sentenza 14 novembre 1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tomasi (Avv. Bertolini) c. Soc. AW(Avv. Orlandi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 3085/3086-3089/3090Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194937 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
to dell'ordine professionale, ma è ininfluente rispetto all'ambi
to di cognizione demandata a questo collegio, chiamato a giudi care su di una specifica vicenda.
II
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 12 settembre 1996 Andrea Monti conveniva in giudizio Fran
co Abruzzo, Brunello Tanzi, Gabriele Moroni, Annibale Caren
zo, Flavio Dolcetti e Gian Luigi Falabrino ed esponeva: — di essere direttore responsabile del settimanale Panorama; — di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare —
per pubblicità redazionale — dal Consiglio dell'ordine dei gior nalisti della Lombardia per aver pubblicato sulla copertina della
rivista una fotografia della modella Carla Bruni, nuda in sauna
con una scarpa, e, all'interno, un servizio sulla modella stessa, in cui si faceva riferimento a Cesare Pacioni, stilista e produt tore della calzatura;
— di essere stato riconosciuto colpevole «di un fatto tale da
compromettere la sua reputazione» e colpito con la sanzione
dell'avvertimento scritto; — aggiungeva che, ancor prima della notifica presso lo stu
dio del difensore, il provvedimento era stato trasmesso dall'or
dine dei giornalisti ai principali organi di informazione ed alle
agenzie di stampa. Chiariva poi che il provvedimento recava
all'ordine di pubblicazione su Tabloid, organo dell'Ordine dei
giornalisti della Lombardia; diffidato dal difensore dell'attore
ad attendere la pronunzia dell'organo di seconda istanza, il con
siglio decideva di procedere ugualmente alla pubblicazione; la
mentando il grave danno derivatogli dalla intempestiva pubbli
cazione del provvedimento disciplinare inflittogli, chiedeva che
fosse accertata e dichiarata l'illiceità «della divulgazione del co
municato stampa 20 giugno 1996, della delibera 16 luglio 1996
e della pubblicazione della delibera 19 giugno 1996 su Tabloid
luglio-agosto 1996», con conseguente condanna di tutti i conve
nuti al risarcimento del danno, patrimoniale e non, nella misu
ra di lire 50.000.001, o in quella diversa misura determinata
equitativamente, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi
legali. I convenuti si costituivano ritualmente in giudizio e chiedeva
no la reiezione delle avverse domande, sostenendo che il consi
glio dell'ordine aveva respinto con ampia motivazione la diffida
dell'avv. Bovio, richiamando i principi del diritto-dovere dei gior
nalisti di procedere ad una corretta informazione sul comporta mento dei propri iscritti nonché quello della trasparenza, al quale doveva essere uniformata la sua attività di ente pubblico. Chia
rivano poi che le decisioni del consiglio, una volta depositate in segreteria ed affisse, sono pubbliche e possono essere divul
gate nell'interesse di tutti gli iscritti. Eccepivano poi la propria carenza di legittimazione passiva, essendo il comportamento con
testato riferibile direttamente al consiglio dell'ordine. Nel meri
to rivendicavano la legittimità del comportamento del consiglio
stesso e rilevavano l'indeterminatezza della domanda di risarci
mento, non avendo l'attore indicato elementi utili ad individua
re Van ed il quantum debeatur.
Precisate le conclusioni dalle parti così come riportate in epi
grafe, la causa veniva rimessa in decisione.
Motivi della decisione. — I difensori delle parti hanno, con
dotte motivazioni, esteso a dismisura il thema decidendum, che
appare invece al giudicante possa essere agevolmente circoscrit
to alla liceità (o illiceità) della pubblicazione di un provvedi
mento effettivamente assunto dal Consiglio dell'ordine dei
giornalisti-Consiglio regionale della Lombardia.
Non v'è spazio per ipotizzare una risposta negativa: il consi
glio dell'ordine è organo preposto alla sorveglianza ed alla di
sciplina dei suoi iscritti ed i suoi provvedimenti sono, e devono
essere, per loro natura e per la natura dell'ente che li emana,
accessibili a tutti. Aver comunicato alla stampa nazionale il prov
vedimento completo ed averlo pubblicato su Tabloid non costi
tuisce certo comportamento illecito, lesivo dei diritti del Monti.
Meraviglia che le censure muovano da chi ha fatto dell'infor
mazione il proprio impegno quotidiano e dovrebbe quindi ben
sapere che l'interesse del pubblico alla corretta e completa in
formazione su tutto ciò che riguarda la vita «pubblica» in gene
re, ivi comprese le vicende relative ai giornalisti, che della vita
«pubblica» sono gli interpreti ed i veicoli primi, deve sempre
Il Foro Italiano — 1999.
e comunque prevalere sul diritto del singolo, chiunque esso sia, alla riservatezza.
Corre poi obbligo di rilevare come la comunicazione della
decisione (peraltro confermata in secondo grado) sia stata parti colarmente completa, esauriente e corretta. La notizia è stata
data senza il minimo commento, ma tutti gli elementi, di accusa
e di difesa, sono stati puntigliosamente riportati, sia nel comu
nicato alla stampa che nell'articolo apparso su Tabloid.
Complesse e numerose sono le altre questioni sottoposte a
questo giudice. Come, ad esempio, la legittimazione passiva dei
convenuti, i quali sono le persone fisiche (consiglieri) che hanno
assunto non già la delibera che irrogava la sanzione e disponeva la pubblicazione del proprio provvedimento su Tabloid, ma quella successiva che respingeva la diffida alla pubblicazione dell'avv.
Bovio.
Se può concordarsi sulla responsabilità personale dei compo nenti dell'organo collegiale autore dell'illecito, non può non sor
gere qualche dubbio in ordine alla ricollegabilità dei danni la
mentati dal Monti alla seconda e non alla prima delibera.
Ancora, circa la natura e l'entità dei danni riportati dal Mon
ti, che in assenza di un fatto-reato non possono che essere dan
ni patrimoniali, non può non osservarsi come egli non abbia,
effettivamente, fornito alcun elemento che consenta di determi
narne la natura e l'entità. Strana, poi, la doglianza dell'attore
circa la lesione al suo (preteso) diritto alla presunzione di inno
cenza e a non vedersi irrogata una sanzione (derivante dal di
scredito ricollegabile alla pubblicazione) prima dell'accertamen
to definitivo dell'illecito contestatogli. Forse varrebbe la pena che riflettesse se non sia anche suo costume comportarsi così,
quando, come tutti i giornali, quello da lui diretto pubblica no
tizie di condanne non definitive, nella convinzione — peraltro fondata — di adempiere ad un dovere e di esercitare un diritto
costituzionalmente garantito. Gli stessi rilievi valgono per i consiglieri convenuti: essi si
sono limitati, nel massimo rispetto dei diritti del Monti e con
la massima correttezza, a riferire al pubblico, che certamente
ne aveva tutto l'interesse, una notizia vera.
Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, deve conclu
dersi per la piena liceità del comportamento dei convenuti.
Ne consegue il rigetto di tutte le domande proposte dall'attore.
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA; sentenza 14 novembre
1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tornasi (Avv. Berto
lini) c. Soc. AW (Avv. Orlandi).
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA;
Appello civile — Atto introduttivo — Doglianze di merito in
via specifica — Richiesta di decisione diversa — Mancanza — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 321, 339, 342).
È inammissibile l'appello introdotto con atto mancante delle
doglianze di merito in via specifica e della richiesta volta ad
ottenere una decisione diversa da quella adottata in prime
cure, salvo che la dedotta nullità non comporti il rinvio della
causa al primo giudice. (1)
(1) Nella fattispecie in esame l'appellante, opponente a decreto in
giuntivo in prime cure: 1) aveva dedotto la nullità della sentenza di
primo grado emessa dal giudice di pace per violazione dell'art. 321 c.p.c. «non consentendo alle parti né di precisare le conclusioni né di discute
re la causa» poiché quest'ultima era stata trattenuta in riserva per la
decisione sulle istanze istruttorie delle parti e poi era stata subito decisa
con la sentenza appellata allegata all'ordinanza di rigetto delle prove;
2) si era richiamato alle deduzioni di merito contenute nell'atto intro
duttivo di primo grado chiedendo il rigetto delle domande «tutte del
l'opponente . . . con conseguente conferma del decreto ingiuntivo op
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3087 PARTE PRIMA 3088
Svolgimento del processo. — Con decreto emesso in data 15
marzo 1996 il Giudice di pace di Correggio ingiungeva alla De
Tornasi s.a.s. di pagare alla AW s.r.l. la somma di lire 3.107.875
oltre accessori quale corrispettivo per la fornitura di una partita di raccoglitori personalizzati.
Con atto di citazione notificato il 13 aprile 1996 la De Toma
si proponeva opposizione mediante la quale negava la debenza
della somma ingiunta adducendo, in primo luogo, l'avvenuta
risoluzione consensuale del contratto e, in secondo luogo, la
presenza nella merce di vizi tali da giustificare la risoluzione
del contratto stesso.
La AW s.r.l., nel costituirsi in giudizio, deduceva che l'ac
cordo risolutorio era stato subordinato alla condizione dell'in
tegrale restituzione della merce che, nella specie, non si era veri
ficata. Negava inoltre l'esistenza degli asseriti difetti evidenziando
che la società opponente aveva utilizzato buona parte dei racco
glitori fornitile.
Esperito vanamente il tentativo di conciliazione, all'udienza
del 18 settembre 1996 il giudice di pace tratteneva la causa in
riserva per decidere sulle istanze istruttorie formulate da en
trambe le parti. Con successiva ordinanza il giudice di pace adottava il se
guente provvedimento: «... sciolta la riserva, non ammette le
prove proposte in quanto ritiene la causa sufficientemente do
cumentata e emette sentenza, in data 19 settembre 1996, con
foglio a parte». Con sentenza pubblicata in data 26 settembre 1996 il primo
giudice riteneva infondate le domande avanzate dalla società
opponente sulla base della documentazione agli atti evidenzian
do, in particolare, che l'utilizzo di buona parte della merce mal
si conciliava sia con l'esistenza di un accordo risolutorio sia
con la presenza di difformità di lavorazioni. Rigettava pertanto
l'opposizione dichiarando l'integrale compensazione delle spese di causa.
Nei confronti di tale decisione la società De Tornasi propone va gravame deducendo la nullità della sentenza per violazione
dell'art. 321 c.p.c. e riportandosi, quanto al merito, alle dedu
zioni svolte nel libello introduttivo.
La AW s.r.l. chiedeva il rigetto del gravame per infondatezza
evidenziando, in via preliminare, l'estrema genericità dei motivi
formulati dall'appellante al fine di ottenere il riesame del merito.
posto» (sic) ed in via subordinata la declaratoria di risoluzione del con tratto con condanna al risarcimento dei danni.
Nella sentenza che si riporta il tribunale, rilevando che le censure in appello devono esser prospettate solo con l'atto di impugnazione, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello: a) sul secondo punto per mancanza di specificazione delle doglianze di merito, non essendo suf ficiente la semplice affermazione che la sentenza impugnata è errata ed il generico richiamo alle difese di primo grado; b) sul primo punto per l'assenza di una richiesta volta ad ottenere una decisione diversa da quella adottata in prime cure poiché ove la nullità non rientri fra
quelle che comportano la rimessione della causa al primo giudice, la deduzione di siffatta nullità deve essere accompagnata dal gravame contro
l'ingiustizia della sentenza. Sull'inammissibilità dell'appello per mancanza di motivi dedotti in
via specifica, la giurisprudenza si è pronunciata quasi in via unanime:
cfr., in tal senso, Cass. 26 giugno 1998, n. 6335, Foro it., Rep. 1998, voce Appello civile, n. 77; 28 novembre 1997, n. 12054, id., Rep. 1997, voce cit., n. 88, che ha specificato la necessità, a pena di inammissibili
tà, dell'indicazione dei motivi di gravame, anche se la sentenza di pri mo grado è stata espressamente impugnata in toto\ 29 luglio 1995, n.
8377, id., Rep. 1995, voce cit., n. 81; 4 dicembre 1986, n. 7203, id., Rep. 1986, voce cit., n. 88; 24 luglio 1986, n. 4737, ibid., n. 89; 25 novembre 1983, n. 7070, id., 1985, I, 103, secondo cui il controllo sul l'inammissibilità dell'appello per la mancata specificazione dei motivi
può essere effettuato anche d'ufficio dalla Suprema corte, salvo che la relativa questione sia stata esaminata e decisa dal giudice di secondo
grado e manchi in proposito uno specifico motivo di ricorso; 27 giugno 1981, n. 4196, id., 1981, 1, 2421, e 10 aprile 1980, n. 2298, id., Rep. 1980, voce cit., n. 138.
In senso contrario, pronunciandosi nel senso della nullità, anziché dell'inammissibilità, dell'appello per assoluta genericità dei motivi di
impugnazione, Cass. 20 settembre 1993, n. 9628, id., 1994, 1, 3153. Cass. 20 giugno 1983, n. 4234, id., 1983, I, 1564, ha affermato che
al fine dell'esatta osservanza dell'art. 342 c.p.c., è necessario che siano
specificate con chiarezza e precisione, anche se non con formule sacra mentali o speciali, le ragioni del gravame, senza possibilità di farlo in atti successivi.
Il Foro Italiano — 1999.
All'udienza collegiale del 2 luglio 1998 i procuratori delle parti
precisavano le conclusioni come in epigrafe e, dopo lo scambio
delle comparse conclusionali, la causa veniva posta in decisione.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di gravame
l'appellante ha dedotto la nullità della sentenza impugnata so
stenendo che il primo giudice, pronunciando tale decisione con
testualmente al provvedimento sulle istanze istruttorie, è incor
so nella violazione dell'art. 321 c.p.c. non consentendo alle par ti né di precisare le conclusioni né di discutere la causa.
Con il secondo motivo l'appellante, dopo aver precisato che
«i motivi formali risultano assorbenti rispetto a quelli di meri
to», si è richiamato, con riferimento alle deduzioni di merito, a «quanto precisato nella narrativa dell'atto di citazione in op
posizione a decreto ingiuntivo». Sulla scorta di tali premesse l'appellante ha chiesto in via pre
giudiziale la declaratoria di nullità della sentenza, nel merito
il rigetto «delle domande tutte dell'opponente, per i motivi di
cui in premessa, con conseguente conferma del decreto ingiunti vo opposto» (sic) e in via subordinata riconvenzionale la decla
ratoria di risoluzione del contratto con condanna della società
appellata al risarcimento dei danni (cfr. le conclusioni riportate nell'atto di citazione).
Ciò posto il collegio osserva quanto segue. Secondo il costante orientamento di legittimità le censure av
verso la sentenza di primo grado devono essere prospettate, ai
sensi degli art. 339 e 342 c.p.c., soltanto con l'atto di impugna zione sicché l'appellante è tenuto a dedurre tutti i motivi di
gravame con l'atto di appello — e nulla può aggiungere in pro
sieguo — in quanto il diritto potestativo di impugnazione si
consuma con l'atto di appello stesso che fissa i limiti della de
voluzione della controversia in sede di gravame (cfr. Cass. 9
aprile 1983, n. 2523, Foro it., Rep. 1983, voce Appello civile, n. 93; 16 ottobre 1987, n. 7651, id., Rep. 1987, voce cit., n.
7; 26 gennaio 1989, n. 449, id., Rep. 1989, voce cit., n. 38). La volontà della parte di impugnare nella sua globalità la
sentenza di primo grado non richiede l'impegno di formule sa
cramentali né una rigorosa enunciazione dei punti e dei motivi
di gravame; tuttavia anche in tal caso occorre pur sempre che
siano spiegate, per quanto sommariamente, le ragioni dell'im
pugnazione onde consentire al giudice di identificare i punti da
esaminare e di vagliare le ragioni di fatto e di diritto per le
quali si è formulato il gravame: sicché non è sufficiente la sem
plice affermazione che la sentenza di primo grado è errata o
la mera richiesta di riforma della decisione impugnata e neppu re il generico richiamo alle difese svolte in primo grado (cfr. Cass. 18 gennaio 1985, n. 135, id., Rep. 1986, voce cit., n.
81; 5 giugno 1987, n. 4917, id., Rep. 1987, voce cit., n. 107; 26 gennaio 1989, n. 449, cit.).
Venendo ora ad esaminare il caso di specie, il collegio non
può esimersi dall'osservare che né dal contenuto dell'atto di ci
tazione in appello né dalle conclusioni ivi riportate sono desu
mibili censure nei confronti del merito della decisione impugnata. La parte motiva di tale atto si limita infatti al generico richia
mo alle difese svolte in primo grado — e, segnatamente, a quanto
precisato nella narrativa dell'atto di opposizione al decreto in
giuntivo — e non contiene, pertanto, alcuna critica al processo
logico-giuridico mediante il quale il giudice di pace ha ricono
sciuto la debenza della somma ingiunta in via monitoria.
La parte dell'atto di appello destinata alle conclusioni non
fornisce anch'essa alcuna utile indicazione circa l'eventuale sus
sistenza di errori di fatto o di diritto attribuibili al merito della
decisione e rende anzi ancora più confuso il tema del presente
giudizio ove si consideri che l'appellante — opponente nel giu dizio di primo grado ad un provvedimento monitorio — ha chie
sto il rigetto «delle domande tutte dell'opponente, per i motivi
di cui in premessa, con conseguente conferma del decreto in
giuntivo opposto». In forza di tali considerazioni deve pertanto essere dichiarata
l'inammissibilità del secondo motivo di impugnazione per man
cata specificazione delle doglianze di merito.
Resta a questo punto da esaminare il primo motivo di grava me con il quale la società appellante ha dedotto la nullità della
sentenza impugnata. Tale motivo è dotato della specificità atteso che il procurato
re della De Tornasi ha compiutamente descritto 1 'error in proce dendo in cui è incorso il primo giudice.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Va peraltro osservato che laddove l'appellante eccepisca una
nullità del giudizio di primo grado che non rientra fra quelle
previste dall'art. 354 c.p.c. — tale quindi da non comportare la rimessione della causa al primo giudice — la deduzione di
siffatta nullità deve essere accompagnata a pena di inammissibi
lità dal contestuale gravame contro l'ingiustizia della sentenza
impugnata non essendo, in difetto, l'appello in grado di realiz
zare lo scopo e, cioè, il riesame del merito (cfr., ex plurimis, Cass. 27 aprile 1994, n. 4018, id., Rep. 1994, voce cit., n. 81, e 9 marzo 1995, n. 2735, id., Rep. 1995, voce cit., n. 13).
Ciò posto e richiamate le precedenti considerazioni circa la
mancanza di specificità del secondo motivo di gravame anche
la doglianza in esame deve essere dichiarata inammissibile in
quanto non accompagnata da una (ammissibile) richiesta volta
ad ottenere una decisione di merito diversa da quella adottata
in prime cure.
TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO; sentenza 5 novembre 1998; Pres. ed est. Ruccia; Bognanni (Avv. Boscolo) c. Zoia (Avv.
Picco, Bellazzi).
TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO;
Matrimonio — Divorzio — Trattamento di fine rapporto —
Percezione antecedente al divorzio — Estensione al coniuge titolare dell'assegno (Cod. civ., art. 2120, 2121; 1. 1° dicem
bre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matri
monio, art. 12 bis; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla
disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio, art. 16).
Il diritto del coniuge titolare dell'assegno divorzile a percepire una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo spet tante all'altro coniuge deve riconoscersi anche nel caso in cui
l'indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio. (1)
Fatto. — Con ricorso in data 5 aprile 1995 Bognanni Ema
nuele chiedeva che venisse dichiarata la cessazione degli effetti
civili del matrimonio contratto tra lo stesso e Zoia Maria Luigia in Castellanza il 28 aprile 1963 a seguito di separazione consen
suale omologata con decreto del Tribunale di Busto Arsizio in
data 22 gennaio 1991, svoltasi ininterrottamente, per cui era
decorso il termine previsto dall'art. 5 1. 16 marzo 1987 n. 74.
Dall'unione erano nati due figli ormai maggiorenni. Chiedeva
inoltre che venissero confermate le ulteriori condizioni della se
parazione.
(1) La decisione si uniforma alla giurisprudenza di legittimità. Cfr.
Cass. 27 giugno 1995, n. 7249, Foro it., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 191.
Nella giurisprudenza di merito, invece, si riscontrano pronunce di
segno diverso. Da ultimo, Trib. Catania 30 gennaio 1997, id., 1997,
1, 1259, con nota di richiami. La differenza tra !e due pronunce deriva
dall'interpretazione data dal Tribunale di Busto Arsizio all'art. 12 bis
1. 898/70, nel senso che l'espressione «anche se l'indennità viene a ma
turare dopo la sentenza» ricomprende «anche» il caso in cui l'indennità
è maturata prima della sentenza di divorzio. L'interpretazione letterale
appare, invece, secondo il Tribunale di Catania, in contrasto con quella
logico-sistematica, nonché con la ratio legis. Poiché — secondo i giudi ci catanesi — non vi sono casi in cui il legislatore attribuisce una quota del trattamento di fine rapporto al coniuge convivente in regime di se
parazione dei beni, né a quello legalmente separato (e non divorziato),
l'espressione «anche se» finisce per assumere il significato di «benché».
In dottrina, da ultimo, cfr. Barbiera, Aspetti processuali e sostan
ziali dell'art. 12 bis della legge sul divorzio, in Giur. it., 1997, I, 2,
672, e G. Lagomarsino, Inammissibilità dell'attribuzione all'ex coniuge della quota di indennità di fine rapporto percepita anteriormente al di
vorzio, in Giur. merito, 1998, 445.
Il Foro Italiano — 1999 — Parte I-56.
Veniva disposta dal presidente comparizione delle parti ex art.
4 1. 898/70 che aveva luogo, ma il tentativo di conciliazione
esperito dava esito negativo. Nel corso del successivo giudizio di merito avanti il g.i. la
convenuta si costituiva non contestando la domanda relativa
alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimo
nio. Chiedeva, tuttavia, che venisse elevato l'assegno mensile
di mantenimento in suo favore da lire quattrocentomila a lire
settecentomila, rivalutabile annualmente secondo indici Istat ma
turati nell'anno precedente, e in via riconvenzionale che l'attore
fosse condannato al versamento in favore della convenuta di
somma corrispondente al quaranta per cento del trattamento
di fine rapporto percepito dal datore di lavoro.
La causa non aveva svolgimento istruttorio e veniva rimessa
in decisione in data 3 aprile 1998. Con sentenza non definitiva
il tribunale dichiarava la cessazione degli effetti civili del matri
monio siccome da domanda e con separata ordinanza ordinava
a Bognanni Emanuele di comunicare i dati relativi, importo com
preso, alla liquidazione dell'indennità di fine rapporto, rimet
tendo la causa in istruttoria per tale incombente. Espletato il
quale con l'allegazione da parte di Bognanni della documenta
zione richiesta, la causa, sulle conclusioni precisate come in epi
grafe dalle parti, è stata definitivamente assunta in decisione
all'udienza del 2 ottobre 1998.
Motivi. — Nella presente fase di giudizio il tribunale è chia
mato a decidere in ordine all'assegno divorzile ed alla spettanza della quota di indennità di fine rapporto percepita dall'attore
in favore della convenuta.
Entrambe le domande vanno accolte.
Per quanto riguarda l'assegno divorzile da porre a carico del
l'attore il contrasto è relativo esclusivamente alla misura, in quan to la convenuta, dopo un'iniziale richiesta di maggiore importo, ha poi in sede di precisazione delle conclusioni ridotto la prete sa chiedendo la conferma dell'assegno di mantenimento concor
dato tra le parti, come da verbale di separazione consensuale,
in lire quattrocentomila, mentre il ricorrente è disposto a versa
re assegno di lire trecentomila. Il tribunale ritiene di conferma
re l'importo di lire quattrocentomila in quanto non risultano
mutate le condizioni personali ed economico-patrimoniali delle
parti poste a base della separazione consensuale, non avendo
il coniuge obbligato offerto elemento alcuno che giustifichi la
richiesta riduzione. Infatti, se pur si concorda con la tesi secon
do cui in sede di divorzio la posizione dei coniugi ai fini dell'as
segno va riesaminata e rivalutata nuovamente in base ai criteri
propri rispetto a quelli previsti per il trattamento spettante al
coniuge separato, posto che l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di man
tenimento e di alimenti operanti in regime di convivenza e di
separazione (Cass. 10 aprile 1992, n. 4391, Foro it., Rep. 1992,
voce Matrimonio, nn. 186, 199), tuttavia nella presente situa
zione non ricorrono variabili che possano inserirsi nella proce dura di calcolo rispetto a quella esistente alla data della separa
zione. Infatti, l'importo di cui si chiede la conferma (lire quat
trocentomila) appare rispondente alla funzione assistenziale e
di solidarietà del contributo pecuniario secondo la ratio del
l'art. 5, 6° comma, 1. 898/70, modificato con 1. 74/87. Perma
ne, non essendo stata fornita prova del contrario dal ricorrente,
10 stato di insussistenza di mezzi economici adeguati da parte
della convenuta, per cui va determinato detto assegno nella mi
sura di lire quattrocentomila, in accoglimento della domanda
della stessa, ben inteso con aggiornamento per effetto della ri
valutazione secondo indici Istat dalla data della separazione. La seconda questione sulla quale il tribunale è chiamato a
pronunciarsi — indennità di fine rapporto nella quota prevista
in favore del coniuge divorziato — è ben più complessa per
11 contrasto esistente in giurisprudenza e dottrina nell'interpre
tazione dell'art. 12 bis 1. 898/70, introdotto con 1. 74/87.
Detto articolo dispone testualmente che «il coniuge nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non
passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai
sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rap
porto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del
rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare do
po la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento
Il contrasto interpretativo verte sostanzialmente sulla por
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