sentenza 15 luglio 1985, n. 204 (Gazzetta ufficiale 24 luglio 1985, n. 173 bis); Pres. Roehrssen,Rel. Reale; Sacchi Morsiani (Avv. M. Nigro) c. Min. pubblica istruzione; Talamona (Avv. M.Nigro) c. Min. pubblica istruzione; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Tarin). Ord.T.A.R. Emilia-Romagna 9 giugno 1983 (G. U. n. 95 del 1984); T.A.R. Lombardia 14 dicembre1983 (G. U. n. 259 del 1984)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 349/350-353/354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180485 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerato naturale, per la carriera dei professori universitari, lo sbocco verso il medesimo tetto retributivo stabilito per i funziona ri direttivi dello Stato ».
Per quella sentenza, dunque, due sono i dati di riferimento che consentono di porre un limite alla pur riaffermata « permanente discrezionalità del legislatore » nella libertà di distinguere il trattamento retributivo nonostante il corrispondente livello di
carriera fra due diverse funzioni statali. E cioè: 1) che sussista
per un notevole arco di tempo una uniforme ripetizione di un
giudizio di valore che il legislatore esprima in termini costanti di
equivalenza fra due categorie; 2) che la detta equivalenza, però, non si riferisca esclusivamente al livello funzionale di carriera, ma si sostanzi nel profilo di un « identico vertice di coefficiente o
parametro terminale ». Ebbene, nessuno di tali dati è riscontrabile nella specie. Non i termini di equivalenza funzionale con la stessa categoria, giacché si è visto quanto incerto si mostri il
secondo termine del raffronto. Si comincia, infatti, con i professo ri universitari nella lontana legge istitutiva del 1934, per passare dal 1970 al 1973 alle continue oscillazioni dei lavori prepara tori tra il raffronto con le università e quello con la dirigenza statale, fino al decreto delegato del 1972 che fissa il confronto con la dirigenza: per tacere della 1. 11 luglio 1980 n. 312 che
torna, invece, nuovamente ai professori universitari.
Ma tanto meno, poi, sussistono i termini di equivalenza dell'i
dentico vertice di coefficiente o parametro terminale, che al più
potrebbe essere ravvisato, per la legge del 1980, in quello dei
professori universitari, dubbia essendo la parità retributiva rispet to alla legge del 1934. Addirittura inesistente poi tale parità economica per quanto si riferisce al confronto con la dirigenza statale istituito dal cennato decreto-delegato del 1972.
Questo, infatti, si limita a statuire — come si è visto — parità in taluni livelli di carriera, ma serba il più assoluto silenzio
quanto a quella economica. Al contrario, pur emergendo dai
lavori preparatori conclusivi, che a tale decreto intendesse alla
fine il legislatore riferirsi, in realtà, poi, la retribuzione viene
fissata — e questa volta dal parlamento stesso e non più dal
governo — in modo del tutto indipendente e libero.
Viene, dunque, a mancare nella specie proprio quell'uniforme
ripetizione, non accidentale, ma anzi protratta per un notevole
arco temporale di quel giudizio di valore espresso dal legislatore — come testualmente recita la citata sentenza n. 219/75 — ex
ore suo, in termini di equivalenza sia alla stessa categoria sia allo
stesso vertice di coefficiente o parametro terminale.
Ne deriva che alcun limite poteva, perciò, sussistere nella
specie all'ampia discrezionalità del legislatore di differenziare il
trattamento economico di categorie equivalenti, persino — ha
soggiunto questa corte — se « prima egualmente retribuite », senza incorrere nella violazione del precetto costituzionale di cui
all'art. 3.
Né si pensi che, in definitiva, proprio attraverso l'equiparazione fra dirigenza e docenti universitari, affermata dalla più volte
richiamata sentenza, si raggiungerebbe quell'uniforme costanza
di equiparazione che giustificherebbe il limite alla discrezionalità
del legislatore. Infatti, l'equiparazione conseguente alla citata
sentenza riguarda esclusivamente la fascia più alta dei professori
universitari, equiparata al livelo di carriera e di retribuzione degli ambasciatori.
Si tratta, in buona sostanza, di materia tuttora in via di
elaborazione normativa, alla quale caratteristica va calibrato lo
stesso giudizio di razionalità.
La questione sollevata, pertanto, non è fondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale degli art. 64, 1° comma,
e 66 1. 7 agosto 1973 n. 519, sollevata con ordinanza 1° dicembre
1976 dal T.A..R. del Lazio per contrasto con l'art. 3 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 luglio 1985, n. 204
(Gazzetta ufficiale 24 luglio 1985, n. 173 bis); Pres. Roehrs
sen, Rei. Reale; Sacchi Morsiani (Avv. M. Nigro) c. Min.
pubblica istruzione; Talamona {Avv. M. Nigro) c. Min.
pubblica istruzione; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello
Stato Tarin). Ord. T.A.R. Emilia-Romagna 9 giugno 1983
(G. U. n. 95 del 1984); T.A.R. Lombardia 14 dicembre 1983
(G. U. n. 259 del 1984).
Istruzione pubblica — Docente universitario — Nomina a
presidente di cassa di risparmio — Collocamento in aspettati
li. Foro Italiano — 1986.
va — Difetto di attribuzione di assegni — Questione infondata
di costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 11 luglio 1980 n.
382, riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia
di formazione, nonché sperimentazione organizzativa e didat
tica, art. 13). Istruzione pubblica — Docente universitario a tempo pieno —
Nomina a presidente di ente pubblico — Collocamento in
aspettativa — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.
3, 36, 51, 97; d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, art. 13).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, 3" comma, l. 11 luglio 1980 n. 382, nella parte in cui prevede che non vengano corrisposti assegni al professore universitario
collocato in aspettativa perché nominato presidente di cas
sa di risparmio, indipendentemente dalle condizioni economi
che di tali professori, dall'importanza della cassa di rispar
mio, e dalla misura delle retribuzioni da questa corrisposte al
suo presidente, in riferimento all'art. 3, 2" comma, Cost. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13,
1" comma, l. 11 luglio 1980 n. 382, nella parte in cui prevede che sia collocato in aspettativa senza assegni il professore universitario a tempo pieno nominato presidente di ente
pubblico a carattere nazionale, interregionale o regionale, indi
pendentemente dalle sue dimensioni, e a differenza dei profes sori universitari che fossero nominati presidenti di enti infrare
gionali, in riferimento agli art. 3, 36, 51 e 97 Cost. (2)
Diritto. — 1. - Le due ordinanze del T.A.R. dell'Emilia
Romagna e della Lombardia propongono alla corte la stessa
questione, benché diversamente articolata quanto alla disposizione
impugnata e ai parametri di riferimento. I giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza, ma le ordinanze
vanno separatamente esaminate.
2. - L'art. 13, 1° comma, d.p.r. n. 382 del 1980 indica i casi nei
quali « il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettiva per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio », fra i quali sta
(n. 10) la « nomina alle cariche di presidente, di amministratore
delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o
regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione
pubblica, anche a fini di lucro ».
Questo comma dell'art. 13 non è impugnato dal T.A.R. dell'E
milia-Romagna, che anzi, essendo stato esso evocato dal ricorrente
denunziando la disparità di trattamento tra professore universitario
nominato presidente e professore universitario nominato vicepre didente di cassa di risparmio, ha riconosciuto la manifesta
infondatezza della questione nella sentenza parziale emessa con
temporaneamente all'ordinanza con la quale è stato promosso il
giudizio di legittimità costituzionale del 3° comma dell'art. 13
d.p.r. n. 382 del 1980; e quindi non è soggetto a sospetto di
illegittimità costituzionale che il professore ordinario nei casi detti
non possa continuare la sua attività didattica e di ricerca e venga collocato in aspettativa.
È invece impugnato il 3° comma dell'art. 13 del detto d.p.r. n.
382, nella parte in cui stabilisce che, in mancanza di disposizioni
contrarie, « l'aspettativa è senza assegni ».
Ora il T.A.R. dell'Emilia-Romagna denunzia in primo luogo che tale mancanza di assegni « crea sul piano oggettivo, una
(1-2) L'ordinanza di rimessione del T.A.R. Lombardia, sez. I, 22
febbraio 1984, n. 122, è riassunta in Foro it., Rep. 1984, voce Istruzione pubblica, n. 297; e quella del T.A.R. Emilia-Romagna 9
giugno 1983, id., 1984, III, 276, con nota di richiami. La sentenza ora riportata va riaccostata alla precedente 23 maggio
1985, n. 158, in questo fascicolo, I, 361, con nota di richiami, che ha
ugualmente respinto questioni di costituzionalità (tra l'altro, in riferi mento a parametri costituzionali parzialmente coincidenti), sotto un altro
profilo dell'art. 13, '1° comma, d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 (e del
corrispondente art. 4 della relativa legge di delegazione 21 febbraio
1980 n. 28), che definisce i casi nei quali il professore universitario,
indipendentemente dalla sua opzione per il regime a tempo pieno o
per quello a tempo definito, deve essere collocato d'ufficio in aspettati va (nel caso, si trattava di professore eletto presidente di un consiglio
regionale). Su tale norma, v. T.A.R. Puglia 13 aprile 1984, n. 115, Trib. amm.
reg., 1984, I, 2302, che ha affermato che non deve essere collocato in
aspettativa il professore universitario (a tempo definito), nominato
direttore dell'Istituto agronomico di Bari, perché questo deve essere
considerato un ente a carattere prevalentemente culturale e scientifico. Per aitri riferimenti, v. T.A.R. Campania, sez. I, 12 settembre 1985, n.
429, in questo fascicolo, III, con nota di richiami, che, in rife
rimento alla disciplina previgente, ha affermato la spettanza dell'as
segno speciale al professore universitario nominato consigliere e
vice-presidente di un istituto bancario di diritto pubblico.
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PARTE PRIMA
disparità di trattamento rispetto ai docenti di scuola di grado non
universitario per i quali (art. 91 e 92 d.p.r. n. 417 del 1974) la
nomina a presidente di cassa di risparmio non comporta il
collocamento in aspettativa ».
Senonché la « disparità di trattamento » non deriverebbe dal 3°
comma dell'art. 13 d.p.r. n. 382 del 1980, ma dal 1° comma del
detto articolo, che non è denunciato di illegittimità costituzionale
e del quale anzi, come già ricordato, il T.A.R. ha in sentenza
escluso l'illegittimità.
Ora, rispetto alla domanda del prof. Sacchi Morsiani che il
T.A.R. ha preso in considerazione, diretta (come si legge nell'or
dinanza del T.A.R.) all'« accertamento, con conseguente statuizio
ne di condanna, del suo diritto a percepire per la durata
dell'aspettativa disposta per tutta la durata dell'incarico di presi dente della cassa di risparmio, il trattamento economico di
docente », è evidente l'incongruenza di una comparazione tra il
trattamento economico del professore universitario (posto in a
spettativa) e quello del docente non universitario che continua ad
insegnare e perciò a percepire il suo stipendio di pubblico
dipendente. 3. - Un'ulteriore violazione dell'art. 3 Cost, nascerebbe, secondo
il T.A.R. dell'Emilia-Romagna, per la disparità di trattamento dei
professori universitari chiamati alla presidenza di casse di rispar mio « rispetto ai docenti universitari chiamati alla presidenza di
istituti di credito di diritto pubblico, che possono attribuire
compensi fissi ai loro amministratori o chiamati a cariche com
portanti la corresponsione di attività fisse e continuative ». Il
T.A.R. rimettente ritiene che « tale disparità oggettiva, se appare
giustificabile per taluni suoi aspetti, non sembra ... compatibile col disposto dell'art. 3 Cost, che ... va considerato nella sua
unitarietà, cioè nelle reciproche implicanze tra i suoi due com
mi ». Infatti tale disparità « sembra risolversi... in una antinomia
con il 2° comma dell'art. 3 Cost, specie nei casi di docenti
universitari chiamati alla presidenza di casse di risparmio, privi di beni di fortuna », creando « un ostacolo di ordine economico
che non insorge in fattispecie analoghe o addirittura identiche dal
punto di vista sostanziale, all'effettiva partecipazione all'organiz zazione economica del paese di soggetti che, per impegno perso
nale, hanno conseguito una particolare qualificazione tecnica e, in
conseguenza di ciò, vengono a trovarsi nella necessità di accettare
con la carica conferita nell'interesse pubblico il mutamento di un
trattamento economico certo e continuativo con un trattamento
diverso ».
A ben vedere, sono due e distinte le questioni poste dal T.A.R.
nelle riprodotte considerazioni. La prima è relativa alla violazione del principio di eguaglianza e deriverebbe dalla diversità di
trattamento economico dei professori nominati presidenti di istitu
ti economici che corrispondono assegni fissi e continuativi rispetto ai loro colleghi chiamati a presiedere casse di risparmio. Ora di
tutta evidenza tale questione non è pertinente, nei confronti
dell'art. 13 d.p.r. n. 382 del 1980, il quale, nel 3° comma,
disponendo che l'aspettativa è senza assegni (e del resto anche nel 1° comma, n. 10, che enuncia alcune categorie di nomina che
comportano la collocazione dei professori in aspettativa), non si
occupa dei trattamenti economici riservati ai presidenti degli enti
presso i quali avvengono le nomine.
Quindi una questione di costituzionalità per disparità di trat
tamento relativa a tali trattamenti andrebbe riferita, se mai, alla
normativa regolante le casse di risparmio che esclude, a differen
za di quanto avviene per altri enti pubblici economici, la
corresponsione agli amministratori di compensi fissi e continuati
vi, consentendo solo l'assegnazione di medaglie di presenza.
Quando poi (seconda questione) si assume violato l'art. 3, 2°
comma, Cost., per il preteso ostacolo di ordine economico sociale alla partecipazione all'organizzazione politica economica e sociale
del paese, che deriverebbe dalla mancata corresponsione da
parte delle casse di risparmio di compensi fissi e continuativi ai
presidenti, e specialmente a coloro che non hanno beni di
fortuna, anche questo lamentato « impedimento » deriverebbe dal
la normativa regolante le casse di risparmio e non dalle denun
ciate disposizioni dell'art. 13 d.p.r. n. 382 del 1980.
E ciò a parte la considerazione che in punto di rilevanza il
T.A.R. avrebbe dovuto accertare o quanto meno affermare che
nella fattispecie al suo esame si verificavano due situazioni:
mancanza di beni di fortuna e insufficienza del trattamento
economico complessivo assicurato mediante corresponsione di
medaglie di presenza dalla Cassa di risparmio Emilia-Romagna al presidente, tenendo conto che lo statuto della cassa prevede la
corresponsione al presidente di medaglie di presenza oltre il
rimborso spese, per l'intervento alle adunanze del consiglio, del
Il Foro Italiano — 1986.
comitato, normalmente due per settimana, di eventuali compensi anche per le prestazioni connesse alle esigenze di servizio o di
norme regolamentari, col solo limite « che non può essere corri
sposta più di una medaglia di presenza nella stessa giornata ».
Del resto, lo stesso ricorrente non afferma, ma ipotizza soltan
to, che il trattamento economico supposto insoddisfacente possa « indurre l'interessato a rifiutare la nomina », e quindi possa
impedire la di lui partecipazione all'organizzazione politica, eco
nomica e sociale del paese. Rivolta, invece, al detto art. 13, 3° comma, la censura è
certamente infondata. A tutto concedere, essa dovrebbe tradursi
nella critica al legislatore per non aver distinto nella predetta norma tra professori ordinari forniti o sforniti di altri mezzi
economici, fra nomine e casse di risparmio importanti e meno
importanti e a casse di risparmio che corrispondono medaglie di
presenza di importo rilevante o modesto, e in numero sufficiente
o insufficiente. 11 che conferma, per assurdo, l'infondatezza della
questione in esame.
4. - L'ordinanza (n. 453 r.o. 1984) del T.A.R. Lombardia
estende la questione di legittimità costituzionale anche al 1° (oltre che al 3°) comma dell'art. 13 d.p.r. n. 382 del 1980, senza
indicazione alcuna di parametri nel dispositivo, ma con chiaro
riferimento in motivazione agli art. 3, 1° e 2° comma, 36, 1°
comma, e 51 Cost., nonché con una semplice non motivata
menzione dell'art. 97.
Ciò che differenzia l'ordinanza di Milano da quella di Bologna è il coinvolgimento del 1° comma dell'art. 13 d.p.r. n. 382, e cioè
il fatto che sempre il professore universitario che ha optato per il
tempo pieno debba essere collocato in aspettativa quando è
nominato presidente di cassa di risparmio, e ciò: a) indipenden temente dalla dimensione dell'ente; b) a differenza di quanto lo
stesso art. 13, 1° comma, n. 10, dispone per la nomina a
presidente di enti infraregionali, come per esempio una camera di
commercio importante. Per quanto riguarda la lamentata indifferenza del legislatore
per la dimensione delia cassa di risparmio presso la quale avviene la nomina, torna il rilievo che, in punto di rilevanza, il
T.A.R. di Milano avrebbe dovuto quanto meno affermare la
scarsa dimensione ed importanza della Banca del Monte di Milano a presiedere la quale era stato nominato il prof. Talamo na. Inoltre il T.A.R. avrebbe dovuto ritenere ed affermare che il
regime di tempo pieno del professore ordinario, con le sue condizioni quali prescritte negli art. 10 e 11 d.p.r. n. 382 del 1980
(non impugnati) è compatibile con l'esercizio della carica di
presidente di una cassa come la Banca del Monte di Milano, il cui statuto attribuisce al presidente una somma di incombenze ed attività continue ed assorbenti (cfr. art. 17 dello statuto della Banca del Monte che attribuisce al presidente la rappresentanza legale dell'istituto, la presidenza del consiglio di amministrazione, del comitato e delle commissioni consultive, la vigilanza sull'ese cuzione delle deliberazioni degli organi amministrativi e sull'an damento generale dell'istituto e ogni altra decisione o nei casi di
urgenza, e richiede il suo intervento e consenso per tutti gli atti di cancellazione di ipoteche, di surrogazione a favore di terzi, di annotazione di ineiticacia delle trascrizioni, di restituzione di
pegni e cauzioni, ecc.) remunerabili con medaglie di presenza (oltre il rimborso spese) il cui numero è soggetto al solo limite che « non può essere corrisposta più di una medaglia di presenza neila stessa giornata » (art. 9 del citato statuto).
A prescindere dal dubbio di ammissibilità della questione per le ragioni indicate, fra le quali la mancata impugnazione del
citato art. 11 d.p.r. n. 382 del 1980, è impossibile disconoscere il
fondamento razionale, e il rispetto, non la violazione, dell'art. 97
Cost., del divieto di cumulo tra l'attività di presidente della
importantissima Banca del Monte di Milano e l'attività didattica e
di ricerca prescritta al « professore universitario che abbia optato per il regime di impegno a tempo pieno ».
Vero è che il T.A.R. della Lombardia, a sostegno dell'afferma zione che « i criteri posti a fondamento della scelta operata dal
legislatore delegato non appaiono del tutto irrazionali », istituisce un conironto tra « gli incarichi di modesto rilievo dei presidente di una banca dei monte » e quello di « presidente dell'IRI, dell BINI, nei Banco di Sicilia, del Banco di Sardegna, ecc. », tutti trattati allo stesso modo, cioè soggetti ali incompatibilità stabilita
per gli enti pubblici economici dall'art. 13, 1" comma, n. 10,
d.p.r. n. 382; ma la pretesa, nella quale la censura si risolve, che il legislatore stabilisse 1 incompatibilità di cui si tratta valutando e discriminando l importanza dei singoli enti pubblici economici al line di includerne alcuni, di escludere altri dal regime di incompa
tibilità, non ha alcun fondamento di natura costituzionale e urta
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
contro la naturale genericità e astrattezza della norma legislativa che non può piegarsi a considerare singole e variabili fattispecie.
La quale osservazione vale anche a negare la fondatezza dell'altro confronto che l'ordinanza istituisce fra l'importanza del Banco del Monte di Milano e ipotizzati enti locali infraregionali, come le « camere di commercio di taluni capoluoghi di provin cia ».
La sola differenza fra questo confronto e quello con gli enti
pubblici economici a carattere nazionale interregionale e regionale sta nel fatto che per questi si rimprovera al legislatore l'eguale trattamento con le casse di risparmio, per quelli (gli enti infrare
gionali, esclusi dall'incompatibilità) si rimprovera il diverso trat tamento. Ma la censura coinvolge sempre un apprezzamento della
discrezionalità del legislatore nel valutare l'importanza da attri
buire, in base all'i'd quod plerumque accidit, alle varie categorie degli enti pubblici economici; apprezzamento non censurabile in
sede di giudizio di legittimità costituzionale.
5. - Il T.A.R. della Lombardia investe anche il 3° comma dell'art. 13 d.p.r. n. 382 il quale stabilisce che l'aspettativa è senza assegni. Ma lo fa con argomenti coincidenti, anche per espresso richiamo, con quelli enunciati nell'ordinanza del T.A.R.
dell'Emilia-Romagna, che sono già stati esaminati e disattesi nel
precedente § 3, escludendo la violazione dell'art. 3, 1° e 2°
comma, 'Cost.
Non occorre quindi indugiare su questo punto, se non per riaffermare che il lamentato diverso trattamento fra professori universitari e docenti non universitari può essere censurato solo in relazione al 1° comma, n. 10 (non al 3° comma), dell'art. 13
d.p.r. n. 382, poiché il docente non universitario continua a
percepire gli assegni in quanto continua a svolgere la sua attività di docente.
6. - Con la sola apodittica affermazione che « la norma in
questione » (cioè il 3° comma dell'art. 13 d.p.r. n. 382) « impone un trattamento economico differenziato senza un motivo costitu
zionalmente apprezzabile e quindi irragionevolmente », il T.A.R. della Lombardia assume violati anche l'art. 36, 1° comma, e l'art.
51, 1° comma, Cost.
Ma deve escludersi la fondatezza di tali censure.
Quanto all'art. 36, 1° comma (diritto a una retribuzione pro porzionata alla qualità e quantità del lavoro e in ogni caso
sufficiente ad assicurare anche alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa) esso potrebbe essere preso in considerazione solo se la
domanda del prof. Talamona fosse proposta contro il Banco del Monte che compensa (in ipotesi insufficientemente) il lavoro del
presidente, e comunque solo impugnando, come si è già innanzi
rilevato, la normativa regolante le casse di risparmio e i monti di
pietà. E ciò, inoltre, dopo avere accertato la rilevanza in relazio
ne all'ammontare del trattamento economico che la Banca del
Monte di Milano fa al suo presidente.
La difesa del prof. Talamona nella sua memoria presentata alla
vigilia dell'udienza riconosce che ciò « può essere vero in astrat to », ma soggiunge che il legislatore nel disporre l'aspettativa dovrebbe « provvedere per quei casi in cui la normativa dell'ente
non contempli per determinati incarichi, un compenso propria mente retributivo ». In sostanza il legislatore avrebbe dovuto
provvedere per ciascuna delle nomine per le quali l'art. 13, 1°
comma, d.p.r. n. 382 del 1980 dispone il collocamento in aspetta tiva dei professori ordinari, un trattamento economico sostitutivo o integrativo di quello, che apparisse insufficiente, dell'ente presso il quale la nomina è avvenuta. Pretesa di contestabile ragionevo lezza e possibilità di attuazione, la cui soddisfazione, comunque, è certamente non consentita alla corte in surrogazione del legisla tore.
Quanto all'art. 51, 1° comma, Cost., non si vede come esso
possa essere coinvolto nella controversia sottoposta al T.A.R.
della Lombardia. Infatti, come aveva già osservato il T.A.R.
dell'Emilia-Romagna nella causa iniziata dal prof. Sacchi Morsia
ni, dichiarando manifestamente infondata la questione sollevata
con riferimento all'art. 51 (come del resto all'art. 36), il 1°
comma dell'art. 51 tende ad assicurare l'eguaglianza fra i cittadini
che accedono o che intendono accedere a un dato ufficio pubbli co o a una data carica elettiva, evitando ogni discriminazione
personale, ma secondo i requisiti di legge.
7. - Di altri profili di illegittimità della norma impugnata esposti nella difesa sia del prof. Talamona sia del prof. Sacchi
Morsiani, ma non proposti nelle ordinanze dei T.A.R. o addirittu
ra dichiarati manifestamente infondati la corte non deve occuparsi.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate
Il Foro Italiano — 1986.
le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, 1° e 3°
comma, d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 (riordinamento della docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazio ne organizzativa e didattica) sollevate dai T.A.R. dell'Emilia-Ro
magna e della Lombardia in riferimento agli art. 3, 36, 51 e 97
Cost, con le ordinanze (n. 1012 r.o. 1983 e n. 453 r.o. 1984) di cui
in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 luglio 1985, n. 203
(Gazzetta ufficiale 24 luglio 1985, n. 173 bis); Pres. Roehrs
sen, Rei. Corasaniti; Novotny. Ord. Corte conti, sez. Ili, 22
aprile 1981 (G.U. n. 205 del 1983).
Pensione — Domanda di riscatto di periodi o servizi —
Termini perentori per la presentazione — Questione infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 38; d.p.r. 29 dicembre
1973 n. 1092, t.u. sul trattamento di quiescenza dei dipenden ti civili e militari dello Stato, art. 147).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, 1° comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parie in cui
stabilisce la decadenza dal diritto di riscatto di periodi o
servizi, ove la relativa domanda non sia prodotta dal dipenden te entro il termine di due anni prima del raggiungimento del
limite di età previsto per la cessazione dal servizio, in riferimen to agli art. 3, 36 e 38 Cost. (1)
Diritto. — 1. - Con l'ordinanza in epigrafe è messa in dubbio
sotto vari profili la legittimità costituzionale della norma, racchiu
sa nell'art. 147, 1° comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092
(recante approvazione del t.u. delle norme di quiescenza dei
dipendenti civili e militari dello Stato), con la quale è stabilito
che il diritto del dipendente di far valere ai fini della liquidazio ne della pensione servizi o periodi computabili a domanda —
nella specie il diritto di riscatto del servizio prestato nei confronti
dello Stato anteriormente all'assunzione in ruolo — deve essere
esercitato a pena di decadenza almeno due anni prima del
raggiungimento del limite di età previsto per la cessazione del
servizio. 2. - Sostiene in primo luogo il giudice a quo che l'assoggetta
mento a decadenza del diritto al riscatto del servizio preruolo costituisce una deviazione dai principi osservati dallo stesso d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, nel trattamento normativo del diritto
alla pensione, con il sancirne l'imprescrittibilità (art. 5). Devia
zione che, pur essendo inspirata all'apprezzabile finalità di accele
rare la liquidazione del trattamento di quiescenza, sarebbe ingiu stificata in relazione all'indissolubile collegamento fra i due istitu
ti, derivante dall'essere l'esercizio del diritto di riscatto strumen
talmente preordinato all'acquisizione del diritto a una pensione di
maggior ammontare o, addirittura, attraverso il raggiungimento del
minimo di servizio utile, del diritto alla pensione. La questione di legittimità cosi posta in riferimento al principio
di eguaglianza (art. 3, 1° comma, Cost.) non è fondata.
Il diritto alla pensione, anche se ha per contenuto prestazioni
periodiche di danaro, è considerato dalla normativa vigente come
situazione finale e sottratto a conseguenze negative astrattamente
collegabili all'inerzia del titolare in ragione delle esigenze di
certezza e di stabilità connesse alla sua funzione, attinente alla
sopravvivenza della persona. Ma a tali esigenze non contraddice affatto (cfr. del resto l'art.
2968 c.c.) che le vicende volte a determinare i presupposti di
(1) L'ordinanza di rimessione, Corte conti, sez. Ili, 22 aprile 1981, è riassunta in Foro it., 1984, III, 178, con nota di richiami.
La stessa questione era stata però ritenuta manifestamente infondata da Corte conti, sez. Ili, 5 marzo 1981, n. 47051, id., Rep. 1983, voce
Pensione, n. 50. Nel senso che il termine di cui all'art. 147, 1° comma, t.u. 1092/73,
slitta automaticamente, nel caso di differimento della cessazione dal
servizio in applicazione di altra disposizione legislativa, v. Corte conti, sez. contr., 15 aprile 1983, n. 1341, ibid., n. 55.
Per Corte conti, sez. Ili, 24 maggio 1983, n. 53853, id., Rep. 1984, voce cit., n. 85, in ipotesi di omessa comunicazione del decreto di collocamento a riposo, il gravame interposto contro un preteso rigetto della domanda di riscatto di servizi può valere come istanza di riscatto.
Per riferimenti in tema di pensioni regolate dal t.u. 1092/73, cfr.
Corte cost. 28 giugno 1985, n. 186, id., 1985, I, 2508, con nota di
richiami e osservazioni di V. Ferrari.
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