sentenza 15 dicembre 1994; Pres. Turchetti, Est. Rossetti; De Valeris (Avv. Caputo) c. Palmulli ealtro (Avv. Spinelli Giordano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 667/668-675/676Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188856 .
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PARTE PRIMA
in relazione alle quali ben può emergere l'esigenza di una tutela
cautelare ante causam) quella deroga è isolata;
bf) di nessun rilievo è il fatto che il potere di iniziativa sia
limitato alla fase cautelare ante causam, in quanto l'esistenza
di un sistema di rimedi (reclamo, revoca, assorbimento nella
sentenza di merito) — in tutto coincidenti con quelli ordinari
dall'ordinamento predisposti per i procedimenti a domanda —, non elimina l'irragionevolezza della norma né (in quanto rimedi
successivi) il rischio del venir meno della terzietà del giudice;
bg) la già sottolineata attribuzione (in via di regola generale) della legittimazione ad agire al curatore, organo preposto al fal
limento (v. rubrica del capo II del titolo II della legge fallimen
tare, di cui fa parte la sezione dedicata al curatore), pubblico ufficiale (art. 30 1. fall.), soggetto cui è affidata «l'amministra
zione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice
delegato» (art. 31 1. fall.), fa si che nel caso di specie non sorga un problema analogo a quello di cui alla sent. Corte cost. 133/93,
cit., un'eventuale pronuncia caducatoria del giudice delle leggi non dando luogo a vuoti che solo il legislatore nella sua discre
zionalità può colmare ma consentendo semplicemente l'espan sione degli ordinari poteri del curatore; la cura del pubblico interesse involto dalla fattispecie risulterebbe non meno garanti
ta, e ciò sia per la qualità del soggetto cui quella cura è rimessa
sia per la funzione di direzione e controllo svolta dal giudice
delegato, al quale tra l'altro compete l'integrazione dei poteri anche processuali del curatore, attraverso l'autorizzazione ad
agire in giudizio (e non potendo certo sostenersi che una minore
intensità nella cura dell'interesse possa derivare dal fatto che
competente ad emettere i provvedimenti de quìbus sarebbe il
giudice designato dal presidente del tribunale ex art. 669 ter
c.p.c.); c) sulla base di quanto fin qui esposto risulta non manifesta
mente infondata la questione di legittimità costituzionale pro
spettata; la medesima è anche rilevante in quanto, qualora non
fossero rimessi gli atti alla corte, divrebbe trovare applicazione nella fattispecie proprio la disposizione della cui legittimità que sto collegio dubita; infatti, l'ordinanza impugnata con reclamo
è stata emanata dal giudice delegato in forza dei poteri attribui
tigli dall'art. 146 1. fall, e, giusta l'interpretazione della medesi
ma offerta (interpretazione accolta dalla prevalente giurispru denza di merito), le eccezioni di carenza di giurisdizione (id est:
di potere) e di incompetenza del giudice delegato sollevate dal reclamante dovrebbero essere respinte; si aggiunga che gli ulte
riori motivi di reclamo appaiono infondati (il motivo incentrato
sulla carenza di legittimazione ad agire del curatore nella causa
di merito, in quanto l'azione a cautela della quale è stato con
cesso il sequestro è quella di responsabilità ex art. 2393 e 2394
c.c. e non quella di responsabilità per nuove operazioni ai sensi dell'art. 2449, 1° comma c.c.; il motivo fondato sull'insussi
stenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in
mora in quanto emerge dagli atti e in particolare dalla relazione del curatore la prova sommaria della responsabilità degli ammi
nistratori e sindaci e quindi anche del reclamante mentre la stes sa misura del credito vantato — 8 miliardi — e l'apparente non titolarità di beni aggredibili è chiaro indice del pericolo di per dere le garanzie del credito), il che rende ancor più rilevante la questione della legittimità dell'art. 146 cit.; si osserva, infine, come nessuna incidenza abbia sulla rilevanza della questione il fatto che l'esercizio del potere cautelare da parte del giudice delegato sia stato nella specie genericamente sollecitato dal cu ratore con l'atto con cui richiedeva l'autorizzazione ad agire in giudizio; infatti, anche a prescindere dal rilievo che non si è di fronte ad una istanza in senso proprio, è pacificamente ritenuto dalla migliore dottrina in tema di pronuncia d'ufficio che allorquando l'inziativa è officiosa l'eventuale richiesta di terzi degrada a mera denuncia;
per questi motivi, visto l'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87, di chiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, 3° comma, r.d. 16 mar zo 1942 n. 267, nella parte in cui prevede che prima dell'inizio della causa di merito le misure cautelari strumentali rispetto al l'azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci pos sono essere disposte d'ufficio dal giudice delegato ai fallimenti anziché su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in
riferimento all'art. 3, 24, 2° comma, coordinato con l'art. 3, 101, 2° comma, Cost.;
ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costitu
zionale; (omissis)
Il Foro Italiano — 1995.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 dicembre 1994; Pres. Tur
chetti, Est. Rossetti; De Valeris (Avv. Caputo) c. Palmulli
e altro (Aw. Spinelli Giordano).
TRIBUNALE DI ROMA;
Circolazione stradale — Circolazione di veicoli — Presunzione
di colpevolezza — Conducente — Terzi trasportati — Esten
sione (Cod. civ., art. 1681, 2043, 2054). Danni in materia civile — Risarcimento — Interessi legali —
Corresponsione (Cod. civ., art. 2043, 2058).
Posto che l'art. 2054 c.c. è norma speciale rispetto all'art. 2043
c.c. e che i trasportati di cortesia rientrano nel novero dei
danneggiati di cui all'art. 2054 c.c., la presunzione di colpe
volezza che tale norma pone a carico del conducente di un
veicolo senza guida di rotaie sì estende anche a favore di
costoro. (1)
(1) La pronuncia si pone in contrasto rispetto alla prevalente giuri sprudenza relativa all'ambito applicativo della presunzione di colpevo lezza prevista dall'art. 2054 c.c. a carico del conducente e del proprieta rio di un autoveicolo. Infatti, l'orientamento assolutamente maggiorita rio, sia di merito che di legittimità (Cass. 16 giugno 1990, n. 6059, Foro it., Rep. 1990, voce Trasporto (contratto di), n. 13; 11 gennaio 1988, n. 39, id., Rep. 1988, voce Circolazione stradale, n. 157; 16 no vembre 1987, n. 8384, ibid., 158; 16 novembre 1987, n. 8382, id., 1988, I, 1942; 19 agosto 1983, n. 5422, id., Rep. 1984, voce cit., n. 51; App. Cagliari 21 luglio 1989, id., Rep. 1991, voce Responsabilità civile, n.
63; Trib. Cagliari 20 giugno 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 59; Trib. Torino 28 marzo 1990, id., Rep. 1991, voce Circolazione stradale, n. 174; Trib. Palermo 27 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 94; Trib. Lodi 31 ottobre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 161), afferma che le disposizioni contenute nell'art. 2054 c.c. (in ordine alla
responsabilità del vettore e del proprietario del veicolo) trovano appli cazione solo per i danni cagionati dalla circolazione del veicolo ai terzi estranei e non già ai trasportati di cortesia, rispetto ai quali opera la
regola generale dettata dall'art. 2043 c.c. La pronuncia in epigrafe ripercorre analiticamente le ragioni che hanno
indotto la giurisprudenza ad assumere questa posizione. La sentenza
capostipite di questo orientamento viene individuata in Cass. 9 novem bre 1955, n. 3683, id., Rep. 1955, voce cit., n. 95, che ha enunciato le seguenti argomentazioni a sostegno della sua tesi:
1) l'art. 2054 c.c. richiede l'assenza di un rapporto materiale con la circolazione del veicolo. Questo presupposto non sussiste rispetto al terzo trasportato di cortesia, che «è danneggiato non dalla circolazione
(intesa come agente esterno) ma in occasione di essa»; 2) l'art. 2054 c.c. è posto a tutela dei terzi che, a differenza dei tra
sportati di cortesia, subiscono gli incommoda della circolazione dei vei
coli, senza godere dei relativi commoda; 3) i trasportati di cortesia si trovano in una posizione più vantaggiosa
rispetto ai terzi non trasportati, sia perché possono più facilmente pro vare la colpa del conducente del veicolo, sia perché sono in condizioni di valutare preventivamente il rischio a cui si sottopongono consenten do al trasporto.
La giurisprudenza (Cass. 16 novembre 1987 n. 8384, cit.; 16 novem bre 1987, n. 8382, cit.; 19 agosto 1983, n. 5422, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 47; 18 novembre 1981, n. 6114, id., Rep. 1982, voce cit., n.
81; Trib. Termini Imerese 9 giugno 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 162; Trib. Roma 23 settembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n.
84) ha applicato il suddetto principio all'ipotesi di scontro tra autovei coli: nel caso in cui sia stata riconosciuta la responsabilità solidale di entrambi i conducenti delle autovetture implicate, il terzo trasportato da uno di essi può invocare la presunzione di responsabilità di cui al l'art. 2054 c.c. solo nei confronti dell'altro vettore, che è tenuto a risar
cigli integralmente il danno. Infatti, la presunzione di equivalenza del danno prodotto da ciascuno dei conducenti, ai sensi dell'art. 2054, 2°
comma, opera solo nei rapporti interni tra i coautori. Pertanto, il con ducente che ha provveduto a risarcire per l'intero il terzo trasportato può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coautore, nella mi sura determinata dall'entità delle rispettive colpe e delle conseguenze dannose derivate. Il terzo trasportato può anche agire ex art. 2043 c.c. nei confronti del proprio conducente, avendo, però, l'onere di provare la colpa. In particolare, v. Cass. 29 marzo 1983, n. 2278, id., Rep. 1983, voce Giudizio (rapporto), n. 37, secondo la quale, data l'identità concettuale tra la colpa penale e civile, il terzo trasportato non può promuovere un'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti del conducente dell'autoveicolo, che sia stato assolto per insufficienza di
prove dal reato di lesioni colpose. Sul punto si è pronunciata anche la Corte costituzionale (sentenza
17 dicembre 1981, n. 192, id., 1982, I, 367, con nota di Pardolesi), che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 2054, 3° comma, c.c., nella parte in cui non concede al terzo trasportato a titolo di cortesia l'azione di risarcimento nei confronti del proprieta rio del veicolo, anche quando sia provata la colpa del conducente. Il
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno e riva
lutate in base agli indici Istat, vanno corrisposti gli interessi
legali, come remunerazione per il mancato godimento del be
ne soppresso dal fatto illecito altrui. (2)
Motivi della decisione. — 1. - Che il sinistro nel quale rimase coinvolta Paola De Valeris sia storicamente accaduto, non è
dubitabile: lo dimostrano ex art. 2729 c.c. la documentazione
medica in atti; le richieste di risarcimento fatte inviare dall'at
trice alla società convenuta; l'omessa risposta del convenuto al
l'interrogatorio deferitogli (con atto notificato il 5 luglio 1993).
Nondimeno, alcuna prova è stata raccolta in merito alla re
sponsabilità del conducente nella causazione del sinistro stesso.
2. - È ben nota a questo collegio la costante e uniforme giuris
prudenza della Suprema corte, secondo la quale «per i danni
presupposto da cui muove la Consulta è costituito dall'unitarietà del
disposto di cui all'art. 2054 c.c., che ruota attorno alla presunzione di responsabilità del conducente (in obiter viene richiamato l'orienta mento giurisprudenziale dominante che nega l'applicabilità della pre detta presunzione a favore del terzo trasportato di cortesia). Pertanto, nel momento in cui la colpa del conducente risulti accertata in concre
to, poiché riemerge il regime normale di cui all'art. 2043 c.c., non è
più operante il principio di estensione della responsabilità al proprieta rio del veicolo, sancito dall'art. 2054, 3° comma.
Estendendo la presunzione di colpevolezza del conducente di un au toveicolo senza guida di rotaie anche a favore dei terzi trasportati (co me aveva già fatto Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 9 dicembre 1993,
pres. D'Amico, est. Rocco, Aricò c. Gervasi, e, prima ancora, un isola to Trib. Firenze 25 ottobre 1990, id., Rep. 1991, voce Circolazione stra
dale, n. 171), la pronuncia del Tribunale di Roma accoglie le sollecita zioni provenienti dalla dottrina (Pahdolesi, nota a Corte cost. 17 di cembre 1981, cit.) in favore di una visione affrancata da 'asfittici
formalismi' e, quindi, più aderente alle reali esigenze di tutela dei sog
getti danneggiati dalla circolazione stradale. Le critiche mosse dalla pronuncia in rassegna al consolidato orienta
mento giurisprudenziale sul punto possono cosi riassumersi:
a) la formulazione letterale dell'art. 2054 c.c. ('danno prodotto a per sone e a cose dalla circolazione del veicolo') non esclude l'applicabilità della presunzione di colpevolezza nei confronti dei trasportati di corte
sia, posto che non si può ragionevolmente negare la sussistenza di un
nesso eziologico tra la circolazione del veicolo e il danno subito dal
trasportato; b) la ratio sottesa dall'art. 2054 c.c. è non solo quella sostanziale
di assicurare il maggiore ristoro a! danneggiato (la norma grava il con
ducente dell'obbligo di fare tutto il possibile per evitare il danno), ma anche quella processuale di semplificare l'onere della prova posto a ca
rico dei medesimo, accelerando cosi la soluzione delle controversie.
c) la giustificazione posta a base della predetta esclusione, a tenore
della quale il trasportato è in grado di rappresentarsi preventivamente il rischio e di evitarlo, 'contrasta con i dati dell'esperienza e della logi
ca', posto che il predetto ragionamento potrebbe estendersi anche a
'chi si immette nel flusso della circolazione a piedi o in auto'. Il Tribu nale di Roma osserva, inoltre, che l'accettazione del rischio costituisce
causa di giustificazione solo quando il rischio accettato sia «normale,
prevedibile e adeguato rispetto all'attività per cui si presta il consenso».
Ora, non può ragionevolmente sostenersi che il trasportato di cortesia abbia previsto e accettato il rischio di subire lesioni gravi alla propria persona o di morire. Né, alla luce della multiforme varietà di circostan
ze che normalmente accompagnano un sinistro stradale, è dato pensare che il trasportato di cortesia possa provare la colpa del vettore più fa
cilmente rispetto al terzo non trasportato. Si fa strada, cosi, la consapevolezza dello stridente contrasto esisten
te tra la posizione deteriore attribuita dall'orientamento giurispruden ziale dominante al trasportato di cortesia e la normativa sull'assicura zione obbligatoria, che si ispira a finalità solidaristiche, perseguite «at
traverso una distribuzione mutualistica del rischio» (Corte cost. 1° marzo
1973, n. 24, id., 1973, I, 2010). Segnatamente, i giudici di Roma osser
vano che solo estendendo la presunzione di cui all'art. 2054 c.c. ai tra
sportati di cortesia, la loro posizione verrebbe parificata a quella dei
trasportati a titolo contrattuale, garantiti dalla semplificazione probato ria di cui all'art. 1681 c.c.: verrebbe cosi ristabilita 'la simmetricità e
armonia del sistema normativo'.
(2) La massima si conforma all'orientamento giurisprudenziale domi
nante in tema di risarcimento del danno extracontrattuale ribadendo
che sul credito risarcitorio non solo deve operarsi (secondo il criterio
della taxatio) la rivalutazione secondo l'indice Istat, ma vanno anche
computati gli interessi legali, a titolo di remunerazione del danneggiato
per il mancato godimento del bene soppresso dal fatto illecito altrui.
Per un'ampia e aggiornata ricognizione dei problemi connessi a tale
impostazione, v. F. D'Aquino, Verso il tramonto dei crediti di valore? in Foro it., 1994, I, 2628.
Il Foro Italiano — 1995.
causati alle persone trasportate a titolo di cortesia non può in
vocarsi la presunzione di colpa, di cui all'art. 2054 c.c., contro
il vettore, che deve rispondere a norma dell'art. 2043 c.c.».
Tale giurisprudenza è stata in più occasioni condivisa anche
da questo tribunale (cfr., ex plurimis, Trib. Roma 23 settembre
1981, Foro it., Rep. 1982, voce Circolazione stradale, n. 84).
Nondimeno, dopo aver riesaminato ab imis l'intera questio
ne, e collazionato il quadro normativo (interno e comunitario) con la giurisprudenza della Corte costituzionale, questo tribu
nale è indotto a ritenere che il principio sopra enunciato, ora
mai, non possa più essere condiviso.
È opportuno in primo luogo osservare come, nel sostenere
il principio in esame, la Suprema corte abbia sempre riprodotto
(dalla sent. 1747/65 id., Rep. 1965, voce cit., n. 244, alla sent.
12125/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 174; ma si vedano anche, nelle motivazioni, Cass. 1161/65, id., Rep. 1965, voce cit., n.
241; 2657/66, id., Rep. 1966, voce Trasporto, n. 3; 614/66,
ibid., voce Circolazione stradale, n. 362; 496/68, id., Rep. 1968, voce cit., n. 496; 2142/69, id., Rep. 1969, voce Trasporto, n.
9; 2367/69, ibid., n. 10; 732/70, id., Rep. 1970, voce cit., n. 732; 1814/71, id., 1971, I, 2787; 2678/71, id., Rep. 1971, voce Circolazione stradale, n. 147; 3776/71, ibid., n. 141; 686/72,
id., Rep. 1972, voce cit., n. 70; 2106/74, id., Rep. 1974, voce
cit., n. 152; 1287/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 64; 5355/78, ibid., voce Trasporto (contratto di), n. 23; 1767/79, id., Rep.
1979, voce Circolazione stradale, n. 77; 5422/83, id., Rep. 1984,
voce cit., n. 31; 8384/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 186; 39/88,
id., Rep. 1988, voce cit., n. 157; 6059/90, id., Rep. 1990, voce
Trasporto (contratto di), n. 13) le medesime motivazioni adot
tate da Cass. 3683/55 (id., Rep. 1955, voce Circolazione strada
le, n. 95), ovvero dalla sentenza capostipite di questa linea in
terpretativa. Tale riproduzione di argomentazioni appare pedis
sequa, talora anche sintatticamente; al punto che nelle sentenze
più recenti il problema della inapplicabilità al trasportato di cor
tesia della presunzione di cui all'art. 2054 c.c. viene risolto in
poche, tralaticie battute: «L'art. 2054 c.c. (...) è norma di dirit
to singolare, predisposta per meglio tutelare i terzi estranei al
l'uso del veicolo (...). Essa, pertanto, non può trovare applica zione in favore delle persone trasportate a titolo di cortesia,
non potendo le stesse essere assimilate (...) ai terzi estranei alla
circolazione» (Cass. 1767/79, cit.). Orbene, riducendo in epitome la copiosa giurisprudenza di
legittimità sopra elencata, si rileva che la inapplicabilità della
presunzione di cui all'art. 2054 c.c. al trasportato di cortesia
viene fondata su una basilare osservazione: terzi estranei alla
circolazione e trasportati di cortesia sono due categorie eteroge
nee, per le quali il legislatore ha voluto discipline normative
(e forme di tutela) diverse.
Questa conclusione, a sua volta, viene sostenua (talora alter
nativamente, talora congiuntamente) con quattro argomentazioni,
e sempre con quelle:
1) L'art. 2054. presuppone l'assenza di un rapporto materiale
con la circolazione del veicolo. I trasportati di cortesia, invece,
sono danneggiati non dalla circolazione (intesa quale agente ester
no) ma in occasione di essa: ne consegue che non sussisterebbe
quella assenza di rapporto materiale con la circolazione stessa,
voluta dall'art. 2054 c.c.
2) L'art. 2054 c.c., attraverso la presunzione, pone a carico
del conducente un onere di maggior diligenza, al fine di tutelare
i terzi che, al contrario dei trasportati di cortesia, godono solo
gli incommoda della circolazione, ma non i commoda.
3) L'art. 2054 c.c., attraverso la presunzione, intende tutelare
maggiormente soltanto i terzi non trasportati, perché per essi
è più difficile provare la colpa del conducente, mentre tale pro
va sarebbe più facilmente raggiungibile dal trasportato di cortesia.
4) I trasportati di cortesia, al contrario dei terzi non traspor
tati, sono in grado di valutare preventivamente il rischio cui
si espogono, e dunque consentendo al trasporto accettano il ri
scho del sinistro. (Tutte queste argomentazioni si trovano sillo
gizzate in Cass. 1814/71, cit., ma, come detto, sono state sem
pre sostanzialmente ripetute senza modificazioni o elaborazio
ni: si vedano, ad es., Cass. 686/72 e 1767/79, cit.). Corollario indefettibile di tale assetto ricostruttivo è la natura
extracontrattuale del danno subito dal trasportato di cortesia,
sicché il vettore deve rispondere ex art. 2043 c.c., con conseguen
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PARTE PRIMA
te onere di provare l'elemento soggettivo dell'illecito a carico
del trasportato stesso, come stabilito dalla «storica» Cass.
2635/51 (id., 1951, I, 1487). Tuttavia, al fine di delimitare chiaramente il campo d'indagi
ne, va premesso che qualificare come extracontrattuale il rap
porto tra vettore e trasportato di cortesia non sembra determi
nante per ritenere inapplicabile a quest'ultimo l'art. 2054 c.c.
La preesistenza o meno d'un vincolo contrattuale, rispetto alla commissione dell'illecito, non è infatti elemento idoneo ad
escludere l'applicazione di una norma dagli effetti processuali,
quale quella sulla presunzione. In altri termini, ritenere inappli cabile ai rapporti tra vettore e trasportato di cortesia l'art. 1681
c.c. non vale a ritenere applicabile unicamente l'art. 2043 c.c.
Posto infatti che l'art. 2043 c.c. e l'art. 2054 c.c. sono in rap
porto di specialità, resta da analizzare se la fattispecie concreta
che si realizza allorché un trasportato di cortesia subisca danni
alla persona sia ricompresa o meno nella fattispecie astratta di
cui all'art. 2054 c.c.
Venendo dunque all'esame delle argomentazioni addotte a so
stegno della tesi che esclude l'applicabilità dell'art. 2054 c.c.
al trasportato di cortesia, si osserva:
1) affermare che l'art. 2054 c.c. presupponga l'assenza di un
rapporto materiale tra la circolazione del mezzo ed il danneg
giato, e che quindi il trasportato di cortesia non sia terzo rispet to alla circolazione del veicolo, può ragionevolmente escludersi,
perché:
a) l'art. 2054 c.c. parla genericamente di «danno prodotto a persone o cose», senza alcuna distinzione;
ti) ritenere che il trasportato di cortesia non sia terzo rispetto alla circolazione del veicolo, induce la Suprema corte ad affer
mare che egli sia danneggiato non già dalla circolazione, sibbe
ne in occasione della circolazione del veicolo. Sottoponendo ta
le argomentazione alla verifica di un argumentum a contrario, si perviene ad un risultato non accettabile: il trasportato di cor
tesia, essendo danneggiato non dalla circolazione ma in occa
sione di questa, neanche se provasse la colpa del conducente
avrebbe diritto al risarcimento, perché l'occasionalità (in luogo della causalità diretta) escluderebbe addirittura il nesso causale
tra condotta illecita ed evento dannoso. La inaccettabilità evi
dente della conseguenza dimostra che quello qui criticato è un
falso sillogismo, perché è falsa la premessa maggiore (e dunque non di un sillogismo si tratta, sibbene di un entimema, gnoseo
logicamente inutile);
c) dall'analisi comparata delle altre norme che, nel medesimo
titolo IX del libro IV c.c., regolano le ulteriori ipotesi di re
sponsabilità c.d. aggravata, e dall'esame della giurisprudenza formatasi sulle stesse (art. 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.), si rileva
che per nessuna delle ipotesi di colpa presunta ivi previste, al fine di applicare la presunzione di colpa, si richiede la assoluta
assenza di ogni rapporto materiale tra il danneggiato ed il pre sunto (in senso tecnico) responsabile. Cosi, ad es., si ammette
la risarcibilità del danno subito dal fruitore dell'attività perico losa altrui; ovvero del danno subito dal proprietario dei locali
ove era riposta o collocata, anche per mera cortesia, la cosa in custodia. In queste ipotesi dunque l'interpretazione consoli
data del bloco normativo non pretende, per l'applicazione della
presunziuone, l'assenza di ogni rapporto materiale tra danneg giato e cosa od attività dannosa. Non si vede dunque perché alla previsione di cui all'art. 2054 c.c., omogenea a quelle di
cui agli articoli che precedono quanto alla ratio, debba essere riservata una diversa interpretazione.
2) Si afferma poi che i trasportati di cortesia non hanno dirit to alla maggior tutela di cui all'art. 2054 c.c., perché essi godo no i commoda, e non solo gli incommoda della circolazione del veicolo.
In merito a tale argomento deve osservarsi come né l'erme neutica letterale, né quella logico-sistematica consentono di in
ferire tale conclusione dalla norma citata.
Non la prima, perché la distinzione tra fruitori dell'utile, e
percettori dell'inutile della circolazione, non è con evidenza nel la lettera della legge. Non la seconda, perché la finalità perse guita dal legislatore con l'introduzione di presunzioni iuris tan tum è di norma quella di favorire il soggetto onerato da una
prova particolarmene onerosa; ovvero quella di accelerare la so
luzione delle controversie. La lettura comparata del blocco nor
mativo composto dagli art. 2050-2054 c.c. fa invece escludere
Il Foro Italiano — 1995.
che il legislatore, con le presunzioni ivi previste, abbia voluto
in qualche modo rendere deteriore la posizione di chi trae un
beneficio purchessia dalla cosa o dalla attività che si rileva poi fonte di danno.
Per contro, la ritenuta ratio acceleratoria delle controversie
è frustrata dalla inapplicabilità dell'art. 2054 c.c. al trasportato di cortesia, in quanto questi è in ogni caso e comunque tenuto
a provare coi mezzi ordinari la colpa del vettore.
3) Per il terzo argomento addotto a sostegno della tesi qui
criticata, i trasportati di cortesia non hanno diritto alla maggior tutela di cui all'art. 2054 c.c., perché per essi è più facile prova re la colpa del vettore.
In realtà, tale conclusione è affatto opinabile: infatti, le infi
nite circostanze di tempo e di luogo in cui può verificarsi un
sinistro stradale, e la possibilità della presenza di testimoni ocu
lari, sono assolutamente identiche tanto per i terzi, quanto per i trasportati. Né il trasportato di cortesia può agevolmente pro vare il difetto di manutenzione del veicolo ex art. 2054 , 4°
comma c.c.
Non sarà inutile aggiungere che secondo Cass. 3683/55, cit.
(come si è detto, pronuncia la quale ha fornito alla successiva
giurisprudenza di legittimità larga parte degli argomenti a soste
gno della tesi qui disattesa) i terzi estranei all'uso del veicolo
abbisognavano di maggior tutela non solo per la «intuitiva mag
giore difficoltà, per essi, di dimostrare la colpa del conducen
te», ma anche per la difficoltà di «conseguire da esso, spesso
impossidente, il dovuto risarcimento».
Tale ultimo argomento, di rilevante peso nell'interpretazione dell'art. 2054, 3° comma, c.c. affermata dalla citata decisione
della Suprema corte, è ovviamente venuto meno sin dal 1969, con l'introduzione del sistema dell'assicurazione obbligatoria; esso tuttavia per una sorta di «viscosità giudiziaria», comune
anche agli ordinamenti — come il nostro — che ignorano la
regola dello stare decisis, ha lasciato una traccia apprezzabile
nell'interpretazione della norma. In altri termini, l'interprete non
può escludere che, venuta meno la realtà socioeconomica che
giustificava una certa interpretazione della norma, tale interpre tazione sia nondimeno sopravvissuta per obliterazione del con
testo che l'aveva prodotta.
4) Si afferma, infine, che i trasportati di cortesia non hanno
diritto alla maggior tutela di cui all'art. 2054 c.c., perché essi
sono in grado di valutare preventivamente il rischio cui si espon
gono, rischio da essi accettato nel momento in cui salgono sul
veicolo.
Ora, l'accettazione del rischio, in astratto, in tanto esclude
la possibilità di ottenere il risarcimento, in quanto elide il dan
no risarcibile: più esattamente, l'accettazione del rischio dovrebbe
incidere sulla ingiustezza del danno, rendendo la condotta astrat
tamente illecita giustificata dalla intervenuta assunzione del
rischio. Tuttavia, l'accettazione del rischio (e quindi l'esclusione della
responsabilità del danneggiarne per assenza della ingiustezza del
danno), può operare come causa di giustificazione nelle ipotesi in cui il rischio accettato sia normale, ragionevolmente prevedi bile, e logicamente adeguato rispetto all'attività alla quale si
presta il consenso (si pensi ad es. all'attività sportiva, all'attivi
tà circense, agli spettacoli di intrattenimento, ecc.). In tutte queste ipotesi, infatti, può effettivamente ritenersi
che il soggetto il quale presti consenso all'attività pericolosa si
sia prefigurato — o almeno avrebbe dovuto farlo, secondo la
prudenza comune — tutti i rischi che potevano derivarne, ac
cettandoli,
Viceversa, rispetto alla circolazione stradale, il rischio di un
sinistro (e di danni alla persona), benché purtroppo non remo
to, è assolutamente eterodosso rispetto agli intenti del traspor tato, che sono quelli di spostarsi più celermente, non certo quelli di accettare un evento dannoso.
Aggiungasi che da un sinistro stradale talora derivano deva
stanti conseguenze assolutamente straordinarie rispetto all'atti vità «circolazione», come ad es. rilevanti perdite anatomiche.
OFa, anche a voler considerare evento normale (e quindi pre vedibile ed accettato), rispetto alla circolazione, un piccolo urto tra autovetture con modeste conseguenze, è certamente abnor
me ritenere che il trasportato di cortesia abbia previsto, valuta
to, e scientemente accettato il rischio di dover subire devastanti
lesioni alla propria persona.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Del resto, ragionando a contrario, dovrebbe affermarsi che — in ragione della rilevanza che ha oggi il fenomeno della cir
colazione degli autoveicoli — chiunque decida di attraversare
a piedi una strada trafficata accetti preventivamente il rischio
di un investimento: il che è, con evidenza, non sostenibile.
In verità, potrebbe parlarsi di accettazione del rischio in sen
so tecnico, con riferimento al trasportato di cortesia, unicamen
te nelle ipotesi in cui questi fosse a conoscenza ad es. della
spericolatezza del conducente; ovvero della sua inesperienza; ov
vero del suo stato di ebbrezza; ovvero ancora nel caso in cui
proprio il trasportato di cortesia avesse incitato il vettore a te
nere una guida pericolosa. In tutti questi casi, infatti, può legittimamente affermarsi che
il trasportato di cortesia abbia potuto prefigurarsi ed accettare
un evento (il sinistro) non anomalo né eccezionale rispetto ad
una guida pericolosa. Nelle ipotesi normali, per contro, non può parlarsi di accetta
zione del rischio, essendo l'evento (il sinistro) non anomalo né
eccezionale rispetto ad una condotta di guida ortodossa.
Tutto ciò premesso, può dunque cercarsi di ricostruire la fat
tispecie astratta di riferimento come segue:
a) l'art. 2054 c.c. è norma speciale rispetto all'art. 2043 c.c.,
e l'elemento di specialità è rappresentato non dalla necessità
di maggiormente tutelare (solo) i terzi danneggiati, ma dal mez
zo col quale è arrecata l'offesa: la «circolazione» nell'art. 2054
c.c., rispetto al generico «cagionare» di cui all'art. 2043 c.c.
b) In ogni caso, i trasportati di cortesia possono essere ricom
presi tra i danneggiati cui fa riferimento l'art. 2054 c.c., per: — l'ermeneutica letterale: la generale ed ampia previsione di
cui all'art. 2054 c.c. non distingue la posizione dei trasportati di cortesia;
— l'ermeneutica storica: l'art. 2054 c.c. aveva il suo prece
dente nell'art. 220 t.u. 8 dicembre 1933 n. 1740 (codice della
strada), che a sua volta derivava dall'art. 5 1. 30 giugno 1912
n. 739 (che per la prima volta introdusse nel nostro ordinamen
to la presunzione oggi prevista dall'art. 2054 c.c.). In ambedue
queste norme, non si faceva alcuna distinzione tra trasportato di cortesia e terzo esterno alla circolazione;
— l'ermeneutica comparatistica: l'art. 5 1. 739/12, già citata,
derivava pressoché integralmente dall'art. 1384, al 1, del Code
Napoléon. In quell'ordinamento giuridico, un tempo, si esclu
deva l'applicabilità della presunzione di colpa del vettore a fa
vore del trasportato di cortesia, sulla base di una considerazio
ne eminentemente morale: ripugnava cioè che chi rendeva un
servigio gratuito potesse rispondere del risarcimento, anche sen
za colpa. Tuttavia la giurisprudenza d'oltralpe, ferma restando
la lettera dell'art. 1384, al. 1, del Code, ha sin dal 1968 ritenuto
che la presunzione ivi prevista dovesse applicarsi anche contro
il custode del veicolo (ovvero, chi nel caso concreto era alla
guida al momento del sinistro); — l'ermeneutica sistematica: tutta la disciplina della respon
sabilità derivante dalla circolazione stradale, pur continuando
ad essere fondata sul principio della responsabilità per colpa,
presenta dei rilevantissimi profili solidaristici, ovvero di fonda
zione della responsabilità sulla esposizione al rischio (di volta
in volta, da parte del conducente, del proprietario, dell'utilizza
tore o usufruttuario). La stessa Corte costituzionale, con la sent. 24 del 1973 (id.,
1973, I, 2010), ha espressamente affermato che «la vera finalità
del sistema di cui alla 1. 990/69 non sta nel salvaguardare il
patrimonio del responsabile, ma piuttosto, attraverso una di
stribuzione mutualistica del rischio, nel garantire il risarcimento
del danneggiato». E la corte cita proprio l'art. 2054 c.c. (unita
mente all'art. 18 1. 990/69) come il mezzo prescelto per «raffor
zare la protezione del danneggiato». Il legislatore ha voluto cioè,
afferma ancora la corte, perseguire «finalità di ordine sociale»,
non soltanto regolare rapporti patrimoniali tra i consociati.
Il conseguimento di queste finalità appare dunque gravemen
te frustrato dalla ritenuta inapplicabilità della presunzione di
cui all'art. 2054 c.c. al trasportato di cortesia, una volta am
messo che questi è null'altro che una persona danneggiata dalla
circolazione del veicolo: come avverte peraltro il medesimo sen
so comune.
Si deve aggiungere che la originaria redazione dell'art. 1 della
1. 990/69 poteva effettivamente ingenerare dubbi sulla parifica
zione dei terzi esterni ai trasportati di cortesia, prevedendo per
essi una disciplina differenziata.
Il Foro Italiano — 1995.
Tuttavia, tale norma, dopo le modifiche apportate con le leg
gi 39/77 e 142/92, non distingue più i trasportati di cortesia
dagli altri trasportati, e tutti costoro dai terzi esterni.
Questa modifica normativa, in una visione non parcellizzata
dell'ordinamento, non fa che corroborare l'interpretazione fin
qui esposta, di una completa exaequatio tra terzi esterni e tra
sportati di cortesia.
In questo modo, inoltre, il sistema normativo consegue una
sua simmetricità ed armonia, in quanto tutti i trasportati riceve
rebbero la medesima tutela: se trasportati a titolo contrattuale,
dall'art. 1681 c.c.; se trasportati a titolo di cortesia, dall'art.
2054 c.c.; e si eliminerebbe altresì' l'eteroclito ghirigoro di pro blemi istruttori e probatori, che fatalmente sorge dall'interpre
tazione tradizionale, nel caso di sinistri che vedano coinvolti
più veicoli e più trasportati. E ciò appare in perfetta sintonia
con la ritenuta ratio dell'art. 2054 c.c., che è quella da un lato
di tutelare il danneggiato; dall'altro lato di faciliatre l'accerta
mento della responsabilità. Per completezza d'esame, deve infine osservarsi che i termini
della questione, come sin qui esposti, non appaiono modificati
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 192 del 1981 (id.,
1982, I, 6). Con tale decisione, il giudice delle leggi dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
2054, 3° comma, nella parte in cui tale norma non consente
al trasportato di cortesia l'azione di risarcimento nei confronti
del proprietario del veicolo.
Premesso che la sentenza di rigetto non vincola il giudice del
merito nella sua libera attività ermeneutica, deve osservarsi che
nella sentenza citata la Corte costituzionale, con motivazione
assolutamente sintetica, ha aderito tout court alla linea inter
pretativa della Corte di cassazione, fondata sulla presunta pre
visione ed accettazione del rischio da parte del trasportato di
cortesia.
A quella decisione pertanto (la quale fu salutata in dottrina
come «un'occasione perduta») possono muoversi le medesime
obiezioni formulate con riferimento alla linea interpretativa sin
qui seguita dalla Suprema corte, posto che quella non ha fatto
che recepire questa. Per tutto quanto sopra esposto, deve dunque affermarsi che,
nel caso in cui un soggetto trasportato per via di terra a titolo
di cortesia riporti danni alla persona in conseguenza di un sini
stro stradale, questi possa invocare sia contro il proprio vetto
re, sia contro il proprietario del mezzo, le presunzioni di cui
all'art. 2054 c.c.
Ne consegue che i convenuti vanno condannati, ai sensi del
l'art. 2054, 1° comma, c.p.c., ciascuno per il rispettivo titolo,
al risarcimento dei danni patiti dall'attrice. (Omissis)
4. - In merito alla necessità che sulle somme liquidate a titolo
di risarcimento in moneta attuale, si computino interessi legali,
si osserva che questo collegio ben conosce la giurisprudenza di
altra (ed unica) sezione di questo tribunale in materia di obbli
gazioni di valore, ma ritiene che tale giurisprudenza non possa
essere condivisa.
L'attuazione della aestimatio in base all'indice Istat del costo
della vita per le famiglie di impiegati ed operai non «remunera»
il credito risarcitorio, ma rappresenta la consueta operazione
di taxatio necessaria per calare nel contesto temporale attuale
il bene della vita distrutto o deteriorato.
Il danneggiato ha infatti diritto sia alla restituzione o ricosti
tuzione del bene perduto, sia al risarcimento del danno conse
guito al fatto di non aver potuto disporre del bene danneggiato,
dal giorno dell'illecito al sinistro: dunque non basta monetizza
re, secondo un principio valoristico, il credito risarcitorio, ma
occorre tener conto altresì di un parametro, un coefficiente,
un valore, il quale remuneri il creditore per il mancato godi
mento del bene soppresso dal fatto illecito altrui.
Si consideri, del resto, che il creditore può sempre chiedere
il risarcimento del danno in forma specifica (art. 2058, 1° com
ma, c.c.): ciò vuol dire che, in teoria, il creditore potrebbe esse
re soddisfatto con la dazione di un bene uguale a quello perdu
to o soppresso per opera dell'autore dell'illecito.
Tuttavia, i beni materiali fatalmente si deprezzano con l'an
dar del tempo, vuoi per usura, vuoi per l'evolversi del mercato.
Perciò restituire al creditore un bene esattamente identico a quello
perduto, ma a distanza — ad es. — di alcuni anni dal momento
della soppressione, in realtà non vale a reintegrare per equiva
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PARTE PRIMA
lente il patrimonio del danneggiato, perché questi ha perduto un bene tecnologicamente o economicamente nuovo al momen
to della perdita, e vedesi restituire un bene tecnologicamente ed economicamente obsoleto.
In simili casi pertanto, ove il debitore volesse risarcire in for
ma specifica il danno, dovrebbe fornire al creditore un bene
che — al momento della restituzione — abbia il medesimo valo
re che aveva il bene soppresso al momento della soppressione: valore tuttavia espresso non in termini assoluti, ma in funzione
del rapporto con gli altri beni analoghi presenti sul mercato.
La conclusione ritenuta valida per l'ipotesi di cui all'art. 2058, 1° comma, c.c., a fortiori sarà valida per il caso di risarcimento
per equivalente. Mentre dunque la somma attualizzata risarcisce (ricostituen
dolo con un surrogato monetario) il bene perduto, ricostituen
dolo nel suo valore relativo (cioè parametrato al complesso dei
beni e servizi esistenti sul mercato) al momento della ricostitu
zione, gli interessi su essa calcolati compensano il mancato go dimento di quel bene, per il periodo che separa l'evento danno
so dalla taxatio.
Perciò, nell'obbligazione di valore l'attualizzazione serve a
ricostituire o surrogare il bene nella sua essenza; gli interessi
ricostituiscono il bene nella sua funzione, compensando la ri
nuncia forzosa al godimento di esso, nell'arco di tempo che
ha separato il danno dalla liquidazione. Le due operazioni sono
ontologicamente e finalisticamente separatee non sovrapponibili. Non appaiono determinanti dunque le osservazioni della so
cietà convenuta, secondo le quali il legislatore, modificando il
saggio legale degli interessi, avrebbe «implicitamente escluso la
persistenza dell'operatività» della distinzione tra obbligazioni di
valuta e obbligazioni di valore.
In realtà, la distinzione suddetta è creazione dell'interprete e non del legislatore, finalizzata giustappunto a tener conto del
la diversa natura dell'oggetto dell'obbligazione allorché occorra
risarcire un danno da inadempimento. In tal senso si è espressa e continua, costantemente, ad espri
mersi la Suprema corte (cfr., da ultimo, Cass. 1384/93, id.,
Rep. 1993, voce Danni civili, nn. 114, 123, 161).
TRIBUNALE DI PIACENZA; ordinanza 3 ottobre 1994; Giud.
istr. Paladini; Mandelli c. Banca nazionale del lavoro.
TRIBUNALE DI PIACENZA
Ingiunzione (procedimento per) — Provvisoria esecuzione — Giu
dizio di opposizione — Revoca — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 649).
Ingiunzione (procedimento per) — Provvisoria esecuzione — Giu dizio di opposizione — Sospensione — Motivi (Cod. proc. civ., art. 649).
È inammissibile la revoca della concessa provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. (1)
Il giudice istruttore può ordinare la sospensione della concessa
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, oltre che per (gravi) motivi di opportunità, anche per motivi affe renti alla legittimità della concessione del decreto o della prov visoria esecutività dello stesso. (2)
(1-2) Sull'ammissibilità della revoca della concessa provvisoria esecu tività del decreto ingiuntivo opposto si è recentemente espresso, in sen so contrario all'ordinanza in epigrafe, Trib. Vercelli, ord. 17 marzo 1993, Foro it., 1994, I, 1225, con nota di C. Monnini, Art. 649 c.p.c.: interpretazioni vecchie e nuove circa l'ammissibilità delia revoca della clausola di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.
Numerosi sono altresì i provvedimenti, espressamente richiamati dal l'ordinanza che si riporta, intervenuti sul problema dell'ambito di ope ratività della sospensione di cui all'art. 649 c.p.c.: si vedano, in partico
II Foro Italiano — 1995.
Con atto di citazione notificato il 21 maggio 1994 Sante Man
delli e Umberto Mandelli proponevano opposizione avverso il
decreto n. 427, emesso il 14 aprile 1994 e munito di clausola
di provvisoria esecuzione, con cui il presidente del Tribunale
di Piacenza, su ricorso della Banca nazionale del lavoro, aveva
ingiunto agli opponenti il pagamento dell'importo di lire
8.307.964.791, oltre interessi nella misura delle prime rate Abi
e spese. Nel proprio ricorso per decreto ingiuntivo, la Bnl esponeva
di aver versato in data 22 giugno 1993, in qualità di capofila di un gruppo di otto banche, a dipendenti e consulenti esterni
delle società del gruppo Mandelli, gli importi a costoro dovuti
dalle rispettive aziende per retribuzioni arretrate, trattamenti di
fine rapporto e compensi; che le stesse banche venivano surro
gate, ex art. 1201 c.c., ai dipendenti, stipulando in pari data
accordi di dilazione di pagamento in favore delle singole azien
de; che venivano anticipati importi per il complessivo ammon
tare richiesto nel ricorso; che per le esposte esposizioni finan
ziarie avevano prestato fideiussione Sante Mandelli, Umberto
Mandelli e Giancarlo Mandelli (quest'ultimo deceduto); che gli accordi di dilazione di pagamento dovevano intendersi risolti
a causa della procedura concorsuale, alla quale erano state in
seguito sottoposte le società del menzionato gruppo e che, per
tanto, si rendeva necessario rivolgersi ai fideiussori. (Omissis) Gli attori sostengono l'ammissibilità del provvedimento di re
voca della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiun tivo opposto e richiamano, a sostegno della tesi, le argomenta zioni affermate da una parte della giurisprudenza di merito, tra cui, da ultimo, Trib. Vercelli, ord. 17 marzo 1993 (Foro
it., 1994, I, 1225). La tesi deve essere disattesa, posto che al suo accoglimento
ostano ragioni di carattere normativo e sistematico. Da una parte,
invero, non può trascurarsi il fondamentale rilievo, secondo cui
il rimedio della revoca della clausola di provvisoria esecuzione
del decreto ingiuntivo opposto non è espressamente previsto dal
legislatore, il quale, peraltro, si è invece preoccupato di regola mentare le diverse ipotesi di concessione da parte del giudice istruttore della provvisoria esecuzione non concessa dal presi dente e quella di sospensione per gravi motivi della provvisoria esecuzione viceversa concessa. D'altra parte, prevedendo espres samente l'art. 649 c.p.c. la sospensione per «gravi motivi», non
sussiste ragione alcuna affinché in tale ultimo concetto non pos sano essere ricompresi non soltanto motivi di opportunità rife
riti soprattutto al pericolo di danno che possa derivare all'op
ponente dall'esecuzione del decreto, ma, altresì', motivi afferen
ti alla legittimità della concessione del decreto o della provvisoria esecuzione dello stesso. Tale interpretazione del dato normativo
di cui all'art. 649 c.p.c. è stata autorevolmente affermata tanto dalla Suprema corte (Cass. 3 maggio 1991, n. 4866, id., Rep.
1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 56) quanto da nu
merose pronunce di merito (Pret. Milano, ord. 17 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione, n. 20, Trib. Crema, ord 3
luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 44; Trib. Perugia, ord.
14 novembre 1952, id., 1953, 114), le quali hanno — ad avviso di questo giudice istruttore — più correttamente posto in risalto
la peculiare funzione della valutazione, che il giudice deve com
piere in corso di causa ai sensi degli art. 648 e 649 c.p.c., e
che non può consistere in una sorta di appello o reclamo avver
so la decisione presidenziale.
Pertanto, questo giudice istruttore — in conformità a quanto affermato da altre recenti decisioni di merito (cfr., soprattutto, Trib. Firenze, ord. 12 ottobre 1993, giud. istr. Puliga, inedita, ma ampiamente richiamata in Foro it., 1994,1, 1225, nota a Trib.
Vercelli, ord. 17 marzo 1993) — ritiene che i «gravi motivi», che consentono la sospensione dell'esecuzione provvisoria del
decreto, non indicano un presupposto di contenuto identico al
pericolo di grave danno per il debitore, previsto da altre dispo sizioni normative del codice di rito (cfr., ad esempio, art. 431, 3° comma), ma consentono una valutazione delle eccezioni sol
lare, Cass. 3 maggio 1991, n. 4866, id., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 56; Pret. Milano, ord. 17 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione, n. 20; Trib. Crema, ord. 3 luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 44; Cass. 25 ottobre 1974, n. 3130, id., Rep. 1974, voce cit., n. 58; Trib. Perugia, ord. 14 novembre 1952, id., 1953, I, 114.
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