza del mandato,

che non è nemmeno immediatamente rinnovabile, i componenti

eletti dal parlamento... incontrino un fortissimo ostacolo alla

ripresa dell'attività professionale rimasta interrotta per quattro

anni». È apparso, pertanto, equo concedere loro «una speciale

indennità che li compensi, almeno in parte, delle sfavorevoli con

seguenze economiche » connesse con tale situazione.

Alla luce di quanto precede, la corte ritiene non fondata la

dedotta violazione del principio di eguaglianza, essendo netta

mente diverse le situazioni dei membri del consiglio provenienti

dalla magistratura e di quelli eletti dal parlamento, se prese in

considerazione sotto il profilo della finalità perseguita dal legis

latore mediante la corresponsione dell'assegno mensile, preor

dinato appunto al ristoro, durante l'assolvimento della funzione,

dei sacrifici connessi con la rinuncia all'esercizio della libera

professione e con il conseguente venir meno dei relativi proventi.

Ai fini della richiesta pronuncia non appare, pertanto, necessario

accertare se altra diversità di situazioni possa configurarsi in

ragione del carattere « onorario » del rapporto di servizio che si

instaura con la partecipazione al consiglio: carattere « onora

rio » che, secondo l'avvocatura dello Stato, dovrebbe venir ri

conosciuto ai soli componenti « laici », e non anche a quelli

« togati ».

3. - L'ordinanza di rinvio insiste poi particolarmente sulla omo

geneità della posizione dei componenti magistrati con quella dei

componenti eletti dal parlamento fra i professori universitari, de

ducendo la violazione del principio di eguaglianza in ordine alla

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

corresponsione dell'assegno mensile, negato ai primi e riconosciu

to invece, entro determinati limiti, ai secondi.

Invero, i professori ordinari di università, a tenore del 3° com

ma del denunciato art. 40 1. n. 195/1958, ove l'assegno mensile,

previsto dal T comma dello stesso articolo per i componenti eletti

dal parlamento, risulti di ammontare superiore al trattamento

economico loro spettante, a carico del bilancio dello Stato, quali

docenti, continuano a ricevere queste ultime competenze dall'am

ministrazione di appartenenza, ma percepiscono inoltre, a carico

del consiglio, la differenza che intercorre tra il loro stipendio ed

il maggiore assegno, venendo, in tal guisa, a fruire, per il qua

driennio di durata della carica, di un trattamento complessivo mensile pari all'importo dell'assegno medesimo. All'atto, poi, del

la cessazione dalla carica per decorso del quadriennio, i profes sori universitari continuano, secondo quanto disposto dall'art. 3

1. n. 312/1971, a percepire la cennata differenza, che si tramuta

in assegno personale, aggiunto al loro trattamento di docenti, agli

effetti e nei limiti stabiliti dall'art. 202 t.u. delle disposizioni con

cernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3. L'attribuzione di tale assegno

personale esclude la concessione dell'indennità, prevista, come già

ricordato, dall'art. 1 della stessa 1. n. 312 del 1971, per i compo

nenti eletti dal parlamento, all'atto della cessazione dalla carica.

Nella stessa ipotesi (di assegno mensile superiore al trattamento

corrisposto a carico del bilancio dello Stato) i componenti magi

strati continuano, invece, a ricevere dal ministero di grazia e

giustizia lo stipendio spettante, quale previsto per la rispettiva

categoria di appartenenza, ma non percepiscono, in aggiunta ad

esso, quella differenza tra stipendio ed assegno, che consente ai

componenti professori universitari, mentre sono in carica, di

fruire di un trattamento complessivo non inferiore all'assegno

medesimo. Eppure — osserva il giudice a quo, facendo riferi

mento alla normativa vigente alla data di emissione dell'ordinan

za — sia gli uni che gli altri, durante il loro mandato, continuano

ad esercitare la loro attività di impiegati dello Stato, rispettiva mente di docenti e di magistrati: ma soltanto per i primi il corri

spettivo dovuto per il loro rapporto d'impiego resta istituzional

mente distinto dall'emolumento (differenza tra lo stipendio ed il

maggiore assegno mensile) corrisposto per la carica di compo

nente il consiglio; mentre per i secondi lo stipendio di magistrato remunera entrambe le prestazioni. Donde la prospettata viola

zione dell'art. 3 Cost., in quanto le disposizioni del denunciato

art. 40 « sottopongono a discipline retributive diverse, situazioni

uguali, perché ugualmente considerate dalla legge rispetto al man

tenimento delle relative funzioni impiegatizie, contemporanea mente all'esercizio del mandato presso il consiglio ».

Anche sotto questo profilo la questione non è fondata. Non

v'ha dubbio che il suo esame debba esser condotto nel quadro della normativa vigente all'epoca del rapporto che ha dato ori

gine alla controversia, nel corso della quale è stata emessa

l'ordinanza di rinvio: normativa cui l'ordinanza medesima fa

riferimento e che disciplinava appunto la posizione, sia dei ri

correnti (magistrati eletti) che degli altri membri del consiglio

posti a raffronto (componenti eletti fra i professori universitari),

prevedendo, come sottolinea il giudice a quo, per gli uni e per

gli altri il mantenimento, durante l'esercizio della carica, delle

rispettive funzioni di magistrato e di docente universitario (tranne

i casi eccezionali di collocamento fuori ruolo, previsti, per i ma

gistrati di nomina elettiva, dall'art. 50, 2° comma, nel testo origi

nario, del d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916). Non rileva, pertanto,

ai fini della presente pronuncia, che successive disposizioni, con

tenute nella 1. 3 gennaio 1981 n. 1, statuiscano ora il collocamento

fuori dei rispettivi ruoli organici per la durata dell'incarico (e la

conseguente dedizione a tempo pieno all'assolvimento dello stes

so), tanto dei magistrati componenti elettivi (art. 30, 2° comma,

d.p.r. n. 916/1958, nel testo sostituito dall'art. 8 1. n. 1/1981)

quanto dei professori universitari di ruolo componenti del con

siglio (art. 30 bis dello stesso d.p.r. n. 916/1958, inserito dall'art.

9 1. n. 1/1981). Ma non per questo possono venir condivise le

argomentazioni che dalla disciplina antecedente a quella ora vi

gente, il giudice a quo ha tratto a sostegno della sollevata que

stione. E per vero, ferma restando per tutti i componenti il con

siglio, in relazione alla loro partecipazione ai lavori del mede

simo, la corresponsione dell'apposita indennità per seduta, cui

dianzi si è fatto cenno, magistrati e professori universitari, una

volta eletti, continuano a percepire, a carico della rispettiva am

ministrazione, per effetto del loro preesistente rapporto d'impie

go, che non viene certo meno a cagione della carica che sono

stati chiamati a ricoprire, il trattamento economico di cui sono

già provvisti. Trattamento che ad essi spetta in ogni caso, sia

nell'ipotesi, contemplata dalla precedente normativa, del perdu

rante esercizio delle funzioni connesse con il rapporto d'impie

go, sia anche nella posizione di fuori ruolo, introdotta, per en

trambe le categorie prese in considerazione, dalla citata norma

tiva ora vigente, atteso che la spesa per gli emolumenti connessi

al rapporto d'impiego dei dipendenti statali che siano collocati

fuori ruolo, per il disimpegno di funzioni dello Stato, resta, in

base ad una norma di carattere generale ed in mancanza di ap

posita diversa prescrizione, a carico dell'amministrazione di ap

partenenza (art. 59 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, che rinvia al

l'art. 57 dello stesso decreto, nel testo sostituito dall'art. 34 d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077).

Fin qui, dunque, il trattamento riservato a magistrati e pro fessori universitari, ove eletti, gli uni e gli altri, a componenti del consiglio, non appare difforme. Né altera tale corrispondenza l'emolumento che, in aggiunta, viene corrisposto ai secondi, nella

ipotesi che le competenze loro spettanti quali docenti siano di

ammontare inferiore all'assegno mensile previsto dal 2° comma

del denunciato art. 40; emolumento, che si concreta appunto nella differenza tra i due importi. Il giudice a quo lo considera

preordinato a remunerare la partecipazione ai lavori del consi

glio dei membri professori universitari e ne inferisce una ingiu stificata disparità di trattamento in danno dei magistrati com

ponenti elettivi, ai quali, malgrado la loro partecipazione al con

siglio su un piano di assoluta parità con gli altri membri, tale

emolumento non viene corrisposto, nell'analoga ipotesi che il loro stipendio di magistrato sia inferiore al cennato assegno men sile. Ritiene, invece, la corte che l'emolumento in questione, pur in misura ridotta, assolva alla stessa finalità innanzi riconosciuta

all'assegno mensile nella sua totalità, inteso, cioè, a « ristoro di

peculiari sacrifici » inerenti alla rinuncia ad un'attività profes sionale; rinuncia conseguente, appunto, alla elezione a compo nente del consiglio. A tutti i membri, come si è già ricordato, è

precluso, infatti, l'esercizio di un'attività professionale: si tratta, invero, di una incompatibilità che per i magistrati già preesiste alla loro elezione, mentre per i membri eletti dal parlamento so

pravviene, proprio per effetto dell'assunzione della carica. Tale

incompatibilità non colpisce solo gli « avvocati dopo quindici anni di esercizio » ma anche i « professori ordinari di università in materie giuridiche ». Questi ultimi, infatti, sono ammessi, dal

vigente ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore (r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito in 1. 22 gennaio 1934 n. 36, e successive modificazioni), all'esercizio di dette profes sioni, in espressa deroga alla norma che ne fa divieto per tutti coloro che ricoprono un impiego od ufficio retribuito con stipen dio sul bilancio dello Stato. Si configura, perciò, anche per tale

categoria una rinuncia a vantaggi attuali o potenziali; rinuncia, della quale il legislatore si è dato carico, pur ritenendola meno

gravosa di quella, cui sono costretti i membri che, non essendo

professori universitari, esercitassero, prima della elezione, sol tanto la libera professione, da essa traendo la precipua fonte del loro sostentamento, ed ai quali viene perciò corrisposto l'intero assegno mensile. Per i professori universitari, invece, il legislatore ha considerato preminente la loro attività di do

cente, e complementare l'eventuale consentito esercizio della

professione; ed ha perciò destinato a « ristoro » della rinuncia a quest'ultimo, solo la eventuale differenza tra il maggiore im

porto dell'assegno ed il minore importo dello stipendio di pro fessore. Che poi tale « ristoro » sia progressivamente minore,

quanto maggiore è lo stipendio del professore universitario, e

possa addirittura non esservi se lo stipendio è pari o superiore all'assegno — argomentazione svolta in pubblica udienza dalla difesa di parte — è profilo non dedotto nell'ordinanza di rimes

sione, e che d'altronde non sarebbe stato rilevante nel giudizio a quo.

Merita, infine, di essere ricordato, per compiutezza di in

dagine, che, anche in sede di riordinamento della docenza uni

versitaria, il recente d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 ha sancito la

compatibilità del regime d'impegno dei professori ordinari « a

tempo definito » con lo svolgimento di attività professionali (art. 11, 4° comma, lett. b). Ai professori «a tempo pieno» (la cui

opzione, peraltro, può esser modificata con il « tempo definito »

dopo un biennio), pur essendo il loro regime incompatibile con

lo svolgimento di qualsiasi attività professionale esterna, è non

dimeno consentita la partecipazione alle attività relative alle con

sulenze affidate alle università con convenzioni o contratti da

altre amministrazioni pubbliche, da enti o privati, nonché la loro

inclusione in un elenco speciale presso l'ordine professionale al

cui albo risultino iscritti (art. 11, 5° e 6° comma, in connessione

con l'art. 66 dello stesso decreto). Anche nei confronti dei pro fessori universitari « a tempo pieno », pertanto, la carica di com

ponente del Consiglio superiore della magistratura comporta una rinuncia a vantaggi connessi con un'attività che prima della

elezione era loro consentita.

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PARTE PRIMA

Conclusivamente, anche sotto il particolare profilo della di

sparità di trattamento, nell'àmbito dei componenti elettivi del

consiglio, tra magistrati e professori universitari, la questione,

per le ragioni sopra esposte, non è fondata.

4. - La questione non è fondata anche in riferimento all'invo

cato parametro dell'art. 36, 1" comma, Cost., una volta ricono

sciuta all'assegno mensile previsto dal 2° comma del denunciato

art. 40, natura di indennizzo, a ristoro di peculiari sacrifici, e

non di remunerazione di una prestazione lavorativa.

Del pari non fondata è la sollevata questione in riferimento

all'art. 97, 1° comma, Cost., non sussistendo, per le ragioni dianzi

esposte, il dedotto presupposto della « irrazionale diversificata

corresponsione di assegni ».

Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legit timità costituzionale, sollevata, in riferimento agli art. 3, 36 e

97 Cost., con l'ordinanza emessa in data 10 ottobre 1979 dal

T.A.R. del Lazio (R.O. n. 65 del 1980), dell'art. 40 1. 24 marzo

1958 n. 195 (norme sulla costituzione e sul funzionamento del

Consiglio superiore della magistratura).

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio

1983, n. 47; Pres. Coletti, Est. Nocella, P.M. Miccio (conci,

conf.); Melis (Avv. Dell'Olio, E. Romagnoli, Pinna, Maron

giu) c. Casa di cura S. Anna (Avv. Lubrano, Corrias). Cassa

Trib. Cagliari 9 febbraio 1979.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro (rapporto) — Casa di cura privata — Primario chirurgo — Funzioni — Qualifica dirigenziale — Esclusione — Fat

tispecie (Cod. civ., art. 2095, 2103; 1. 14 luglio 1959 n. 741,

misure transitorie per garantire minimi di trattamento eco

nomico e normativo ai lavoratori, art. 7).

Poiché la mancanza, nell'accordo collettivo del 1977 relativo al

personale delle case di cura private, di specifiche norme con

cernenti l'inquadramento impone di ritenerlo ancora soggetto alla disciplina del contratto collettivo 24 maggio 1956, legittimo ed efficace erga omnes, deve riconoscersi, in applicazione del

l'art. 3 di quest'ultimo, al primario chirurgo di clinica privata, che sia privo di procura del datore di lavoro e si limiti a svol

gere prestazioni rientranti nei suoi compiti professionali, la

qualifica di impiegato di prima categoria e non quella di diri

gente. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 5 gennaio 1978, il prof. Giuseppe Melis dipendente dal 1° gennaio 1977 dalla casa

di cura privata S. Anna in qualità di primario chirurgo, impu

gnava avanti al Pretore di Cagliari il licenziamento con preavviso,

(1) Contra, nel senso che al primario di clinica privata spetta la

qualifica di dirigente con conseguente inapplicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti, Pret. Roma 24 luglio 1980, Foro it., 1981, I, 883, con nota di richiami (cui adde, per qualche riferimento, a

proposito della impossibilità di includere i medici di guardia di case di cura private nel « personale direttivo », nei cui confronti l'art. 19 c.c.n.l. 24 maggio 1956 eccezionalmente stabilisce l'inapplicabi lità della limitazione delle 8 ore giornaliere e delle 48 ore settima

nali, Cass. 17 agosto 1982, n. 4618, id., Mass., 957), non condivisa sul punto, in appello, da Trib. Roma 2 dicembre 1981, ined., che

ha delineato i compiti del medico primario alla stregua dell'art. 7

d. p.r. n. 128/1969, ignorando completamente l'accordo collettivo del 1977 e il citato c.c.n.l. del 1956, ampiamente considerati dalla

riportata sentenza. La corte ritorna sul tema della individuazione dei requisiti di ap

partenenza alla categoria dirigenziale (in argomento, da ultimo, Pret. Lecce 28 dicembre 1981, id., 1982, I, 1018, con nota redazionale di O. Mazzotta) e, soffermandosi in particolare sul 2° comma dell'art. 2095 c. c. (nel quale ravvisa una riserva che « si sostanzia nel con ferimento alle associazioni sindacali della funzione dei poteri co stituzionali di determinare le qualifiche e le mansioni dei prestatori d'opera, compresi nell'una o nell'altra categoria, e di porre una dif ferenziazione per gradi e qualifiche secondo l'importanza dell'im

presa »), ribadisce la utilizzabilità della previsione di tale norma an che con riguardo ai dirigenti, reputandone determinabile la figura « con riferimento ai requisiti indicati nei singoli settori dai contratti collettivi », cui riconosce una funzione prevalente rispetto ai criteri elaborati dalla giurisprudenza, che « rimangono tuttavia di carattere sussidiario». La impostazione (per qualche verso differenziabile da

quella di Cass. 14 gennaio 1982, n. 202, id., Mass., 43, che consi dera rilevanti in maniera decisiva, ai fini del riconoscimento della

qualifica di dirigente, le mansioni effettivamente svolte) si pone in li nea con la tendenza tradizionale (oltre ai precedenti richiamati in

motivazione, si possono consultare, sia pure soltanto per alcune im

plicazioni, Cass. 13 agosto 1982, n. 4604 e 19 febbraio 1982, n.

comunicatogli con lettera 22 dicembre 1977 dal direttore della

clinica, genericamente motivato « in relazione ad una nuova or

ganizzazione dell'assistenza chirurgica e specialistica », perché

illegittimo, e chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro con

provvedimento d'urgenza a norma dell'art. 700 c. p. c.

Con decreto dell'I 1 gennaio 1978 il pretore emetteva i prov vedimenti provvisori.

Promosso il giudizio di merito con ricorso del 19 gennaio 1978

il Melis ribadiva l'illegittimità del recesso per mancanza di giu stificato motivo, ne chiedeva l'annullamento, con le conseguen ziali pronunce della reintegrazione nel posto di lavoro e della

condanna della convenuta al risarcimento del danno. La casa

di cura, costituitasi in giudizio, eccepiva che il prof. Melis, as sunto quale responsabile di un raggruppamento di chirurgia, ave

va svolto funzioni tipiche di dirigente e non poteva perciò invo

care le disposizioni della 1. 15 luglio 1966 n. 604 sui licenzia

menti individuali; precisava, inoltre, che il licenziamento era

giustificato dall'esigenza di sostituire il sanitario con altro in

possesso della specializzazione richiesta dalla convenzione sti

pulata con la regione sarda, in vista del buon esito della pratica avviata per ottenere la riclassificazione della clinica in categoria

superiore. L'adito pretore con sentenza 18 luglio 1978 accoglieva la

domanda.

Il Tribunale di Cagliari con sentenza del 9 febbraio 1979 ac

coglieva l'appello proposto dalla casa di cura soccombente, e, in totale riforma della decisione impugnata, rigettava, invece, la domanda medesima. Il tribunale descriveva dapprima analitica mente le mansioni concretamente svolte dal Melis, precisando che costui, assunto in servizio con qualifica e mansioni di « me dico responsabile di un raggruppamento di chirurgia costituito da due unità funzionali (una di chirurgia e l'altra di urologia) e quella di responsabile del laboratorio di analisi », fu effettiva mente preposto, sino al licenziamento, con piena responsabilità e autonomia, al reparto di gran lunga più importante della cli nica (sessanta posti letto su ottanta complessivi). Quale primario responsabile del raggruppamento ed unico chirurgo, che praticava interventi, egli provvedeva, in completa autonomia e assoluta di screzionalità tecnica, a verificare la diagnosi dei pazienti, che gli venivano presentati per il ricovero, e a valutare l'opportunità del ricovero medesimo; stabiliva le terapie, gli esami clinici e le

indagini strumentali e di laboratorio da pratica; decideva sull'op portunità di intervenire chirurgicamente, sul tipo di intervento, sulla data e gli orari in cui praticarlo; fissava la durata della de

genza e la data delle dimissioni. Nella esecuzione di tali man

sioni, particolarmente importanti e delicate e richiedenti specifica preparazione e capacità, il prof. Melis aveva piena e indiscussa

supremazia operativa su tutto il personale medico e paramedico addetto al raggruppamento e si avvaleva, senza interferenze della direzione sanitaria, dell'opera degli altri medici operanti nella casa di cura per l'esecuzione di esami radiologici, di visite specialisti che e di esami strumentali e di laboratorio. Era assistito durante le visite dagli altri medici del raggruppamento e durante gli inter

venti aveva la collaborazione dell'anestesista; il suo orario di la voro non era prestabilito, ma liberamente determinato con esclu sivo riguardo alle esigenze connesse con l'assistenza dei pazienti; le sue decisioni circa i tempi e le modalità delle visite, delle tera

pie e degli interventi chirurgici, condizionavano di fatto l'attività dei collaboratori e dei sottoposti, funzionalmente tenuti ad uni formarsi ad esse.

Sulla base delle predette circostanze di fatto, desumibili dal l'istruzione eseguita, il tribunale escludeva che le mansioni svolte dal prof. Melis, per la larghezza e l'importanza dei poteri e l'in dubbio contenuto fiduciario delle funzioni, potessero ricompren dersi tra quelle dell'impiegato con funzioni direttive, molto più modeste e ristrette, ma fossero inquadrabili nello schema della

qualificazione dirigenziale, a prescindere da qualsiasi riconosci mento formale da parte del datore di lavoro.

Aggiungeva il tribunale che il difetto di riconoscimento for

male, che, ove effettuato, avrebbe potuto costituire una condi zione di miglior favore, non poteva impedire l'attribuzione di tale

categoria alla stregua delle concrete mansioni di fatto secondo la norma imperativa dell'art. 2095 c. c., e, dato atto della sostan ziale accettazione del suddetto principio e della costante afferma

1064, ibid., 954, 236), ma ne amplia in qualche modo la portata, in quanto, riconoscendo un rilievo, sia pure sussidiario, ai criteri de lineati dalla giurisprudenza, attenua la rigidità di quelle enunciazioni secondo le quali, « ai fini della concreta individuazione dei dati di appartenenza alle singole categorie ivi compresa quella dirigenziale », è necessario far capo esclusivamente alla contrattazione collettiva (sent. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557, con nota di richiami).

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