sentenza 14 ottobre 1993, n. 375 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 ottobre 1993, n. 43);Pres. Casavola, Est. Guizzi; Comune La Spezia c. Soc. pastificio Frediani Montecatini. Ord. Cass.16 giugno 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 13 del 1993)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 2987/2988-2989/2990Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188216 .
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2987 PARTE PRIMA 2988
3. - La regione Sardegna, come già detto, rileva, infine, sia
pur marginalmente, che vi sarebbe un elemento di difformità
tra il contenuto dell'accordo raggiunto e quello del decreto im
pugnato, costituito dal fatto che all'art. 4 del provvedimento si approvano tariffe di voli interessanti la Sardegna, le quali, contrariamente alle intese, prevederebbero degli aumenti anche
per i residenti sardi.
Anche tale specifica censura non è fondata.
Va anzitutto rilevato che sulla proposta di applicazione delle
tariffe poi inserite nel menzionato art. 4 del decreto, che risulta
contenuta nelle note dell'Ati del 22 settembre 1992 trasmesse
alla regione per il parere, quest'ultima non espresse, nella nota
del 13 ottobre 1992, alcun rilievo specifico.
Deve, inoltre, osservarsi che la norma in esame estende tarif
fe particolari (c.d. tariffe dirette) a nuovi percorsi con scalo
intermedio a Roma o a Milano, ridotte di circa il 25% rispetto al prezzo che si otterrebbe sommando i prezzi dei due segmenti del collegamento: trattasi, in definitiva, di tariffe in parte del
tutto nuove, aventi natura sostanzialmente agevolativa, e in or
dine alle quali, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non emerge dalla documentazione depositata che sia stato di
sposto alcun aumento.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta allo Stato, e per esso al ministro dei trasporti, approvare, con
il decreto n. 13 del 24 novembre 1992, le tariffe relative ai servi
zi di trasporto aereo di linea operati dalle società Alitalia ed
Ati, senza aver sottoposto ad un ulteriore parere della regione
Sardegna il testo sul quale la regione medesima ha già avuto
modo di esercitare la propria funzione consultiva.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 ottobre 1993, n. 375
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 ottobre 1993, n. 43); Pres. Casavola, Est. Guizzi; Comune La Spezia c. Soc. pa stificio Frediani Montecatini. Ord. Cass. 16 giugno 1992 (G.U., la s.s., n. 13 del 1993)
Regione — Liguria — Alimenti e bevande — Sanzioni ammini
strative — Competenza — Incostituzionalità (Cost., art. 3,
97, 117; 1. reg. Liguria 14 aprile 1983 n. 11, norme per l'ap
plicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia
di igiene e sanità pubblica, vigilanza sulle farmacie e polizia
veterinaria, art. 4).
È illegittimo, per violazione degli art. 3, 97 e 117 Cost., l'art.
4 l. reg. Liguria 14 aprile 1983 n. 11, che attribuisce alla com
petenza del sindaco del comune in cui è avvenuto l'accerta
mento (anziché al sindaco del comune in cui è stata commes
sa la violazione) l'applicazione delle sanzioni amministrative
in tema di tutela igienico-sanitaria delle sostanze alimentari. (1)
(1) L'art. 17, 5° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689 individua come
criterio per la competenza territoriale ai fini dell'applicazione di sanzio ni amministrative il «luogo in cui è stata commessa la violazione»; ana
logamente era disposto già nell'art. 7, 1° comma, 1. 24 dicembre 1975 n. 706, ed è previsto ora anche nell'art. 203, 1° comma, del nuovo
codice della strada. Un criterio diverso è contemplato invece dall'art.
55, 1° comma, 1. 7 gennaio 1929 n. 4, per le violazioni in materia finan
ziaria, che attribuisce la competenza ad applicare la pena pecuniaria all'autorità «nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata».
La distinzione fra i due criteri di recente è stata sostanzialmente smi nuita dalla giurisprudenza in tema di sanzioni amministrative. In parti colare, con riferimento ad illecito amministrativo continuato, Cass., sez.
un., 17 giugno 1988, n. 4131, Foro it., 1988, I, 2193, con nota di ri
chiami di C. M. Barone, argomentando sulle modalità di accertamento di violazioni amministrative ha sostenuto che i due criteri devono essere
senz'altro identificati: «la legge . . . non attribuisce alcuna rilevanza al
Il Foro Italiano — 1993.
Diritto. — Dubita la Corte di cassazione, prima sezione civi
le, in riferimento agli art. 3, 97 e 117 Cost, della legittimità costituzionale dell'art. 4 1. reg. Liguria 14 aprile 1983 n. 11,
nella parte in cui individua quale organo competente ad appli care la sanzione amministrativa quello del luogo di accertamen
to della violazione, anziché quello in cui è stata commessa la
violazione della vigente normativa in materia di igiene e sanità
pubblica. La questione è fondata.
Fra le funzioni amministrative in materia di igiene e sanità,
trasferite alle regioni dal d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, vi sono,
come ricorda anche il giudice a quo, quelle concernenti la tutela
igienico-sanitaria della produzione, commercio e lavorazione delle
sostanze alimentari: è dunque fuori discussione la competenza
regionale per l'applicazione delle relative sanzioni amministrati
ve (si veda, nella giurisprudenza più recente di questa corte,
la sent. n. 1034 del 1988, Foro it., 1989, I, 1707). Non per questo, il legislatore regionale può sottrarsi all'osser
vanza dei principi fondamentali posti dal legislatore statale, ai
sensi dell'art. 117 Cost., secondo quanto già precisato da que sta corte (v., ad es., la sent. n. 350 del 1991, id., 1992, I, 1002). Nella materia in esame, l'art. 17 1. 24 novembre 1981 n. 689
introduce un principio sugli uffici territorialmente competenti che vincola il legislatore regionale, anche a salvaguardia del buon
andamento dell'attività amministrativa.
Va infine considerato che la disposizione di cui all'art. 4 1.
reg. n. 11 del 1983, incongruamente derogando alla legge gene rale sull'applicazione delle sanzioni amministrative (art. 7, ulti
mo comma, 1. reg. 2 dicembre 1982 n. 45), introduce un ele
mento di contraddittorietà nella stessa legislazione della regio
ne, e va dunque censurato anche alla luce dèi canone di
razionalità.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 4 1. reg. Liguria 14 aprile 1983 n.
luogo in cui è iniziata la consumazione della violazione prima che essa
sia accertata da parte degli organi a ciò addetti», e perciò l'autorità «territorialmente competente ad emettere l'ordinanza-ingiunzione e il
provvedimento di confisca è quella del luogo in cui la violazione è stata
accertata» e «il luogo della commessa violazione [risulta] in ogni caso
ed esclusivamente dall'atto di accertamento». A questo precedente si
era espressamente richiamata Cass. 17 novembre 1990, n. 11131, id.,
Rep. 1990, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 70, che
aveva pertanto concluso che in base alla 1. 689/81 «il luogo in cui è stata commessa la violazione coincide con quello in cui è stata accerta
ta» (citazione dal testo). Entrambi questi precedenti non sono conside
rati né nell'ordinanza di rinvio (Cass., ord. 16 giugno-18 novembre 1992, n. 790, id., Rep. 1992, voce Regione, n. 349), né nella presente senten
za della Corte costituzionale. La Corte costituzionale esprime infatti in quest'occasione la convin
zione che i due criteri (quello del luogo dell'infrazione e quello del luo
go dell'accertamento) vadano nettamente differenziati. Solo in questo
modo, infatti, si può spiegare l'affermazione secondo cui l'art. 17, 5°
comma, 1. 689/81 individuerebbe un principio generale della legislazio ne statale, vincolante per le regioni.
A proposito di questa affermazione va tenuto presente, comunque, che: — nelle materie di competenza regionale, le scelte in materia di san
zioni amministrative spettano alle regioni (cfr. Cass. 3 aprile 1991, n.
3479, id., 1992, I, 485; Corte cost. 23 luglio 1991, n. 365, ibid., 1002; 26 ottobre 1992, n. 401, id., Rep. 1992, voce Alimenti e bevande, n.
68); alla stregua dell'ordinamento regionale va anche individuata l'au
torità competente ad applicare la sanzione (Cass. 6 novembre 1991, n. 11831, id., Rep. 1991, voce Farmacia, n. 127);
— nelle materie di competenza regionale spetta al legislatore regiona le la disciplina del procedimento amministrativo (Corte cost. 13 dicem bre 1991, n. 465, id., 1992, I, 640; 19 novembre 1992, n. 461, Cons.
Stato, 1992, II, 1657); nella disciplina del procedimento rientra ovvia
mente anche l'individuazione delle competenze. In base a queste considerazioni, nella dottrina era prevalente la tesi
secondo cui le regioni, mentre non avrebbero potuto incidere sui princi
pi di diritto sostanziale dell'illecito amministrativo (posti dagli art. 1-12
1. 689/81), avrebbero potuto incidere senz'altro sulla disciplina del pro cedimento (art. 13-18). Certamente, anche nella disciplina del procedi mento il legislatore regionale doveva ritenersi vincolato dai principi fon
damentali stabiliti nelle leggi dello Stato, ma questi principi fondamen
tali erano individuati nei limiti ai poteri di accertamento, nella garanzia del contraddittorio, nella previsione del pagamento in misura ridotta
(cfr., per un esame di queste tesi, Paliero e Travi, La sanzione ammi
nistrativa, Milano, 1988, 166 ss.; ivi anche riferimenti alla posizione mantenuta dal governo nel controllo delle leggi regionali, posizione so
stanzialmente conforme alla dottrina prevalente).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
11 (norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative pe cuniarie in materia di igiene e sanità pubblica, vigilanza sulle
farmacie e polizia veterinaria), nella parte in cui individua qua le organo competente all'esercizio delle funzioni di cui alla 1.
reg. 2 dicembre 1982 n. 45 (norme per l'applicazione delle san
zioni amministrative pecuniarie di competenza della regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati), il sindaco
del comune nel cui territorio la violazione è stata accertata, an
ziché il sindaco del comune in cui la violazione è stata commessa.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 luglio 1993, n. 310
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 luglio 1993, n. 30); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Faimali (Avv. Onida) c. Cec
carelli; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Piacenza 17
novembre 1992 (G.U., la s.s., n. 9 del 1993).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Equo canone — Limiti temporali di applicabilità — Sop
pressione — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 12; d.l. 13 settembre 1991 n. 299, disposizioni concernenti l'applicazione nell'anno 1991 dell'im
posta comunale sull'incremento di valore degli immobili di
cui all'art. 3 d.p.T. 26 ottobre 1972 n. 643, i versamenti dovu
ti a seguito delle dichiarazioni sostitutive in aumento del red
dito dei fabbricati e l'accertamento di tali redditi, nonché al
tre disposizioni tributarie urgenti, art. 1; 1. 18 novembre 1991
n. 363, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 13
settembre 1991 n. 299, art. unico).
È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 1, 10° comma, d.l. 13 settembre
1991 n. 299, convertito in l. 18 novembre 1991 n. 363, che
ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 l. 27 luglio 1978 n.
392, il quale prevedeva l'applicabilità del regime di equo ca
none, per le locazioni di immobili urbani ad uso di abitazio ne, solo «fino all'attuazione della riforma del catasto edilizio
urbano», in riferimento agli art. 3 e 42 Cost. (1)
(1) Secondo il Pretore di Piacenza, la cui ordinanza di rimessione
è riportata in Rass. equo canone, 1992, 393 e Arch, locazioni, 1992, 742, la norma impugnata ha di fatto prodotto, in connessione con i
nuovi estimi catastali introdotti con i d.m. 20 gennaio 1990 e 27 settem bre 1991, «un doppio regime di valorizzazione degli immobili, secondo 11 quale eli fini fiscali la stima di base risulta assai più elevata di quanto non sia ai fini locativi . . .», dando cosi luogo ad una «ingiusta, ecces
siva e palese mortificazione della proprietà», nonché ad una palese di
scriminazione «tra coloro che occupano abitazioni di proprietà e inqui lini». Quanto alla rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, ad avviso del giudice a quo sarebbe «evidente che, ove sussistesse anco
ra il comma abrogato dall'art. 12 [1. 392/78], in ragione della radicale revisione delle rendite catastali operate a far tempo dal 1° gennaio 1991 . . ., tutte le norme di determinazione del canone legale dovrebbe
ro considerarsi decadute, in particolare quelle che stabiliscono il c.d.
valore locativo», con conseguente «accoglimento della domanda del ri corrente».
Senonché, come si precisa nella narrativa dell'ordinanza di rimessio
ne, nella specie la domanda, proposta dal locatore, era diretta ad otte
nere la rideterminazione del canone legale, in seguito alla revisione in
aumento delle rendite catastali, «ai sensi degli art. 12 e 13 1. n. 392
del 1978, applicando la percentuale del 3,85 non già sul valore locati
vo .. . bensì sulla rendita catastale moltiplicata per 100». Ed allora
appare evidente la contraddizione insita nell'iter argomentativo del giu dice a quo, puntualmente rilevata dalla Corte costituzionale: se infatti, come postulato dal giudice rimettente, vigendo l'ultimo comma dell'art.
12 1. 392/78, tutte le norme in tema di determinazione dell'equo canone
fossero da ritenere ormai decadute, in seguito alla attuazione del nuovo
catasto edilizio urbano, verrebbe meno la esistenza stessa di una «misu
II Foro Italiano — 1993.
Diritto. — 1. - Il Pretore di Piacenza ha sollevato, in riferi
mento agli art. 3 e 42 Cost., questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 1, 10° comma, d.l. 13 settembre 1991 n. 299, con
vertito nella 1. 18 novembre 1991 n. 363. La norma impugnata ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 1. 27 luglio 1978 n.
392, che limitava l'applicabilità delle modalità di determinazio ne dell'equo canone degli immobili locati ad uso di abitazione,
previste nei commi precedenti, «fino all'attuazione della rifor
ma del catasto edilizio urbano».
2. - La questione è inammissibile per difetto di rilevanza.
La rilevanza è affermata dal giudice rimettente con la seguen te motivazione: «è evidente che ove sussistesse ancora il comma
abrogato dall'art. 12, in ragione della radicale revisione delle
rendite catastali operata a far tempo dal 1° gennaio 1991, con
evidente aggiornamento delle stesse mediante adeguamento, e
a volte superamento, del valore di mercato, che non può consi
derarsi revisione a tutti gli effetti, tutte le norme di determina
zione del canone legale dovrebbero considerarsi decadute, in par ticolare quelle che stabiliscono il c.d. valore locativo. Ne conse
guirebbe l'accoglimento della domanda del ricorrente».
Si potrebbe osservare anzitutto che, ove tutte le norme di
determinazione del canone legale dovessero considerarsi deca
dute, e dunque anche il 2° comma dell'art. 12 1. n. 392 del
1978, non si vede come la domanda del ricorrente potrebbe es
sere accolta nei termini del petìtum formulato nel ricorso, il
quale mira a ottenere il ricalcolo del canone di locazione «ai
sensi degli art. 12 e 13 1. n. 392 del 1978, applicando la percen tuale del 3,85, non già sul valore locativo, ottenuto dal prodot to della superficie convenzionale per il costo unitario di produ
zione, bensì' sulla rendita catastale moltiplicata per 100».
ra legale» del canone; sicché non si vede come la domanda del locatore, nei termini suddetti, potrebbe trovare accoglimento, anche in ipotesi di reviviscenza del predetto art. 12, ultimo comma.
A parte ciò, la corte osserva che le premesse da cui muove la valuta zione di rilevanza della questione di costituzionalità operata dal giudice a quo (premesse, peraltro, «lasciate dall'ordinanza del tutto carenti di
fondamento argomentativo») sono, almeno in parte, insostenibili. Ed
invero, anzitutto non è affatto pacifico (neppure nel caso che la norma
per ipotesi dichiarata incostituzionale sia esclusivamente ed espressa mente abrogatrice) che la dichiarazione di illegittimità della norma im
pugnata comporti la reviviscenza di quella abrogata (sul tema cfr., da
ultimo, Corte cost. 18 marzo 1992, n. 106, Foro it., 1992, I, 1331 e
Giur. it., 1992, I, 1, 1836, con nota di A. Giorgis, Uno spunto in
tema di tutela costituzionale dei diritti sociali e reviviscenza delle norme
illegittimamente abrogate)', sicché, nella specie non è detto che l'acco
glimento della questione di costituzionalità produrrebbe la reviviscenza dei limiti temporali di applicabilità delle disposizioni sull'equo canone stabiliti originariamente dall'art. 12 1. 392/78.
In secondo luogo — argomenta la corte — il Pretore di Piacenza
postula che la revisione delle rendite catastali operata dai d.m. 20 gen naio 1990 e 27 settembre 1991 costituisca la «riforma del catasto edili zio urbano», cui faceva riferimento l'ultimo comma dell'art. 12 1. 392/78; ma tale convinzione è sicuramente errata, non essendo prevista un'ope razione essenziale perché possa parlarsi di riforma del catasto edilizio, come la revisione del classamento degli immobili, e d'altra parte la tesi sostenuta dal giudice rimettente è ora chiaramente contraddetta dalla
previsione dell'art. 2, 1° comma, d.l. 16/93, convertito nella 1. 75/93
(il testo del d.l. coordinato con la legge di conversione è riportato in Le leggi, 1993, II, 166), che attribuisce carattere provvisorio alle tariffe e alle rendite determinate dai decreti ministeriali dianzi citati. Sui nuovi estimi catastali delle unità immobiliari urbane, v. Tar Lazio, sez. II, 6 maggio 1992, n. 1184, Foro it., 1992, III, 273, con osservazioni di
M. Annecchino; Comm. trib. I grado Pisa 18 giugno 1992, ibid., 421; Corte cost. 19 gennaio 1993, n. 9, id., 1993, I, 666; e, da ultimo, Comm.
trib. II grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, ibid., Ill, 545 (che ha
sollevato la questione di costituzionalità, sotto svariati profili, dell'art.
2 d.l. 16/93, convertito in 1. 75/93, nella parte in cui dispone che «fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad appli carsi le tariffe d'estimo e le rendite già determinate in esecuzione del
d.m. 20 gennaio 1990»). In precedenza, la Corte costituzionale (ord. 30 novembre 1988, n.
1048, id., 1989, I, 613, con nota di richiami di D. Piombo) aveva di
chiarato manifestamente inammissibile, trattandosi di incidere su scelte
discrezionali riservate al legislatore, la questione di costituzionalità del l'art. 14 (recte, 12) 1. 392/78, nella parte in cui non consente che il
canone delle locazioni abitative possa superare il 3,85% del costo di
produzione dell'immobile. Circa la disciplina sui «patti in deroga» alla normativa c.d. dell'equo
canone, introdotta dalla legge di conversione del d.l. 333/92, v., da
ultimo, Corte cost. 21 luglio 1993, n. 323, id., 1993, I, 2761.
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