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sentenza 14 novembre 1979, n. 127 (Gazzetta ufficiale 21 novembre 1979, n. 381); Pres. Amadei, Rel....

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sentenza 14 novembre 1979, n. 127 (Gazzetta ufficiale 21 novembre 1979, n. 381); Pres. Amadei, Rel. Rossano; imp. Bernoldi; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti). Ord. Trib. Roma 27 settembre 1976 (Gazz. uff. 29 dicembre 1976, n. 346) Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 3 (MARZO 1981), pp. 621/622-625/626 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171411 . Accessed: 25/06/2014 05:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.251 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 14 novembre 1979, n. 127 (Gazzetta ufficiale 21 novembre 1979, n. 381); Pres. Amadei, Rel. Rossano; imp. Bernoldi; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti).

sentenza 14 novembre 1979, n. 127 (Gazzetta ufficiale 21 novembre 1979, n. 381); Pres.Amadei, Rel. Rossano; imp. Bernoldi; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti).Ord. Trib. Roma 27 settembre 1976 (Gazz. uff. 29 dicembre 1976, n. 346)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 3 (MARZO 1981), pp. 621/622-625/626Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171411 .

Accessed: 25/06/2014 05:33

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ressi della collettività, è nella logica del sistema che agli enti locali incomba il dovere di esercitare i loro poteri di intema regolamenta zione adottando i provvedimenti necessari affinché sia adempiuto agli obblighi internazionali dello Stato e astenendosi da ogni misura con travvenente a tale adempimento.

Nella sua giusta portata, tale conclusione è, peraltro, da intendere unitamente ad elementi complementari. Qui importa osservare che trova ora appropriata collocazione il meccanismo di sostituzione. In caso d'inadempimento della regione, spetterà al potere centrale d'in tervenire nell'esercizio di un potere-dovere che gli residua nella coe renza del sistema: trattasi, in effetti, di un potere-dovere da conside rare coessenziale al c. d. limite degli obblighi internazionali inerente alla competenza regionale, coessenziale cioè al dovere delle regioni di osservare tali obblighi. E sempre in connessione a tale limite, è da riconoscere alle autorità centrali un potere d'indirizzo e coordi namento, che esercitato in congrue forme potrà influire in maniera de terminante per un'ordinata azione regionale.

3. - Consideriamo, nei suoi aspetti salienti, il ragionamento seguito dalla corte in relazione alla convenzione di Ramsar.

La corte giustamente osserva che « l'instaurazione, le modifi cazioni, l'estinzione del vincolo », indispensabile, ai fini della conven zione, per la tutela delle zone umide e della fauna che ne dipende, sono, dalla convenzione stessa, « rimesse alle determinazioni degli Sta ti contraenti ». iÈ esatto, ma occorre intendersi sul senso in cui tale « rimessione » avviene. Nelle stipulazioni internazionali, « Stato con traente » vai quanto « parte contraente »: si indica lo Stato nel senso del diritto internazionale e si indica, quanto all'Italia, la Repubblica italiana cosi come costituzionalmente organizzata. Tratto ricorrente delle stipulazioni internazionali è, appunto, di rimettersi alle « deter minazioni » dei contraenti quanto ai provvedimenti da adottarsi per il raggiungimento dei fini perseguiti. Si vogliono cosi' fare salve, giu sta l'assetto costituzionale, la competenza degli organi interni e la forma dei provvedimenti.

Il discorso passa cosi' all'assetto costituzionale italiano. Si dia per vero che stabilire, anzitutto, le parti del territorio italiano da sotto porre a vincolo ai fini dèlia convenzione di Ramsar e di li, poi, procedere a istituire i relativi vincoli, spettava agli organi del potere centrale in quanto « organi competenti ad apprezzare le esigenze e gli interessi ecologici, non di singole regioni, ma dell'intera collettività nazionale ». Siamo allora alla questione prioritaria — tecnicamente: questione preliminare o pregiudiziale — evocata all'inizio di questo scritto. In altri termini, si dia per vero che ogni qualvolta in mate rie costituzionalmente attribuite alle regioni emergono esigenze e in teressi della collettività cessa la competenza regionale poiché piena ed esclusiva competenza a provvedere permane allo Stato: era pre messa più che idonea e sufficiente perché la corte giudicasse precisa mente nei termini del dispositivo da essa adottato senza bisogno di ri ferirsi alla convenzione internazionale se non quale evento storico al

quale si ricollegava la necessità di provvedere. Senonché, un principio di detta rigida portata sembra difficilmente

affermabile, anche perché mal conciliantesi con il predetto art. 5 Cost., secondo cui la Repubblica « adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Ed è da credere che proprio a causa di difficile dimostrazione la corte si sia indotta ad argomentare più specificamente in tema d'impegni in ternazionali, peraltro con non plausibile raziocinio. Conviene riferire

per esteso l'argomentazione. « Non vi è dubbio, in alcun caso, che l'individuazione, a norma

della convenzione, di almeno una zona umida — senza la quale nes sun vincolo o rapporto pattizio può sorgere fra il nuovo aderente e le rimanenti parti dell'accordo — spetti agli organi chiamati ad impe gnare Io Stato nei confronti degli altri soggetti di diritto internazio nale. In definitiva, si tratta della competenza a concludere i trattati, o ad aderirvi; e nel nostro ordinamento costituzionale, tale compe tenza costituisce una necessaria ed esclusiva attribuzione dello Stato, solo sovrano e solo responsabile degli eventuali illeciti internazionali, anche quando — è stato in altra pronunzia chiarito — l'accordo in ternazionale riguardi materie attribuite alla regione (sentenza n. 170/ 75, id., 1976, I, 34). Diversamente, si dovrebbe ritenere che l'ambito co stituzionale riservato all'autonomia regionale resti, per definizione, esclu so dalla sfera, nella quale si svolgono le relazioni esterne dello Stato: con l'insostenibile conseguenza — come dice la Corte suprema degli Stati

Uniti, significativamente in un caso per più versi analogo al nostro

(Missouri versus Holland, U.S. Supreme Court 1920, 252 U.S. 416) —

di creare un vuoto, dove, invece, deve risiedere un ' potere della mas sima importanza

' — quello, appunto, di stipulare i trattati — che '

appartiene a qualsiasi governo civile ' ». Non è da arrestarsi al termine « individuazione » di zona umida,

poiché si deduce dal contesto che il conflitto di attribuzione si esten

deva all'adozione del vincolo di salvaguardia. Tutto il discorso volge, in sostanza, intorno a presunto principio dal quale la corte sem

brava essersi dissociata allorquando con sentenza n. 81/79 (Foro it., 1980,

I, 18) aveva sottolineato essere una esigenza del nostro sistema costituzio

nale che l'attuazione in via legislativa delle direttive comunitarie non pre scinda dall'osservanza dei fondamentali principi dell'autonomia e del de

centramento, e precisato che, fermo rimanendo il limite del rispetto della

direttiva comunitaria, debbono le regioni considerarsi « abilitate ad

esercitare pienamente la propria autonomia ». La corte sembra ora di

nuovo cedere, in qualche misura, alla suggestione della vecchia conce

zione per la quale il principio del rispetto degli obblighi internazio

nali da parte delle regioni sarebbe diretto, non già a vincolare nel

suo esercizio la competenza regionale, bensì — secondo incisivi ter

mini dell'avvocatura dello Stato — ad «escluderla in radice».

Non si vuole qui reiterare l'analisi dell'errore che si annida in tale concezione, analisi dalla quale ha tratto avvio il diverso ordine di idee sopra riferito al paragrafo 2. Nulla, invero, è detto nella pronuncia della corte che valga a promuovere seri dubbi circa l'assunto dello scrivente che le regioni rimangono titolari di poteri nelle materie di loro competenza anche quando su tali materie vengano a gravare im pegni internazionali.

Un breve chiarimento è da aggiungere con riguardo alla decisa enunciazione: « Non vi è dubbio, in alcun caso, che l'individuazione, a norma della convenzione, di almeno una zona umida — senza la quale nessun vincolo o rapporto pattizio può sorgere fra il nuovo ade rente e le rimanenti parti dell'accordo — spetti agli organi chiamati ad impegnare lo Stato nei confronti degli altri soggetti di diritto inter nazionale. In definitiva, si tratta della competenza a concludere trat tati, o ad aderirvi ».

Non occorre, sembra, insistere sul punto che il diritto interna zionale si attua, fondamentalmente, nel sistema del diritto interno. Basti ricordare l'insegnamento di Anzilotti: norme internazionali « in tanto sono possibili in quanto si appoggiano a norme interne ». Di regola, le misure di esecuzione seguono, nella loro concreta attua zione, l'entrata in vigore dello strumento internazionale. Ma è possi bile, benché raro, che certe misure di natura esecutiva debbano pren dersi in tempo utile perché, all'entrata in vigore del trattato, per lo Stato asse siano già operanti. La loro qualificazione giuridica non per questo si tramuta in altra. E da ciò segue l'applicabilità anche ora, nello Stato, dei principi sulla competenza ad adottare le misure di esecuzione, principi da non confondere, nonostante ogni interconnes sione, con quelli sulla « competenza a concludere i trattati o ad ade rirvi ».

4. - Come avvertito, alla sentenza della corte lo scrivente fa riferi mento non per esauriente esame del dispositivo nelle concrete ragioni pro e contra, bensì' quale occasione per un richiamo di principi.

Si è inteso dare rilievo all'armonizzazione, sul piano dei principi, delle diverse esigenze emergenti dall'assetto della Repubblica con la riserva allo Stato della gestione degli affari internazionali e il rico noscimento alle regioni di sfere di autonomia che possono, attraverso tale gestione, essere coinvolte.

L'armonizzazione si consegue svolgendo convenientemente nelle ne cessarie implicazioni il principio ben certo del rispetto da parte delle regioni degli obblighi internazionali.

L'esercizio del potere centrale d'indirizzo e coordinamento può as sicurare in modo soddisfacente l'armonizzazione concreta.

Resta, a sopperire ai casi-limite, l'esercizio del potere, sempre cen trale, di sostituzione.

Giuseppe Sperduti

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 novembre 1979, n. 127 (Gazzetta ufficiale 21 novembre 1979, n. 381); Pres. Ama

dei, Rei. Rossano; imp. Bernoldi; interv. Pres. cons, ministri

(Avv. dello Stato Chiarotti). Ord. Trib. Roma 21 settembre

1976 (Gazz. uff. 29 dicembre 1976, n. 346).

Istruzione penale — Proscioglimento per infermità mentale —

Applicazione di misure di sicurezza — Competenza del giudice istruttore — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.

3, 24, 25; cod. proc. pen., art. 378, 381).

£ infondata la questione di costituzionalità degli art. 378, 1"

comma, prima parte, e 381, 2" comma, ultima parte, cod. proc.

pen., nella parte in cui dispongono che il giudice istruttore

e non il giudice del dibattimento deve dichiarare non do

versi procedere nei confronti di persona non imputabile, per ché incapace di intendere e volere per infermità psichica, ed

ordinare il suo ricovero in manicomio giudiziario per periodo non inferiore a due anni, in riferimento agli art. 25, 1" comma,

3, 1° comma, e 24, 2° comma, Cost.( 1)

(1) L'ordinanza 27 settembre 1976 del giudice istruttore del Tribu nale di Roma è massimata in Foro it., 1977, II, 148, con nota di richiami.

Corte cost. 14 luglio 1976, n. 174 (id., 1977, I, 47, con nota di ri

chiami), citata in motivazione, ha dichiarato infondata la questione di

costituzionalità dell'art. 378 cod. proc. pen. nella parte in cui consente

il proscioglimento istruttorio dei minori per mancanza di imputabili tà, cui può conseguire l'applicazione di misure di sicurezza detentive, senza che il difensore abbia avuto modo di partecipare agli atti istrut

tori sui quali la decisione si fonda, in riferimento all'art. 24, 2° com

ma, Cost., Per riferimenti, v. Corte cost. 24 maggio 1979, n. 24 (id., 1979, I,

1350, con nota di richiami), la quale ha ritenuto infondata la que stione di costituzionalità degli art. 205, 381, 2° comma, e 576, 3°

comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la sospen sione dell'esecuzione delle misure di sicurezza applicate con sentenza

istruttoria di proscioglimento in pendenza del giudizio sull'impugna

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PARTE PRIMA

La Corte, ecc. — Il giudice istruttore del Tribunale di Ro

ma ha prospettato il dubbio che gli art. 378, 1" comma, parte

prima, e 381, 2° comma, parte ultima, cod. proc. pen., siano in

contrasto con i principi del giudice naturale, del diritto di difesa

e di eguaglianza, sanciti dagli art. 25, 1° comma, 24, 2° comma, e

3, 1° comma, Cost., in quanto dispongono che il giudice istruttore

e non il giudice del dibattimento deve dichiarare non doversi

procedere nei confronti di persona non imputabile perché incapa ce di intendere e di volere per infermità psichica e ordinarne il

ricovero in manicomio giudiziaro per periodo non inferiore a due

anni.

Secondo il giudice a quo giudice naturale sarebbe il giudice del

dibattimento dato che il giudice istruttore ha solo il compito di

acquisire le prove, mentre il giudice del dibattimento ha la

funzione di approfondire e valutare definitivamente le prove, accertare l'esistenza del reato e attribuirlo all'imputato. Il diritto

di difesa verrebbe « ridotto e compresso in unica fase processua

le, cosiddetta istruttoria » e la misura di sicurezza sarebbe appli cata sulla base di elementi di prova che, se relativi a persona

imputabile, giustificherebbero solo il rinvio a giudizio.

2. - Le questioni non sono fondate.

Il principio sancito dall'art. 25, 1° comma, Cost., a partire dalla

sentenza n. 29 del 1958 (Foro it., 1958, I, 505), è stato da questa corte inteso nel senso che la locuzione « giudice naturale »

corrisponde a quella di «giudice precostituito per legge». E,

come qesta corte ha anche di recente precisato (sentenza n. 77

del 1977, id., 1977, I, 1345), detta norma tutela essenzialmente

l'esigenza che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una

garanzia rigorosa della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni

possibile arbitrio attraverso la precostituzione per legge del giudi ce in base a criteri fissati in anticipo e non in vista di singole controversie. Pertanto se, come pone in risalto l'ordinanza, il

giudice del dibattimento è giudice naturale precostituito per legge,

che, a seguito dell'ordinanza di rinvio, deve approfondire l'inda

gine ed affermare o meno l'esistenza del reato e la responsabilità o meno dell'imputato, anche il giudice istruttore, ai termini

dell'art. 25, 1° comma, Cost., è giudice naturale precostituito per

legge ed ha l'obbligo di compiere prontamente e soltanto quegli atti che, in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell'i

struzione, appaiono necessari per l'accertamento della verità.

3. - Né il 1° comma dell'art. 25 stabilisce una garanzia

costituzionale nei limiti ritenuti dal giudice istruttore.

Questa corte, con sentenza n. 27 del 20 aprile 1959 (id., 1959,

I, 713), ebbe ad affermare che per il principio di prevenzione sociale l'ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini

deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive di

fatti illeciti penali, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell'avve

nire; esigenza questa e regola fondamentale di ogni ordinamento,

accolta e riconosciuta dall'art. 13 Cost., il quale, con lo stabilire

che le restrizioni alla libertà personale possono essere disposte soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e

modi previsti dalla legge, ha anche previsto, per ciò stesso, la

possibilità di restrizioni in via di principio; e dall'art. 25, 3°

comma, Cost., il quale, con riaffermare il principio, già espresso dall'art. 199 cod. pen., che nessuno può essere sottoposto a misure

di sicurezza se non nei casi stabiliti dalla legge, ha accolto

nell'ordinamento il sistema di misure di sicurezza a carico degli individui socialmente pericolosi. E in coerenza con tale pronuncia e successiva giurisprudenza (cfr. sent. n. 96 del 1970, id., 1970, I,

1853), questa corte, con sentenza n. 19 del 24 gennaio 1974 (id.,

1974, I, 603), affermò che nella realtà del sistema costituzionale le

misure di sicurezza e le pene avevano diversa struttura e funzioni

e l'art. 25 Cost, ricalcava le disposizioni del codice penale sui

principi di legalità e irretroattività: rispettivamente, gli art. 1 e 2

per la pena e 199 cod. pen. per la misura di sicurezza.

4. - Ammesso il fondamento costituzionale delle misure di

sicurezza nell'art. 25, deve escludersi che gli art. 378 e ultima

parte dell'art. 381 cod. proc. pen. siano tuttora censurabili per

contrasto con il principio, enunciato nel 2° comma dell'art. 24

Cost., che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del

procedimento. Tale principio sarebbe violato in quanto il giudice

istruttore deve accertare l'esistenza del fatto preveduto come

reato, attribuirlo all'infermo di mente senza quella ampiezza di

prove consentite nel dibattimento e applicare la grave misura di

sicurezza dell'internamento in manicomio giudiziario per pericolo

zione proposta dall'imputato contro la sentenza stessa in riferimento

all'art. 3 Cost. Sui manicomi giudiziari o, più propriamente dopo la Jegge 354/1975,

sugli ospedali psichiatrici giudiziari, cfr. A. Manacorda, in questo fasci

colo, V, 65, che ricorda i provvedimenti giudiziari sul tema ripor

tati nella parte seconda del fascicolo.

sità presunta ai termini dell'art. 222 cod. pen., con violazione

anche del principio di parità di trattamento.

5. - Il principio enunciato nel 2° comma dell'art. 24 Cost, è

stato inteso da questa corte, con giurisprudenza costante a partire dalla sentenza n. 46 del 1957 (id., 1957, I, 1393), in unico

contesto con quello enunciato nel 1° comma dello stesso art. 24, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. In questo modo, è posto in risalto

nella indicata sentenza, è reso concreto e non soltanto apparente il diritto alla prestazione giurisdizionale in ogni ordinamento

basato sulle esigenze indefettibili della giustizia. Il diritto della

difesa, pertanto, è collegato alla esplicazione del potere giurisdi zionale e il concreto esercizio del diritto medesimo deve essere

inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professiona le nello svolgimento di qualsiasi processo in modo che venga assicurato il contraddittorio e rimosso ogni ostacolo a far valere

le ragioni delle parti. Ma, fermato questo carattere del diritto di

difesa, fu aggiunto e posto in particolare risalto che le modalità

dell'esercizio sono regolate secondo le speciali caratteristiche delia

struttura dei singoli procedimenti, senza che le modalità stesse

feriscano o menomino l'esistenza del diritto allorché vengano assicurati lo scopo e la funzione perseguiti.

Tali principi sono stati confermati con giurisprudenza costante

e, per quanto attiene all'istruttoria formale compiuta dal giudice istruttore, questa corte con sentenza n. 110 del 7 giugno 1963 (id.,

1963, I, 1281) affermò che l'art. 25 Cost, non si riferisce soltanto

al giudice competente per la pronuncia finale e il fondamento di

garanzia, che lo ispira, permette di comprendere nel suo tenore

anche l'istruttoria formale, che, a parte altri rilievi, potendo concludersi con una sentenza di proscioglimento, ha in sé per ciò

solo gli estremi della giurisdizione. La sentenza di proscioglimento contiene una espressa pronuncia sul fondamento della accusa, al

pari di quella pronunciata nel dibattimento. La sentenza tuttavia

dichiarò l'illegittimità del 2° comma dell'art. 234 cod. proc. pen. in quanto, nel corso dell'istruzione formale, prima della sentenza

del giudice istruttore o prima del decreto di citazione quando sì

procedeva a istruzione sommaria, attribuiva al procuratore genera le l'insindacabile discrezionalità di rimettere l'istruzione alla se

zione istruttoria, togliendo cosi alla parte il doppio grado di

giurisdizione e in contrasto con il principio secondo cui la

competenza del giudice deve dipendere necessariamente dall'accer

tamento di fatti ipotizzati dalla legge, da verificarsi nel futuro e

non già verificati.

6. - Ora la competenza inderogabile del giudice istruttore ad

accertare il fatto preveduto dalla legge come reato e a pronuncia re sentenza di proscioglimento, con applicazione della misura di

sicurezza nel manicomio giudiziario prevista dall'art. 222 cod.

pen., è stabilita dal legislatore nell'esercizio del suo potere discre

zionale di regolare le giurisdizioni alla stregua dei principi costituzionali. E la competenza del giudice istruttore è stabilita

nei confronti dell'infermo di mente, in quanto tale, incapace di

intendere e di volere e quindi non imputabile (art. 85 e 88 cod.

proc. pen.); situazione soggettiva questa che esclude una cosciente

efficace attività difensiva dell'imputato.

Invece, la competenza del giudice del dibattimento ha fonda

mento costituzionale e presupposti diversi. Per l'esigenza fonda

mentale e primaria di repressione dei reati e di applicazione della

pena il fondamento costituzionale è stabilito nell'art. 27 Cost.,

presupposti sono la capacità dell'imputato e il diritto di svolge nei limiti della disciplina del dibattimento, un'attività nell'ese

zio del diritto di difesa ai fini dell'accertamento delle prove in

quanto attiene all'esistenza del reato e all'affermazione della

responsabilità penale ai fini dell'applicazione della pena. Ed è

proprio in ragione di questa possibile dinamica difensiva che il

dibattimento si svolge nell'osservanza del principio della oralità,

che ha riflessi anche su quello del contraddittorio; principi che

anche nel dibattimento non possono essere osservati nel caso che

risultino gravi e fondati indizi che rendano necessaria un'indagine sullo stato di mente dell'imputato. In questi casi il giudice

dispone perizia o, se lo ritiene, pronuncia sentenza di prosciogli mento (art. 455, 456 e 88 cod. proc. penale).

7. - Quanto poi all'assunto del tutto generico, contenuto nell'or

dinanza, che l'accertamento in istruttoria sia del tutto insufficien

te, va rilevato che con sentenza n. 174 del 14 luglio 1976 (id.,

1977, I, 47) questa corte ha dichiarato non fondata questione simile all'attuale considerando che nella fase istruttoria, attraverso

il deposito degli atti e documenti del processo e la facoltà dei

difensori di trarne copia e di presentare le istanze e le memorie

che ritengono opportune, la difesa ha possibilità di realizzarsi

nell'intero arco della fase istruttoria con pienezza di diritti. Ciò

comporta anche la piena facoltà di richiedere al giudice istruttore

l'espletamento di ogni altro mezzo di prova ritenuto necessario

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

per l'accertamento della verità e allo stesse fine di richiedere,

anche, la reiterazione di quei mezzi di prova già espletati, ma

ritenuti incompleti o comunque contraddittori, di eccepire le

eventuali nullità incorse nell'istruttoria stessa e di provocare b

rinnovazione o la rettifica degli atti viziati di nullità.

Né, d'altra parte, il giudice istruttore può ignorare le istanze

della difesa sulle quali è obbligato a provvedere con ordinanza o

con sentenza al fine di garantire ogni ulteriore rimedio giuridico. Per questi motivi, dichiara non fondate le questioni di legittimi

tà costituzionale degli art. 378, 1° comma, parte ultima, 381, 2°

comma, parte ultima, cod. proc. pen., sollevate dal giudice istrut

tore del Tribunale di Roma, con ordinanza 27 settembre 1976, in

riferimento agli art. 25, 1° comma, 3, 1° comma, e 24, 2° comma, Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 ottobre 1979, n. 117

(Gazzetta ufficiale 17 ottobre 1979, n. 284); Pres. Amadei,

Rei. Elia; imp. Branca. Ord. Pret. Torino 25 novembre 1975

(Gazz. ufi. 28 settembre 1977, n. 265).

Testimoni in materia penale — Giuramento — Assunzione di

responsabilità dinanzi a Dio — Obbligo per i non credenti —

Incostituzionalità (Cost., art. 19; cod. proc. civ., art. 251; cod.

proc. pen., art. 142, 316, 329, 449).

Sono illegittimi, per violazione dell'art. 19 Cost., gli art. 251, 2°

comma, cod. proc. civ., nonché — ai sensi dell'art. 21 legge 11 marzo 1953 n. 87 — gli art. 142, 1" comma, 316, 2° comma,

329, 1" comma, e 449, 2' comma, cod. proc. pen., nella parte in cui riferiscono anche ai non credenti l'obbligo del giudice

di ammonire i testimoni sull'importanza religiosa del giura mento e l'obbligo dei testimoni stessi di prestarlo nei con

fronti della divinità. (1)

(1) La sentenza è riportata in Foro it., 1979, I, 2517, con nota

di richiami; ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di

P. Floris.

* * *

Ateismo e religione nell'ambito del diritto di libertà religiosa.

1. - Nella sentenza del 10 ottobre 1979, n. 117(1), la Corte co

stituzionale riconosce che la formula del giuramento non tutela in

egual modo la libertà di coscienza del credente e del non credente.

Con la sentenza viene dichiarata l'illegittimità costituzionale delle

norme relative al giuramento richiesto in occasione di « uffici le

galmente dovuti », limitatamente però alla parte in cui esse non con

tengono l'inciso «se credente», dopo l'ammonizione sulla importanza

religiosa del giuramento e dopo le parole « consapevole della re

sponsabilità che assumete davanti a Dio» (art. 251, 2' comma, cod.

proc. civ.; art. 316, 2° comma, 449, 1° comma, e 142 cod. proc. penale). 11 principio da cui muove la corte nel motivare la decisione è

che la libertà di coscienza dei non credenti rientra nella più

ampia libertà in materia religiosa tutelata dal nostro ordinamento

costituzionale, il quale esclude una qualsiasi differenziazione di tu

tela della libera esplicazione sia della fede religiosa sia dell'ateismo.

Una prima lettura della sentenza potrebbe concludersi con l'affer

mazione che la corte in questa occasione ha recepito quanto già da

tempo sostenuto dalla dottrina in tema di libertà religiosa. È evidente, tuttavia, l'importanza della decisione: non soltanto per

ché essa segna un mutamento d'indirizzo dei giudici costituzionali

sul problema dell'ateismo; ma soprattutto perché fissa un principio, la cui incidenza supera la specifica questione sottoposta all'esame

della corte. Per la prima voita, nell'aflrontare il tema della libertà religiosa, la

corte dichiara che la tutela costituzionale di questo diritto di libertà

abbraccia tutti i possibili e diversi atteggiamenti dell'individuo di

fronte e rispetto al 'problema religioso'»: la libertà di coscienza,

infatti, è da intendersi non solo come libera adesione positiva ad una

determinata fede, ma anche come non adesione ad una qualsiasi

fede, e come « libera esplicazione » e professione di ateismo.

L'importanza di questi enunciati appare evidente appena si con

sideri che per lungo tempo il problema della libertà religiosa è stato

concepito prevalentemente come un problema di tutela delle mani

festazioni di fede positiva. Tendenza, questa, che ha portato la legisla

zione ecclesiastica italiana a prestare un'attenzione del tutto indi

retta e marginale verso le ' opzioni negative

" in materia religiosa.

E ciò, sia quando, come nel periodo libérale, era più viva l'ispira

zione pluralista dell'ordinamento, sia quando, dopo il Concordato del

1929, prevalse un monismo neo-confessionista che, oltre ad attenuare

fortemente la tutela delle altre confessioni religiose, fini per l'essere

antitetico ad ogni concezione non religiosa o ateistica.

(1) Corte cost. 10 ottobre 1979. n. 117. Foro it.. 1979. I. 2517, con

nota di richiami.

La legislazione ecclesiastica liberale non mancò, naturalmente, di estendere l'ambito di operatività del diritto di libertà religiosa oltre i confini della religiosità positiva; al punto che proprio la soluzione data nel 1876 al problema del giuramento è slata richiamata dalla Certe costituzionale per motivare l'indirizzo innovativo prima accen nato. Ma è vero che, se considerata globalmente, la tutela dell'ateismo nel periodo liberale « compresa nel più vasto concetto di libertà di manifestazione del pensiero. . . era attualizzata in un contesto ideo

logico e normativo pluralista, senza per questo essere oggetto di una

puntuale previsione legislativa » (2). Più stabili nel tempo le soluzioni ' concordatarie ' che hanno fi

nito con il resistere a lungo alla stessa approvazione della Costitu zione del 1948, e con il condizionare il dibattito dottrinale successivo in materia di libertà religiosa e di ateismo. L'impostazione costitu zionale restò di fatto congelata, e venne anzi interpretata con mo

duli e categorie concettuali e normative immediatamente desunte

dall'ottica confessionista del 1929.

L'analisi dottrinale del primo periodo costituzionale venne cosi' ad

oscillare tra una rinnovata tendenza alla ' marginalizzazione ' del

problema dell'ateismo, e orientamenti che più chiaramente volevano

sancire una sorta di antigiuridicità di quest'ultimo. Si sono cosi af

fermate, in tempi diversi, impostazioni che avevano collegamenti og

gettivi con la tradizione giuridica precedente. Da quelle che consi

deravano l'ateismo, nella sua forma individuale e associata, senz'al

tro estraneo al fenomeno religioso, « essendone anzi la negazione » (3):

a quelle, più generali, che riconoscevano nella Costituzione una « ma

nifesta preferenza per gli interessi religiosi » (4) e che portavano di

fatto a privilegiare, dal punto di vista costituzionale, la posizione del

credente rispetto a quella del non credente.

Più nettamente, chi volle escludere una tutela costituzionale della

libertà dell'ateismo individuò l'oggetto della libertà religiosa, di cui

all'art. 19 Cost., nella « religione in quanto tale », e ne fece deri

vare addirittura l'illiceità dell'ateismo (in specie dell'ateismo atti

vo) (5); ovvero escluse la possibilità di estendere ai non credenti il

principio costituzionale di eguaglianza « senza distinzione di reli

gione » (6). Nel momento in cui questa più restrittiva tendenza sem

brava trovare qualche parziale accoglimento in sede giurispruden

ziale (in tema di affidamento e educazione della prole) (7), si sosten

ne che la libertà di ateismo, pur non essendo esclusa « per il diritto

italiano », non gode tuttavia « della garanzia costituzionale » (8), e

si parlò dell'ateismo come di « una forma, a dir poco, di minore al

tezza morale » (9). Ciò spiega l'orientamento prevalso in sede di giurisprudenza co

stituzionale sino all'odierna pronuncia. In particolare, nella sentenza

n. 58 del 1960, salvando la formula del giuramento dalla eccezione

di incostituzionalità, la corte affermò che la situazione del non cre

dente non rientrava nella previsione dell'art. 449 cod. pen., ma nep

pure poteva ricomprendersi nell'ambito dell'art. 19 Cost.: infatti, pre

cisò la corte in quella occasione, « la libertà religiosa, pur costituendo

l'aspetto principale della più estesa libertà di coscienza, non esau

risce tutte le manifestazioni della libertà di pensiero: l'ateismo co

mincia dove finisce la vita religiosa » (10).

(2) Cardia, Ateismo e libertà religiosa, Bari, 1973, 23 ss.

(3) Baccari, Introduzione sistematica al diritto ecclesiastico, Bari.

1970. 94. (4) Gismondi, L'interesse religioso nella Costituzione, in Giur. costit.,

1958, 1221 ss.; v. anche De Luca, Diritto ecclesiastico e sentimento

religioso, in Raccolta di scritti in onore di A. C. femolo, Milano, 1963.

1, 391 ss.; Spinelli, Problematica attuale nei rapporti tra Chiesa e

Stato, Modena, 1970. 145 ss., il quale afferma la « funzione costrut tiva del fattore religioso sul piano sociale », in cui il legislatore ha

voluto riconoscere « uno strumento efficace per l'attuazione dei com

piti dello Stato »; Id., Diritto ecclesiastico, Torino, 1976, 277 ss.; cfr. Ferrari, Ideologia e dogmatica nel diritto ecclesiastico italiano, Milano, 1979, 95 ss.

(5) Origone, La libertà religiosa e l'ateismo, in Studi di diritto co

stituzionale in memoria di L. Rossi, Milano, 1952, 419 ss.: «Dall'in serimento di questo tristo fenomeno entro Io schema al quale esso è essenzialmente estraneo, deriva l'assurda conseguenza che esso possa essere introdotto con frode nel mondo giuridico sotto l'insegna della libertà religiosa. Esso la interessa, è ben vero, ma soltanto come sua

piena contraddizione, e quella può essere invocata in proposito con tro di esso. Perché è proprio la libertà religiosa dei soggetti religiosi quella che impedisce, esclude e vieta una libertà religiosa dei sog getti antireligiosi » (p. 454); cfr. Jemolo, Le libertà garantite dagli art. 8, 19, 21 della Costituzione, in Dir. eccles., 1952, 1, 398 ss.

(6) V. Allorio, Ateismo ed educazione dei figli; L'ateo educatore; Ancora sull'educazione atea e la discrezionalità del magistrato; An cora sul problema dell'educazione religiosa e dell'educazione irreli

giosa, in Prolemi di diritto, Milano, 1957, 111, 223 ss.; Gabrieli.

Profili costituzionali della libertà religiosa e libertà di culto, in Studi in onore di A. De Morsico, Milano, 1960, I, 361.

(7) Trib. Ferrara 13 agosto 1948, Giur. it., 1948, 1, 2, 592, con nota di Bigiavi. Sulla sentenza, oltre agli interventi di Allorio, ci tati nella nota precedente, v. Bigiavi, Ateismo, educazione laica e

assegnazione dei figli di coniugi separati, in Giur. it., 1949, I, 2, 13; G. Stolfi, Separazione dei coniugi e educazione dei figli, in Foro it., 1949, IV, 52; Carnelutti, Libertà di coscienza nell'affidamento della

prole al coniuge separato, id., 1949, IV, 56; A. Lener, Differenze religiose tra coniugi, separazione personale (o divorzio) e assegnazione dei figli, id., 1949, IV, 61; Orestano, Educazione religiosa ed affida mento della prole nella separazione personale dei coniugi, id., 1949, IV, 70.

(8) Allorio, L'ateo educatore, cit., 239. (9) Carnelutti, op. cit., 57. (10) Corte cost. 13 luglio 1960, n. 58, horo it., I960, 1, 1271;

per l'ordinanza di rimessione emessa da Pret. Vicenza 27 novembre 1959,

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