+ All Categories
Home > Documents > sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres....

sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: trinhlien
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
7
sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani, Manzi), Emilia-Romagna (Avv. Falcon, Manzi), Umbria (Avv. Pedetta), Lombardia (Avv. Caravita di Toritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri). Conflitto di attribuzione Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2449/2450-2459/2460 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193610 . Accessed: 25/06/2014 10:32 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20);Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani, Manzi),Emilia-Romagna (Avv. Falcon, Manzi), Umbria (Avv. Pedetta), Lombardia (Avv. Caravita diToritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2449/2450-2459/2460Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193610 .

Accessed: 25/06/2014 10:32

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

esecuzione la 1. 4 ottobre 1966 n. 876, sulla riduzione dei casi

di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di citta dinanza plurima).

Ma per coloro che si trovano in posizione di apolidìa, un

conflitto di tal genere non è ipotizzabile per definizione. È per

questo che le norme internazionali, rimettendo la disciplina del

la condizione giuridica degli apolidi alle legislazioni nazionali

nel rispetto di una serie di diritti fondamentali (art. 2 e 12 della

convenzione di New York del 28 settembre 1954 relativa allo

status degli apolidi, cui è stata data esecuzione in Italia con

la 1. 1° febbraio 1962 n. 306), non fanno menzione alcuna di

una loro pretesa estraneità all'obbligo di prestazione del servi

zio militare, cosicché nell'esperienza del diritto di altri paesi,

pur aderenti a tale convenzione, è possibile trovare norme simi

lari a quelle del nostro ordinamento, sottoposte al presente giu dizio di costituzionalità.

Anche sotto il profilo della violazione dell'art. 10 Cost., la

questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente è

infondata.

2.3. - D'altro canto deve rilevarsi, per apprezzare la non

irragionevolezza della scelta del legislatore di estendere l'obbli

go militare agli apolidi residenti in Italia, la circostanza che essi

godono di un'ampia tutela, in tutti i campi diversi da quello della partecipazione politica, come prescritto dalla citata con

venzione di New York del 28 settembre 1954 e dall'abbondante

legislazione nazionale in materia di rapporti civili e sociali che

li riguarda, alla stessa stregua dei cittadini italiani: una legisla zione — culminata nell'affermazione di principio della piena

parità di trattamento e della piena uguaglianza di diritti tra apo lidi e cittadini italiani (art. 1, 1° comma, e 2, 1°, 2°, 3°, 4° e 5° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286) — che induce a rite

nerli parti di una comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la sottoposizione a doveri funzionali alla

sua difesa. Tale comunità di diritti e di doveri, più ampia e

comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in

senso stretto, accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi come

in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono do

veri, secondo quanto risulta dall'art. 2 Cost., là dove, parlando di diritti inviolabili dell'uomo e richiedendo l'adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l'ap

punto, dal legame stretto di cittadinanza.

Una conclusione, questa, in relazione al dovere di difesa, cui

è possibile pervenire perché e in quanto la Costituzione (art. 11 e 52, 1° comma) impone una visione degli apparati militari

dell'Italia e del servizio militare stesso non più finalizzata all'i

dea della potenza dello Stato o, come si è detto in relazione

al passato, dello «Stato di potenza», ma legata invece all'idea

della garanzia della libertà dei popoli e dell'integrità dell'ordi

namento nazionale, come risultante anche dall'art. 1 1. 24 di

cembre 1986 n. 958 (norme sul servizio militare di leva e sulla

ferma di lega prolungata) e dall'art. 1 1. 11 luglio 1978 n. 382

(norme di principio sulla disciplina militare). Realizzandosi queste condizioni, non appare privo di ragio

nevolezza richiedere agli apolidi — i quali partecipano di quella

comunità di diritti di cui si è detto in base a una scelta non

giuridicamente imposta circa lo stabilimento della propria resi

denza — l'adempimento del dovere di prestazione del servizio

militare, quale previsto dalle disposizioni legislative sottoposte

al presente giudizio di costituzionalità.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale degli art. 1, 1° com

ma, lett. e), d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237 (leva e reclutamento

obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica) e 16,

1° comma, 1. 5 febbraio 1992 n. 91 (nuove norme sulla cittadi

nanza) sollevata, in riferimento agli art. 10 e 52 Cost., dal Tri

bunale militare di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1999.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 maggio 1999, n. 169

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavtllani, Manzi), Emilia-Romagna (Avv.

Falcon, Manzi), Umbria (Avv. Pedetta), Lombardia (Avv. Cara vita di Toritto) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Sta

to Ferri). Conflitto di attribuzione.

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Caccia —

Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio — Spettanza allo Stato — Esclusione — Annullamento (Cost., art. 97, 117, 118, 125;

d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui

all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art. 6, 99; 1. 9 marzo 1989

n. 86, norme generali sulla partecipazione dell'Italia al pro cesso normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione

degli obblighi comunitari, art. 4, 9; 1. 11 febbraio 1992 n.

157, norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma

e per il prelievo venatorio, art. 1, 18; d.leg. 4 giugno 1997

n. 143, conferimento alle regioni delle funzioni amministrati

ve in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione del

l'amministrazione centrale, art. 1, 2; d.leg. 31 marzo 1998

n. 112, conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello

Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I 1. 15 marzo 1997 n. 59, art. 69).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Veneto —

Caccia — Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e

limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio — Regola mentazione da parte della regione — Annullamento — Spet tanza allo Stato (Cost., art. 117, 118; 1. 11 febbraio 1992

n. 157, art. 1, 18; d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, art. 69).

Non spetta allo Stato disciplinare con decreto del presidente del consiglio dei ministri le modalità di esercizio delle dero

ghe di cui all'art. 9, par. 1, lett. c), della direttiva comunita

ria 79/409/Cee, concernente la conservazione degli uccelli sel

vatici e, di conseguenza, va annullato il d.p.c.m. 27 settem

bre 1997. (1) Spetta allo Stato, e per esso alla commissione statale di control

lo sugli atti della regione Veneto, annullare le delibere della

giunta regionale Veneto 7 ottobre 1997, nn. 3401 e 3402, aventi

ad oggetto l'applicazione delle deroghe di cui all'art. 9 della

direttiva 79/409/Cee al regime delle specie cacciabili per il

periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997. (2)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 maggio 1999, n. 168

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Contri; Pres. cons, ministri (Avv. dello

Stato Ferri) c. Regioni Liguria, Umbria (Avv. Pedetta) e

Veneto (Avv. Caccia villani, Manzi).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Liguria, Um

bria e Veneto — Caccia — Conservazione degli uccelli selvatici — Divieti e limitazioni — Deroghe — Modalità di esercizio —

Regolamentazione da parte della regione — Incostituzionalità

(Cost., art. 117, 118; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, art. 6, 99;

1. 11 febbraio 1992 n. 157, art. 1, 18; d.leg. 4 giugno 1997 n.

143, art. 1, 2; d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, art. 69).

Sono incostituzionali la l. reg. Liguria, riapprovata, a seguito

del rinvio governativo, dal consiglio regionale ligure il 30 set

tembre 1997, la l. reg. Umbria, riapprovata, a seguito del

rinvio governativo, dal consiglio regionale umbro il 17 no

vembre 1997 e la l. reg. Veneto, riapprovata, a seguito del

rinvio governativo, dal consiglio regionale veneto il 5 marzo

1998, le quali disciplinano le deroghe previste dall'art. 9 della

direttiva 79/409/Cee concernente la conservazione degli uc

celli selvatici. (3)

(1-3) La Corte costituzionale, risolvendo il conflitto tra enti e la que stione di costituzionalità sollevata in via principale dallo Stato, affron

ta, sotto diversa angolatura, lo stesso problema concernente i limiti alla

competenza legislativa ed amministrativa regionale in tema di attuazio

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

2451 PARTE PRIMA 2452

I

Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalle re

gioni Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria e Lombar

dia, nei confronti dello Stato, concerne, in primo luogo, il

d.p.c.m. 27 settembre 1997, recante «modalità di esercizio delle

deroghe di cui all'art. 9 della direttiva comunitaria 79/409/Cee, concernente la conservazione degli uccelli selvatici», del quale viene chiesto l'annullamento e, quanto all'impugnazione della

regione Lombardia, anche la previa sospensione. La predetta direttiva, nel porre a carico degli Stati membri

della Comunità europea una serie di misure, in forma per lo

più di divieti e limitazioni (art. 5, 6, 7 e 8), ne consente, tutta

via, il superamento in presenza di motivi di interesse generale dalla stessa specificati. Dispone, infatti, l'art. 9, par. 1, che

gli Stati, «sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacen

ti», possono derogare ai precedenti articoli: a) per ragioni atti

nenti alla salute e sicurezza pubblica, alla sicurezza aerea, alla

prevenzione di danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla

pesca e alle acque, alla protezione della flora e della fauna;

b) per esigenze della ricerca, insegnamento, ripopolamento, ecc.;

c) per consentire, infine, «in condizioni rigidamente controllate

e in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità»; e ciò nel

l'osservanza, comunque, di puntuali condizioni specificate nel

par. 2.

Il censurato provvedimento presidenziale, al dichiarato fine

di «garantire l'omogeneità di applicazione della normativa co

munitaria» (art. 1, 1° comma), dispone che le deroghe di cui

alla lett. e), par. 1, del predetto art. 9 vengano adottate dalle

regioni «d'intesa con i ministri dell'ambiente e per le politiche

agricole», precisando, altresì, gli elementi che le regioni stesse

ne dell'art. 9 della direttiva comunitaria 79/409/Cee a proposito delle modalità di esercizio delle deroghe alle misure di protezione disposte dalla stessa direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici.

Con riguardo alla questione di costituzionalità (sent. 168/99) la corte — pur sottolineando la diversità tra il potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili (con carattere di stabilità), che l'art. 18, 3° com ma, 1. 157/92 riserva allo Stato, ed il potere di derogarvi in via transito ria ed eccezionale — esclude che quest'ultimo possa essere regolato at traverso singole leggi regionali, in assenza di una normativa statale ido nea a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme ed adeguato livello di salvaguardia. Da notare come, almeno in due casi, lo Stato non ha esercitato il proprio potere di rinvio e di successiva impugnazio ne della legge riapprovata davanti alla Corte costituzionale nei confron ti di regioni le quali hanno approvato leggi recanti la disciplina delle

deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 79/409/Cee (v. 1. reg. Lombar dia 30 agosto 1997 n. 34, e 1. reg. Toscana 21 agosto 1997 n. 70). Stante la decisione della corte, queste leggi dovrebbero quindi ritenersi

incostituzionali, anche se ad oggi regolarmente vigenti, dal momento che la corte non ha ritenuto di ricorrere alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale conseguenziale di cui all'art. 27 1. 87/53.

Sulla base di ragioni analoghe a quelle poste a fondamento della di chiarazione d'incostituzionalità, la corte ha ritenuto legittimo l'annulla mento delle delibere della giunta regionale veneta da parte della com missione statale di controllo (massima 2), mentre l'annullamento del d.p.c.m. 27 settembre 1997 (massima 1) è stato dichiarato perché que sto non rispondeva ai presupposti ed alle modalità richieste dall'ordina mento per un intervento statale su materie di competenza regionale, sia che lo stesso fosse stato considerato atto di natura regolamentare, sia che fosse ritenuto atto di indirizzo e coordinamento.

Nei ricorsi, decisi con le sentenze 169 e 168/99 e nelle deduzioni delle parti costituite si faceva ampio riferimento, in vario senso, a Corte cost., ord. 22 luglio 1996, n. 272, Foro it., 1996, I, 3572, con nota di richia mi, la quale ha affermato che i divieti posti dalla direttiva comunitaria 79/409/Cee in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica soltanto nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie me desime, potere che l'art. 18, 3° comma, 1. 157/92 riserva allo Stato, precisando che la soluzione trova sostegno anche nella giurisprudenza della stessa corte, secondo cui l'individuazione delle specie cacciabili costituisce un interesse unitario nazionale, la cui tutela spetta allo Stato ed a fronte del quale alle regioni va riconosciuta la facoltà di modifica re l'elenco delle specie medesime soltanto nel senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia.

Sull'applicazione della direttiva comunitaria 79/409/Cee, v. Cass. 23 gennaio 1998, Lazzarotto, id., Rep. 1998, voce Caccia, n. 34; Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-118/94, id., Rep. 1996, voce Unione euro pea, nn. 1497-1499, commentata da Brambilla, in Riv. giur. ambiente, 1996, 643, la quale ha affermato che l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee consente agli Stati membri di derogare al divieto generale di cacciare le specie protette solo nel caso in cui non esista un'altra soluzione sod

II Foro Italiano — 1999.

sono tenute, nella circostanza, ad indicare (art. 2). Nell'estende

re (art. 3) la disciplina delle condizioni e modalità di applicazio ne delle deroghe anche all'ipotesi della cattura per la cessione

a fini di richiamo, di cui all'art. 4, 4° comma, 1. 11 febbraio 1992 n. 157, il decreto individua nell'istituto nazionale per la

fauna selvatica l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni

stabilite ai sensi degli art. 2 e 3 sono realizzate (art. 4). 1.1. - La regione Veneto propone conflitto in relazione, altre

sì, alle determinazioni (20 ottobre 1997, nn. 3242, 3243) con

cui la commissione di controllo sugli atti della stessa regione ha annullato le delibere della giunta regionale 7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402, che avevano provveduto ad applicare le dero

ghe al regime delle specie cacciabili, per il periodo 11 ottobre-31

dicembre 1997.

2. - Le regioni, seguendo un iter argomentativo in larga parte

comune, assumono che il decreto presidenziale sopra menziona

to, nel disciplinare le modalità di esercizio delle deroghe in que

stione, sia invasivo della loro sfera di attribuzione, perché non

terrebbe conto dell'ambito delle competenze ad esse spettanti in materia sia di caccia sia di attuazione delle direttive comu

nitarie.

2.1. - Le ricorrenti rivendicano le attribuzioni ad esse costitu

zionalmente spettanti, quali è dato desumere dagli art. 117 e

118 nonché, secondo taluna delle ricorrenti, dall'art. 97 (regio ne Lombardia) e dall'art. 125 Cost, (regione Emilia-Romagna). A ulteriore supporto delle competenze ad esse spettanti, le ri

correnti stesse evocano, inoltre, con varietà di richiami, non

del tutto coincidenti, un quadro normativo rappresentato essen

zialmente dall'art. 99 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, e dagli art.

1 e 2 d.leg. 4 giugno 1997 n. 143, deducendone, da un lato, che il governo non aveva il potere di provvedere in materia di

competenza regionale quale la caccia, e, dall'altro, che non so

disfacente, in secondo luogo per uno dei motivi tassativamente elencati

dall'articolo, infine in presenza dei requisiti di forma previsti al fine di limitare le deroghe allo stretto necessario e permettere la vigilanza da parte della commissione e che in materia di conservazione degli uc celli selvatici, i criteri in base ai quali gli Stati membri possono deroga re ai divieti sanciti dalla direttiva stessa devono essere riprodotti in di

sposizioni nazionali precise, in modo completo, chiaro e inequivoco, per rispondere alle esigenze di protezione risultanti dalla direttiva e al

principio di certezza del diritto; Tar Veneto 2 aprile 1985, n. 273, Foro it., Rep. 1985, voce Caccia, n. 14, secondo cui le norme internazionali in materia di caccia sono intrinsecamente prive di efficacia precettiva, in quanto la loro applicazione postula l'emanazione, da parte del legis latore statale, di altre norme che delimitino in concreto la sfera delle

deroghe da esse consentite e fissino in concreto l'elenco delle specie cacciabili.

Nel senso che il potere riconosciuto alle regioni dall'art. 12 1. 27 di cembre 1977 n. 968 di apportare, con propri atti, variazioni all'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 11 stessa legge, deve intendersi nel senso che le regioni possono solo impedire l'inseguimento e la cattura di singole specie animali nella salvaguardia della loro vita e libertà, non anche del loro riposo o della loro quiete, v. Pret. Bologna 1° mar zo 1989, id., 1989, I, 3252, con nota di richiami.

Per un conflitto di attribuzione tra enti sollevato in ordine alla modi ficazione dell'elenco delle specie cacciabili, di cui all'art. 18 1. 157/92, v. Corte cost. 17 luglio 1998, n. 277, id., 1999, I, 436, con nota di richiami, che ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto l'atto im pugnato rappresentava una mera esecuzione di precedente legge. In or dine alla disciplina regionale dei periodi venatori, v. pure Corte cost. 24 luglio 1998, n. 323, id., 1998, I, 2614, con nota di richiami, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 49, 1° comma, lett. b), 1. reg. Sar

degna riapprovata dal consiglio regionale il 16 dicembre 1996, nella

parte in cui prolungava fino all'ultimo giorno di febbraio il periodo di caccia per alcune specie di uccelli (colombaccio, beccaccia, beccacci no, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, cesena, storno, marzaiola, alzavola, pavoncella), in relazione all'art. 18 1. 157/92 che, nell'autoriz zare le regioni a disciplinare in modo difforme i periodi di caccia, preci sa che i termini devono comunque essere contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio.

In ordine all'adeguamento ed al rispetto della normativa comunitaria da parte delle regioni ordinarie, v. Corte cost. 23 marzo 1999, n. 85, id., 1999, I, 1378, con nota di richiami e osservazioni di A. Barone, che ha dichiarato l'incostituzionalità della 1. reg. Abruzzo riapprovata I'll giugno 1997 concernente il riconoscimento di contributi alle coope rative di produzione del pescato.

Sul potere statale di indirizzo e coordinamento dell'attività regionale e sulle condizioni formali e sostanziali del suo legittimo esercizio, v. Corte cost. 5 novembre 1996, n. 381, id., 1997, I, 3516, con nota di richiami. [R. Romboli]

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sistevano, comunque, i presupposti legali perché alle ammini

strazioni regionali fossero imposte, attraverso l'intesa con due

ministri, posizioni di codecisione governativa su funzioni di com

petenza regionale ed attinenti a scelte necessariamente puntuali.

Quanto poi alle competenze attuative dell'ordinamento co

munitario, a livello legislativo od amministrativo, le regioni si

appellano, per lo più, alle attribuzioni ad esse riservate, oltre

che dall'art. 6 del predetto d.p.r. n. 616 del 1977, dagli art.

4 e 9 1. 9 marzo 1989 n. 86, e dall'art. 1, 3° comma, 1. 11

febbraio 1992 n. 157.

2.2. - Secondo le ricorrenti la lesione delle attribuzioni regio nali sarebbe ulteriormente avvalorata — oltre che dall'impossi bilità di rinvenire, nell'art. 18, 3° comma, 1. 11 febbraio 1992

n. 157, ovvero in esigenze di tutela di interessi unitari, il fonda

mento della potestà che lo Stato ha preteso di esercitare dall'u

tilizzo di uno strumento extra ordinem quale si appalesa il cen

surato decreto presidenziale, che, anche con riguardo ai conte

nuti, non troverebbe giustificazione né come espressione della

funzione di indirizzo e coordinamento né come manifestazione

di potere regolamentare. 2.3. - Quanto alla potestà regolamentare, secondo taluni dei

ricorsi, il decreto sarebbe in contrasto:

con l'art. 17, 3° comma, 1. 23 agosto 1988 n. 400, che circo

scrive la potestà stessa alle sole materie di competenza del mini

stro (partic. regione Umbria); con le norme della 1. 9 marzo 1989 n. 86 (in particolare, art.

4, 6 e 9), che consentono l'attuazione delle direttive attraverso

10 strumento regolamentare solo quando ciò sia previsto dalla

legge comunitaria per l'anno di riferimento, fermo comunque 11 rispetto delle procedure di cui al predetto art. 17 1. n. 400

del 1988; con l'art. 2, 3° comma, d.leg. 28 agosto 1997 n. 281, che

prevede il parere obbligatorio della conferenza Stato-regioni su

gli schemi di regolamento del governo nelle materie di compe tenza delle regioni e delle province autonome (partic. regione

Umbria). 2.4. - In ordine, poi, alla funzione di indirizzo e coordina

mento, a parte il difetto di base legale sostanziale, viene denun

ciata la carenza dei requisiti di forma prescritti dalla normativa

vigente. Sotto questo aspetto, dall'insieme dei ricorsi, è dato

desumere il riferimento:

alla deliberazione del consiglio dei ministri, prevista, tra l'al

tro, dall'art. 9, 6° comma, 1. n. 86 del 1989 (partic. regione Toscana e Lombardia);

all'intesa con la conferenza Stato-regioni, alla luce, principal

mente, delle previsioni dell'art. 8 1. 15 marzo 1997 n. 59 e del

l'art. 2, 1° comma, d.leg. 4 giugno 1997 n. 143 (partic. regione

Lombardia). 2.5. - Sulla scorta degli accennati motivi le ricorrenti regioni

chiedono, pertanto, che questa corte dichiari non spettare allo

Stato l'emanazione dell'impugnato decreto presidenziale, solle

citandone l'annullamento in toto e, secondo le conclusive ri

chieste di taluno dei ricorsi (Emilia-Romagna), anche con speci fico riguardo agli art. 2, 3 e 4.

In subordine la regione Lombardia chiede, altresì, che si di

chiari spettare ad essa il potere di individuare le modalità con

crete di attuazione delle deroghe. 2.6. - Quanto, poi, alle due determinazioni (10 ottobre 1997,

nn. 3242, 3243) con cui la commissione di controllo ha annulla

to le delibere della giunta regionale del Veneto (7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402), concernenti le deroghe ai divieti di caccia per il periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997, la regione ricorrente,

oltre a lamentare la lesione delle proprie attribuzioni nei termini

in precedenza ricordati, deduce specificamente che le concrete

ipotesi di deroga possono essere definite attraverso provvedi menti amministrativi, con la conseguenza che la competenza,

alla stregua del disposto degli art. 6 e 99 d.p.r. n. 616 del 1977,

non potrebbe non essere regionale. 3. - In via pregiudiziale va disposta la riunione dei giudizi,

che, avendo, infatti, ad oggetto questioni in parte identiche e

in parte connesse, possono essere decisi con un'unica sentenza.

4. - Sempre in via pregiudiziale, quanto al ricorso proposto

dalla regione Umbria (reg. confi, n. 3 del 1998), va dichiarata inammissibile la costituzione del presidente del consiglio, avve

nuta oltre il termine prescritto (art. 25 e 41 1. 11 marzo 1953

n. 87, nonché art. 27 delle norme integrative 16 marzo 1956).

Il Foro Italiano — 1999.

5. - Nel merito i ricorsi proposti dalle regioni avverso il de

creto presidenziale in epigrafe indicato sono fondati.

6. - I problemi posti dai ricorsi stessi esigono, in vista della

delimitazione della sfera di attribuzione propria di ciascuna del

le parti in causa, una breve ricognizione del contesto normativo

di riferimento, quale si desume, in particolare, dalla 1. 11 feb

braio 1992 n. 157, il cui art. 18, 3° comma, risulta posto a

fondamento dell'impugnato decreto. Tale legge, nel dettare nuove

norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, ha espressamente disposto (art. 1, 4° com

ma) l'integrale recepimento ed attuazione, «nei modi e nei ter

mini previsti» dalla medesima, delle direttive comunitarie con

cernenti la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/Cee del

2 aprile 1979, 85/411/Cee del 25 luglio 1985, e 91/244/Cee del 6 marzo 1991), con i relativi allegati.

Appare da ciò chiaro l'intento del legislatore nazionale di ade

guare all'ordinamento comunitario un quadro di disciplina che, come risulta già dalla sentenza di questa corte n. 1002 del 1988

(Foro it., 1989, I, 3074), si è venuto componendo nel tempo sulla base di principi, riconfermati dalla più recente normativa, che sono quelli dell'appartenenza della fauna selvatica al patri monio indisponibile dello Stato (art. 1, 1° comma, citata leg

ge); dell'affievolimento del tradizionale «diritto di caccia», che

viene subordinato all'istanza prevalente della conservazione del

patrimonio faunistico e della salvaguardia della produzione agri cola (art. 1, 2° comma); della previsione, infine, di un regime di caccia programmata per tutto il territorio nazionale (art. 14), cui fa riscontro, come si desume anche dal menzionato art. 18, 3° comma, la puntuale indicazione delle specie cacciabili in un

apposito elenco; elenco suscettibile, peraltro, di modifica, attra

verso decreti emanati dal presidente del consiglio dei ministri, al fine di realizzare la costante consonanza tra ordinamento na

zionale e disciplina comunitaria e internazionale (v. sentenza

n. 277 del 1998, id., 1999, I, 436). 7. - Nell'ambito del descritto sistema, ispirato alla preminen

te finalità della tutela della fauna, i ricorsi sollevano il proble ma della spettanza del potere di apportare le deroghe previste dall'art. 9, par. 1, lett. e), della direttiva 79/409/Cee, al genera le regime protettivo degli uccelli selvatici ivi stabilito.

8. - Questa corte, con la sentenza n. 272 del 1996 {id., 1996,

I, 3572), esaminando il problema dei limiti in cui la disposizio ne comunitaria concernente le deroghe possa reputarsi imme

diatamente efficace nell'ordinamento interno, ha ritenuto che

essa sia da considerare operativa solo nel senso di legittimare le autorità nazionali ad adottare, ove lo ritengano, provvedi menti che consentano di superare i divieti della direttiva, verifi

cando che ricorrano le situazioni ipotizzate e apprestando speci fiche misure comportanti, in armonia con le indicazioni della

giurisprudenza comunitaria, un circostanziato riferimento agli elementi di cui ai par. 1 e 2 della disposizione stessa. Inoltre,

quanto al potere di variazione dell'elenco delle specie cacciabili, affidato al presidente del consiglio dei ministri dall'art. 18, 3°

comma, 1. n. 157 del 1992, la sentenza medesima ha ribadito

il principio, accolto in precedenza dalla giurisprudenza costitu

zionale, secondo il quale, in considerazione del carattere di nor

me di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni pro tettive della fauna selvatica, nonché del carattere unitario degli interessi ad esse sottostanti, è data, attualmente, alle regioni la facoltà di modificare detto elenco soltanto in senso ulterior

mente limitativo, e non estensivo, delle eccezioni al divieto ge nerale di caccia (sentenze n. 577 del 1990, id., 1991, I, 382, e n. 1002 del 1988, cit.).

9. - Ciò premesso, può osservarsi, venendo così al merito

delle censure, che le attribuzioni che incontestabilmente spetta no alle regioni, in tema di caccia, non consentono, anche a te

ner conto dell'ulteriore trasferimento di competenze operato in

loro favore dal d.leg. 4 giugno 1997 n. 143, il disconoscimento

delle competenze che, in materia di tutela della fauna selvatica,

restano, comunque, affidate allo Stato e che sono tali da river

berarsi, come questa corte ha avuto occasione di affermare, an

che sulla disciplina delle modalità della caccia stessa, nei limiti

in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvi venza e la riproduzione delle specie selvatiche (sentenza n. 323

del 1998, id., 1998, I, 2614). Ciò non significa, però, che lo Stato sia legittimato ad intervenire sulla base di presupposti e

secondo modalità che non siano quelli richiesti dall'ordinamen

to. Ed è proprio alla luce dei principi che lo Stato è tenuto

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

2455 PARTE PRIMA 2456

ad osservare che il decreto presidenziale impugnato va reputato

illegittimo, vuoi a considerarlo un atto di natura regolamentare vuoi a reputarlo un atto di indirizzo e coordinamento.

10. - Sotto il primo profilo occorre rammentare, anzitutto, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale i regolamenti, governativi o ministeriali, non sono in via di prin

cipio legittimati a disciplinare, in ragione della distribuzione delle

competenze normative fra Stato e regioni di cui all'art. 117 Cost., le materie di spettanza regionale.

Tuttavia questa corte non ignora (v. anche sentenza n. 278

del 1993, id., 1994, I, 2659), come, negli anni più recenti, il legislatore abbia provveduto ad ampliare la possibilità di ricor

so a discipline dettate da fonti normative di rango non legislati

vo, alla stregua di orientamenti di carattere generale che hanno

trovato specifico accoglimento anche in materia di recepimento e di attuazione dell'ordinamento comunitario, con riguardo se

gnatamente all'espressa e condizionante disciplina della 1. 9 marzo

1989 n. 86, circa casi e modalità per l'esercizio del potere rego lamentare (art. 4).

Senza che occorra qui affrontare la problematica posta dalle

regole che, come sopra accennato, riguardano il rapporto fra

fonti statali e fonti regionali, è sufficiente considerare che tale

disciplina avrebbe, in ogni caso, richiesto un procedimento di

verso da quello seguito, secondo quanto specificato nel 4° e

5° comma dell'art. 4 della menzionata legge (e cioè, in partico

lare, deliberazione collegiale del governo, parere delle compe tenti commissioni parlamentari, ove richiesto dalla legge comu

nitaria, e parere del Consiglio di Stato); ciò a tacere della più recente previsione dell'art. 2, 3° comma, d.leg. n. 281 del 1997, il quale esige che la conferenza Stato-regioni sia obbligatoria mente sentita «sugli schemi di regolamento nelle materie di com

petenza regionale». Decisivo è, poi, il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della

potestà regolamentare in assenza del necessario supporto legis

lativo, considerato che l'opzione a favore della soluzione rego lamentare deve essere, in base al predetto art. 4 1. n. 86 del

1989, espressamente indicata nella legge comunitaria. Il che non

si riscontra nel caso del provvedimento in esame, che, tra l'al

tro, non può rinvenire la sua base legale nemmeno nell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992, pur richiamato nelle premesse, dovendosi tener distinto, così come esattamente avvertono le

ricorrenti, il potere di modifica degli elenchi, da tale disposizio ne disciplinato, dal potere di deroga di cui all'art. 9, par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria; potere che, in effetti, la 1.

n. 157 del 1992, nonostante l'avvenuto recepimento della diret

tiva comunitaria (art. 1, 4° comma), non ha in alcun modo

disciplinato. A tale esigenza di distinzione non contraddice la sentenza di

questa corte n. 272 del 1996, cit., che, benché invocata in senso

antitetico da quasi tutte le parti in causa a sostegno delle pro

prie ragioni, si è soffermata sul potere di variazione, riservato allo Stato dal predetto art. 18, quale strumento per recepire, come risulta dalla disposizione stessa, i nuovi elenchi delle spe cie cacciabili, a seguito dell'avvenuta approvazione comunitaria o dell'entrata in vigore delle convenzioni internazionali sotto

scritte dall'Italia, ma in nessun modo ha asserito che detto po tere possa reputarsi espressivo anche di quello attinente alla di

sciplina delle deroghe, sì da legittimare il provvedimento ogget to della presente impugnativa.

11. - Non diverse appaiono le conclusioni, ove si riconduca

l'atto contestato alla funzione di indirizzo e coordinamento, nel

cui esercizio il governo è tenuto, del pari, a soddisfare precisi

requisiti di forma e di sostanza: di forma, dovendo la stessa

funzione essere svolta per mezzo di una delibera del consiglio dei ministri, adottata previa intesa con la conferenza Stato

regioni, secondo le regole oggi desumibili dall'art. 8 1. 15 marzo

1997 n. 59 (nel testo risultante dalla sentenza di questa corte

n. 408 del 1998); di sostanza, attesa la necessità di un idoneo

fondamento legislativo, consistente nella previa determinazione

con legge dei principi ai quali il governo deve attenersi.

12. - Peraltro, le esposte considerazioni, dalle quali discende

l'illegittimità del censurato decreto presidenziale, non conduco no a ritenere fondata la pretesa della regione Veneto, nella par te in cui, impugnando le determinazioni negative dell'organo statale di controllo sulle delibere adottate dalla giunta, rivendi

ca sostanzialmente per sé la facoltà di applicare la deroga, per di più attraverso provvedimenti di carattere amministrativo.

Il Foro Italiano — 1999.

Poiché, come appare del resto condiviso dalle regioni ricor

renti, la 1. 11 febbraio 1992 n. 157, pur avendo recepito espres samente (art. 1, 4° comma) la direttiva comunitaria, non ha

in alcun modo disciplinato la facoltà di deroga prevista dall'art.

9, par. 1, lett. c), ne discende necessariamente la conclusione

che l'assetto attualmente dato alla materia dalla legislazione na

zionale è, per questo aspetto, da reputare — anche in conside

razione del carattere meramente facoltativo dell'attivazione del

le deroghe — di per sé compiuto, con la sola previsione del

potere di variazione degli elenchi attraverso i quali si provvede all'individuazione delle specie cacciabili. Non è, d'altro canto, da ritenere che, in tale situazione, le regioni possano provvede re ad attivare autonomamente le deroghe, in quanto l'esercizio

di un siffatto potere si rifletterebbe sulla tutela minima delle

specie protette, il cui nucleo viene identificato dallo Stato sia

con la legge sia con i successivi atti, adottati nell'esercizio del

potere di variazione previsto dall'art. 18, 3° comma, potere

espressamente annoverato, di recente, dal legislatore (art. 69, 1° comma, lett. i, d.leg. 31 marzo 1998 n. 112), fra i «compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente» (in tal senso

v. anche sentenza n. 168 del 1999, in epigrafe). Tale nucleo,

nell'impedire alle regioni di estendere la portata delle eccezioni

al divieto generale di caccia, non può venire, infatti, ricostruito — come questa corte ha avuto cura di precisare e come è il

caso qui di ribadire — sulla sola base di una generica compati bilità tra la regola del divieto di caccia e un determinato nume

ro di eccezioni (sentenza n. 577 del 1990, cit.). Esso va, in realtà, visto come la risultante di una serie di

opzioni qualitative concernenti le singole specie animali caccia

bili e non cacciabili, che non può essere incisa e alterata da

contrastanti scelte degli enti territoriali, anche ad autonomia spe

ciale, se non a condizione di creare situazioni di incertezza sul

l'estensione della stessa sfera protetta come interesse unitario

(sentenza n. 577 del 1990 già citata). E questo senza che venga a configurarsi un inadempimento degli obblighi derivanti dal

l'ordinamento comunitario, riscontrandosi, nella specie, non esi

genze di adeguamento ai vincoli da esso positivamente stabiliti, bensì soltanto il mancato esercizio di una facoltà che consenti

rebbe, attivando la deroga, il parziale esonero dall'osservanza

degli stessi vincoli.

13. - Al di là della specifica prospettiva, dalla quale muovono

le ricorrenti, e cioè quella delle loro competenze in materia di

caccia, si deve inoltre considerare che, a tener presenti le varie

situazioni che, secondo la direttiva comunitaria, autorizzano il

ricorso allo strumento della deroga, si evince una varietà di in

teressi che appaiono, per lo più, di pertinenza dello Stato. In

questa prospettiva anche la stessa locuzione della lett. c), là do

ve richiama l'esigenza di «consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri

impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità», par rebbe, invero, far riferimento a ipotesi che non appaiono com

piutamente identificabili con l'attività venatoria.

La molteplicità di interessi ed esigenze che vengono in rilievo

dimostra, dunque, che si tratta di regole che spetta in primis allo Stato di dettare, sia perché titolare degli interessi preminen ti nella stessa gerarchia desumibile dall'art. 9 della direttiva sia

per evidenti esigenze di uniformità di assetto e di organicità del sistema, che non tollererebbero, come è evidente, la parcel lizzazione di interventi affidati totalmente alle regioni.

14. - In conclusione, posto che la disposizione dell'art. 9,

par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria richiede, per la con

creta attuazione nell'ordinamento interno, una legge nazionale

che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo e

che non sono certamente soltanto quelli connessi all'esercizio

venatorio, la regione Veneto non ha motivo di dolersi, quanto alla pretesa lesione della propria sfera di attribuzioni, dell'avve

nuto annullamento, da parte della commissione di controllo su

gli atti della regione, dei provvedimenti con i quali la giunta aveva provveduto a disciplinare in via amministrativa le dero

ghe in tema di specie cacciabili per il periodo 11 ottobre-31 di cembre 1997.

15. - L'istanza cautelare avanzata dalla regione Lombardia

rimane assorbita dalla presente decisione di merito.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara che:

— non spetta allo Stato disciplinare con il d.p.c.m. 27 set

tembre 1997 le modalità di esercizio delle deroghe di cui all'art.

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

9, par. 1, lett. c), della direttiva comunitaria 79/409/Cee, con cernente la conservazione degli uccelli selvatici, e di conseguen za annulla detto decreto;

— spetta allo Stato, e per esso alla commissione di controllo

sugli atti della regione Veneto, annullare le delibere della giunta regionale 7 ottobre 1997, nn. 3401, 3402, aventi ad oggetto l'ap plicazione delle deroghe al regime delle specie cacciabili per il

periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997.

II

Diritto. — 1. - Con tre distinti ricorsi del presidente del con

siglio dei ministri, il governo ha sollevato in via principale que stione di legittimità costituzionale di altrettante delibere legisla tive regionali. I dubbi di costituzionalità investono la legge del

la regione Liguria recante «norme per l'applicazione delle deroghe

previste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata il

30 settembre 1997; la legge della regione Umbria recante «disci

plina delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee

concernente la conservazione degli uccelli selvatici», riapprova ta il 17 novembre 1997; la legge della regione Veneto recante

«applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della di

rettiva 79/409/Cee», riapprovata il 5 marzo 1998.

Le questioni di legittimità costituzionale delle tre delibere le

gislative, riapprovate, a seguito di rinvio governativo, dai consi

gli regionali a maggioranza assoluta nell'identico testo rinviato,

vengono sollevate per contrasto con l'art. 117 Cost., in riferi

mento all'art. 18 1. 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la prote zione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venato

rio), in relazione all'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, giacché le disposizioni assunte a parametro riserverebbero allo Stato la

disciplina del potere di deroga previsto dall'art. 9 della diretti

va, come si desumerebbe anche dalla sentenza della Corte costi

tuzionale n. 272 del 1996 (Foro it., 1996, I, 3572), secondo la

quale «i divieti posti dalla direttiva in tema di specie cacciabili

sono suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di varia zione degli elenchi delle specie medesime, riservato allo Stato

dall'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992».

Ciò troverebbe conferma nel d.leg. 4 giugno 1997 n. 143 (con ferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia

di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'amministrazione

centrale), che all'art. 1 trasferisce alle regioni le funzioni ammi

nistrative in materia di caccia prima esercitate dal soppresso ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ma —

all'art. 2, 2° comma — riserva al ministero per le politiche agri cole (istituito dallo stesso art. 2) i compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale in materia di specie cacciabili ai

sensi dell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992. Ad avviso del

ricorrente, inoltre, le deroghe di cui si tratta possono essere di

sposte solo per esigenze «connesse ad interessi generali di in

dubbia pertinenza statale (navigazione aerea, sicurezza pubbli

ca, ricerca scientifica)». Una ulteriore doglianza (prospettata nei confronti della deli

bera legislativa della regione Umbria con ricorso n. 78 del 1997)

riguarda l'omessa previsione, da parte del legislatore regionale, di «indispensabili misure, anche procedurali, atte a garantire che le deroghe vengano disposte dalla province solo per soddi

sfare esigenze effettive inerenti agli interessi generali tassativa

mente indicati dall'art. 9 della direttiva».

2. - I ricorsi del presidente del consiglio dei ministri hanno

tutti ad oggetto delibere legislative regionali in tema di deroghe ex art. 9 della direttiva 79/409/Cee, e prospettano censure in

gran parte comuni. I relativi giudizi possono pertanto essere

riuniti e decisi con unica sentenza.

3. - Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal

governo con i ricorsi in epigrafe sono fondate.

4. - Le delibere legislative impugnate contengono discipline in larga misura omogenee: la legge della regione Liguria recante

«norme per l'applicazione delle deroghe previste dall'art. 9 del

la direttiva 79/409/Cee», riapprovata il 30 settembre 1997, di

sciplina nel territorio della regione il prelievo in deroga, ai sensi dell'art. 9 della direttiva, riproducendo integralmente il conte

nuto normativo dello stesso art. 9, e prevedendo, ai fini dell'a

dozione del provvedimento in deroga, il previo parere dell'Isti

tuto nazionale per la fauna selvatica, competente, fra l'altro,

a stabilire il numero complessivo dei capi prelevabili per le sin

II Foro Italiano — 1999.

gole specie (art. 3, I); la legge della regione Umbria recante

«disciplina delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva

79/409/Cee concernente la conservazione degli uccelli selvati

ci», riapprovata il 17 novembre 1997, disciplina il prelievo in

deroga in parte riproducendo in parte richiamando le disposi zioni della direttiva, ed affidando alle province, sentito l'istitu to nazionale per la fauna selvatica, «l'approvazione del provve dimento di deroga»; la legge della regione Veneto recante «ap

plicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva

79/409/Cee», riapprovata il 5 marzo 1998, stabilisce che, «al

fine di prevenire e contenere i danni alle produzioni agricole», è consentito un limitato (non più di venticinque capi al giorno, da parte di ciascun cacciatore) prelievo in deroga di talune spe cie di uccelli (art. 1). La stessa delibera legislativa prevede che

«la giunta regionale — previo parere delle province, o su richie

sta delle medesime — può autorizzare, disciplinandole, ulteriori

deroghe ai sensi dell'art. 9 della direttiva 79/409/Cee» (art. 1, 2° comma).

5. - La giurisprudenza di questa corte ha in più di un'occasio

ne chiarito che la competenza statale in tema di specie cacciabili

non si esaurisce nell'individuazione di tali specie e nel potere di variazione dei relativi elenchi, a norma dell'art. 18, 3° com

ma, 1. n. 157 del 1992.

Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma

economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che

individuano le specie cacciabili, riconosciuto da una costante

giurisprudenza (sentenze n. 272 del 1996, cit.; n. 35 del 1995,

id., 1997, I, 348; n. 577 del 1990, id., 1991, I, 382; n. 1002 del 1988, id., 1989, I, 3074), questa corte ha ancora di recente

precisato che tale carattere compete anche alle «norme stretta

mente connesse con quelle che individuano le specie ammesse

al prelievo venatorio» (sentenza n. 323 del 1998, id., 1998, I,

2614). Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla

uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo

di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle

specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disci

plina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure

indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/Cee, al generale regime di protezione.

Un'interpretazione della direttiva 79/409/Cee nell'esclusiva

prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attività venato

rie altrimenti vietate sarebbe tuttavia parziale e fuorviante.

L'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, concernente la conserva

zione degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri — «sem

pre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti» — possono

derogare alle misure di protezione disposte dalla medesima di

rettiva per le seguenti ragioni: a) nell'interesse della salute e

della sicurezza pubblica; nell'interesse della sicurezza aerea; per

prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla

pesca e alle acque; per la protezione della flora e della fauna;

b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali

operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente control

late e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

Si tratta di un potere di deroga esercitabile in via eccezionale

per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in

generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici apparte nenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizio

ni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9, punto 1, e secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello

stesso art. 9.

Gli interessi a garanzia dei quali l'art. 9 consente di adottare

i provvedimenti di deroga — alcuni dei quali di indubbia perti nenza statale: sicurezza aerea, sicurezza pubblica — possono essere soddisfatti anche attraverso misure diverse dall'eccezio

nale autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti

protette. In materia di protezione della fauna selvatica, d'altro canto,

l'ordinamento prevede un ruolo non marginale delle regioni che

ulteriormente dimostra l'erroneità di un totale esaurimento del

la tematica di cui si tratta nella prospettiva venatoria.

L'art. 19, 2° comma, 1. n. 157 del 1992, prevede infatti che

le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 7: sentenza 14 maggio 1999, n. 169 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Vari; Regioni Toscana (Avv. Vacchi), Veneto (Avv. Cacciavillani,

2459 PARTE PRIMA 2460

per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione bio

logica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la tute

la delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al

controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate

alla caccia. La disposizione specifica che tale controllo, eserci

tato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo

di metodi ecologici, su parere dell'istituto nazionale della fauna

selvatica. Qualora l'istituto verifichi l'inefficacia dei predetti me

todi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento desti

nati ad essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle

amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì av

valersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano

i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio vena

torio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali

munite di licenza per l'esercizio venatorio.

Le deroghe al regime di protezione introdotto dalla direttiva

79/409/Cee configurano — come sottolineano anche le regioni resistenti — un potere eterogeneo rispetto alla competenza attri

buita al presidente del consiglio dei ministri in materia di varia

zione degli elenchi delle specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992. Quest'ultima disposizione preve de l'adozione, con decreto del presidente del consiglio dei mini

stri, di provvedimenti diretti a modificare in modo tendenzial

mente stabile — nei limiti imposti o consentiti dalla normativa

internazionale e comunitaria (da ultimo, v. la sentenza n. 277

del 1998, id., 1999, I, 436) — gli elenchi delle specie cacciabili.

Si tratta di provvedimenti in linea di principio destinati a spie

gare efficacia su tutto il territorio nazionale e volti piuttosto a restringere, anche «tenendo conto della consistenza delle sin

gole specie sul territorio», il novero delle specie che alla stregua della normativa internazionale e comunitaria possono essere am

messe al prelievo venatorio. Diversamente dalle deroghe ex art.

9 della direttiva 79/409/Cee, i decreti emanati a norma dell'art.

18, 3° comma, 1. n. 157 del 1992 appaiono inidonei a consentire

in via eccezionale o derogatoria l'abbattimento o la cattura del

le specie protette dalla direttiva, alle condizioni e per le finalità

da quest'ultima indicate.

Nondimeno, non può essere condiviso l'assunto delle regioni

resistenti, che basano la propria rivendicazione di competenza — a disciplinare legislativamente il potere di deroga in questio

ne, e ad esercitarlo in via amministrativa — sulla non assimila

bilità del potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva comu

nitaria al potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabi

li e sulla natura solo formale del recepimento, da parte del

legislatore statale (con l'art. 1, 4° comma, 1. n. 157 del 1992), dell'art. 9 della direttiva 79/409/Cee, interpretato come autoap

plicativo. Occorre ancora ribadire che l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee

contiene una disciplina volta (più che a regolare l'attività vena

toria) a consentire deroghe al regime di protezione della fauna

selvatica previsto dalla medesima direttiva, per la salvaguardia di interessi generali. L'esercizio di tale potere di deroga può incidere sul nucleo minimo di protezione della fauna selvatica

e non può quindi prescindere da una previa disciplina di carat

tere nazionale, secondo i principi costantemente accolti dalla

giurisprudenza di questa corte.

La disciplina del potere di deroga — che secondo la Corte

di giustizia delle Comunità europee (sentenza 15 marzo 1990, causa 339/87) deve tradursi in norme nazionali precise («i crite

ri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti

sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise») — può, e non già deve, trattandosi di una

facoltà, trovare attuazione nel nostro ordinamento, come chia

risce anche la sentenza di questa corte, pronunciata in pari da

ta, che ha definito i conflitti nn. 56 e 61 del 1997 e nn. 2, 3 e 5 del 1998, attraverso una normativa nazionale di recepi mento — non rintracciabile nella 1. n. 157 del 1992 — idonea

a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme e ade

guato livello di salvaguardia. In questo senso deve interpretarsi anche l'art. 69, 1° comma,

lett. b), d.leg. 31 marzo 1998 n. 112 (conferimento di funzioni

e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti lo

cali, in attuazione del capo 11. 15 marzo 1997 n. 59), che anno

vera tra i compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambien

te, ai sensi dell'art. 1, 4° comma, lett. c), 1. 15 marzo 1997 n. 59 — accanto a quelli relativi alle variazioni degli elenchi

delle specie cacciabili — quelli attinenti alla «tutela . . . della

Il Foro Italiano — 1999.

fauna e della flora specificamente protette da accordi e conven

zioni e dalla normativa comunitaria».

Rimane assorbita ogni ulteriore censura.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione

Liguria recante «norme per l'applicazione delle deroghe previ ste dall'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata, a segui to di rinvio governativo, dal consiglio regionale della Liguria il 30 settembre 1997;

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione Umbria recante «disciplina delle deroghe previste dall'art. 9 della

direttiva 79/409/Cee concernente la conservazione degli uccelli

selvatici», riapprovata, a seguito di rinvio governativo, dal con

siglio regionale dell'Umbria il 17 novembre 1997; dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione

Veneto recante «applicazione del regime di deroga previsto dal

l'art. 9 della direttiva 79/409/Cee», riapprovata, a seguito di

rinvio governativo, dal consiglio regionale del Veneto il 5 mar

zo 1998.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 maggio 1999, n. 155

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n. 20); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Regione Sicilia (Avv. Ca

staldi, Torre) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiu

mara). Conflitto di attribuzione.

Sicilia — Agricoltura — Produzione di vini di qualità — Reim

pianto di vigneti — Conflitto tra enti — Atto privo di lesività — Inammissibilità (Cost., art. 3, 97; r.d. 15 maggio 1946 n.

455, statuto della regione siciliana, art. 14, 20; d.leg. 7 mag

gio 1948 n. 789, esercizio nella regione siciliana delle attribu

zioni del ministero dell'agricoltura e delle foreste).

È inammissibile, in quanto l'atto impugnato è privo del caratte

re di lesività delle competenze regionali, il ricorso della regio ne Sicilia nei confronti degli art. 2 e 3 d.m. risorse agricole, alimentari e forestali 29 gennaio 1997, relativo al trasferimen to del diritto di reimpianto di vigneti verso superfici destinate alla produzione di vini di qualità prodotti in regioni determi

nate (v.q.p.r.d.). (1)

(1) La corte rileva come il contenuto precettivo delle disposizioni im

pugnate non può essere inteso come inibente o limitativo delle compe tenze legislative e amministrative spettanti in materia alle regioni o alle

province autonome. Il d.m. impugnato ha sostituito un precedente decreto che era stato

annullato da Corte cost. 25 maggio 1989, n. 284, Foro it., 1990, I, 2448, con nota di richiami, commentata da Panebianco, in Giur. co st it., 1989, I, 1317, la quale aveva dichiarato non spettare allo Stato

disciplinare mediante decreto ministeriale (anziché con legge) le condi zioni secondo le quali deve avvenire il trasferimento del diritto di reim

pianto di viti, i contenuti dell'atto di compravendita ed il luogo dove deve avvenire la trascrizione dell'atto e vietare qualsiasi autorizzazione di nuovi impianti di viti, previsti per le superfici a denominazione di

origine controllata a norma dell'art. 6 del regolamento Cee 822/87, a favore di chi abbia ceduto il diritto di reimpianto, annullando di con

seguenza gli art. 1, 3 e 5 d.m. agricoltura 12 ottobre 1988 n. 469. Nel senso che spetta alla regione la competenza ad autorizzare l'im

pianto e il reimpianto di viti, per cui, conseguentemente, ad essa deve riconoscersi anche il potere di irrogare sanzioni amministrative, acce dendo la competenza sanzionatoria a quella sostanziale, v. Corte cost. 21 marzo 1996, n. 85, Foro it., 1997, I, 1667, con nota di richiami, che ha dichiarato non spettare allo Stato, e per esso al ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, irrogare le sanzioni amministrati ve previste dall'art. 4, 3° comma, d.l. 7 settembre 1987 n. 370, conver tito, con modificazioni, in 1. 4 novembre 1987 n. 460, relativamente

This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:32:41 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended