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sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 luglio 2000, n. 30); Pres....

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sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 luglio 2000, n. 30); Pres. Mirabelli, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 22 aprile 1999 e App. Napoli 23 febbraio 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 29 del 1999 e n. 11 del 2000) Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 9 (SETTEMBRE 2001), pp. 2441/2442-2447/2448 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196606 . Accessed: 28/06/2014 09:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.116 on Sat, 28 Jun 2014 09:44:53 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 luglio 2000, n. 30); Pres. Mirabelli, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 22

sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 luglio 2000, n. 30);Pres. Mirabelli, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 22 aprile1999 e App. Napoli 23 febbraio 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 29 del 1999 e n. 11 del 2000)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 9 (SETTEMBRE 2001), pp. 2441/2442-2447/2448Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196606 .

Accessed: 28/06/2014 09:44

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Sulla scorta di questi rilievi, la vicenda che si è qui descritta può, nella sua originalità, essere letta o come un unicum nel panorama della

giurisprudenza costituzionale, destinato a non trovare, in futuro, signi ficativi riscontri, oppure come un tassello dal quale scorgere le linee essenziali di un mosaico ancora in fase di lenta realizzazione.

Pur dovendo enfatizzare, come si è cercato di fare sin qui, i tratti ir

ripetibili che il caso presenta, non sembra però del tutto fuori luogo prospettare una (tiepida) adesione alla seconda soluzione. In effetti,

l'atteggiamento tenuto dalla Corte costituzionale, proprio in relazione alle particolarità del caso Baraldini (ed alla atipicità della questione sollevata), consente di cogliere, per via di induzione, una delle caratte ristiche che potrebbero connotare il futuro assetto del sistema di giusti zia costituzionale come sistema nel quale il giudice comune svolge un ruolo sempre più significativo nella tutela delle situazioni giuridiche individuali, ma nel quale la corte conserva il monopolio di questa tutela

per quei casi che si dimostrino più delicati, in relazione alla natura dei bilanciamenti da effettuare. In tal senso, è forse possibile abbozzare un

apparente paradosso, consistente nell'affermazione secondo cui l'in

fungibilità dell'intervento della corte sarebbe una variabile dipendente dal coefficiente dì «politicità» (latamente intesa) delle questioni sul

tappeto: per utilizzare termini in uso nella giurisprudenza della Corte

suprema statunitense, il giudice costituzionale vedrebbe accrescere i suoi margini di azione con l'esistenza di political cases (restandogli, ovviamente, preclusa la cognizione di political questions) (27).

La fattispecie analizzata sembrerebbe, infatti, dimostrare che, di fronte a questioni così politicamente (o «internazionalmente») sensibili, il giudice comune tende ad evitare un esercizio solitario della potestas decidendi, non sentendosi sufficientemente legittimato per porre in es sere atti che abbiano, potenzialmente, ripercussioni di respiro troppo ampio. Si andrebbe quindi disegnando per la Corte costituzionale un ruolo parzialmente diverso rispetto a quello che le è stato proprio per circa quarant'anni: non si tratterebbe più del garante delle situazioni

giuridiche soggettive nei confronti del legislatore (e, talvolta, del potere esecutivo), ma di uno dei garanti, il cui intervento sarebbe insostituibile

soprattutto per quelle ipotesi in cui il bilanciamento tra garanzia dei di ritti e funzionalità del sistema complessivo si appalesasse troppo onero so per il giudice comune.

Correlativamente, peraltro, la peculiarità delle questioni su cui la corte vedrebbe confermato il suo «monopolio» darebbe un ulteriore

impulso ai caratteri di concretezza del giudizio, in quanto la delicatezza dei bilanciamenti tra garanzia e funzionalità non potrebbe probabil mente prescindere da un saldo ancoraggio al caso di specie, arduo ri sultando ogni tipo di generalizzazione: una corte che accettasse di «so stituirsi» al giudice comune, nel risolvere un caso che questi non si fos se sentito abbastanza «forte» da decidere, si troverebbe nella necessità di pervenire ad una statuizione che privilegiasse la tutela dei diritti o

degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in quella vicenda,

rispetto alla considerazione del caso oggetto di scrutinio come caso standard di applicazione dell'atto normativo nella specie impugnato. In

sostanza, si tratterebbe di un giudizio sul grado di tutela (concretamen te) offerto alle situazioni giuridiche soggettive, più che di un giudizio circa la conformità di una fonte primaria alle disposizioni costituzionali che tali situazioni riconoscono e garantiscono.

Anche su questo punto, la controversia che ha dato origine alla sen tenza 73/01 sembra offrire una valida riprova, se è vero che la decisio ne della corte non verrà probabilmente ricordata per aver dichiarato l'infondatezza della questione relativa all'art. 2 1. 334/88, ma per aver risolto (di fatto) il caso Baraldini (e soltanto questo).

Paolo Passaglia

(27) La distinzione tra le political questions — che escludono la ju sticiability — ed i political cases — nei quali invece la «politicità» non

impedisce al giudice di pronunciarsi sulla controversia — è stata for mulata nella opinion of the Court della sentenza sul caso Baker v. Carr, 369 U.S. 186 (1962): cfr. P. Bianchi, La giustizia costituzionale negli Stati uniti, in J. Luther-R. Romboli-R. Tarchi (a cura di), Esperienze di giustizia costituzionale, cit., I, 63, e ivi anche ulteriori riferimenti.

Il Foro Italiano — 2001.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 luglio 2000, n.

30); Pres. Mirabelli, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. App. Torino 22 aprile 1999 e App. Napoli 23

febbraio 1999 (G.U., la s.s., n. 29 del 1999 e n. 11 del 2000).

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Ricu

sazione — Giudice che in altro procedimento abbia

espresso valutazioni di merito nei confronti dell'imputato — Omessa previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3,

24; cod. proc. pen., art. 37).

E incostituzionale l'art. 37, 1° comma, c.p.p., nella parte in cui

non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una

valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del me

desimo soggetto. (1)

(1) La pronuncia in epigrafe, dai contenuti per più aspetti prevedibi li, segna l'epilogo di un ciclo significativo dell'ormai imponente giuris prudenza costituzionale in tema di tutela dell'imparzialità del giudice: giunge a compimento, al culmine di un itinerario avviatosi — in chiave di origine prossima — con la «trilogia» del 1997 (si tratta di Corte cost. 1° ottobre 1997, nn. 308, 307 e 306, Foro it., 1997, I, 2721, con osser vazioni di Di Chiara), l'assetto dei congegni posti a salvaguardia degli influssi scaturenti dalla «forza della prevenzione».

Il triplice appena indicato intervento del 1997, in cui si concreta una tra le svolte di più cospicuo rilievo nella parabola della giurisprudenza della corte in tema di incompatibilità del giudice, ha messo a fuoco il solco intercorrente tra cause di incompatibilità e fattispecie di astensio ne e di ricusazione: le prime, valutabili in astratto e solo nell'economia del «medesimo procedimento», mirano a prevedere e prevenire le ipo tesi in cui la «forza della prevenzione» possa dar corpo all'insorgere del pre-iudicìum\ ogni altro ricorrere, a causa di precedenti decisa, di cause suscettibili di incrinare l'imparzialità del giudice-persona deve

essere, per contro, oggetto di valutazione in concreto, rientrando (solo) nell'alveo delle possibili cause di astensione e ricusazione. Quel di scrimen aveva, dunque, in linea di principio escluso che la precedente partecipazione del giudice-persona fisica ad altro giudizio, in cui si fos se lambita l'attuale regiudicanda, potesse dischiudere nuovi spazi al già caotico universo delle incompatibilità: la netta diversità della prima e dell'ulteriore regiudicanda (e, addirittura, la disomogeneità delle due

sedi, una delle quali talora extrapenale) avrebbe sospinto la problemati ca nel perimetro delle cause di astensione e di ricusazione del giudice; solo, dunque, ove il precedente giudizio fosse risultato, a seguito di una valutazione in concreto, idoneo a dar corpo ad un vero e proprio pre iudicium si sarebbe dischiusa la possibilità di una fuoriuscita dello iu dex ormai suspectus dalla scena processuale, attraverso i congegni di cui agli art. 36 e 37 c.p.p.

Il sistema palesava, tuttavia, in tal senso limiti cospicui, idonei a tra dursi in drastici deficit di tutela: i cataloghi dell'astensione e della ricu sazione del giudice non sono reciprocamente sovrapponibili, atteso che

l'anticipata «indebita» manifestazione processuale di pensiero (art. 37, 1° comma, lett. b, c.p.p.) è causa di ricusazione ma non anche di asten

sione, mentre — e, per quanto qui importa, soprattutto — le «altre gravi ragioni di convenienza» (art. 36, 1° comma, lett. h, c.p.p.) costituiscono

ipotesi di astensione ma non anche di ricusazione del giudice. A tutela della concreta imparzialità del giudice occorreva, perciò, in

dividuare la sede normativa in cui sussumere la fattispecie, presa in esame dalla «trilogia» del 1997, della valutazione anticipata, incidenter

tantum, della responsabilità penale del soggetto in ordine al tema stori co in seguito divenuto oggetto principale del nuovo processo: nell'im

possibilità di applicare l'art. 37, 1° comma, lett. b), c.p.p., mancando tanto l'estremo della manifestazione «indebita» quanto quello dell'uni cità del processo, residuava soltanto la valvola di sicurezza delle «altre

gravi ragioni di convenienza».

Ogni dubbio circa la capienza di tale sedes ad ospitare la fattispecie di «debita» valutazione anticipata in discorso veniva dissipato, da ulti

mo, da Corte cost. 20 aprile 2000, n. 113 (id., 2000, I, 1743, con osser

vazioni di Di Chiara), ove si escludeva che l'art. 36, 1° comma, lett. h),

c.p.p. potesse riguardare il giudice-persona solo uti singulus: la corte

aveva chiarito come ben possono, le «altre gravi ragioni di convenien

za», attenere al compimento di precedente attività giurisdizionale, ove

questa, per le sue concrete fisionomie, sia stata in grado di incrinare

l'imparzialità del giudice-persona. Risultava, per tale via, stridente il deficit di tutela insito nell'imper

fetta corrispondenza tra tavola delle cause dì astensione e catalogo delle

ipotesi di ricusazione: nel caso di pregresso decisum in concreto pre

giudicante, suscettibile di rientrare nell'alveo delle «gravi ragioni di

convenienza», la garanzia dell'imparzialità del giudice sarebbe stata

unicamente affidata alla solipsistica ottemperanza dell'obbligo di

astensione, rimanendo, tuttavia, la parte sguarnita del diritto di dar luo

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2443 PARTE PRIMA 2444

Diritto. — 1. - La questione di legittimità costituzionale, sol

levata dalle Corti di appello di Torino (r.o. n. 396 del 1999) e di

Napoli (r.o. n. 94 del 2000), chiamate a decidere sulla dichiara

zione di ricusazione nei confronti, rispettivamente, di alcuni

giudici di una diversa sezione della corte d'appello e dei giudici

togati di una corte di assise, concerne l'art. 37 c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato il giudice che abbia

già manifestato il proprio parere sull'oggetto del processo nel

l'esercizio di funzioni giudiziarie svolte in un diverso procedi mento.

In entrambe le ordinanze l'attività pregiudicante viene indivi

duata nella partecipazione del giudice al procedimento di pre venzione, quella pregiudicata nell'essere il medesimo giudice investito delle funzioni di giudizio in un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti.

In particolare, con riferimento all'ordinanza iscritta al n. 396

del r.o. del 1999, i giudici ricusati, ora chiamati alle funzioni di

giudizio d'appello, in precedenza, nella qualità di componenti del collegio chiamato a decidere sui ricorsi avverso decreti di

applicazione di misure di prevenzione, avevano espresso giudizi e valutazioni di merito «sulla posizione» degli attuali imputati circa i «fatti ai medesimi attribuiti in imputazione»; in relazione

all'ordinanza iscritta al n. 94 del r.o. del 2000, i giudici ricusati, ora chiamati alle funzioni di giudizio quali componenti togati di

una corte di assise, in precedenza, nella qualità di componenti di

diversi collegi del tribunale in procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione, avevano accertato l'esistenza di una

associazione di tipo mafioso e preso in esame, sia pure in via

incidentale, la posizione di alcuni destinatari delle misure, che

ora figurano come imputati per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. e per reati connessi.

Nell'ordinanza n. 94 del r.o. del 2000 la corte d'appello ri

mettente rileva inoltre che un giudice è stato ricusato anche per aver esercitato funzioni giudicanti in altro procedimento penale; in particolare per avere, nella sentenza conclusiva di tale proce dimento, affermato la responsabilità dell'imputato per il reato di

tentato omicidio aggravato dall'essere il fatto commesso al fine

di agevolare un'associazione camorrista, accertando, sia pure incidentalmente e ai soli fini dell'aggravante contestata, l'esi

stenza dell'associazione criminosa oggetto di valutazione a ca

rico del medesimo soggetto nel successivo giudizio penale. Con argomentazioni sostanzialmente analoghe, le corti di ap

pello rimettenti denunciano il contrasto della norma censurata

con gli art. 3, 1° comma, e 24 Cost. In ordine al primo parame tro, viene dedotta l'ingiustificata e irragionevole disparità del

trattamento riservato all'imputato nel caso in cui il giudice ab

bia legittimamente espresso il suo convincimento in un diverso

procedimento — situazione in cui il diritto dell'imputato ad un

giudice terzo e imparziale riceve tutela solo in quanto il giudice

ritenga di astenersi — rispetto alle identiche situazioni di pre

giudizio per il principio di imparzialità, previste dalla legge co me casi di ricusazione, nelle ipotesi in cui il giudice abbia mani festato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori del

l'esercizio delle funzioni giudiziarie ovvero abbia indebita

mente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione nell'esercizio delle funzioni. Sotto il profilo della violazione dell'art. 24 Cost., i rimettenti rilevano che l'o messa previsione di una causa di ricusazione nei casi in cui la

go, attraverso il congegno della ricusazione, alla fuoriuscita dello iudex

suspectus dalla scena processuale. Proprio al fine di colmare tale deficit di tutela, che vulnera prerogati

ve costituzionali delle parti leggibili nel più ampio telaio del «giusto processo», la corte approda all'odierna declaratoria di incostituzionali tà: facendo ancora una volta uso di strumentazioni creative, attraverso una «formulazione dell'intervento» additivo «in maniera del tutto auto noma» rispetto ai petita dei rimettenti, la pronuncia in epigrafe ha cura di ritagliare, dal novero delle «altre gravi ragioni di convenienza», la

più circoscritta fattispecie del previo decisum incidentale pregiudicante, consentendo solo in tal caso la ricusabilità del giudice-persona e la sciando, per l'area residua dell'art. 36, 1° comma, lett. h), c.p.p., im mutato il tradizionale gap tra astensione e ricusazione del giudice.

Per una rilettura della pronuncia nel complessivo quadro della giu risprudenza costituzionale sull'art. 34, 2° comma, c.p.p.. cfr., di recen te, Quattrocolo, In tema di imparzialità del giudice penale la Corte costituzionale «potenzia» astensione e ricusazione, in Legislazione pen., 2000, 837 ss., nonché Di Chiara, L'incompatibilità endoproces suale del giudice, Torino, 2000, spec. 162 ss. [G. Di Chiara]

Il Foro Italiano — 2001.

valutazione pregiudicante sia stata espressa nell'esercizio di

funzioni giudiziarie svolte in un diverso procedimento lede il di

ritto di difesa degli imputati ad avere un giusto processo da

parte di un giudice terzo e imparziale. Poiché le ordinanze sollevano identica questione, deve essere

disposta la riunione dei relativi giudizi di costituzionalità.

2. - La questione è fondata.

3. - Nel prospettare la questione di legittimità costituzionale, i

rimettenti menzionano le sentenze di questa corte nn. 306, 307 e

308 del 1997 (Foro it., 1997, I, 2721), e le successive sentenze

nn. 331 e 351 (id., 1998, I, 349) dello stesso anno che ad esse si

richiamano, facendo propria la ricostruzione delineata da questa corte circa le sfere di applicazione degli istituti della incompati bilità e della astensione-ricusazione e la funzione da essi svolta

per assicurare una esaustiva tutela del principio del giusto pro cesso, di cui la garanzia dell'imparzialità e della neutralità del

giudice costituisce uno dei più rilevanti aspetti. In quelle decisioni, ed in numerose altre successive, sino alla

recente sentenza n. 113 del 2000 (id., 2000, I, 1743), la corte —

nel ribadire che la disciplina in materia deve essere comunque idonea ad evitare che il giudice chiamato a svolgere funzioni di

giudizio possa essere, o anche solo apparire, condizionato da

precedenti valutazioni espresse sulla medesima res iudicanda

tali da esporlo alla forza della prevenzione derivante dalle atti

vità giudiziarie precedentemente svolte — ebbe in particolare a

rilevare che la «scelta del legislatore di qualificare una situazio

ne come causa di incompatibilità, ovvero di astensione e di ricu

sazione, discende [...] dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne preventivamente e in astratto l'effetto pregiudicante

per l'imparzialità del giudice penale» (sentenza n. 308 del

1997). Le situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità del giudice ri

conducibili all'istituto dell'incompatibilità operano infatti al

l'interno del medesimo procedimento in cui interviene la fun

zione pregiudicata e si riferiscono ad atti o funzioni che hanno

«di per sé effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell'atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è

stata esercitata» (sentenza n. 308 del 1997); le incompatibilità trovano, dunque, la loro ratio nell'esigenza obiettiva, attinente

alla stessa logica del processo, «di preservare l'autonomia e la

distinzione della funzione giudicante, in evidente relazione al

l'esigenza di garanzia dell'imparzialità di quest'ultima, rispetto ad attività compiute in gradi e fasi anteriori del medesimo pro cesso» (sentenza n. 306 del 1997). Ne deriva che le situazioni di

incompatibilità, essendo astrattamente tipicizzate dal legislatore, sono prevedibili e quindi prevenibili e, in quanto tali, postulano un onere di organizzare preventivamente la terzietà del giudice, che viene così a «manifestarsi, prima ancora che come diritto

delle parti ad un giudice terzo, come modo di essere della giu risdizione nella sua oggettività» (sentenza n. 307 del 1997).

Il carattere di fondo delle situazioni di incompatibilità — di

essere, cioè, sempre riferite a rapporti che interessano il mede

simo procedimento — non è contraddetto, come prendono atto

gli stessi rimettenti, dalla sentenza n. 371 del 1996 (id., 1997,1,

15): tale decisione si riferisce, infatti, alla specifica ipotesi in

cui la valutazione pregiudicante, pur essendo stata espressa in

un procedimento penale formalmente diverso, riguarda una vi

cenda processuale sostanzialmente unitaria, che avrebbe potuto, ed anzi normalmente avrebbe dovuto essere giudicata nel mede

simo contesto processuale (v., in tal senso, sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997, nonché per un'ipotesi analoga, in cui la

precedente valutazione pregiudicante è stata espressa in diverso

procedimento avente per oggetto il medesimo fatto storico suc

cessivamente addebitato allo stesso imputato, sentenza n. 241

del 1999, id., 1999,1, 2420). Gli istituti della astensione-ricusazione sono invece caratte

rizzati dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità della funzione giudicante

— ad eccezione, evidentemente, di

quelle che hanno come presupposto i casi di incompatibilità —

che normalmente preesistono al procedimento (art. 36, 1° com

ma, lett. a, b, d, e,f, c.p.p.), ovvero si collocano comunque al di

fuori di esso (art. 36, 1° comma, lett. c, c.p.p.). Anche l'ipotesi di ricusazione descritta dall'art. 37, 1° comma, lett. b), c.p.p. non si sottrae a questo criterio di massima: il giudice che nel

l'esercizio delle funzioni ha manifestato indebitamente il pro prio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione opera

per usare le espressioni della prevalente giurisprudenza di legit

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

timità — fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono

propri. Risultano pertanto evidenti le ragioni per cui le situazioni che

danno luogo alla astensione-ricusazione debbono essere sempre

oggetto di una puntuale valutazione di merito, che consenta,

previa verifica in concreto dell'eventuale effetto pregiudicante, di rendere operante la tutela del principio del giusto processo: sarebbe infatti «impossibile pretendere dal legislatore uno sfor

zo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni

giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a

trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo pro cedimento penale» (sentenza n. 308 del 1997). Ove tale onere

venisse imposto al legislatore, «l'intera materia delle incompa tibilità, dispersa in una casistica senza fine, diverrebbe refratta

ria a qualsiasi tentativo di amministrazione mediante atti di or

ganizzazione preventiva» (sentenza n. 307 del 1997). Ne emerge un sistema che si propone di apprestare la neces

saria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui

può risultare compromessa l'imparzialità del giudice: le ragioni del pregiudizio sono infatti oggettivamente identiche sia quando il giudice ha manifestato il proprio convincimento all'interno

del medesimo procedimento mediante un atto o l'esercizio di

una funzione a cui il legislatore attribuisce astrattamente e pre ventivamente effetti pregiudicanti, sia quando la valutazione di

merito è stata espressa in un diverso procedimento (ovvero nel

medesimo procedimento, ma mediante un atto che non presup

pone una tale valutazione) e gli effetti pregiudicanti debbano

quindi essere accertati in concreto, grazie agli istituti dell'asten

sione e della ricusazione.

L'esigenza di attuare in forma esaustiva la garanzia, inerente

al principio del giusto processo, di un giudizio affidato a un

giudice non condizionato da precedenti valutazioni, ha trovato

riscontro nelle già menzionate sentenze nn. 306, 307 e 308 del

1997: nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità co stituzionale allora sollevate, in riferimento all'art. 34 c.p.p., in

relazione a valutazioni pregiudicanti a vario titolo espresse in un

diverso procedimento, la corte ebbe a segnalare che, ove il pre

giudizio per l'imparzialità del giudice non fosse riconducibile

ad alcuna delle ipotesi di astensione o di ricusazione già previ ste dall'ordinamento, la tutela del giusto processo avrebbe po tuto essere assicurata sollecitando un intervento volto ad am

pliare l'ambito di applicazione di tali istituti. Un intervento di tale natura forma appunto l'oggetto della

questione di legittimità costituzionale sottoposta al giudizio di

questa corte.

4. - Nelle situazioni di fatto prospettate dai rimettenti sono

indubbiamente riscontrabili profili di pregiudizio per l'impar zialità e la neutralità della funzione giudicante.

Da entrambe le ordinanze di rimessione emerge, infatti, che i

giudici sono stati ricusati — ed in alcuni casi hanno presentato senza esito dichiarazione di astensione —

per avere in prece denza espresso, nell'ambito di un diverso procedimento relativo

all'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza

speciale della pubblica sicurezza, valutazioni e giudizi di merito

sulla posizione dei destinatari delle misure di prevenzione, in

relazione ai medesimi fatti loro attribuiti nel giudizio penale, ovvero per avere accertato, nell'ambito del procedimento di

prevenzione, l'esistenza dell'associazione di stampo mafioso e

la partecipazione ad essa dei medesimi soggetti ora sottoposti a

giudizio penale per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. Al riguardo, questa corte ha già avuto occasione di affermare

che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante

può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e

quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (sentenza n. 306 del 1997), sia quando il rap

porto di successione temporale tra attività pregiudicante e fun

zione pregiudicata sia invertito, per avere il giudice, chiamato a

pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del de

litto di associazione di stampo mafioso, già espresso nell'ambito

del procedimento di prevenzione una valutazione sull'esistenza

dell'associazione e sull'appartenenza ad essa della persona im

putata nel successivo processo penale (ordinanza n. 178 del

1999, id., Rep. 1999, voce Astensione, ricusazione, n. 66).

Il Foro Italiano — 2001.

Le questioni, allora sollevate con riferimento all'art. 34

c.p.p., vennero ritenute inammissibili perché la situazione di

pregiudizio avrebbe dovuto essere inquadrata nell'area di appli cazione degli istituti dell'astensione e della ricusazione. In que sta direzione si muovono, appunto, gli attuali rimettenti, i quali lamentano che la situazione di pregiudizio prospettata non rien

tra in alcune delle cause di ricusazione contemplate dall'art. 37

c.p.p. In effetti, nel caso di specie il pregiudizio per l'imparzialità

neutralità del giudice non è riconducibile, per le ragioni sinora

esposte, ai casi di incompatibilità (cui fa riferimento, quali al

trettante cause di astensione, la lett. g del 1° comma dell'art. 36

c.p.p., richiamata dall'art. 37, 1° comma, lett. a, c.p.p.), ma

neppure rientra nelle cause di astensione e di ricusazione riferite

a precedenti manifestazioni del convincimento del giudice sul

l'oggetto del procedimento o sui fatti oggetto dell'imputazione: non nella causa di astensione di cui alla lettera c) del 1° comma

dell'art. 36 c.p.p. (richiamata quale causa di ricusazione dal

l'art. 37, 1° comma, lett. a, c.p.p.), in quanto relativa a consigli o pareri sull'oggetto del procedimento espressi fuori dell'eser

cizio delle funzioni giudiziarie; non nella causa di ricusazione di

cui all'art. 37, 1° comma, lett. b), c.p.p., che presuppone una

manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell'imputa zione espressa indebitamente nell'esercizio delle funzioni giu

diziarie, mentre nelle situazioni sottoposte al giudizio di questa corte le valutazioni pregiudicanti rientrano nelle funzioni pro

prie dei giudici poi ricusati. Le esigenze di tutela del principio del giusto processo non

possono d'altro canto essere assicurate soltanto dall'obbligo del

giudice di astenersi ove ricorrano «altre gravi ragioni di conve

nienza», per la ragione che tale causa di astensione, prevista dall'art. 36, 1° comma, lett. h), c.p.p., non rientra tra quelle che

l'art. 37, 1° comma, lett. a), c.p.p. indica tra i motivi di ricusa

zione. Anche dopo che questa corte ha affermato che le «altre

gravi ragioni di convenienza» si riferiscono non solo a situazio

ni di pregiudizio per l'imparzialità del giudice derivanti da ra

gioni extraprocessuali, cioè di carattere personale e collegate alla posizione del giudice uti privatus ma si estendono, in attua

zione del principio del giusto processo, ai casi in cui l'impar zialità del giudice risulti compromessa dallo svolgimento di

precedenti attività giudiziarie (sentenza n. 113 del 2000), la tu

tela del principio non sarebbe comunque esaustiva, in quanto subordinata all'iniziativa del giudice.

Sussistono quindi i presupposti che la corte aveva a suo tem

po indicato quali condizioni per un eventuale intervento volto

ad estendere l'area di applicazione degli istituti dell'astensione

e della ricusazione a situazioni non espressamente previste dal

codice di rito, ma tuttavia capaci di esprimere analoghi effetti

pregiudicanti per l'imparzialità-neutralità del giudice. In parti

colare, l'intervento è imposto dai parametri costituzionali a cui

la giurisprudenza di questa corte si è richiamata nell'affermare

l'operatività del principio del giusto processo in tema di garan zia dell'imparzialità del giudice (v., ad esempio, sentenze n. 113

del 2000; n. 241 del 1999; n. 290 del 1998, id., 1999,1, 430; n. 346 del 1997, id., 1998, I, 349; n. 311 del 1997, id., 1997, I, 3481; n. 155 del 1996, id., 1996, I, 1898; n. 131 del 1996,

ibid., 1489; n. 432 del 1995, id., 1995, I, 3068); principio che ha trovato esplicita menzione nell'art. Ili, 2° comma, Cost,

(come modificato dall'art. 1, 1° comma, 1. cost. 23 novembre

1999 n. 2), là dove viene enunciata la regola che ogni processo si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale.

5. - Le medesime considerazioni valgono per la situazione

prospettata nell'ordinanza di rimessione della Corte d'appello di

Napoli, relativa al pregiudizio che deriverebbe dall'avere uno

dei giudici ricusati esercitato funzioni giudicanti in altro proce dimento penale per il reato di tentato omicidio aggravato dal fi

ne di agevolare l'attività dell'associazione di cui all'art. 416 bis

c.p., conclusosi con la condanna della persona ora imputata del

delitto di partecipazione a quella medesima associazione di

stampo mafioso la cui esistenza è stata già valutata sub specie di

circostanza aggravante. Non vi è dubbio, infatti, che il giudizio sulla sussistenza del

l'aggravante può in concreto presupporre una valutazione sul

merito non solo dell'esistenza dell'associazione criminosa, ma

anche della partecipazione dell'imputato a tale associazione.

6. - In linea con la prospettazione dei giudici rimettenti, la se

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Page 5: sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 luglio 2000, n. 30); Pres. Mirabelli, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 22

2447 PARTE PRIMA 2448

de più appropriata per colmare, mediante una disposizione di

chiusura del sistema delle incompatibilità e dell'astensione

ricusazione, la denunciata carenza di tutela del principio del

giusto processo, è l'art. 37 c.p.p., specie dopo che, come sopra

ricordato, la sentenza n. 113 del 2000 ha affermato che le gravi

ragioni di convenienza di cui all'art. 36, 1° comma, lett. h),

c.p.p. non possono non estendersi al pregiudizio che discende da

attività processuali svolte in precedenza, così imponendo anche

in tali situazioni l'obbligo del giudice di astenersi.

Il confronto con le due cause di ricusazione e di astensione

disciplinate dagli art. 37, 1° comma, lett. b), e 36, 1° comma,

lett. c), c.p.p., che all'apparenza presentano maggiori affinità

con le fattispecie dedotte in giudizio, induce a formulare l'inter

vento di questa corte in maniera del tutto autonoma, anche per evitare che le esigenze di tutela del giusto processo possano in

qualche modo essere condizionate dalla stratificazione giuris

prudenziale e dottrinale in materia. In particolare, è necessario

tenere presente che nelle ipotesi oggetto del presente giudizio di

costituzionalità le precedenti valutazioni pregiudicanti espresse dal giudice in un diverso procedimento rientrano legittimamente e doverosamente nell'esercizio delle funzioni giudiziarie.

Sulla base di queste premesse, deve essere dichiarata l'ille

gittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.p., nella parte in cui non

riconosce alle parti la facoltà di ricusare il giudice che in un di

verso procedimento, anche non penale, abbia espresso una va

lutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del mede

simo soggetto. Al riguardo, va rilevato che non è sufficiente, ai fini della in

dividuazione dell'attività pregiudicante, che il giudice abbia in

precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto

prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasio

nalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sotto

posta al suo giudizio (v. la costante giurisprudenza costituzio

nale in materia e, in particolare, le sentenze nn. 131 e 155 del

1996 e le decisioni in queste richiamate, nonché, da ultimo, le

ordinanze n. 444 del 1999; n. 153 del 1999, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 64; nn. 152, 135 e 29 del 1999, ibid., nn. 65, 63 e 53; nn. 206 e 203 del 1998, ibid., nn. 48 e 47, e la sentenza n. 364 del

1997, id., Rep. 1998, voce Sor\>eglianza (magistratura di), n.

13). L'effetto pregiudicante non può, inoltre, essere limitato ai

soli casi in cui la valutazione di merito sia contenuta in una

sentenza, in quanto il giudice può esprimersi nella forma del de

creto, come nella ipotesi —

oggetto del presente giudizio — del

procedimento di prevenzione, ovvero nelle altre forme even

tualmente previste dal diverso procedimento in cui sia interve

nuta la valutazione pregiudicante. La funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una de

cisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario,

perché si verifichi un pregiudizio per l'imparzialità, che il giu dice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito colle

gata alla decisione finale della causa. Si deve comunque precisare che, alla stregua dei rapporti si

stematici tra incompatibilità e cause di astensione-ricusazione,

queste ultime, ove si sostanzino nella manifestazione di un con

vincimento espresso in un diverso procedimento, sono caratte

rizzate dalla loro non idoneità ad essere tipicizzate preventiva mente dal legislatore, in quanto la loro stessa natura impone che

sia il giudice, nell'ambito della cornice generale delineata dalla

legge, ad accertare in concreto e caso per caso l'effetto pregiu dicante per l'imparzialità. Sarà dunque l'elaborazione giuris

prudenziale, così come è avvenuto per le cause di astensione e

di ricusazione già previste nel codice, a definire i vari casi di

applicazione di questa causa di ricusazione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di

chiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, 1° comma,

c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato

dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabi lità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche

non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei con

fronti del medesimo soggetto.

Il Foro Italiano — 2001.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 giu

gno 2001, n. 8889; Pres. Carnevale, Est. Berruti, P.M. Rus

so (conci, parz. diff.); Valoti Olcese (Avv. Alpa, Raffaelli,

Palladino) c. Soc. Rcs editori, De Bortoli e Garante per la

protezione dei dati personali; Soc. Rcs editori e De Bortoli

(Avv. Irti, Vitale) c. Valoti Olcese e Garante per la prote zione dei dati personali; Garante per la protezione dei dati

personali (Avv. dello Stato Caramazza) c. Soc. Rcs editori,

De Bortoli e Valoti Olcese. Cassa Trib. Milano, decr. 14 ot

tobre 1999 e decide nel merito.

CORTE DI CASSAZIONE;

Persona fisica e diritti della personalità — Trattamento di

dati personali — Attività giornalistica — Illiceità — Fatti

specie (Cost., art. 21; 1. 31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle

persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati per

sonali, art. 1, 2, 9, 12, 13, 20, 25).

Posto che: a) la disciplina di cui alla l. 675/96 concerne qua

lunque trattamento (utilizzo, diffusione o comunicazione) di

un dato atto a consentire l'identificazione di una persona fi

sica; b) la legittimità della pubblicazione, ad opera di un

mezzo di comunicazione di massa, di notizie circa l'attività di

una persona, che si avvalga impropriamente di un nome, non

può impedire al suo titolare di far valere il diritto all'uso

esclusivo del nome stesso, va cassata la decisione di merito

con cui si era annullato il provvedimento del Garante per la

protezione dei dati personali inteso ad ordinare ad una te

stata giornalistica di: i) cessare il comportamento illecito

consistente nella pubblicazione di articoli in cui una donna

viene indicata col cognome dell'ex marito; ii) rettificare i

dati personali registrati nelle banche dati o comunque trattati

dal quotidiano al fine di assicurare che con tale cognome

venga individuata esclusivamente la sua seconda moglie. (1)

( 1 ) Il provvedimento cassato dalla pronuncia in epigrafe, Trib. Mila

no, decr. 14 ottobre 1999, è riportato in Foro it., 2000, I, 649, con note di M. Granieri, Sulla c.d. tutela paragiurisdizionale dei diritti di fronte alle autorità amministrative indipendenti. Il caso del Garante dei dati

personali, e di A. Palmieri-R. Pardolesi. Protezione dei dati personali e diritto di cronaca: verso un «nuovo ordine»? (è altresì annotato da V.

Zeno-Zencovich, Banche di dati giornalistiche e dubbi (infondati) di

costituzionalità, in Dir. informazione e informatica, 2000, 41; A. Ore

stano. Archiviazione, trattamento automatizzato e tutela dei dati per sonali, in Danno e resp., 2000, 421; P. Varì, Il Tribunale di Milano li mita i poteri del Garante per la protezione dei dati personali in materia

di diffusione a fini giornalistici, in Giust. civ., 2000, 1, 1517; S. Mel

chionna, Caso Olcese: identità personale, riservatezza e diritto di cro

naca, in Giur. it., 2000, 2297). In ordine alla vicenda su cui si è pronunciata la Cassazione, v. V.

Nuti, Sulla «privacy» scontro in Cassazione - Garante e «Corriere» sui

limiti al diritto di cronaca, in Dir. e giustizia, 2000, fase. 7, 70; G.

Buttarelli, Stampa senza censura, ma senza zone franche, ibid., 72; R.

Martinelli, Breve storia di un 'indebita espansione - L 'intrusione di

legislatore e garante sul terreno della libertà di stampa, ibid., 73. Si occupa di un caso di conflitto tra privacy ed esercizio dell'attività

giornalistica, Trib. Milano 13 aprile 2000, Foro it., 2000, I, 3004 (an notata da V. Colonna, Tutela della «privacy» tra regole di mercato e

poteri individuali, in Danno e resp., 2001, 75, e da S. Sica, Danno mo rale per lesione della «privacy»: domicilio ed essenzialità della notizia, in Dir. informazione e informatica, 2000, 469).

* * *

Protezione dei dati personali in Cassazione: eugenetica dei diritti della personalità?

I. - Giunge all'epilogo, in tempi ragionevolmente contenuti, una delle battaglie giudiziarie in cui si è venuto articolando l'annoso con flitto causato dalla perdurante utilizzazione, da parte di una star della vita sociale e mondana, del cognome ricevuto 'in dote' dall'ex coniuge, nonostante il matrimonio con quest'ultimo fosse stato annullato sin dal 1976 e il titolare del cognome contestato, libero dal precedente vincolo

nuziale, si fosse nuovamente sposato con un'altra donna. A prescindere dalle schermaglie consumatesi in passato, la storia re

cente conosce un duplice terreno di scontro. Il braccio di ferro tra le due protagoniste della contesa sta andando in scena nelle aule del tri bunale capitolino, dove la 'seconda' (ma solo in termini cronologici, considerata l'invalidità delle prime nozze) moglie, avendo acquisito il diritto di aggiungere al proprio cognome quello del marito e di mante nerlo durante lo stato vedovile, ai sensi dell'art. 143 bis c.c., agisce per far cessare il pregiudizio che le deriva dall'uso indebito di tale cogno

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