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sentenza 14 maggio 1985, n. 145 (Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rel....

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sentenza 14 maggio 1985, n. 145 (Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rel. Roehrssen; De Martinis c. Min. pubblica istruzione e altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Siconolfi). Ord. T.A.R. Marche 14 luglio 1982 (G. U. n. 329 del 1983) Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 365/366-369/370 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180490 . Accessed: 28/06/2014 09:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:57 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 14 maggio 1985, n. 145 (Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rel. Roehrssen; De Martinis c. Min. pubblica istruzione e altri; interv. Pres. cons. ministri

sentenza 14 maggio 1985, n. 145 (Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rel.Roehrssen; De Martinis c. Min. pubblica istruzione e altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Siconolfi). Ord. T.A.R. Marche 14 luglio 1982 (G. U. n. 329 del 1983)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 365/366-369/370Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180490 .

Accessed: 28/06/2014 09:22

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIV1

Tanto più che al docente posto in aspettativa è consentito di

svolgere l'attività di ricerca, anche applicativa, ed il lavoro

seminariale, nonché di tenere cicli di conferenze. In tal modo, da un verso si è tenuto conto del valore sociale della docenza universitaria e del servizio che il docente può rendere in assem blee elettive e, dall'altro, del servizio che egli può continuare a

svolgere nell'università, garantendo, cosi, all'università l'apporto dell'esperienza civile e politica che il docente compie nel campo poMeo^ammiinistinaitivo.

In altri termini, è attuato un collegamento tra attività recipro camente utili1, dal punto di vista obiettivo e sociale e, per il

profilo soggettivo, è 'realizzato un equo contemperamento tra le

esigenze, da riconoscersi al docente come a tutti i cittadini, di

partecipare alla vita politica con la garanzia dell'accesso alle cariche pubbliche, e le esigenze del mantenimento dei contatti del docente con la vita universitaria alla quale non rimane estraniato ed assente del tutto, svolgendo un'attività di docenza, sia pur limitata.

Pertanto, nessuna delle norme costituzionali1 invocate risulta

violata, per avere il legislatore stabilito, nei confronti di soggetti ai quali il lavoro è assicurato da un rapporto di pubblico

impiego, una incompatibilità volta ad assicurare le finalità sociali che il tipo di lavoro è diretto a realizzare, e le finalità pubbliche, con la maggiore efficienza possibile per entrambe.

3. - Infine, il giudice a quo ha dienunciato la violazione dell'art.

3 Cost, sotto un triplice profilo di disparità di trattamento: a) che si verificherebbe, senza ragionevole giustificazione, in danno

dei professori universitari rispetto agli altri pubblici dipendenti

per i quali si applica il regime dell'aspettativa a domanda anziché

quello d'ufficio, sia nel caso di elezione alla carica di consigliere

regionale sia in quello di elezione alla carica di presidente dei

consiglio regionale; b) che sussisterebbe nell'ambito della stessa

categoria di professori universitari in quanto per i medesimi

opera il regime del collocamento in aspettativa a domanda, se

eletti consiglieri regionali, e quello del collocamento in aspettativa di ufficio se eletti, successivamente, alla carica di presidente del

consiglio regionale, sebbene non vi siano ragionevoli motivi per ritenere che tale carica, rispetto a quella di consigliere regionale 0 di vice-presidente del consiglio regionale, comporti oneri più

rilevanti; c) che esisterebbe, senza ragionevole giustificazione, tra

1 professori ordinari ed i professori incaricati, per i quali non

trova applicazione la norma impugnata, nonostante che, in ordine

all'esercizio della funzione docente, una sostanziale parità di

condizioni sembri caratterizzare entrambe le categorie e si debba

realizzane la stessa ratio legis. Come questa corte, in questione analoga (sent. n. 6/60, id.,

1960, I, 353), ha già ritenuto e già si è detto innanzi, il

legislatore ordinario, nel disciplinare le .modalità di esercizio dei

diritti individuali preveduti dall'art. 51, 3" comma, Cost., può emanane norme che si1 adattino alla possibile diversità delle

situazioni considerate.

In altri termini, il legislatore ordinario ha il potere di apprez zare se per talune categorie di dipendenti pubblici ricorrano

situazioni particolari che rendano opportuno disporre per esse un

trattamento speciale o differenziato che tenga conto della effettiva

possibilità di esercitare i relativi compiti contemporaneamente all'espletamento di attività iin altri uffici pubblici o in altre cariche pubbliche.

Può ritenersi giustificato e razionale il diverso trattamento se

effettivamente l'appartenente ad una categoria abbia maggiore

disponibilità di tempo rispetto all'altro o se ciascun appartenente ad essa abbia la possibilità di regolare direttamente le modalità o

l'impiego di tempo per il proprio lavoro (cosi era all'epoca della

fattispecie esaminata per i professori1 universitari rispetto agli altri

impiegati pubblici). Ed il trattamento ora previsto per i professori1 universitari

(ossia il collocamento in aspettativa di ufficio), rispetto agli altri

impiegati pubblici (collocamento in aspettativa a domanda), dal

legislatore ordinario nell'esercizio del potere discrezionale a lui

attribuito, trova adeguata e razionale giustificazione nella situa

zione diversa del professore rispetto a quello degli altri impiegati

pubblici, che si è venuta a creare a seguito della riforma della

docenza universitaria per effetto della 1. n. 28/80, nella sua

multiforme attività didattica.

Gli attuali impegni del docente universitario (insegnamento,

ricerca, seminari, esami, conferenze nella facoltà e nell'istituto o

nel dipartimento) esigono orari non sempre predeterminabili con

sufficiente anticipo o con un certo margine di certezza, sicché egli non ha il tempo libero sufficiente per svolgere contemporanea mente anche l'attività in uffici o cariche pubbliche, specie se

elevate ed impegnative come quella del presidente del consiglio

Il Foro Italiano — 1986.

regionale rispetto a quella di consigliere regionale, come già si è detto innanzi.

Del resto, può anche dirsi che la norma di previsione, diversa

per gli impiegati pubblici, difficilmente può avere pratica attua zione in quanto anche per essi, in realtà, è difficile lo svolgimen to di attività nell'ufficio di appartenenza e nell'ufficio politi co-amministrativo cui è stato eletto.

E altresì trova giustificazione razionale il trattamento differen

ziato, predisposto per i professori universitari, per la elezione alle diverse cariche di consigliere regionale e di presidente del consi

glio regionale per la diversità delle cariche e degli uffici. Il consigliere regionale non ha certo quegli impegni che ha il

presidente del consiglio regionale, che sono stati paratamente ricordati innanzi, all'interno del consiglio ed all'esterno; e le due cariche non sono uguali anche per il rango, l'importanza, l'impar zialità e l'autonomia assoluta che richiedono.

La stessa carica di vice-presidente è diversa, trattandosi nor

malmente di un ufficio vicario senza compiti propri, specifici e

particolari.

Infine, non sussiste disparità di trattamento tra i professori universitari e gli incaricati.

Invero, per gli incaricati stabilizzati sussistono le stesse incom

patibilità ad essi ©stese dall'art. 118 della stessa 1. n. 28/80. Per d non stabilizzati, ffl diverso tratta monito trova razionale

giustificazione nella situazione del tutto precaria in cui essi si

trovano.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, lett. d), 1. 21

febbraio 1980 n. 28 in riferimento agli art. 1, 3, 51 e 76 Cost, e dell'art. 13, 1° comma, n. 7 d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, in riferimento agli art. 3, 4, 76 Cost., proposte dal T.A.R. della

Liguria, con ord. del 12 maggio 1983.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 maggio 1985, n. 145

>(Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rei. Roehrssen; De Martinis c. Min. pubblica istruzione e

altri; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Siconolfi). Ord. T.A.R. Marche 14 luglio 1982 (G. U. n. 329 del 1983).

Istruzione pubblica — Professore universitario con impegno definito — Incompatibilità con le funzioni di preside —

Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 33, 51, 97; 1. 21 febbraio 1980 n. 28, delega al governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione e per la sperimentazione organizzativa e didatti

ca, art. 4; d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché

sperimentazione organizzativa e didattica, art. 11).

È infondala la questione di legittimità costituzionale degli art. 4, 1°

comma, lett. b), /. 21 febbraio 1980 n. 28, e 11, 4" comma, lett.

a), d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, nella parte in cui stabiliscono

l'incompatibilità del regime di impegno definito del professore universitario, con la funzione di preside della facoltà, in

riferimento agli art. 3, 33, 51 e 97 Cost. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione del T.A.R. Marche, 14 luglio 1984, è riassunta in Foro it., 1984, III, 226, con nota di richiami.

La questione va inquadrata nella differenziazione introdotta con varie norme dal d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, tra i regimi a tempo pieno e a tempo definito, tra i quali i professori universitari possono optare: v., in proposito, le note a T.A.R. Campania, sez. I, 12 settembre 1985, n. 429, e T.A.R. Toscana 19 ottobre 1984, n. 1289, in questo fascicolo, III, nonché a T.A.R. Emilia-Romagna 8 giugno 1985, n. 294, e ord. 8 giugno 1985, n. 2, e 26 ottobre 1984, n. 3.

In particolare, la sentenza riguarda l'art. 11, 4° comma, lett. a), d.p.r. n. 382/80, che dispone l'incompatibilità con l'opzione per il tempo definito delle funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di dottorato di ricerca, le quali sono cosi riservate ai professori universi tari che optino per il regime a tempo pieno; e trova in quella differenziazione sia sufficienti giustificazioni della diversità di tratta mento tra le due categorie di docenti, come sufficienti ragioni per escludere la violazione delle altre norme costituzionali invocate nell'or dinanza di rimessione.

Circa l'autonomia dell'università, garantita dall'art. 33, ult. comma, Cost., sul quale si sofferma un passo della motivazione, v., fra gli altri, gli scritti di Mazzarolli, in Dir. e società, 1981, 267; Mazziotti di Celso, id., 1980, 229; Modugno, id., 1978, 757.

Sull'interpretazione della norma la cui costituzionalità è confermata

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Page 3: sentenza 14 maggio 1985, n. 145 (Gazzetta ufficiale 22 maggio 1985, n. 119 bis); Pres. Elia, Rel. Roehrssen; De Martinis c. Min. pubblica istruzione e altri; interv. Pres. cons. ministri

PARTE PRIMA

Diritto. — 1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, 1° comma, lett. b), 1. 21 febbraio 1980 n.

28 (« delega al governo per il riordinamento della docenza

universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimenta zione organizzativa e didattica») e dell'art. 11, 4° comma, lett. a),

d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 («riordinamento della docenza

universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazio ne organizzativa e didattica »), in virtù dei quali i docenti

universitari a tempo definito rimangono esclusi dalla possibilità di

accedere alle cariche di rettore, preside, membro del consiglio di

amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di

dottorato di ricerca.

11 giudice a quo ritiene che questa normativa possa contrastare

con gli art. 3, 33, 51 e 97 Cost., in quanto: a) l'esclusione non

sarebbe giustificata dalla distinzione che la recente normativa sullo stato giuridico dei professori delle università statali ha fatto

fra docenti a tempo definito ed a tempo pieno; b) inciderebbe

sull'autonomia delle istituzioni universitarie; c) violerebbe il dirit

to dei cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di

uguaglianza; d) contrasterebbe, infine, con il principio del « buon

andamento » della p.a. per la paralisi che deriverebbe agli organi di governo delle università nel caso che i docenti si orientassero

in misura massima verso il rapporto a tempo definito.

La questione non è fondata.

2. - Uno dei cardini della riforma universitaria preveduta dalla

1. 21 febbraio 1980 n. 28, è stato quello di assicurare alle

università, anche in considerazione del grande accrescimento della

popolazione scolastica e dello sviluppo delle attività scientifiche e

didattiche, che un congruo gruppo di docenti possa dedicarsi in

via principale ed assorbente a quelli che sono i compiti veramen

te istituzionali delle università stesse e, quindi, dei suoi docenti

(l'insegnamento e la ricerca scientifica, come emerge chiaramente

dall'art. 1 t.u. 31 agosto 1933 n. 1592 e dall'art. 63 1. n. 28 del

1980), senza esserne distratti dallo svolgimento di attività profes sionali o di consulenza o, comunque, divergenti dai cennati

compiti istituzionali. È, infatti, evidente che lo svolgimento di

attività del genere comportano impegni e responsabilità non

indifferenti, che non possono non impedire al professore di ruolo

di dedicare all'università tutte le sue energie. Sulla base di questa premessa, la 1. n. 28 ha operato una

differenziazione fra i docenti di ruolo a seconda che essi intenda

no, secondo un giudizio strettamente soggettivo e personale, dedicare la loro attività esclusivamente all'insegnamento universi tario o, invece, svolgere anche attività professionali, cioè attività

che esulano da quella didattica e scientifica che è caratteristica

fondamentale del docente universitario secondo il disposto del

l'art. 84 t.u. n. 1592 del 1933, tuttora vigente.

Perciò l'art. 4 1. n. 28 del 1980 ha disposto, fra l'altro, che le

norme delegate avrebbero dovuto realizzare un regime di impe

gno a tempo pieno, incompatibile con l'esercizio di qualsiasi attività professionale esterna e con l'assunzione di qualsiasi inca

rico retribuito (fatta salva l'attività scientifica e pubblicistica) con

facoltà per il docente di optare per un regime di impegno a

tempo definito, compatibile con le attività ora cennate ma incom

patibile, invece, con la funzione di rettore, di preside, di membro

effettivo del consiglio di amministrazione, ecc.

In puntuale applicazione di queste disposizioni della legge di

delega, l'art. 11, 4° comma, del decreto delegato n. 382 del 1980

ha dettato le norme all'uopo occorrenti, riproducendo sostanzial

mente il contenuto dell'art. 4, lett. b), della 1. n. 28 e precisando in ogni dettaglio quel che è consentito e quello che non è

consentito ai docenti delle due cennate categorie. L'art. 11, 4°

comma, dello stesso decreto ha inoltre stabilito che la scelta del

professore deve essere esercitata almeno sei mesi prima dell'inizio

di ogni anno accademico ed ha efficacia solo per un biennio.

dalla riportata sentenza, Cons. Stato, sez. Il, 10 febbraio 1982, n.

17/82, Foro it., Rep. 1984, voce Istruzione pubblica, n. 289, secondo cui le ipotesi di incompatibilità da essa previste devono considerarsi tassative: perciò, non è incompatibile con l'opzione per il regime a

tempo definito la carica di pro-rettore. La norma stessa, comunque, non annovera come incompatibili con

l'opzione per il regime a tempo definito, almeno due altre funzioni universitarie di grande rilievo: la direzione degli istituti tuttora sopravvissuti, malgrado la tendenza della loro trasformazione in diparti menti; e la partecipazione alle commissioni giudicatrici per concorsi a

professore ordinario e a professore associato. D'altra parte, l'art. 3 d.d.l. n. 1356, detto anche «382 bis», nel testo licenziato dal senato nella passata legislatura, poi decaduto per lo scioglimento delle camere, rimuoveva la incompatibilità anche con le funzioni di preside, di cui al caso in ordine al quale è stata emessa la riportata sentenza.

Il Foro Italiano — 1986.

La distinzione fra regime di tempo pieno e di tempo definito, ritenuta dal legislatore idonea a conseguire il raggiungimento delle finalità poco addietro indicate, poggia indubbiamente sulla

constatazione già fatta che i docenti i quali si dedicano anche ad

attività professionali e personali non connesse con quelle univer

sitarie non possono essere in grado di dedicare ai compiti istituzionali tutte le loro energie.

Una volta posta una distinzione del genere, non sembra affatto irrazionale l'avere anche stabilito che possano accedere a deter

minate cariche universitarie soltanto i docenti che all'università riservano tutto il loro tempo, escludendo coloro i quali, invece, hanno ritenuto di dedicarsi ad altre, distinte attività: anche in

questo delicato ed impegnativo campo, concernente lo svolgimen to di tutti i compiti inerenti al governo dell'università (art. 6 t.u.

n. 1592 del 1933) e cioè alla vita universitaria in tutti i suoi

svariati aspetti, si è ritenuto di escludere coloro i quali, per loro

volontà ed a seguito di un loro giudizio, vedono il loro tempo astratto da attività extrauniversitarie.

Certamente coloro i quali vivono più intensamente e più completamente la vita universitaria sono meglio in grado di

partecipare alle attività degli organi che presiedono al governo delle università.

Ora, se questa è la ratio delle disposizioni in parola, ad

avviso della corte non hanno pregio le censure che l'ordinanza di

rimessione ha ritenuto di muovere alle disposizioni stesse.

Non ha fondamento la pretesa violazione del principio di

uguaglianza (art. 3, 1° comma, Cost.), perché, come si è detto, la

esclusione dei docenti a tempo definito dalla possibilità di acce

dere ad alcune cariche universitarie costituisce una conseguenza della distinzione fra regime di tempo pieno e di tempo definito.

L'esclusione stessa, d'altro canto, costituisce effetto di una libera

manifestazione di volontà del docente universitario, il quale sa, nel momento nel quale chiede il regime di tempo definito, che la

sua volontà comporta quelle determinate conseguenze.

Non si ha violazione del diritto (art. 33, ult. comma, Cost.) delle università di darsi « ordinamenti autonomi », poiché lo

stesso art. 33 aggiunge che tale diritto spetta « nei limiti delle

leggi dello Stato »: non si tratta di una autonomia piena ed

assoluta, ma di una autonomia che lo Stato può accordare in

termini più o meno larghi, sulla base di un suo apprezzamento discrezionale, che, tuttavia, non sia irrazionale. E nella specie, come si è detio, le norme in questione non sono irrazionali.

D'altro canto le norme stesse attengono allo stato giuridico dei

professori universitari, i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono, di conseguenza, soggetti alla disciplina che

la legge statale ritiene di adottare: l'autonomia universitaria,

invece, come ha riconosciuto questa corte (sent. n. 51/66, Foro

it., 1966, I, 1615), si esercita nei sensi indicati negli art. 17 e 18

t.u. n. 1592 del 1933, nei quali non è cenno alcuno né dello stato

giuridico dei docenti né della composizione degli organi universi

tari.

Fuori causa appare anche la pretesa violazione dell'art. 51 Cost.: anche qui la norma costituzionale, dopo avere affermato il diritto di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici ed alle

cariche elettive in condizioni di uguaglianza, ha avuto cura di

aggiungere « secondo i requisiti stabiliti dalla legge ». Al legislato re ordinario, cioè, non è vietato di porre norme le quali, in

relazione a determinate finalità di pubblico interesse, possano comportare l'esclusione di taluni cittadini da alcuni uffici pub blici, sempre che ciò non sia irrazionale. È quello che, appunto, si verifica nel caso di specie.

Del tutto fuor di luogo appare la citazione dell'art. 97 Cost, e

precisamente del principio del buon andamento della p.a. che sarebbe compromesso nel caso in cui la maggioranza dei docenti universitari si orientasse verso il regime di tempo definito. L'ipo tesi pone in luce un mero inconveniente, che forse sarebbe

opportuno che il legislatore prendesse in considerazione, ma che

comunque non rende la norma contraria alla Costituzione, tanto

più che, invece, proprio le norme impugnate possono rappresenta re un applicazione del principio del buon andamento riferito alla vita delle università.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di leggittimità costituzionale degli art. 4, 1° comma, lett. b), 1. 21 febbraio 1980 n. 28 (delega al governo per il

riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di

formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica ») e 11, 4" comma, lett. a), d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 («riordina mento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nonché sperimentazione organizzativa e didattica »), nella parte in cui stabiliscono l'incompatibilità del regime d'impegno definito con la funzione di preside, sollevata con ordinanza 14 luglio 1982 del T.A.R. per le Marche, in riferimento agli art. 3, 33, 51 e 97 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 13 febbraio 1985, n.

45; Pres. Elia, Rei. Borzellino; Astrua e altri, Lupinacci e altri (Avv. Guarino), Bastianini e altri (Avv. Onida), Lauro e altri (Avv. Papi) c. I.n.p.s. (Avv. Romoli); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Del Greco). Ord. Pret. Roma 13 gennaio 1984 (G.U. n. 231 del 1984); Pret. Pisa 28 novembre 1983 (G. U. n. 102 del 1984) e altre.

Previdenza sociale — Professionisti intellettuali — Contributi sociali di malattia — Obbligo di corresponsione — Entità —

Questione non manifestamente infondata di costituzionalità —

Richiesta di informazioni (Cost., art. 3, 23, 25, 51, 53; I. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funziona

mento della Corte costituzionale, art. 13; norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, art. 12; 1. 23

dicembre 1978 n. 833 istituzione del servizio sanitario nazionale, art. 57, 76; d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, finanziamento del servi zio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dal le pubbliche amministrazioni in base alla 1. 1° giugno 1977 n. 285 sull'occupazione giovanile; d.p.r. 8 luglio 1980 n.

538, adeguamento dei contributi sociali di malattia dovuti

dagli artigiani, dagli esercenti delle attività commerciali, dai

coltivatori diretti e dai liberi professionisti; d.l. 29 luglio 1981 n. 402, contenimento della spesa previdenziale e ade

guamento delle contribuzioni, art. 12; 1. 26 aprile 1982

n. 181, disposizioni per la formazione del bilancio annua

le e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1982), art.

14; d.l. 12 settembre 1983 n. 463, misure urgenti in materia

previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa

pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica ammini

strazione e proroga di taluni termini, art. 4, 14).

Per risolvere le questioni di legittimità costituzionale relative alla

quota fissa e proporzionale del contributo sociale di malattia

dei liberi professionisti vanno richieste al presidente del con

siglio dei ministri, al ministro del tesoro, al ministro del lavoro

e della previdenza sociale e al ministro della sanità, ciascuno per

quanto di competenza, informazioni circa le causali giuridiche e tecniche poste a fondamento e criterio nella determinazione

delle aliquote, delle quote fisse, delle quote aggiuntive e relativi

massimali applicati, con variegati calcoli, alle categorie dei

lavoratori autonomi, dei lavoratori dipendenti, nonché dei cit

tadini c.d. « non mutuati »; e circa l'incidenza della contribuzio

ne di malattia di ciascuna singola categoria di lavoratori sul

finanziamento globale del fondo saniiario nazionale con l'indi

cazione delle altre voci concorrenti a sopperire al finanziamento medesimo. (1)

(1-4) I. - I provvedimenti in epigrafe documentano un ulteriore

momento della contesa giudiziaria che in molti uffici giudiziari vede

varie categorie di liberi professionisti '(titolari o no anche di un

rapporto di pubblico impiego) opporsi all'I.n.p.s. sulla base della

contestazione o del loro obbligo di versare i contributi sociali di

malattia anche sulla parte di reddito derivante dall'esercizio dell'attivi

tà professionale, o della illegittimità costituzionale delle norme che

determinano la misura (fissa e proporzionale) del contributo sociale di

malattia dei liberi professionisti in modo diverso da quella dovuta da

altre categorie di cittadini (artigiani, commercianti, coltivatori diretti)

per l'ottenimento della stessa prestazione sanitaria. I termini della questione — o delle questioni — sono descritti nella

osservazione di O. Mazzotta, in Foro it., 1984, I, 1721, a commento, fra l'altro, delle ordinanze di rimessione di Pret. Roma 19 gennaio 1984 e Pret. Pisa 28 novembre 1983 che hanno occasionato la

pronuncia interlocutoria della Corte costituzionale che si riporta. Successivamente alla ordinanza istruttoria della corte in epigrafe (su

cui v. G. Speranza, La corte sul tetto che scotta, in II Mondo del 30

settembre 1985, 103) la tipologia degli interventi giudiziari richiesti

dai liberi professionisti si è arricchita col tentativo (che ha avuto esito

positivo nel secondo e terzo provvedimento in epigrafe e negativo nel quarto) di utilizzazione dell'istituto del sequestro liberatorio ex art.

687 c.p.c.; il ricorso a tale strumento cautelare si è reso necessario per evitare (o, sarebbe meglio dire, per tentare di evitare) che il ritardo

Il Foro Italiano — 1986.

II

TRIBUNALE DI BOLOGNA; ordinanza 27 settembre 1985; Pres. ed est. Bagnulo; Fretta + 228 c. I.n.p.s. e Min. tesoro.

III

PRETURA DI FIRENZE; ordinanza 15 novembre 1985; Giud.

Chiari; Pellegrini + 413 c. I.n.p.s. e Min. tesoro.

Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale — Sequestro liberatorio — Ammissibilità in pendenza della decisione della

Corte costituzionale sulla norma istitutiva dell'obbligo (Cod.

proc. civ., art. 687; d.l. 20 settembre 1985 n. 477, proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali e degli sgravi contribu

tivi nel Mezzogiorno, nonché misure in materia previdenziale, di tesoreria e di sanatoria edilizia, art. 2; d.l. 18 ottobre

1985 n. 542, disposizioni urgenti in materia di pagamento dei

contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assi

stenziali, art. 1).

La pendenza innanzi alla Corte costituzionale della questione di

legittimità costituzionale della norma istitutiva di un obbligo

comporta l'esistenza di una controversia sull'obbligo stesso;

pertanto, su richiesta del debitore il giudice può disporre il

sequestro delle somme che questi offre per cautelarsi dal

rischio della mora creditoris, e nominare custode delle somme

lo stesso debitore (nella specie, non sussistendo controversia in

ordine all'ammontare del debito, il sequestro è stato disposto nella misura autodeterminata dal debitore, libero professionista che contestava l'obbligo del pagamento dei contributi malattia

all'I.n.p.s.). (2)

nel pagamento dei contributi contestati (ritardo giustificato dall'attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulle norme istitutive degli obblighi contributivi) potesse determinare l'irrogazione delle sanzioni

previste dall'art. 2 d.l. 20 settembre 1985 n. 477, poi modificato dall'art. 2 del successivo d.l. 18 ottobre 1985 n. 542, cui è succeduto l'art. 2 d.l. 20 novembre 1985 n. 649 (d.l. non convertito in legge per voto della camera: v. Le leggi, 1985, I, 2124) al quale è infine seguito il d.l. 12 dicembre 1985 n. 688 (ibid., 2135) recante misure

urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragione rie provinciali dello Stato.

Sulla attività istruttoria della Corte costituzionale nei giudizi inciden

tali, v. Pizzorusso, Garanzie costituzionali, in Commentario della Costi

tuzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1981, 274 ss., nonché

Romboli, Il giudizio costituzionale incidentale come processo senza

parti, Milano, 1985, 102 ss. Sul sequestro liberatorio ex art. 687 si rinvia alla nota di ri

chiami a Trib. Milano 3 marzo 1981, Foro it., 1983, I, 443, cui adde Pret. Cerignola 26 luglio 1985, in questo fascicolo, 1, con ulteriore nota di richiami.

II. - Per la migliore comprensione dei provvedimenti in epigrafe si

riportano A il testo del ricorso presentato innanzi alla Pretura di

Firenze, e B la difesa dell'avvocatura dello Stato.

A *

A seguito di molteplici ordinanze di giudici di merito secondo i quali non sono manifestamente infondati i dubbi di legittimità costitu zionale delle norme che disciplinano il contributo sociale di malattia dovuto dai liberi professionisti, la Corte costituzionale, provvedendo in più giudizi riuniti, ha emesso la seguente ord. 7/13 febbraio 1985, n. 45:

« Considerato .. . che appare opportuna, per i fini del decidere, una

più completa e approfondita conoscenza del sistema contributivo delineato dalle norme denunciate, nel senso di richiedere le informa zioni specificate nella parte dispositiva.

«Visti gli art. 13 della 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 12 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

« Per questi motivi, la Corte costituzionale, sospesa ogni altra decisione, dispone che entro centottanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza il presidente del consiglio dei ministri, il ministro del tesoro, il ministro del lavoro e della previdenza sociale e il ministro della sanità, ciascuno per quanto di competenza forniscano:

a) ogni utile elemento di informazioni circa le causali giuridiche e tecniche poste a fondamento e criterio nella determinazione delle

aliquote, delie quote fisse, delle quote aggiuntive e relativi massimali

applicati, con variegati calcoli, alle categorie dei lavoratori autonomi

(esemplificativamente, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, liberi

professionisti), dei lavoratori dipendenti, nonché dei cittadini c.d. ' non mutuati '

(che non fruivano, cioè, di prestazioni mutualistiche) per il

periodo 1979-1984; tanto, alla luce dei principi sanciti fin dal 1976

(art. 53, lett. f, 1. 23 dicembre 1978 n. 833), in ordine all'incarico commesso al governo di disporre in via compiuta, organica e non più provvisoria le fasi e le modalità per la '

graduale unificazione ' delle prestazioni sanitarie e ' del corrispondente adeguamento salvo prowe

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