sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20);Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani, Manzi),Emilia-Romagna (Avv. Falcon, Manzi), Umbria (Avv. Pedetta), Lombardia (Avv. Caravita diToritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2449/2450-2459/2460Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193610 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
esecuzione la 1. 4 ottobre 1966 n. 876, sulla riduzione dei casi
di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di citta dinanza plurima).
Ma per coloro che si trovano in posizione di apolidìa, un
conflitto di tal genere non è ipotizzabile per definizione. È per
questo che le norme internazionali, rimettendo la disciplina del
la condizione giuridica degli apolidi alle legislazioni nazionali
nel rispetto di una serie di diritti fondamentali (art. 2 e 12 della
convenzione di New York del 28 settembre 1954 relativa allo
status degli apolidi, cui è stata data esecuzione in Italia con
la 1. 1° febbraio 1962 n. 306), non fanno menzione alcuna di
una loro pretesa estraneità all'obbligo di prestazione del servi
zio militare, cosicché nell'esperienza del diritto di altri paesi,
pur aderenti a tale convenzione, è possibile trovare norme simi
lari a quelle del nostro ordinamento, sottoposte al presente giu dizio di costituzionalità.
Anche sotto il profilo della violazione dell'art. 10 Cost., la
questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente è
infondata.
2.3. - D'altro canto deve rilevarsi, per apprezzare la non
irragionevolezza della scelta del legislatore di estendere l'obbli
go militare agli apolidi residenti in Italia, la circostanza che essi
godono di un'ampia tutela, in tutti i campi diversi da quello della partecipazione politica, come prescritto dalla citata con
venzione di New York del 28 settembre 1954 e dall'abbondante
legislazione nazionale in materia di rapporti civili e sociali che
li riguarda, alla stessa stregua dei cittadini italiani: una legisla zione — culminata nell'affermazione di principio della piena
parità di trattamento e della piena uguaglianza di diritti tra apo lidi e cittadini italiani (art. 1, 1° comma, e 2, 1°, 2°, 3°, 4° e 5° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286) — che induce a rite
nerli parti di una comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la sottoposizione a doveri funzionali alla
sua difesa. Tale comunità di diritti e di doveri, più ampia e
comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in
senso stretto, accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi come
in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono do
veri, secondo quanto risulta dall'art. 2 Cost., là dove, parlando di diritti inviolabili dell'uomo e richiedendo l'adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l'ap
punto, dal legame stretto di cittadinanza.
Una conclusione, questa, in relazione al dovere di difesa, cui
è possibile pervenire perché e in quanto la Costituzione (art. 11 e 52, 1° comma) impone una visione degli apparati militari
dell'Italia e del servizio militare stesso non più finalizzata all'i
dea della potenza dello Stato o, come si è detto in relazione
al passato, dello «Stato di potenza», ma legata invece all'idea
della garanzia della libertà dei popoli e dell'integrità dell'ordi
namento nazionale, come risultante anche dall'art. 1 1. 24 di
cembre 1986 n. 958 (norme sul servizio militare di leva e sulla
ferma di lega prolungata) e dall'art. 1 1. 11 luglio 1978 n. 382
(norme di principio sulla disciplina militare). Realizzandosi queste condizioni, non appare privo di ragio
nevolezza richiedere agli apolidi — i quali partecipano di quella
comunità di diritti di cui si è detto in base a una scelta non
giuridicamente imposta circa lo stabilimento della propria resi
denza — l'adempimento del dovere di prestazione del servizio
militare, quale previsto dalle disposizioni legislative sottoposte
al presente giudizio di costituzionalità.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale degli art. 1, 1° com
ma, lett. e), d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237 (leva e reclutamento
obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica) e 16,
1° comma, 1. 5 febbraio 1992 n. 91 (nuove norme sulla cittadi
nanza) sollevata, in riferimento agli art. 10 e 52 Cost., dal Tri
bunale militare di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1999.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 maggio 1999, n. 169
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavtllani, Manzi), Emilia-Romagna (Avv.
Falcon, Manzi), Umbria (Avv. Pedetta), Lombardia (Avv. Cara vita di Toritto) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Sta
to Ferri). Conflitto di attribuzione.
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Caccia —
Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio — Spettanza allo Stato — Esclusione — Annullamento (Cost., art. 97, 117, 118, 125;
d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui
all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art. 6, 99; 1. 9 marzo 1989
n. 86, norme generali sulla partecipazione dell'Italia al pro cesso normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione
degli obblighi comunitari, art. 4, 9; 1. 11 febbraio 1992 n.
157, norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio, art. 1, 18; d.leg. 4 giugno 1997
n. 143, conferimento alle regioni delle funzioni amministrati
ve in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione del
l'amministrazione centrale, art. 1, 2; d.leg. 31 marzo 1998
n. 112, conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I 1. 15 marzo 1997 n. 59, art. 69).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Veneto —
Caccia — Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e
limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio — Regola mentazione da parte della regione — Annullamento — Spet tanza allo Stato (Cost., art. 117, 118; 1. 11 febbraio 1992
n. 157, art. 1, 18; d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, art. 69).
Non spetta allo Stato disciplinare con decreto del presidente del consiglio dei ministri le modalità di esercizio delle dero
ghe di cui all'art. 9, par. 1, lett. c), della direttiva comunita
ria 79/409/Cee, concernente la conservazione degli uccelli sel
vatici e, di conseguenza, va annullato il d.p.c.m. 27 settem
bre 1997. (1) Spetta allo Stato, e per esso alla commissione statale di control
lo sugli atti della regione Veneto, annullare le delibere della
giunta regionale Veneto 7 ottobre 1997, nn. 3401 e 3402, aventi
ad oggetto l'applicazione delle deroghe di cui all'art. 9 della
direttiva 79/409/Cee al regime delle specie cacciabili per il
periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997. (2)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 maggio 1999, n. 168
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Contri; Pres. cons, ministri (Avv. dello
Stato Ferri) c. Regioni Liguria, Umbria (Avv. Pedetta) e
Veneto (Avv. Caccia villani, Manzi).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Liguria, Um
bria e Veneto — Caccia — Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio —
Regolamentazione da parte della regione — Incostituzionalità
(Cost., art. 117, 118; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, art. 6, 99;
1. 11 febbraio 1992 n. 157, art. 1, 18; d.leg. 4 giugno 1997 n.
143, art. 1, 2; d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, art. 69).
Sono incostituzionali la l. reg. Liguria, riapprovata, a seguito
del rinvio governativo, dal consiglio regionale ligure il 30 set
tembre 1997, la l. reg. Umbria, riapprovata, a seguito del
rinvio governativo, dal consiglio regionale umbro il 17 no
vembre 1997 e la l. reg. Veneto, riapprovata, a seguito del
rinvio governativo, dal consiglio regionale veneto il 5 marzo
1998, le quali disciplinano le deroghe previste dall'art. 9 della
direttiva 79/409/Cee concernente la conservazione degli uc
celli selvatici. (3)
(1-3) La Corte costituzionale, risolvendo il conflitto tra enti e la que stione di costituzionalità sollevata in via principale dallo Stato, affron
ta, sotto diversa angolatura, lo stesso problema concernente i limiti alla
competenza legislativa ed amministrativa regionale in tema di attuazio
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2451 PARTE PRIMA 2452
I
Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalle re
gioni Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria e Lombar
dia, nei confronti dello Stato, concerne, in primo luogo, il
d.p.c.m. 27 settembre 1997, recante «modalità di esercizio delle
deroghe di cui all'art. 9 della direttiva comunitaria 79/409/Cee, concernente la conservazione degli uccelli selvatici», del quale viene chiesto l'annullamento e, quanto all'impugnazione della
regione Lombardia, anche la previa sospensione. La predetta direttiva, nel porre a carico degli Stati membri
della Comunità europea una serie di misure, in forma per lo
più di divieti e limitazioni (art. 5, 6, 7 e 8), ne consente, tutta
via, il superamento in presenza di motivi di interesse generale dalla stessa specificati. Dispone, infatti, l'art. 9, par. 1, che
gli Stati, «sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacen
ti», possono derogare ai precedenti articoli: a) per ragioni atti
nenti alla salute e sicurezza pubblica, alla sicurezza aerea, alla
prevenzione di danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla
pesca e alle acque, alla protezione della flora e della fauna;
b) per esigenze della ricerca, insegnamento, ripopolamento, ecc.;
c) per consentire, infine, «in condizioni rigidamente controllate
e in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità»; e ciò nel
l'osservanza, comunque, di puntuali condizioni specificate nel
par. 2.
Il censurato provvedimento presidenziale, al dichiarato fine
di «garantire l'omogeneità di applicazione della normativa co
munitaria» (art. 1, 1° comma), dispone che le deroghe di cui
alla lett. e), par. 1, del predetto art. 9 vengano adottate dalle
regioni «d'intesa con i ministri dell'ambiente e per le politiche
agricole», precisando, altresì, gli elementi che le regioni stesse
ne dell'art. 9 della direttiva comunitaria 79/409/Cee a proposito delle modalità di esercizio delle deroghe alle misure di protezione disposte dalla stessa direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici.
Con riguardo alla questione di costituzionalità (sent. 168/99) la corte — pur sottolineando la diversità tra il potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili (con carattere di stabilità), che l'art. 18, 3° com ma, 1. 157/92 riserva allo Stato, ed il potere di derogarvi in via transito ria ed eccezionale — esclude che quest'ultimo possa essere regolato at traverso singole leggi regionali, in assenza di una normativa statale ido nea a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme ed adeguato livello di salvaguardia. Da notare come, almeno in due casi, lo Stato non ha esercitato il proprio potere di rinvio e di successiva impugnazio ne della legge riapprovata davanti alla Corte costituzionale nei confron ti di regioni le quali hanno approvato leggi recanti la disciplina delle
deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 79/409/Cee (v. 1. reg. Lombar dia 30 agosto 1997 n. 34, e 1. reg. Toscana 21 agosto 1997 n. 70). Stante la decisione della corte, queste leggi dovrebbero quindi ritenersi
incostituzionali, anche se ad oggi regolarmente vigenti, dal momento che la corte non ha ritenuto di ricorrere alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale conseguenziale di cui all'art. 27 1. 87/53.
Sulla base di ragioni analoghe a quelle poste a fondamento della di chiarazione d'incostituzionalità, la corte ha ritenuto legittimo l'annulla mento delle delibere della giunta regionale veneta da parte della com missione statale di controllo (massima 2), mentre l'annullamento del d.p.c.m. 27 settembre 1997 (massima 1) è stato dichiarato perché que sto non rispondeva ai presupposti ed alle modalità richieste dall'ordina mento per un intervento statale su materie di competenza regionale, sia che lo stesso fosse stato considerato atto di natura regolamentare, sia che fosse ritenuto atto di indirizzo e coordinamento.
Nei ricorsi, decisi con le sentenze 169 e 168/99 e nelle deduzioni delle parti costituite si faceva ampio riferimento, in vario senso, a Corte cost., ord. 22 luglio 1996, n. 272, Foro it., 1996, I, 3572, con nota di richia mi, la quale ha affermato che i divieti posti dalla direttiva comunitaria 79/409/Cee in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica soltanto nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie me desime, potere che l'art. 18, 3° comma, 1. 157/92 riserva allo Stato, precisando che la soluzione trova sostegno anche nella giurisprudenza della stessa corte, secondo cui l'individuazione delle specie cacciabili costituisce un interesse unitario nazionale, la cui tutela spetta allo Stato ed a fronte del quale alle regioni va riconosciuta la facoltà di modifica re l'elenco delle specie medesime soltanto nel senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia.
Sull'applicazione della direttiva comunitaria 79/409/Cee, v. Cass. 23 gennaio 1998, Lazzarotto, id., Rep. 1998, voce Caccia, n. 34; Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-118/94, id., Rep. 1996, voce Unione euro pea, nn. 1497-1499, commentata da Brambilla, in Riv. giur. ambiente, 1996, 643, la quale ha affermato che l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee consente agli Stati membri di derogare al divieto generale di cacciare le specie protette solo nel caso in cui non esista un'altra soluzione sod
II Foro Italiano — 1999.
sono tenute, nella circostanza, ad indicare (art. 2). Nell'estende
re (art. 3) la disciplina delle condizioni e modalità di applicazio ne delle deroghe anche all'ipotesi della cattura per la cessione
a fini di richiamo, di cui all'art. 4, 4° comma, 1. 11 febbraio 1992 n. 157, il decreto individua nell'istituto nazionale per la
fauna selvatica l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni
stabilite ai sensi degli art. 2 e 3 sono realizzate (art. 4). 1.1. - La regione Veneto propone conflitto in relazione, altre
sì, alle determinazioni (20 ottobre 1997, nn. 3242, 3243) con
cui la commissione di controllo sugli atti della stessa regione ha annullato le delibere della giunta regionale 7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402, che avevano provveduto ad applicare le dero
ghe al regime delle specie cacciabili, per il periodo 11 ottobre-31
dicembre 1997.
2. - Le regioni, seguendo un iter argomentativo in larga parte
comune, assumono che il decreto presidenziale sopra menziona
to, nel disciplinare le modalità di esercizio delle deroghe in que
stione, sia invasivo della loro sfera di attribuzione, perché non
terrebbe conto dell'ambito delle competenze ad esse spettanti in materia sia di caccia sia di attuazione delle direttive comu
nitarie.
2.1. - Le ricorrenti rivendicano le attribuzioni ad esse costitu
zionalmente spettanti, quali è dato desumere dagli art. 117 e
118 nonché, secondo taluna delle ricorrenti, dall'art. 97 (regio ne Lombardia) e dall'art. 125 Cost, (regione Emilia-Romagna). A ulteriore supporto delle competenze ad esse spettanti, le ri
correnti stesse evocano, inoltre, con varietà di richiami, non
del tutto coincidenti, un quadro normativo rappresentato essen
zialmente dall'art. 99 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, e dagli art.
1 e 2 d.leg. 4 giugno 1997 n. 143, deducendone, da un lato, che il governo non aveva il potere di provvedere in materia di
competenza regionale quale la caccia, e, dall'altro, che non so
disfacente, in secondo luogo per uno dei motivi tassativamente elencati
dall'articolo, infine in presenza dei requisiti di forma previsti al fine di limitare le deroghe allo stretto necessario e permettere la vigilanza da parte della commissione e che in materia di conservazione degli uc celli selvatici, i criteri in base ai quali gli Stati membri possono deroga re ai divieti sanciti dalla direttiva stessa devono essere riprodotti in di
sposizioni nazionali precise, in modo completo, chiaro e inequivoco, per rispondere alle esigenze di protezione risultanti dalla direttiva e al
principio di certezza del diritto; Tar Veneto 2 aprile 1985, n. 273, Foro it., Rep. 1985, voce Caccia, n. 14, secondo cui le norme internazionali in materia di caccia sono intrinsecamente prive di efficacia precettiva, in quanto la loro applicazione postula l'emanazione, da parte del legis latore statale, di altre norme che delimitino in concreto la sfera delle
deroghe da esse consentite e fissino in concreto l'elenco delle specie cacciabili.
Nel senso che il potere riconosciuto alle regioni dall'art. 12 1. 27 di cembre 1977 n. 968 di apportare, con propri atti, variazioni all'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 11 stessa legge, deve intendersi nel senso che le regioni possono solo impedire l'inseguimento e la cattura di singole specie animali nella salvaguardia della loro vita e libertà, non anche del loro riposo o della loro quiete, v. Pret. Bologna 1° mar zo 1989, id., 1989, I, 3252, con nota di richiami.
Per un conflitto di attribuzione tra enti sollevato in ordine alla modi ficazione dell'elenco delle specie cacciabili, di cui all'art. 18 1. 157/92, v. Corte cost. 17 luglio 1998, n. 277, id., 1999, I, 436, con nota di richiami, che ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto l'atto im pugnato rappresentava una mera esecuzione di precedente legge. In or dine alla disciplina regionale dei periodi venatori, v. pure Corte cost. 24 luglio 1998, n. 323, id., 1998, I, 2614, con nota di richiami, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 49, 1° comma, lett. b), 1. reg. Sar
degna riapprovata dal consiglio regionale il 16 dicembre 1996, nella
parte in cui prolungava fino all'ultimo giorno di febbraio il periodo di caccia per alcune specie di uccelli (colombaccio, beccaccia, beccacci no, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, cesena, storno, marzaiola, alzavola, pavoncella), in relazione all'art. 18 1. 157/92 che, nell'autoriz zare le regioni a disciplinare in modo difforme i periodi di caccia, preci sa che i termini devono comunque essere contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio.
In ordine all'adeguamento ed al rispetto della normativa comunitaria da parte delle regioni ordinarie, v. Corte cost. 23 marzo 1999, n. 85, id., 1999, I, 1378, con nota di richiami e osservazioni di A. Barone, che ha dichiarato l'incostituzionalità della 1. reg. Abruzzo riapprovata I'll giugno 1997 concernente il riconoscimento di contributi alle coope rative di produzione del pescato.
Sul potere statale di indirizzo e coordinamento dell'attività regionale e sulle condizioni formali e sostanziali del suo legittimo esercizio, v. Corte cost. 5 novembre 1996, n. 381, id., 1997, I, 3516, con nota di richiami. [R. Romboli]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sistevano, comunque, i presupposti legali perché alle ammini
strazioni regionali fossero imposte, attraverso l'intesa con due
ministri, posizioni di codecisione governativa su funzioni di com
petenza regionale ed attinenti a scelte necessariamente puntuali.
Quanto poi alle competenze attuative dell'ordinamento co
munitario, a livello legislativo od amministrativo, le regioni si
appellano, per lo più, alle attribuzioni ad esse riservate, oltre
che dall'art. 6 del predetto d.p.r. n. 616 del 1977, dagli art.
4 e 9 1. 9 marzo 1989 n. 86, e dall'art. 1, 3° comma, 1. 11
febbraio 1992 n. 157.
2.2. - Secondo le ricorrenti la lesione delle attribuzioni regio nali sarebbe ulteriormente avvalorata — oltre che dall'impossi bilità di rinvenire, nell'art. 18, 3° comma, 1. 11 febbraio 1992
n. 157, ovvero in esigenze di tutela di interessi unitari, il fonda
mento della potestà che lo Stato ha preteso di esercitare dall'u
tilizzo di uno strumento extra ordinem quale si appalesa il cen
surato decreto presidenziale, che, anche con riguardo ai conte
nuti, non troverebbe giustificazione né come espressione della
funzione di indirizzo e coordinamento né come manifestazione
di potere regolamentare. 2.3. - Quanto alla potestà regolamentare, secondo taluni dei
ricorsi, il decreto sarebbe in contrasto:
con l'art. 17, 3° comma, 1. 23 agosto 1988 n. 400, che circo
scrive la potestà stessa alle sole materie di competenza del mini
stro (partic. regione Umbria); con le norme della 1. 9 marzo 1989 n. 86 (in particolare, art.
4, 6 e 9), che consentono l'attuazione delle direttive attraverso
10 strumento regolamentare solo quando ciò sia previsto dalla
legge comunitaria per l'anno di riferimento, fermo comunque 11 rispetto delle procedure di cui al predetto art. 17 1. n. 400
del 1988; con l'art. 2, 3° comma, d.leg. 28 agosto 1997 n. 281, che
prevede il parere obbligatorio della conferenza Stato-regioni su
gli schemi di regolamento del governo nelle materie di compe tenza delle regioni e delle province autonome (partic. regione
Umbria). 2.4. - In ordine, poi, alla funzione di indirizzo e coordina
mento, a parte il difetto di base legale sostanziale, viene denun
ciata la carenza dei requisiti di forma prescritti dalla normativa
vigente. Sotto questo aspetto, dall'insieme dei ricorsi, è dato
desumere il riferimento:
alla deliberazione del consiglio dei ministri, prevista, tra l'al
tro, dall'art. 9, 6° comma, 1. n. 86 del 1989 (partic. regione Toscana e Lombardia);
all'intesa con la conferenza Stato-regioni, alla luce, principal
mente, delle previsioni dell'art. 8 1. 15 marzo 1997 n. 59 e del
l'art. 2, 1° comma, d.leg. 4 giugno 1997 n. 143 (partic. regione
Lombardia). 2.5. - Sulla scorta degli accennati motivi le ricorrenti regioni
chiedono, pertanto, che questa corte dichiari non spettare allo
Stato l'emanazione dell'impugnato decreto presidenziale, solle
citandone l'annullamento in toto e, secondo le conclusive ri
chieste di taluno dei ricorsi (Emilia-Romagna), anche con speci fico riguardo agli art. 2, 3 e 4.
In subordine la regione Lombardia chiede, altresì, che si di
chiari spettare ad essa il potere di individuare le modalità con
crete di attuazione delle deroghe. 2.6. - Quanto, poi, alle due determinazioni (10 ottobre 1997,
nn. 3242, 3243) con cui la commissione di controllo ha annulla
to le delibere della giunta regionale del Veneto (7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402), concernenti le deroghe ai divieti di caccia per il periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997, la regione ricorrente,
oltre a lamentare la lesione delle proprie attribuzioni nei termini
in precedenza ricordati, deduce specificamente che le concrete
ipotesi di deroga possono essere definite attraverso provvedi menti amministrativi, con la conseguenza che la competenza,
alla stregua del disposto degli art. 6 e 99 d.p.r. n. 616 del 1977,
non potrebbe non essere regionale. 3. - In via pregiudiziale va disposta la riunione dei giudizi,
che, avendo, infatti, ad oggetto questioni in parte identiche e
in parte connesse, possono essere decisi con un'unica sentenza.
4. - Sempre in via pregiudiziale, quanto al ricorso proposto
dalla regione Umbria (reg. confi, n. 3 del 1998), va dichiarata inammissibile la costituzione del presidente del consiglio, avve
nuta oltre il termine prescritto (art. 25 e 41 1. 11 marzo 1953
n. 87, nonché art. 27 delle norme integrative 16 marzo 1956).
Il Foro Italiano — 1999.
5. - Nel merito i ricorsi proposti dalle regioni avverso il de
creto presidenziale in epigrafe indicato sono fondati.
6. - I problemi posti dai ricorsi stessi esigono, in vista della
delimitazione della sfera di attribuzione propria di ciascuna del
le parti in causa, una breve ricognizione del contesto normativo
di riferimento, quale si desume, in particolare, dalla 1. 11 feb
braio 1992 n. 157, il cui art. 18, 3° comma, risulta posto a
fondamento dell'impugnato decreto. Tale legge, nel dettare nuove
norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, ha espressamente disposto (art. 1, 4° com
ma) l'integrale recepimento ed attuazione, «nei modi e nei ter
mini previsti» dalla medesima, delle direttive comunitarie con
cernenti la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/Cee del
2 aprile 1979, 85/411/Cee del 25 luglio 1985, e 91/244/Cee del 6 marzo 1991), con i relativi allegati.
Appare da ciò chiaro l'intento del legislatore nazionale di ade
guare all'ordinamento comunitario un quadro di disciplina che, come risulta già dalla sentenza di questa corte n. 1002 del 1988
(Foro it., 1989, I, 3074), si è venuto componendo nel tempo sulla base di principi, riconfermati dalla più recente normativa, che sono quelli dell'appartenenza della fauna selvatica al patri monio indisponibile dello Stato (art. 1, 1° comma, citata leg
ge); dell'affievolimento del tradizionale «diritto di caccia», che
viene subordinato all'istanza prevalente della conservazione del
patrimonio faunistico e della salvaguardia della produzione agri cola (art. 1, 2° comma); della previsione, infine, di un regime di caccia programmata per tutto il territorio nazionale (art. 14), cui fa riscontro, come si desume anche dal menzionato art. 18, 3° comma, la puntuale indicazione delle specie cacciabili in un
apposito elenco; elenco suscettibile, peraltro, di modifica, attra
verso decreti emanati dal presidente del consiglio dei ministri, al fine di realizzare la costante consonanza tra ordinamento na
zionale e disciplina comunitaria e internazionale (v. sentenza
n. 277 del 1998, id., 1999, I, 436). 7. - Nell'ambito del descritto sistema, ispirato alla preminen
te finalità della tutela della fauna, i ricorsi sollevano il proble ma della spettanza del potere di apportare le deroghe previste dall'art. 9, par. 1, lett. e), della direttiva 79/409/Cee, al genera le regime protettivo degli uccelli selvatici ivi stabilito.
8. - Questa corte, con la sentenza n. 272 del 1996 {id., 1996,
I, 3572), esaminando il problema dei limiti in cui la disposizio ne comunitaria concernente le deroghe possa reputarsi imme
diatamente efficace nell'ordinamento interno, ha ritenuto che
essa sia da considerare operativa solo nel senso di legittimare le autorità nazionali ad adottare, ove lo ritengano, provvedi menti che consentano di superare i divieti della direttiva, verifi
cando che ricorrano le situazioni ipotizzate e apprestando speci fiche misure comportanti, in armonia con le indicazioni della
giurisprudenza comunitaria, un circostanziato riferimento agli elementi di cui ai par. 1 e 2 della disposizione stessa. Inoltre,
quanto al potere di variazione dell'elenco delle specie cacciabili, affidato al presidente del consiglio dei ministri dall'art. 18, 3°
comma, 1. n. 157 del 1992, la sentenza medesima ha ribadito
il principio, accolto in precedenza dalla giurisprudenza costitu
zionale, secondo il quale, in considerazione del carattere di nor
me di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni pro tettive della fauna selvatica, nonché del carattere unitario degli interessi ad esse sottostanti, è data, attualmente, alle regioni la facoltà di modificare detto elenco soltanto in senso ulterior
mente limitativo, e non estensivo, delle eccezioni al divieto ge nerale di caccia (sentenze n. 577 del 1990, id., 1991, I, 382, e n. 1002 del 1988, cit.).
9. - Ciò premesso, può osservarsi, venendo così al merito
delle censure, che le attribuzioni che incontestabilmente spetta no alle regioni, in tema di caccia, non consentono, anche a te
ner conto dell'ulteriore trasferimento di competenze operato in
loro favore dal d.leg. 4 giugno 1997 n. 143, il disconoscimento
delle competenze che, in materia di tutela della fauna selvatica,
restano, comunque, affidate allo Stato e che sono tali da river
berarsi, come questa corte ha avuto occasione di affermare, an
che sulla disciplina delle modalità della caccia stessa, nei limiti
in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvi venza e la riproduzione delle specie selvatiche (sentenza n. 323
del 1998, id., 1998, I, 2614). Ciò non significa, però, che lo Stato sia legittimato ad intervenire sulla base di presupposti e
secondo modalità che non siano quelli richiesti dall'ordinamen
to. Ed è proprio alla luce dei principi che lo Stato è tenuto
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2455 PARTE PRIMA 2456
ad osservare che il decreto presidenziale impugnato va reputato
illegittimo, vuoi a considerarlo un atto di natura regolamentare vuoi a reputarlo un atto di indirizzo e coordinamento.
10. - Sotto il primo profilo occorre rammentare, anzitutto, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale i regolamenti, governativi o ministeriali, non sono in via di prin
cipio legittimati a disciplinare, in ragione della distribuzione delle
competenze normative fra Stato e regioni di cui all'art. 117 Cost., le materie di spettanza regionale.
Tuttavia questa corte non ignora (v. anche sentenza n. 278
del 1993, id., 1994, I, 2659), come, negli anni più recenti, il legislatore abbia provveduto ad ampliare la possibilità di ricor
so a discipline dettate da fonti normative di rango non legislati
vo, alla stregua di orientamenti di carattere generale che hanno
trovato specifico accoglimento anche in materia di recepimento e di attuazione dell'ordinamento comunitario, con riguardo se
gnatamente all'espressa e condizionante disciplina della 1. 9 marzo
1989 n. 86, circa casi e modalità per l'esercizio del potere rego lamentare (art. 4).
Senza che occorra qui affrontare la problematica posta dalle
regole che, come sopra accennato, riguardano il rapporto fra
fonti statali e fonti regionali, è sufficiente considerare che tale
disciplina avrebbe, in ogni caso, richiesto un procedimento di
verso da quello seguito, secondo quanto specificato nel 4° e
5° comma dell'art. 4 della menzionata legge (e cioè, in partico
lare, deliberazione collegiale del governo, parere delle compe tenti commissioni parlamentari, ove richiesto dalla legge comu
nitaria, e parere del Consiglio di Stato); ciò a tacere della più recente previsione dell'art. 2, 3° comma, d.leg. n. 281 del 1997, il quale esige che la conferenza Stato-regioni sia obbligatoria mente sentita «sugli schemi di regolamento nelle materie di com
petenza regionale». Decisivo è, poi, il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della
potestà regolamentare in assenza del necessario supporto legis
lativo, considerato che l'opzione a favore della soluzione rego lamentare deve essere, in base al predetto art. 4 1. n. 86 del
1989, espressamente indicata nella legge comunitaria. Il che non
si riscontra nel caso del provvedimento in esame, che, tra l'al
tro, non può rinvenire la sua base legale nemmeno nell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992, pur richiamato nelle premesse, dovendosi tener distinto, così come esattamente avvertono le
ricorrenti, il potere di modifica degli elenchi, da tale disposizio ne disciplinato, dal potere di deroga di cui all'art. 9, par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria; potere che, in effetti, la 1.
n. 157 del 1992, nonostante l'avvenuto recepimento della diret
tiva comunitaria (art. 1, 4° comma), non ha in alcun modo
disciplinato. A tale esigenza di distinzione non contraddice la sentenza di
questa corte n. 272 del 1996, cit., che, benché invocata in senso
antitetico da quasi tutte le parti in causa a sostegno delle pro
prie ragioni, si è soffermata sul potere di variazione, riservato allo Stato dal predetto art. 18, quale strumento per recepire, come risulta dalla disposizione stessa, i nuovi elenchi delle spe cie cacciabili, a seguito dell'avvenuta approvazione comunitaria o dell'entrata in vigore delle convenzioni internazionali sotto
scritte dall'Italia, ma in nessun modo ha asserito che detto po tere possa reputarsi espressivo anche di quello attinente alla di
sciplina delle deroghe, sì da legittimare il provvedimento ogget to della presente impugnativa.
11. - Non diverse appaiono le conclusioni, ove si riconduca
l'atto contestato alla funzione di indirizzo e coordinamento, nel
cui esercizio il governo è tenuto, del pari, a soddisfare precisi
requisiti di forma e di sostanza: di forma, dovendo la stessa
funzione essere svolta per mezzo di una delibera del consiglio dei ministri, adottata previa intesa con la conferenza Stato
regioni, secondo le regole oggi desumibili dall'art. 8 1. 15 marzo
1997 n. 59 (nel testo risultante dalla sentenza di questa corte
n. 408 del 1998); di sostanza, attesa la necessità di un idoneo
fondamento legislativo, consistente nella previa determinazione
con legge dei principi ai quali il governo deve attenersi.
12. - Peraltro, le esposte considerazioni, dalle quali discende
l'illegittimità del censurato decreto presidenziale, non conduco no a ritenere fondata la pretesa della regione Veneto, nella par te in cui, impugnando le determinazioni negative dell'organo statale di controllo sulle delibere adottate dalla giunta, rivendi
ca sostanzialmente per sé la facoltà di applicare la deroga, per di più attraverso provvedimenti di carattere amministrativo.
Il Foro Italiano — 1999.
Poiché, come appare del resto condiviso dalle regioni ricor
renti, la 1. 11 febbraio 1992 n. 157, pur avendo recepito espres samente (art. 1, 4° comma) la direttiva comunitaria, non ha
in alcun modo disciplinato la facoltà di deroga prevista dall'art.
9, par. 1, lett. c), ne discende necessariamente la conclusione
che l'assetto attualmente dato alla materia dalla legislazione na
zionale è, per questo aspetto, da reputare — anche in conside
razione del carattere meramente facoltativo dell'attivazione del
le deroghe — di per sé compiuto, con la sola previsione del
potere di variazione degli elenchi attraverso i quali si provvede all'individuazione delle specie cacciabili. Non è, d'altro canto, da ritenere che, in tale situazione, le regioni possano provvede re ad attivare autonomamente le deroghe, in quanto l'esercizio
di un siffatto potere si rifletterebbe sulla tutela minima delle
specie protette, il cui nucleo viene identificato dallo Stato sia
con la legge sia con i successivi atti, adottati nell'esercizio del
potere di variazione previsto dall'art. 18, 3° comma, potere
espressamente annoverato, di recente, dal legislatore (art. 69, 1° comma, lett. i, d.leg. 31 marzo 1998 n. 112), fra i «compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente» (in tal senso
v. anche sentenza n. 168 del 1999, in epigrafe). Tale nucleo,
nell'impedire alle regioni di estendere la portata delle eccezioni
al divieto generale di caccia, non può venire, infatti, ricostruito — come questa corte ha avuto cura di precisare e come è il
caso qui di ribadire — sulla sola base di una generica compati bilità tra la regola del divieto di caccia e un determinato nume
ro di eccezioni (sentenza n. 577 del 1990, cit.). Esso va, in realtà, visto come la risultante di una serie di
opzioni qualitative concernenti le singole specie animali caccia
bili e non cacciabili, che non può essere incisa e alterata da
contrastanti scelte degli enti territoriali, anche ad autonomia spe
ciale, se non a condizione di creare situazioni di incertezza sul
l'estensione della stessa sfera protetta come interesse unitario
(sentenza n. 577 del 1990 già citata). E questo senza che venga a configurarsi un inadempimento degli obblighi derivanti dal
l'ordinamento comunitario, riscontrandosi, nella specie, non esi
genze di adeguamento ai vincoli da esso positivamente stabiliti, bensì soltanto il mancato esercizio di una facoltà che consenti
rebbe, attivando la deroga, il parziale esonero dall'osservanza
degli stessi vincoli.
13. - Al di là della specifica prospettiva, dalla quale muovono
le ricorrenti, e cioè quella delle loro competenze in materia di
caccia, si deve inoltre considerare che, a tener presenti le varie
situazioni che, secondo la direttiva comunitaria, autorizzano il
ricorso allo strumento della deroga, si evince una varietà di in
teressi che appaiono, per lo più, di pertinenza dello Stato. In
questa prospettiva anche la stessa locuzione della lett. c), là do
ve richiama l'esigenza di «consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri
impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità», par rebbe, invero, far riferimento a ipotesi che non appaiono com
piutamente identificabili con l'attività venatoria.
La molteplicità di interessi ed esigenze che vengono in rilievo
dimostra, dunque, che si tratta di regole che spetta in primis allo Stato di dettare, sia perché titolare degli interessi preminen ti nella stessa gerarchia desumibile dall'art. 9 della direttiva sia
per evidenti esigenze di uniformità di assetto e di organicità del sistema, che non tollererebbero, come è evidente, la parcel lizzazione di interventi affidati totalmente alle regioni.
14. - In conclusione, posto che la disposizione dell'art. 9,
par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria richiede, per la con
creta attuazione nell'ordinamento interno, una legge nazionale
che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo e
che non sono certamente soltanto quelli connessi all'esercizio
venatorio, la regione Veneto non ha motivo di dolersi, quanto alla pretesa lesione della propria sfera di attribuzioni, dell'avve
nuto annullamento, da parte della commissione di controllo su
gli atti della regione, dei provvedimenti con i quali la giunta aveva provveduto a disciplinare in via amministrativa le dero
ghe in tema di specie cacciabili per il periodo 11 ottobre-31 di cembre 1997.
15. - L'istanza cautelare avanzata dalla regione Lombardia
rimane assorbita dalla presente decisione di merito.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara che:
— non spetta allo Stato disciplinare con il d.p.c.m. 27 set
tembre 1997 le modalità di esercizio delle deroghe di cui all'art.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
9, par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria 79/409/Cee, con cernente la conservazione degli uccelli selvatici, e di conseguen za annulla detto decreto;
— spetta allo Stato, e per esso alla commissione di controllo
sugli atti della regione Veneto, annullare le delibere della giunta regionale 7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402, aventi ad oggetto l'ap plicazione delle deroghe al regime delle specie cacciabili per il
periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997.
II
Diritto. — 1. - Con tre distinti ricorsi del presidente del con
siglio dei ministri, il governo ha sollevato in via principale que stione di legittimità costituzionale di altrettante delibere legisla tive regionali. I dubbi di costituzionalità investono la legge del
la regione Liguria recante «norme per l'applicazione delle deroghe
previste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata il
30 settembre 1997; la legge della regione Umbria recante «disci
plina delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee
concernente la conservazione degli uccelli selvatici», riapprova ta il 17 novembre 1997; la legge della regione Veneto recante
«applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della di
rettiva 79/409/Cee», riapprovata il 5 marzo 1998.
Le questioni di legittimità costituzionale delle tre delibere le
gislative, riapprovate, a seguito di rinvio governativo, dai consi
gli regionali a maggioranza assoluta nell'identico testo rinviato,
vengono sollevate per contrasto con l'art. 117 Cost., in riferi
mento all'art. 18 1. 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la prote zione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venato
rio), in relazione all'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, giacché le disposizioni assunte a parametro riserverebbero allo Stato la
disciplina del potere di deroga previsto dall'art. 9 della diretti
va, come si desumerebbe anche dalla sentenza della Corte costi
tuzionale n. 272 del 1996 (Foro it., 1996, I, 3572), secondo la
quale «i divieti posti dalla direttiva in tema di specie cacciabili
sono suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di varia zione degli elenchi delle specie medesime, riservato allo Stato
dall'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992».
Ciò troverebbe conferma nel d.leg. 4 giugno 1997 n. 143 (con ferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia
di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'amministrazione
centrale), che all'art. 1 trasferisce alle regioni le funzioni ammi
nistrative in materia di caccia prima esercitate dal soppresso ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ma —
all'art. 2, 2° comma — riserva al ministero per le politiche agri cole (istituito dallo stesso art. 2) i compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale in materia di specie cacciabili ai
sensi dell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992. Ad avviso del
ricorrente, inoltre, le deroghe di cui si tratta possono essere di
sposte solo per esigenze «connesse ad interessi generali di in
dubbia pertinenza statale (navigazione aerea, sicurezza pubbli
ca, ricerca scientifica)». Una ulteriore doglianza (prospettata nei confronti della deli
bera legislativa della regione Umbria con ricorso n. 78 del 1997)
riguarda l'omessa previsione, da parte del legislatore regionale, di «indispensabili misure, anche procedurali, atte a garantire che le deroghe vengano disposte dalla province solo per soddi
sfare esigenze effettive inerenti agli interessi generali tassativa
mente indicati dall'art. 9 della direttiva».
2. - I ricorsi del presidente del consiglio dei ministri hanno
tutti ad oggetto delibere legislative regionali in tema di deroghe ex art. 9 della direttiva 79/409/Cee, e prospettano censure in
gran parte comuni. I relativi giudizi possono pertanto essere
riuniti e decisi con unica sentenza.
3. - Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal
governo con i ricorsi in epigrafe sono fondate.
4. - Le delibere legislative impugnate contengono discipline in larga misura omogenee: la legge della regione Liguria recante
«norme per l'applicazione delle deroghe previste dall'art. 9 del
la direttiva 79/409/Cee», riapprovata il 30 settembre 1997, di
sciplina nel territorio della regione il prelievo in deroga, ai sensi dell'art. 9 della direttiva, riproducendo integralmente il conte
nuto normativo dello stesso art. 9, e prevedendo, ai fini dell'a
dozione del provvedimento in deroga, il previo parere dell'Isti
tuto nazionale per la fauna selvatica, competente, fra l'altro,
a stabilire il numero complessivo dei capi prelevabili per le sin
II Foro Italiano — 1999.
gole specie (art. 3, I); la legge della regione Umbria recante
«disciplina delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva
79/409/Cee concernente la conservazione degli uccelli selvati
ci», riapprovata il 17 novembre 1997, disciplina il prelievo in
deroga in parte riproducendo in parte richiamando le disposi zioni della direttiva, ed affidando alle province, sentito l'istitu to nazionale per la fauna selvatica, «l'approvazione del provve dimento di deroga»; la legge della regione Veneto recante «ap
plicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva
79/409/Cee», riapprovata il 5 marzo 1998, stabilisce che, «al
fine di prevenire e contenere i danni alle produzioni agricole», è consentito un limitato (non più di venticinque capi al giorno, da parte di ciascun cacciatore) prelievo in deroga di talune spe cie di uccelli (art. 1). La stessa delibera legislativa prevede che
«la giunta regionale — previo parere delle province, o su richie
sta delle medesime — può autorizzare, disciplinandole, ulteriori
deroghe ai sensi dell'art. 9 della direttiva 79/409/Cee» (art. 1, 2° comma).
5. - La giurisprudenza di questa corte ha in più di un'occasio
ne chiarito che la competenza statale in tema di specie cacciabili
non si esaurisce nell'individuazione di tali specie e nel potere di variazione dei relativi elenchi, a norma dell'art. 18, 3° com
ma, 1. n. 157 del 1992.
Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma
economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che
individuano le specie cacciabili, riconosciuto da una costante
giurisprudenza (sentenze n. 272 del 1996, cit.; n. 35 del 1995,
id., 1997, I, 348; n. 577 del 1990, id., 1991, I, 382; n. 1002 del 1988, id., 1989, I, 3074), questa corte ha ancora di recente
precisato che tale carattere compete anche alle «norme stretta
mente connesse con quelle che individuano le specie ammesse
al prelievo venatorio» (sentenza n. 323 del 1998, id., 1998, I,
2614). Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla
uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo
di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle
specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disci
plina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure
indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/Cee, al generale regime di protezione.
Un'interpretazione della direttiva 79/409/Cee nell'esclusiva
prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attività venato
rie altrimenti vietate sarebbe tuttavia parziale e fuorviante.
L'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, concernente la conserva
zione degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri — «sem
pre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti» — possono
derogare alle misure di protezione disposte dalla medesima di
rettiva per le seguenti ragioni: a) nell'interesse della salute e
della sicurezza pubblica; nell'interesse della sicurezza aerea; per
prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla
pesca e alle acque; per la protezione della flora e della fauna;
b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali
operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente control
late e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
Si tratta di un potere di deroga esercitabile in via eccezionale
per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in
generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici apparte nenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizio
ni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9, punto 1, e secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello
stesso art. 9.
Gli interessi a garanzia dei quali l'art. 9 consente di adottare
i provvedimenti di deroga — alcuni dei quali di indubbia perti nenza statale: sicurezza aerea, sicurezza pubblica — possono essere soddisfatti anche attraverso misure diverse dall'eccezio
nale autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti
protette. In materia di protezione della fauna selvatica, d'altro canto,
l'ordinamento prevede un ruolo non marginale delle regioni che
ulteriormente dimostra l'erroneità di un totale esaurimento del
la tematica di cui si tratta nella prospettiva venatoria.
L'art. 19, 2° comma, 1. n. 157 del 1992, prevede infatti che
le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,
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2459 PARTE PRIMA 2460
per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione bio
logica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la tute
la delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al
controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate
alla caccia. La disposizione specifica che tale controllo, eserci
tato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo
di metodi ecologici, su parere dell'istituto nazionale della fauna
selvatica. Qualora l'istituto verifichi l'inefficacia dei predetti me
todi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento desti
nati ad essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle
amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì av
valersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio vena
torio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali
munite di licenza per l'esercizio venatorio.
Le deroghe al regime di protezione introdotto dalla direttiva
79/409/Cee configurano — come sottolineano anche le regioni resistenti — un potere eterogeneo rispetto alla competenza attri
buita al presidente del consiglio dei ministri in materia di varia
zione degli elenchi delle specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992. Quest'ultima disposizione preve de l'adozione, con decreto del presidente del consiglio dei mini
stri, di provvedimenti diretti a modificare in modo tendenzial
mente stabile — nei limiti imposti o consentiti dalla normativa
internazionale e comunitaria (da ultimo, v. la sentenza n. 277
del 1998, id., 1999, I, 436) — gli elenchi delle specie cacciabili.
Si tratta di provvedimenti in linea di principio destinati a spie
gare efficacia su tutto il territorio nazionale e volti piuttosto a restringere, anche «tenendo conto della consistenza delle sin
gole specie sul territorio», il novero delle specie che alla stregua della normativa internazionale e comunitaria possono essere am
messe al prelievo venatorio. Diversamente dalle deroghe ex art.
9 della direttiva 79/409/Cee, i decreti emanati a norma dell'art.
18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992 appaiono inidonei a consentire
in via eccezionale o derogatoria l'abbattimento o la cattura del
le specie protette dalla direttiva, alle condizioni e per le finalità
da quest'ultima indicate.
Nondimeno, non può essere condiviso l'assunto delle regioni
resistenti, che basano la propria rivendicazione di competenza — a disciplinare legislativamente il potere di deroga in questio
ne, e ad esercitarlo in via amministrativa — sulla non assimila
bilità del potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva comu
nitaria al potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabi
li e sulla natura solo formale del recepimento, da parte del
legislatore statale (con l'art. 1, 4° comma, 1. n. 157 del 1992), dell'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, interpretato come autoap
plicativo. Occorre ancora ribadire che l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee
contiene una disciplina volta (più che a regolare l'attività vena
toria) a consentire deroghe al regime di protezione della fauna
selvatica previsto dalla medesima direttiva, per la salvaguardia di interessi generali. L'esercizio di tale potere di deroga può incidere sul nucleo minimo di protezione della fauna selvatica
e non può quindi prescindere da una previa disciplina di carat
tere nazionale, secondo i principi costantemente accolti dalla
giurisprudenza di questa corte.
La disciplina del potere di deroga — che secondo la Corte
di giustizia delle Comunità europee (sentenza 15 marzo 1990, causa 339/87) deve tradursi in norme nazionali precise («i crite
ri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti
sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise») — può, e non già deve, trattandosi di una
facoltà, trovare attuazione nel nostro ordinamento, come chia
risce anche la sentenza di questa corte, pronunciata in pari da
ta, che ha definito i conflitti nn. 56 e 61 del 1997 e nn. 2, 3 e 5 del 1998, attraverso una normativa nazionale di recepi mento — non rintracciabile nella 1. n. 157 del 1992 — idonea
a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme e ade
guato livello di salvaguardia. In questo senso deve interpretarsi anche l'art. 69, 1° comma,
lett. b), d.leg. 31 marzo 1998 n. 112 (conferimento di funzioni
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti lo
cali, in attuazione del capo 11. 15 marzo 1997 n. 59), che anno
vera tra i compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambien
te, ai sensi dell'art. 1, 4° comma, lett. c), 1. 15 marzo 1997 n. 59 — accanto a quelli relativi alle variazioni degli elenchi
delle specie cacciabili — quelli attinenti alla «tutela . . . della
Il Foro Italiano — 1999.
fauna e della flora specificamente protette da accordi e conven
zioni e dalla normativa comunitaria».
Rimane assorbita ogni ulteriore censura.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione
Liguria recante «norme per l'applicazione delle deroghe previ ste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata, a segui to di rinvio governativo, dal consiglio regionale della Liguria il 30 settembre 1997;
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione Umbria recante «disciplina delle deroghe previste dall'art. 9 della
direttiva 79/409/Cee concernente la conservazione degli uccelli
selvatici», riapprovata, a seguito di rinvio governativo, dal con
siglio regionale dell'Umbria il 17 novembre 1997; dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione
Veneto recante «applicazione del regime di deroga previsto dal
l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata, a seguito di
rinvio governativo, dal consiglio regionale del Veneto il 5 mar
zo 1998.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 maggio 1999, n. 155
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Regione Sicilia (Avv. Ca
staldi, Torre) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiu
mara). Conflitto di attribuzione.
Sicilia — Agricoltura — Produzione di vini di qualità — Reim
pianto di vigneti — Conflitto tra enti — Atto privo di lesività — Inammissibilità (Cost., art. 3, 97; r.d. 15 maggio 1946 n.
455, statuto della regione siciliana, art. 14, 20; d.leg. 7 mag
gio 1948 n. 789, esercizio nella regione siciliana delle attribu
zioni del ministero dell'agricoltura e delle foreste).
È inammissibile, in quanto l'atto impugnato è privo del caratte
re di lesività delle competenze regionali, il ricorso della regio ne Sicilia nei confronti degli art. 2 e 3 d.m. risorse agricole, alimentari e forestali 29 gennaio 1997, relativo al trasferimen to del diritto di reimpianto di vigneti verso superfici destinate alla produzione di vini di qualità prodotti in regioni determi
nate (v.q.p.r.d.). (1)
(1) La corte rileva come il contenuto precettivo delle disposizioni im
pugnate non può essere inteso come inibente o limitativo delle compe tenze legislative e amministrative spettanti in materia alle regioni o alle
province autonome. Il d.m. impugnato ha sostituito un precedente decreto che era stato
annullato da Corte cost. 25 maggio 1989, n. 284, Foro it., 1990, I, 2448, con nota di richiami, commentata da Panebianco, in Giur. co st it., 1989, I, 1317, la quale aveva dichiarato non spettare allo Stato
disciplinare mediante decreto ministeriale (anziché con legge) le condi zioni secondo le quali deve avvenire il trasferimento del diritto di reim
pianto di viti, i contenuti dell'atto di compravendita ed il luogo dove deve avvenire la trascrizione dell'atto e vietare qualsiasi autorizzazione di nuovi impianti di viti, previsti per le superfici a denominazione di
origine controllata a norma dell'art. 6 del regolamento Cee 822/87, a favore di chi abbia ceduto il diritto di reimpianto, annullando di con
seguenza gli art. 1, 3 e 5 d.m. agricoltura 12 ottobre 1988 n. 469. Nel senso che spetta alla regione la competenza ad autorizzare l'im
pianto e il reimpianto di viti, per cui, conseguentemente, ad essa deve riconoscersi anche il potere di irrogare sanzioni amministrative, acce dendo la competenza sanzionatoria a quella sostanziale, v. Corte cost. 21 marzo 1996, n. 85, Foro it., 1997, I, 1667, con nota di richiami, che ha dichiarato non spettare allo Stato, e per esso al ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, irrogare le sanzioni amministrati ve previste dall'art. 4, 3° comma, d.l. 7 settembre 1987 n. 370, conver tito, con modificazioni, in 1. 4 novembre 1987 n. 460, relativamente
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