Sentenza 15 febbraio 1955; Pres. F. Felici P., Est. Pascasio; Petrucci (Avv. Jelpo) c. I.n.a. (Avv.Pasanisi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 78, No. 6 (1955), pp. 887/888-889/890Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23146195 .
Accessed: 28/06/2014 08:54
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:53 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
88? PAETE PKIMA 888
del matrimonio e la dispensa del matrimonio rato e non
consumato, e riconoscendo quindi gli effetti civili tanto
alle sentenze dei tribunali ecclesiastici quanto ai provve dimenti di dispensa pontificia pronunciati in quella materia.
È dunque evidente che, anche secondo la legge italiana, la dispensa pontificia produce lo scioglimento del matri
monio rato e non consumato, con effetti quindi ex nunc, e che nell'intervallo di tempo decorso dopo la sua cele
brazione fino alla emanazione del rescritto di dispensa il
matrimonio ha avuto validità ed effetto giuridico. Costi
tuisce applicazione di questo principio, per il matrimonio
preconcordatario, il disposto dell'art. 22, cap., della legge 27 maggio 1929 n. 847, contenente disposizioni per l'attua
zione del Concordato.
Non può pertanto la C. chiedere, neppure a titolo di
risarcimento danni per colpa aquiliana, il rimborso delle
spese sostenute per il matrimonio, che, sebbene non consu
mato, ha avuto dal giorno della sua celebrazione a quello del suo scioglimento (8 marzo 1950) effetti canonici e giu ridici. L'accoglimento della domanda presupporrebbe non
solo la prova della colpa del P., per avere taciuto alla fi
danzata il suo stato d'invalidità sessuale, ma altresì l'ac
certamento della nullità del matrimonio per l'esistenza
di quella causa dirimente (impotenza coeundi manifesta e perpetua, anteriore alle nozze), ma questo accertamento, nemmeno ai limitati effetti dell'attribuzione di una respon sabilità civile, può essere fatto dal giudice italiano per
gli Accordi lateranensi, ed ormai nemmeno potrebbe for
mare oggetto di giudizio dinanzi ai tribunali esclesiastici
per il sopraggiunto rescritto pontificio che, fino al tempo della sua emanazione, postula l'esistenza di un matrimonio
valido. La condannza al rimborso delle spese sostenute per il
procedimento di dispensa deve infine escludersi anche per il carattere particolare di quel procedimento che tende, come si è detto, non alla definizione di un diritto contro
verso, ma al conseguimento di una grazia per cause rimesse
alla discrezionalità del Pontefice e che non presuppongono necessariamente la colpa e la responsabilità di alcuno.
(Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA.
Sentenza 15 febbraio 1955 ; Pres. F. Pelici P., Est. Pasca sio ; Petrueci (Avv. Jelpo) c. I.n.a. (Avv. Pasanisi).
Lavoro (rapporto di) — Concentrazione di società di
assicurazioni — Apporto di attività — Fusione di aziende — Esclusione — Diritti dei dipendenti della società apportante — Insussistenza (E. d. 1. 31 maggio 1936 n. 1512, liquidazione della rappresen tanza gen. in Italia della Compagnia di assic. sulla vita La Fenice ; r. d. 1. 13 luglio 1933 n. 1059, concen tramento e liquidazione delle imprese di assicurazione, art. 1 ; r. d. 1. 13 novembre 1931 n. 1434, provvedi menti per la concentrazione di aziende sociali, art. 3).
La concentrazione di società di assicurazioni, effettuata me diante semplice apporto di attività, e cioè mediante tras
ferimento del portafoglio assicurativo, non è configu rabile come fusione di aziende, e pertanto non attribuisce ai dipendenti della società i diritti previsti dalla legge per il caso di cessione di azienda. (1)
(1) Non risultano precedenti editi. Sulle caratteristiche della concentrazione di aziende mediante
apporto di attività, v. Cass. 5 agosto 1948, Foro it., Rep. 1948, voce Registro, n. Ilo » App. Torino 11 maggio 1949, id., 1949, I, 1095, con osservazioni di D. L. Bianco.
In ordine ai presupposti del diritto di cui all'art. 2112 cod. civ., v. Cass. 27 marzo 1952, id.., 1952, I, 1197.
La Corte, eco. —- (Omissis). In relazione all'appello prin
cipale osserva la Corte che col r. decreto legge 31 maggio 1936 n. 1512 la rappresentanza generale per l'Italia della
Compagnia di assicurazioni « La Fenice » con sede a Vienna
fu posta in liquidazione. Provvide lo stesso decreto in
modo diverso (art. 2) alle due gestioni che a detta rappre sentanza facevano capo, disponendo che quella delle as
sicurazioni sulla vita fosse « concentrata » nell'Istituto na
zionale delle assicurazioni, ed attribuendo al Commissario
liquidatore la facoltà di trasferire ad altra impresa assi
curatrice il portafoglio della gestione delle assicurazioni
contro i danni (art. 4). L'effetto della predetta concentra
zione veniva precisato nel capoverso del citato art. 2 che
lo determinava nel trasferimento dei contratti di assicu
razione sulla vita compresi nel portafoglio italiano della
predetta Compagnia all'Istituto il quale rimaneva sosti
tuito negli obblighi e nei diritti verso gli assicurati.
Se questo soltanto fu l'effetto del trapasso (è da esclu
dere che ve ne fossero altri perchè detta norma non li indica) lo stesso testo legislativo offre un decisivo argomento per escludere che il negozio così detto di « concentrazione »,
che venne per tal modo disposto ope legis, concretasse un
trasferimento di azienda come preteso dal Petrucci e ri
tenuto dal Tribunale.
L'azienda, com'è noto, sotto l'impero del codice abro
gato era ritenuta una universitas rerum, ed ancor oggi è
considerata dalla prevalente dottrina come universalità
(secondo alcuni di fatto, secondo altri di diritto), ed a tale
carattere accenna esplicitamente una norma codificata
(art. 671, n. 1, cod. proc. civ.). Contro tale concezione è
stato osservato ohe ai sensi dell'art. 816 eod. civ. le cose
che compongono l'universitas debbono essere mobili, mentre
l'azienda è composta anche di immobili e di servizi, sicché
una recente dottrina tenta la sintesi tra i diversi punti di
vista allargando il concetto dell 'universitas rerum oltre
i limiti dell'art. 816, fino a comprendervi insieme alle cose
corporali anche i rapporti giuridici e persino le energie. Altra dottrina postula invece che l'elemento essenziale e
discriminatore dell'azienda sia l'organizzazione nella quale sarebbero fusi con carattere di accessorietà tutti i rapporti sui singoli beni che nell'ambito di essa vengono coordi
nati. Ma il valore della definizione dell'azienda data dalla
legge, che la indica come complesso di beni organizzato
dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (art. 2555 cod.
civ.), va colto soprattutto delimitando il concetto di azienda
rispetto a quello di impresa, nel senso che l'azienda è un
complesso di beni organizzati con possibilità di funziona
mento in vista della produzione o dello scambio, mentre
l'impresa è l'organizzazione che a quel funzionamento
provvede. Sicché, mentre l'impresa presuppone l'azienda
come complesso di beni organizzati, che pone in esercizio,
l'azienda per sè indica quel complesso di beni in fase sta
tica : cose cioè materiali ed immateriali, rapporti giuridici attivi e passivi ed energie personali a disposizione dell'im
prenditore, il tutto imito dalla volontà del titolare in un
organismo produttivo con unica destinazione (Cass. 18
febbraio 1950, n. 410, Foro it., 1950, I, 1018). Così precisato il concetto di azienda, non è dubbio che
i contratti di assicurazione sulla vita esistenti nel porta
foglio della Compagnia « La Penice» e trasferiti all'I.n.a., a
seguito della concentrazione in detto Istituto del ramo
vita da quello gestito, costituivano elementi pure di ri
lievo nell'organizzazione patrimoniale della Compagnia, ma
non esaurivano di certo il complesso aziendale di questa a formare il quale concorrevano con i contratti di assicu
razione sulla vita non soltanto i contratti relativi alle
attività svolte dalla stessa Compagnia (assicurazioni contro
i danni) trasferiti, come previsto dal citato art. 4 r. decreto
del 1936, ad altra impresa assicuratrice, ma anche altri
beni, altri rapporti, mezzi strumentali ed. attrezzature che
restarono alla Compagnia la quale indubbiamente soprav visse poiché, posta in liquidazione, questa fu esaurita dopo circa undici anni.
Nè può dirsi che oggetto della cessione fosse una parte di azienda costituita dal ramo vita che, con l'altro relativo
ai danni, concorreva a formare il più vasto organismo
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:53 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
889 GIURISPRUDENZA CIVILE 890
aziendale della Compagnia « La Fenice », poiché, come già si è osservato, l'effetto del negozio di concentrazione si
limitò al trasferimento dei contratti con la conseguente sostituzione dell'I.n.a. ad uno dei soggetti contraenti, mentre i servizi e quant'altro ineriva alla gestione della
« Fenice » ed era necessario ad integrare, secondo il con
cetto su espresso, un organismo aziendale, anche se com
preso nella più vasta organizzazione della Compagnia, restarono a quest'ultima che sopravvisse in fase di liquida
zione, laddove alla gestione delle polizze trasferite provvide l'Istituto con la propria attrezzatura.
Nulla aggiunge alla tesi dell'appellante il richiamo al
l'atto per notar Crispini in data 28 luglio 1946. Con tale
atto, invero, vennero trasferite all'I.n.a. le attività desti
nate a copertura delle riserve matematiche e delle cauzioni
per l'esercizio del ramo vita e l'Istituto assunse, da parte
sua, obblighi vari che risultano specificamente indicati, ma
non furono trasferiti beni nè rapporti giuridici fra loro in
alcun modo organizzati. È evidente che si ebbe così un
caso di apporto di attività da una ad altra società, di ces
sione in blocco di tutti i diritti e delle obbligazioni inerenti
alla totalità dei contratti di assicurazioni sulla vita, in
staurandosi un rapporto definito anche come cessione del
portafoglio delle polizze vita.
Con ciò resta esclusa anche l'ipotesi di concentrazione
di società per fusione, pure prospettata dall'appellante, chiaro essendo che la cessione di portafoglio lascia sussi
stere le società contraenti e non produce l'effetto giuridico della fusione, per cui le società fuse restano assorbite, nel
l'ente che ne risulta. L'effetto è soltanto quello di una li
mitazione dell'oggetto della società apportante per l'esclu
sione dell'assicurazione sulla vita.
A nulla rileva che questo risultato dell'operazione di
concentrazione non sia conforme all'ipotesi che nella prassi delle società commerciali ha maggiore frequenza ed in cui
si delinea il carattere della società apportatrice delle atti
vità come quello di una società finanziaria che controlla, mediante il possesso delle azioni, la società che riceve le
attività, onde il nome di holding che significa possesso, influenza. Una tale ipotesi non esaurisce di certo tutte
quelle possibili di concentrazione mediante apporto, e quella in esame, prevista dal decreto del 1931, ne è un tipico esem
pio. Se ne trae conferma dal raffronto del citato decreto del
1931 col decreto legge 13 luglio 1933 n. 1059, il quale
prevede e regola (art. 1) la concentrazione di società di
assicurazione, effettuata anziché mediante fusione, me
diante apporto di attività in altre società di assicurazione
e cioè mediante trasferimento del portafoglio assicura
tivo delle società apportanti. In un caso come nell'altro
è escluso testualmente che possa trattarsi di fusione.
Altra conferma decisiva sta nel r. decreto legge 16
giugno 1938 n. 1153, convertito nella legge 3 gennaio 1939
n. 131, ove si legge: «limitatamente alle concentrazioni
dei portafogli assicurativi delle rappresentanze nel Regno di compagnie estere di assicurazioni in imprese nazionali, il privilegio tributario di cui alle disposizioni innanzi ri
chiamate potrà essere consentito ancorché le società appor tanti non partecipino al capitale sociale delle società con
centratane ed ancorché nell'atto di concentrazione sia pre visto un corrispettivo dell'apporto ». Resta confermato da
questa norma, la quale ha piena aderenza al caso in esame, che può aversi concentrazione mediante apporto di at
tività da parte di imprese di assicurazione senza la condi
zione della partecipazione azionaria della impresa appor tante al capitale della società concentrataria. I trasferi
menti di portafoglio sono previsti pure dall'art. 1902 cod.
civ. il quale rimanda alle leggi speciali, e la distinzione
giuridica della concentrazione effettuata mediante fusione
dalla concentrazione mediante apporto di attività è prin
cipio già segnalato nella Relazione del Ministro Rocco alla
legge 24 marzo 1932, e seguito in giurisprudenza (Cass. sent. n. 930 del 31 marzo 1937, Foro it., 1937, I, 509, e
n. 1160 del 18 febbraio 1941, id., 1942, I, 41 ; sent, di
questa Corte in data 10 febbraio-24 maggio 1944, in causa
Berardi c. I.n.a.).
Fondamentale è poi l'art. 3 decreto legge 12 novembre 1931 n. 1434 che, espressamente prevedendo entrambe tali
ipotesi, esclude ohe i rapporti derivanti da contratti di lavoro
col personale della società s'intendano senz'altro trasfe
riti, poiché garantisce agli impiegati di ciascuna delle so
cietà fuse, o la cui attività viene a cessare, un diritto di
preferenza di fronte agli estranei nelle prime assunzioni
da farsi da parte della società che opera il concentramento, a condizione che la concentrazione sia dichiarata di pub blico interesse a termini del r. decreto legge 13 febbraio
1930 n. 37, vale a dire con decreto del Ministero per la
grazia e giustizia. Manca nel caso, com'è pacifico, tale dichiarazione, per
cui il Petrucci non poteva vantare detto diritto, ed è pure chiaro che, per effetto di questo provvedimento legisla tivo, ove la società concentrataria non proceda a nuove
assunzioni di personale o, pur procedendovi, non vi sia
sufficiente capienza, gl'impiegati della società apportante sono licenziati, non ostante ogni patto contrario, con di
ritto soltanto alle relative indennità.
Se dunque, pur ricorrendo il presupposto della dichia
razione di pubblico interesse, la tutela della legge per gl'im
piegati della società concentrata è limitata ad un semplice diritto di preferenza per l'assunzione al servizio della so
cietà che opera il concentramento, ne deriva che l'art. 3
ora esaminato dispone la estinzione del rapporto, onde de
riva che il personale della società incorporata non viene
trasferito ipso iure alle dipendenze della società ricevente
e non è applicabile l'art. 11 della legge impiegatizia del 13
novembre 1924 n. 1825, che nel caso di cessione o tras
formazione di ditta statuisce la continuità dei rapporti dei prestatori di lavoro.
È manifesta l'incompatibilità della norma del 1924 con
quella del 1931 che, quale legge particolare, deroga impli citamente la norma generale, ed è perciò priva di ogni fondamento la tesi che costituisce il caposaldo della difesa
del Petrucci, circa l'automaticità del suo passaggio alle
dipendenza dell'I.n.a.
Ciò è confermato categoricamente anche dall'atto pro dotto per notar Crispini col quale l'I.n.a. assunse l'obbligo di rimborsare alla « Penice » l'ammontare delle indennità
di licenziamento dovute ai suoi impiegati, e le somme cor
risposte per l'anticipato scioglimento dei contratti a ter
mine, mentre invece se detti impiegati fossero stati mante
nuti in servizio sarebbe stata ad essi riconosciuta soltanto
la precorsa anzianità.
Nè vale opporre che da parte della « Penice » fosse
mancato un effettivo licenziamento, dovendosi ritenere
quello intimato come simulato e diretto soltanto a non
far apparire la continuità del rapporto e che, comunque,
l'I.n.a., con deliberazione del suo Consiglio di amministra
zione, prese impegno di assumere il personale della « Fe
nice ». Risulta infatti non soltanto che il licenziamento
venne intimato dalla « Fenice » al Petrucci con disdetta
a lui notificata il 29 ottobre 1936, ma anche che egli per
cepì le somme di lire 18.604 a titolo di emolumenti durante
il periodo di preavviso, che trascorse in servizio, e di lire
83.718 a titolo d'indennità di licenziamento, come si rileva
da una quietanza da lui rilasciata il 10 marzo 1937 a tran
sazione e saldo di ogni sua spettanza : quietanza non im
pugnàta nel termine di tre mesi stabilito dall'art. 2113
codice civile.
Ma, se pure il licenziamento non vi fosse stato per la
volontà di recesso così manifestata dalla Società datrice
di lavoro, non v'è dubbio che il rapporto si era estinto
per effetto della concentrazione della Società comunque
operata, e quindi l'opera successivamente prestata dallo
stesso Petrucci alle dipendenze dell'I.n.a. ed in seguito a sua domanda di assunzione, non poteva che dar luogo ad un nuovo rapporto d'impiego completamente distinto
rispetto a quello esauritosi alle dipendenze della Società
ch'ebbe a subire la concentrazione. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
il Fobo Italiano — Volume LXXV1II — Parte I-58.
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:53 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions