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sentenza 14 novembre 1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tomasi (Avv. Bertolini) c. Soc. AW...

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sentenza 14 novembre 1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tomasi (Avv. Bertolini) c. Soc. AW (Avv. Orlandi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 3085/3086-3089/3090 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194937 . Accessed: 28/06/2014 17:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 17:34:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 14 novembre 1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tomasi (Avv. Bertolini) c. Soc. AW(Avv. Orlandi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 3085/3086-3089/3090Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194937 .

Accessed: 28/06/2014 17:34

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

to dell'ordine professionale, ma è ininfluente rispetto all'ambi

to di cognizione demandata a questo collegio, chiamato a giudi care su di una specifica vicenda.

II

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 12 settembre 1996 Andrea Monti conveniva in giudizio Fran

co Abruzzo, Brunello Tanzi, Gabriele Moroni, Annibale Caren

zo, Flavio Dolcetti e Gian Luigi Falabrino ed esponeva: — di essere direttore responsabile del settimanale Panorama; — di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare —

per pubblicità redazionale — dal Consiglio dell'ordine dei gior nalisti della Lombardia per aver pubblicato sulla copertina della

rivista una fotografia della modella Carla Bruni, nuda in sauna

con una scarpa, e, all'interno, un servizio sulla modella stessa, in cui si faceva riferimento a Cesare Pacioni, stilista e produt tore della calzatura;

— di essere stato riconosciuto colpevole «di un fatto tale da

compromettere la sua reputazione» e colpito con la sanzione

dell'avvertimento scritto; — aggiungeva che, ancor prima della notifica presso lo stu

dio del difensore, il provvedimento era stato trasmesso dall'or

dine dei giornalisti ai principali organi di informazione ed alle

agenzie di stampa. Chiariva poi che il provvedimento recava

all'ordine di pubblicazione su Tabloid, organo dell'Ordine dei

giornalisti della Lombardia; diffidato dal difensore dell'attore

ad attendere la pronunzia dell'organo di seconda istanza, il con

siglio decideva di procedere ugualmente alla pubblicazione; la

mentando il grave danno derivatogli dalla intempestiva pubbli

cazione del provvedimento disciplinare inflittogli, chiedeva che

fosse accertata e dichiarata l'illiceità «della divulgazione del co

municato stampa 20 giugno 1996, della delibera 16 luglio 1996

e della pubblicazione della delibera 19 giugno 1996 su Tabloid

luglio-agosto 1996», con conseguente condanna di tutti i conve

nuti al risarcimento del danno, patrimoniale e non, nella misu

ra di lire 50.000.001, o in quella diversa misura determinata

equitativamente, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi

legali. I convenuti si costituivano ritualmente in giudizio e chiedeva

no la reiezione delle avverse domande, sostenendo che il consi

glio dell'ordine aveva respinto con ampia motivazione la diffida

dell'avv. Bovio, richiamando i principi del diritto-dovere dei gior

nalisti di procedere ad una corretta informazione sul comporta mento dei propri iscritti nonché quello della trasparenza, al quale doveva essere uniformata la sua attività di ente pubblico. Chia

rivano poi che le decisioni del consiglio, una volta depositate in segreteria ed affisse, sono pubbliche e possono essere divul

gate nell'interesse di tutti gli iscritti. Eccepivano poi la propria carenza di legittimazione passiva, essendo il comportamento con

testato riferibile direttamente al consiglio dell'ordine. Nel meri

to rivendicavano la legittimità del comportamento del consiglio

stesso e rilevavano l'indeterminatezza della domanda di risarci

mento, non avendo l'attore indicato elementi utili ad individua

re Van ed il quantum debeatur.

Precisate le conclusioni dalle parti così come riportate in epi

grafe, la causa veniva rimessa in decisione.

Motivi della decisione. — I difensori delle parti hanno, con

dotte motivazioni, esteso a dismisura il thema decidendum, che

appare invece al giudicante possa essere agevolmente circoscrit

to alla liceità (o illiceità) della pubblicazione di un provvedi

mento effettivamente assunto dal Consiglio dell'ordine dei

giornalisti-Consiglio regionale della Lombardia.

Non v'è spazio per ipotizzare una risposta negativa: il consi

glio dell'ordine è organo preposto alla sorveglianza ed alla di

sciplina dei suoi iscritti ed i suoi provvedimenti sono, e devono

essere, per loro natura e per la natura dell'ente che li emana,

accessibili a tutti. Aver comunicato alla stampa nazionale il prov

vedimento completo ed averlo pubblicato su Tabloid non costi

tuisce certo comportamento illecito, lesivo dei diritti del Monti.

Meraviglia che le censure muovano da chi ha fatto dell'infor

mazione il proprio impegno quotidiano e dovrebbe quindi ben

sapere che l'interesse del pubblico alla corretta e completa in

formazione su tutto ciò che riguarda la vita «pubblica» in gene

re, ivi comprese le vicende relative ai giornalisti, che della vita

«pubblica» sono gli interpreti ed i veicoli primi, deve sempre

Il Foro Italiano — 1999.

e comunque prevalere sul diritto del singolo, chiunque esso sia, alla riservatezza.

Corre poi obbligo di rilevare come la comunicazione della

decisione (peraltro confermata in secondo grado) sia stata parti colarmente completa, esauriente e corretta. La notizia è stata

data senza il minimo commento, ma tutti gli elementi, di accusa

e di difesa, sono stati puntigliosamente riportati, sia nel comu

nicato alla stampa che nell'articolo apparso su Tabloid.

Complesse e numerose sono le altre questioni sottoposte a

questo giudice. Come, ad esempio, la legittimazione passiva dei

convenuti, i quali sono le persone fisiche (consiglieri) che hanno

assunto non già la delibera che irrogava la sanzione e disponeva la pubblicazione del proprio provvedimento su Tabloid, ma quella successiva che respingeva la diffida alla pubblicazione dell'avv.

Bovio.

Se può concordarsi sulla responsabilità personale dei compo nenti dell'organo collegiale autore dell'illecito, non può non sor

gere qualche dubbio in ordine alla ricollegabilità dei danni la

mentati dal Monti alla seconda e non alla prima delibera.

Ancora, circa la natura e l'entità dei danni riportati dal Mon

ti, che in assenza di un fatto-reato non possono che essere dan

ni patrimoniali, non può non osservarsi come egli non abbia,

effettivamente, fornito alcun elemento che consenta di determi

narne la natura e l'entità. Strana, poi, la doglianza dell'attore

circa la lesione al suo (preteso) diritto alla presunzione di inno

cenza e a non vedersi irrogata una sanzione (derivante dal di

scredito ricollegabile alla pubblicazione) prima dell'accertamen

to definitivo dell'illecito contestatogli. Forse varrebbe la pena che riflettesse se non sia anche suo costume comportarsi così,

quando, come tutti i giornali, quello da lui diretto pubblica no

tizie di condanne non definitive, nella convinzione — peraltro fondata — di adempiere ad un dovere e di esercitare un diritto

costituzionalmente garantito. Gli stessi rilievi valgono per i consiglieri convenuti: essi si

sono limitati, nel massimo rispetto dei diritti del Monti e con

la massima correttezza, a riferire al pubblico, che certamente

ne aveva tutto l'interesse, una notizia vera.

Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, deve conclu

dersi per la piena liceità del comportamento dei convenuti.

Ne consegue il rigetto di tutte le domande proposte dall'attore.

TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA; sentenza 14 novembre

1998; Pres. Isella, Est. Scati; Soc. De Tornasi (Avv. Berto

lini) c. Soc. AW (Avv. Orlandi).

TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA;

Appello civile — Atto introduttivo — Doglianze di merito in

via specifica — Richiesta di decisione diversa — Mancanza — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 321, 339, 342).

È inammissibile l'appello introdotto con atto mancante delle

doglianze di merito in via specifica e della richiesta volta ad

ottenere una decisione diversa da quella adottata in prime

cure, salvo che la dedotta nullità non comporti il rinvio della

causa al primo giudice. (1)

(1) Nella fattispecie in esame l'appellante, opponente a decreto in

giuntivo in prime cure: 1) aveva dedotto la nullità della sentenza di

primo grado emessa dal giudice di pace per violazione dell'art. 321 c.p.c. «non consentendo alle parti né di precisare le conclusioni né di discute

re la causa» poiché quest'ultima era stata trattenuta in riserva per la

decisione sulle istanze istruttorie delle parti e poi era stata subito decisa

con la sentenza appellata allegata all'ordinanza di rigetto delle prove;

2) si era richiamato alle deduzioni di merito contenute nell'atto intro

duttivo di primo grado chiedendo il rigetto delle domande «tutte del

l'opponente . . . con conseguente conferma del decreto ingiuntivo op

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3087 PARTE PRIMA 3088

Svolgimento del processo. — Con decreto emesso in data 15

marzo 1996 il Giudice di pace di Correggio ingiungeva alla De

Tornasi s.a.s. di pagare alla AW s.r.l. la somma di lire 3.107.875

oltre accessori quale corrispettivo per la fornitura di una partita di raccoglitori personalizzati.

Con atto di citazione notificato il 13 aprile 1996 la De Toma

si proponeva opposizione mediante la quale negava la debenza

della somma ingiunta adducendo, in primo luogo, l'avvenuta

risoluzione consensuale del contratto e, in secondo luogo, la

presenza nella merce di vizi tali da giustificare la risoluzione

del contratto stesso.

La AW s.r.l., nel costituirsi in giudizio, deduceva che l'ac

cordo risolutorio era stato subordinato alla condizione dell'in

tegrale restituzione della merce che, nella specie, non si era veri

ficata. Negava inoltre l'esistenza degli asseriti difetti evidenziando

che la società opponente aveva utilizzato buona parte dei racco

glitori fornitile.

Esperito vanamente il tentativo di conciliazione, all'udienza

del 18 settembre 1996 il giudice di pace tratteneva la causa in

riserva per decidere sulle istanze istruttorie formulate da en

trambe le parti. Con successiva ordinanza il giudice di pace adottava il se

guente provvedimento: «... sciolta la riserva, non ammette le

prove proposte in quanto ritiene la causa sufficientemente do

cumentata e emette sentenza, in data 19 settembre 1996, con

foglio a parte». Con sentenza pubblicata in data 26 settembre 1996 il primo

giudice riteneva infondate le domande avanzate dalla società

opponente sulla base della documentazione agli atti evidenzian

do, in particolare, che l'utilizzo di buona parte della merce mal

si conciliava sia con l'esistenza di un accordo risolutorio sia

con la presenza di difformità di lavorazioni. Rigettava pertanto

l'opposizione dichiarando l'integrale compensazione delle spese di causa.

Nei confronti di tale decisione la società De Tornasi propone va gravame deducendo la nullità della sentenza per violazione

dell'art. 321 c.p.c. e riportandosi, quanto al merito, alle dedu

zioni svolte nel libello introduttivo.

La AW s.r.l. chiedeva il rigetto del gravame per infondatezza

evidenziando, in via preliminare, l'estrema genericità dei motivi

formulati dall'appellante al fine di ottenere il riesame del merito.

posto» (sic) ed in via subordinata la declaratoria di risoluzione del con tratto con condanna al risarcimento dei danni.

Nella sentenza che si riporta il tribunale, rilevando che le censure in appello devono esser prospettate solo con l'atto di impugnazione, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello: a) sul secondo punto per mancanza di specificazione delle doglianze di merito, non essendo suf ficiente la semplice affermazione che la sentenza impugnata è errata ed il generico richiamo alle difese di primo grado; b) sul primo punto per l'assenza di una richiesta volta ad ottenere una decisione diversa da quella adottata in prime cure poiché ove la nullità non rientri fra

quelle che comportano la rimessione della causa al primo giudice, la deduzione di siffatta nullità deve essere accompagnata dal gravame contro

l'ingiustizia della sentenza. Sull'inammissibilità dell'appello per mancanza di motivi dedotti in

via specifica, la giurisprudenza si è pronunciata quasi in via unanime:

cfr., in tal senso, Cass. 26 giugno 1998, n. 6335, Foro it., Rep. 1998, voce Appello civile, n. 77; 28 novembre 1997, n. 12054, id., Rep. 1997, voce cit., n. 88, che ha specificato la necessità, a pena di inammissibili

tà, dell'indicazione dei motivi di gravame, anche se la sentenza di pri mo grado è stata espressamente impugnata in toto\ 29 luglio 1995, n.

8377, id., Rep. 1995, voce cit., n. 81; 4 dicembre 1986, n. 7203, id., Rep. 1986, voce cit., n. 88; 24 luglio 1986, n. 4737, ibid., n. 89; 25 novembre 1983, n. 7070, id., 1985, I, 103, secondo cui il controllo sul l'inammissibilità dell'appello per la mancata specificazione dei motivi

può essere effettuato anche d'ufficio dalla Suprema corte, salvo che la relativa questione sia stata esaminata e decisa dal giudice di secondo

grado e manchi in proposito uno specifico motivo di ricorso; 27 giugno 1981, n. 4196, id., 1981, 1, 2421, e 10 aprile 1980, n. 2298, id., Rep. 1980, voce cit., n. 138.

In senso contrario, pronunciandosi nel senso della nullità, anziché dell'inammissibilità, dell'appello per assoluta genericità dei motivi di

impugnazione, Cass. 20 settembre 1993, n. 9628, id., 1994, 1, 3153. Cass. 20 giugno 1983, n. 4234, id., 1983, I, 1564, ha affermato che

al fine dell'esatta osservanza dell'art. 342 c.p.c., è necessario che siano

specificate con chiarezza e precisione, anche se non con formule sacra mentali o speciali, le ragioni del gravame, senza possibilità di farlo in atti successivi.

Il Foro Italiano — 1999.

All'udienza collegiale del 2 luglio 1998 i procuratori delle parti

precisavano le conclusioni come in epigrafe e, dopo lo scambio

delle comparse conclusionali, la causa veniva posta in decisione.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di gravame

l'appellante ha dedotto la nullità della sentenza impugnata so

stenendo che il primo giudice, pronunciando tale decisione con

testualmente al provvedimento sulle istanze istruttorie, è incor

so nella violazione dell'art. 321 c.p.c. non consentendo alle par ti né di precisare le conclusioni né di discutere la causa.

Con il secondo motivo l'appellante, dopo aver precisato che

«i motivi formali risultano assorbenti rispetto a quelli di meri

to», si è richiamato, con riferimento alle deduzioni di merito, a «quanto precisato nella narrativa dell'atto di citazione in op

posizione a decreto ingiuntivo». Sulla scorta di tali premesse l'appellante ha chiesto in via pre

giudiziale la declaratoria di nullità della sentenza, nel merito

il rigetto «delle domande tutte dell'opponente, per i motivi di

cui in premessa, con conseguente conferma del decreto ingiunti vo opposto» (sic) e in via subordinata riconvenzionale la decla

ratoria di risoluzione del contratto con condanna della società

appellata al risarcimento dei danni (cfr. le conclusioni riportate nell'atto di citazione).

Ciò posto il collegio osserva quanto segue. Secondo il costante orientamento di legittimità le censure av

verso la sentenza di primo grado devono essere prospettate, ai

sensi degli art. 339 e 342 c.p.c., soltanto con l'atto di impugna zione sicché l'appellante è tenuto a dedurre tutti i motivi di

gravame con l'atto di appello — e nulla può aggiungere in pro

sieguo — in quanto il diritto potestativo di impugnazione si

consuma con l'atto di appello stesso che fissa i limiti della de

voluzione della controversia in sede di gravame (cfr. Cass. 9

aprile 1983, n. 2523, Foro it., Rep. 1983, voce Appello civile, n. 93; 16 ottobre 1987, n. 7651, id., Rep. 1987, voce cit., n.

7; 26 gennaio 1989, n. 449, id., Rep. 1989, voce cit., n. 38). La volontà della parte di impugnare nella sua globalità la

sentenza di primo grado non richiede l'impegno di formule sa

cramentali né una rigorosa enunciazione dei punti e dei motivi

di gravame; tuttavia anche in tal caso occorre pur sempre che

siano spiegate, per quanto sommariamente, le ragioni dell'im

pugnazione onde consentire al giudice di identificare i punti da

esaminare e di vagliare le ragioni di fatto e di diritto per le

quali si è formulato il gravame: sicché non è sufficiente la sem

plice affermazione che la sentenza di primo grado è errata o

la mera richiesta di riforma della decisione impugnata e neppu re il generico richiamo alle difese svolte in primo grado (cfr. Cass. 18 gennaio 1985, n. 135, id., Rep. 1986, voce cit., n.

81; 5 giugno 1987, n. 4917, id., Rep. 1987, voce cit., n. 107; 26 gennaio 1989, n. 449, cit.).

Venendo ora ad esaminare il caso di specie, il collegio non

può esimersi dall'osservare che né dal contenuto dell'atto di ci

tazione in appello né dalle conclusioni ivi riportate sono desu

mibili censure nei confronti del merito della decisione impugnata. La parte motiva di tale atto si limita infatti al generico richia

mo alle difese svolte in primo grado — e, segnatamente, a quanto

precisato nella narrativa dell'atto di opposizione al decreto in

giuntivo — e non contiene, pertanto, alcuna critica al processo

logico-giuridico mediante il quale il giudice di pace ha ricono

sciuto la debenza della somma ingiunta in via monitoria.

La parte dell'atto di appello destinata alle conclusioni non

fornisce anch'essa alcuna utile indicazione circa l'eventuale sus

sistenza di errori di fatto o di diritto attribuibili al merito della

decisione e rende anzi ancora più confuso il tema del presente

giudizio ove si consideri che l'appellante — opponente nel giu dizio di primo grado ad un provvedimento monitorio — ha chie

sto il rigetto «delle domande tutte dell'opponente, per i motivi

di cui in premessa, con conseguente conferma del decreto in

giuntivo opposto». In forza di tali considerazioni deve pertanto essere dichiarata

l'inammissibilità del secondo motivo di impugnazione per man

cata specificazione delle doglianze di merito.

Resta a questo punto da esaminare il primo motivo di grava me con il quale la società appellante ha dedotto la nullità della

sentenza impugnata. Tale motivo è dotato della specificità atteso che il procurato

re della De Tornasi ha compiutamente descritto 1 'error in proce dendo in cui è incorso il primo giudice.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Va peraltro osservato che laddove l'appellante eccepisca una

nullità del giudizio di primo grado che non rientra fra quelle

previste dall'art. 354 c.p.c. — tale quindi da non comportare la rimessione della causa al primo giudice — la deduzione di

siffatta nullità deve essere accompagnata a pena di inammissibi

lità dal contestuale gravame contro l'ingiustizia della sentenza

impugnata non essendo, in difetto, l'appello in grado di realiz

zare lo scopo e, cioè, il riesame del merito (cfr., ex plurimis, Cass. 27 aprile 1994, n. 4018, id., Rep. 1994, voce cit., n. 81, e 9 marzo 1995, n. 2735, id., Rep. 1995, voce cit., n. 13).

Ciò posto e richiamate le precedenti considerazioni circa la

mancanza di specificità del secondo motivo di gravame anche

la doglianza in esame deve essere dichiarata inammissibile in

quanto non accompagnata da una (ammissibile) richiesta volta

ad ottenere una decisione di merito diversa da quella adottata

in prime cure.

TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO; sentenza 5 novembre 1998; Pres. ed est. Ruccia; Bognanni (Avv. Boscolo) c. Zoia (Avv.

Picco, Bellazzi).

TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO;

Matrimonio — Divorzio — Trattamento di fine rapporto —

Percezione antecedente al divorzio — Estensione al coniuge titolare dell'assegno (Cod. civ., art. 2120, 2121; 1. 1° dicem

bre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matri

monio, art. 12 bis; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla

disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio, art. 16).

Il diritto del coniuge titolare dell'assegno divorzile a percepire una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo spet tante all'altro coniuge deve riconoscersi anche nel caso in cui

l'indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio. (1)

Fatto. — Con ricorso in data 5 aprile 1995 Bognanni Ema

nuele chiedeva che venisse dichiarata la cessazione degli effetti

civili del matrimonio contratto tra lo stesso e Zoia Maria Luigia in Castellanza il 28 aprile 1963 a seguito di separazione consen

suale omologata con decreto del Tribunale di Busto Arsizio in

data 22 gennaio 1991, svoltasi ininterrottamente, per cui era

decorso il termine previsto dall'art. 5 1. 16 marzo 1987 n. 74.

Dall'unione erano nati due figli ormai maggiorenni. Chiedeva

inoltre che venissero confermate le ulteriori condizioni della se

parazione.

(1) La decisione si uniforma alla giurisprudenza di legittimità. Cfr.

Cass. 27 giugno 1995, n. 7249, Foro it., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 191.

Nella giurisprudenza di merito, invece, si riscontrano pronunce di

segno diverso. Da ultimo, Trib. Catania 30 gennaio 1997, id., 1997,

1, 1259, con nota di richiami. La differenza tra !e due pronunce deriva

dall'interpretazione data dal Tribunale di Busto Arsizio all'art. 12 bis

1. 898/70, nel senso che l'espressione «anche se l'indennità viene a ma

turare dopo la sentenza» ricomprende «anche» il caso in cui l'indennità

è maturata prima della sentenza di divorzio. L'interpretazione letterale

appare, invece, secondo il Tribunale di Catania, in contrasto con quella

logico-sistematica, nonché con la ratio legis. Poiché — secondo i giudi ci catanesi — non vi sono casi in cui il legislatore attribuisce una quota del trattamento di fine rapporto al coniuge convivente in regime di se

parazione dei beni, né a quello legalmente separato (e non divorziato),

l'espressione «anche se» finisce per assumere il significato di «benché».

In dottrina, da ultimo, cfr. Barbiera, Aspetti processuali e sostan

ziali dell'art. 12 bis della legge sul divorzio, in Giur. it., 1997, I, 2,

672, e G. Lagomarsino, Inammissibilità dell'attribuzione all'ex coniuge della quota di indennità di fine rapporto percepita anteriormente al di

vorzio, in Giur. merito, 1998, 445.

Il Foro Italiano — 1999 — Parte I-56.

Veniva disposta dal presidente comparizione delle parti ex art.

4 1. 898/70 che aveva luogo, ma il tentativo di conciliazione

esperito dava esito negativo. Nel corso del successivo giudizio di merito avanti il g.i. la

convenuta si costituiva non contestando la domanda relativa

alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimo

nio. Chiedeva, tuttavia, che venisse elevato l'assegno mensile

di mantenimento in suo favore da lire quattrocentomila a lire

settecentomila, rivalutabile annualmente secondo indici Istat ma

turati nell'anno precedente, e in via riconvenzionale che l'attore

fosse condannato al versamento in favore della convenuta di

somma corrispondente al quaranta per cento del trattamento

di fine rapporto percepito dal datore di lavoro.

La causa non aveva svolgimento istruttorio e veniva rimessa

in decisione in data 3 aprile 1998. Con sentenza non definitiva

il tribunale dichiarava la cessazione degli effetti civili del matri

monio siccome da domanda e con separata ordinanza ordinava

a Bognanni Emanuele di comunicare i dati relativi, importo com

preso, alla liquidazione dell'indennità di fine rapporto, rimet

tendo la causa in istruttoria per tale incombente. Espletato il

quale con l'allegazione da parte di Bognanni della documenta

zione richiesta, la causa, sulle conclusioni precisate come in epi

grafe dalle parti, è stata definitivamente assunta in decisione

all'udienza del 2 ottobre 1998.

Motivi. — Nella presente fase di giudizio il tribunale è chia

mato a decidere in ordine all'assegno divorzile ed alla spettanza della quota di indennità di fine rapporto percepita dall'attore

in favore della convenuta.

Entrambe le domande vanno accolte.

Per quanto riguarda l'assegno divorzile da porre a carico del

l'attore il contrasto è relativo esclusivamente alla misura, in quan to la convenuta, dopo un'iniziale richiesta di maggiore importo, ha poi in sede di precisazione delle conclusioni ridotto la prete sa chiedendo la conferma dell'assegno di mantenimento concor

dato tra le parti, come da verbale di separazione consensuale,

in lire quattrocentomila, mentre il ricorrente è disposto a versa

re assegno di lire trecentomila. Il tribunale ritiene di conferma

re l'importo di lire quattrocentomila in quanto non risultano

mutate le condizioni personali ed economico-patrimoniali delle

parti poste a base della separazione consensuale, non avendo

il coniuge obbligato offerto elemento alcuno che giustifichi la

richiesta riduzione. Infatti, se pur si concorda con la tesi secon

do cui in sede di divorzio la posizione dei coniugi ai fini dell'as

segno va riesaminata e rivalutata nuovamente in base ai criteri

propri rispetto a quelli previsti per il trattamento spettante al

coniuge separato, posto che l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di man

tenimento e di alimenti operanti in regime di convivenza e di

separazione (Cass. 10 aprile 1992, n. 4391, Foro it., Rep. 1992,

voce Matrimonio, nn. 186, 199), tuttavia nella presente situa

zione non ricorrono variabili che possano inserirsi nella proce dura di calcolo rispetto a quella esistente alla data della separa

zione. Infatti, l'importo di cui si chiede la conferma (lire quat

trocentomila) appare rispondente alla funzione assistenziale e

di solidarietà del contributo pecuniario secondo la ratio del

l'art. 5, 6° comma, 1. 898/70, modificato con 1. 74/87. Perma

ne, non essendo stata fornita prova del contrario dal ricorrente,

10 stato di insussistenza di mezzi economici adeguati da parte

della convenuta, per cui va determinato detto assegno nella mi

sura di lire quattrocentomila, in accoglimento della domanda

della stessa, ben inteso con aggiornamento per effetto della ri

valutazione secondo indici Istat dalla data della separazione. La seconda questione sulla quale il tribunale è chiamato a

pronunciarsi — indennità di fine rapporto nella quota prevista

in favore del coniuge divorziato — è ben più complessa per

11 contrasto esistente in giurisprudenza e dottrina nell'interpre

tazione dell'art. 12 bis 1. 898/70, introdotto con 1. 74/87.

Detto articolo dispone testualmente che «il coniuge nei cui

confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di

cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non

passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai

sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rap

porto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del

rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare do

po la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento

Il contrasto interpretativo verte sostanzialmente sulla por

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