sentenza 15 marzo 1996, n. 70 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 marzo 1996, n. 12);Pres. Ferri, Est. Guizzi; Piscopo; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Roma 7 aprile 1995(G.U., 1 a s.s., n. 35 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1721/1722-1723/1724Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192003 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 marzo 1996, n. 70
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 marzo 1996, n. 12); Pres. Ferri, Est. Guizzi; Piscopo; interv. Pres. cons, mini
stri. Ord. App. Roma 7 aprile 1995 (G.U., la s.s., n. 35 del
1995).
Competenza e giurisdizione penale — Territorio — Incompe tenza dichiarata dal giudice del dibattimento — Trasmissione
degli atti al giudice ritenuto competente — Incostituzionalità
(Cost., art. 3, 24, 25; cod. proc. pen., art. 23).
Competenza e giurisdizione penale — Territorio — Incompe tenza del giudice di primo grado dichiarata dal giudice di ap
pello — Trasmissione degli atti al giudice di primo grado rite
nuto competente — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24, 25; cod. proc. pen., art. 24; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 27).
È incostituzionale l'art. 23, 1° comma, c.p.p., nella parte in
cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il
giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria in
competenza per territorio. (1) È incostituzionale, in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953
n. 87, l'art. 24, 10 comma, c.p.p., nella parte in cui dispone
che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo gra do per incompetenza per territorio, gli atti sono trasmessi al
giudice competente anziché al pubblico ministero presso que st'ultimo. (2)
Diritto. — 1. - Viene richiesto a questa corte, con riferimento
agli art. 3, 24 e 25 Cost., un nuovo scrutinio di legittimità costi
tuzionale dell'art. 23, 1° comma, c.p.p., per la parte non modi
ficata dalla sentenza n. 76 del 1993 (Foro it., 1993, I, 1025) là dove non prevede che il giudice del dibattimento — il quale riconosca la propria incompetenza per territorio dopo che l'ec
cezione sia stata già sollevata e respinta nell'udienza prelimina re — rimetta gli atti, ai sensi dell'art. 22 c.p.p., al pubblico ministero presso il giudice territorialmente competente; e viene
richiesto, altresì, lo scrutinio dell'art. 24, 1° comma, dello stes
so codice, nella parte in cui «non prevede che il giudice d'appel
lo, investito della questione suddetta, debba annullare la sen
tenza di primo grado e rimettere gli atti, a norma dell'art. 22
c.p.p., al pubblico ministero presso il giudice territorialmente
competente». In sintesi, le due disposizioni sono censurate nella parte in
cui non prevedono la declaratoria di nullità del decreto che di
spone il giudizio e la restituzione degli atti, per l'ulteriore cor
(1-2) La pronuncia estende alla disciplina dell'incompetenza per ter ritorio il regime scaturito, in ordine agli effetti della declaratoria di
incompetenza per materia, da Corte cost. 11 marzo 1993, n. 76 (Foro it., 1993, I, 1025, con osservazioni di Di Chiara) e 5 maggio 1993, n. 214 (ibid., 2735). La giurisprudenza costituzionale aveva dapprima ritenuto non assimilabili i due profili: la sentenza n. 76 del 1993 (con cui era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 23, 1° com
ma, c.p.p., nella parte in cui non disponeva che il giudice dibattimenta le che si fosse ritenuto incompetente per materia avrebbe dovuto tra smettere gli atti non già al giudice ritenuto competente ma al pubblico ministero presso quest'ultimo) aveva, infatti, dichiarato l'infondatezza di una quaestio analoga a quella oggi decisa, sia pur sollevata in riferi mento agli art. 102 e 112 Cost., sottolineando come, «nonostante l'av venuta dichiarazione d'incompetenza per territorio, l'azione penale a carico dell'imputato, data l'identità del fatto e del titolo di reato conte stato risulta esercitata da un ufficio del pubblico ministero equiordina to, senza partecipazione di alcun organo giudicante alla formulazione
dell'accusa, con conseguente pieno rispetto dei ruoli». Melius re per
pensa, l'odierna pronuncia — che fa leva sulla diversità dei parametri adesso invocati — dà luogo, anche grazie alla dichiarata incostituziona
lità, ex art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87, dell'art. 24, 1° comma, c.p.p. in parte qua, ad una omogeneità di disciplina degli effetti della declara toria di incompetenza: posto che l'azione penale deve ritenersi non cor
rettamente esercitata, ove l'organo a ciò preposto abbia agito avanti
al giudice comunque incompetente (in tal senso, cfr. Frigo, Con il nuo
vo intervento della Consulta ripristinata l'omogeneità della disciplina, in Guida al diritto, 1996, fase. 13, 72), il rilievo del vizio, in sede dibat timentale di primo grado o in sede di appello, dà luogo in ogni caso alla trasmissione degli atti non già al giudice (ritenuto) competente ma
al pubblico ministero presso quest'ultimo.
Il Foro Italiano — 1997.
so, al pubblico ministero presso il giudice territorialmente com
petente, per il contrasto con i seguenti parametri costituzionali:
a) il principio di ragionevolezza e della parità di trattamento
(art. 3 Cost.), con riferimento al diverso regime stabilito, con
le sentenze di questa corte nn. 76 e 214 del 1993 {ibid., 2735) circa l'incompetenza per materia;
b) il principio del giudice naturale (art. 25 Cost.), che nel
caso dell'accertata incompetenza del giudice dell'udienza preli minare verrebbe eluso, da parte d'un giudice successivo, stante
il divieto di regressione del processo alla fase dell'udienza preli
minare;
c) il diritto di difesa (art. 24 Cost.) per la perdita del benefi cio del giudizio abbreviato quando, in mancanza di richiesta
dello stesso, sia accertata in una fase o in un grado successivo, stante l'impossibilità di recupero dell'udienza preliminare.
2. - Delle due questioni prospettate (che attengono a disposi zioni entrambe espressione del principio del divieto di regressio ne del processo) soltanto quella concernente l'art. 23, 1° com
ma, c.p.p. è rilevante per la decisione del caso in esame, poiché l'altra riguarda l'annullamento della sentenza in seguito al rico
noscimento dell'incompetenza del giudice di primo grado. Nella
specie, infatti, l'errore processuale è stato corretto dalla decisio
ne del Tribunale di Velletri, cosicché è stato investito del pro cesso quello di Roma competente. La violazione della regola sulla competenza, invece, va fatta risalire alla decisione del giu dice dell'udienza preliminare, la questione si palesa rilevante giac ché il Tribunale di Velletri — nel correggere l'errore del giudice dell'udienza preliminare — ha fatto applicazione della norma
contenuta nell'art. 23, 1° comma, c.p.p., trasmettendo gli atti
al tribunale competente e non al pubblico ministero presso que st'ultimo.
Di qui, l'incidente di costituzionalità. 3. - Posta nei termini indicati, la questione è fondata.
Con sentenza n. 76 del 1993, questa corte ha già dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, 1° comma, nella parte in cui dispone che il giudice — qualora abbia dichiarato con
sentenza, nel dibattimento di primo grado, la propria incompe tenza — trasmetta gli atti al giudice ritenuto competente, anzi
ché al pubblico ministero presso quest'ultimo. La declaratoria di illegittimità costituzionale era per vero cir
coscritta, in tale sentenza, soltanto alla ipotesi della incompe tenza per materia, essendo stata dichiarata infondata la questio ne in ordine alla incompetenza territoriale per la mancata lesio
ne dei parametri invocati (art. 102, 1° comma, e 112 Cost.). Sulla scia, si collocava, successivamente, la sentenza n. 214 del
1993, con riferimento all'art. 24, 1° comma, c.p.p. Sebbene nella motivazione della sentenza n. 76 si faccia cen
no alla mancata lesione del diritto di difesa dell'imputato circa
la scelta del rito, è chiaro che quella reiezione aveva a presup
posto una questione basata, oltre che su parametri inconferenti, su una situazione di mero fatto — l'essere vincolato il pubblico
ministero, e con lui l'imputato, alle risultanze processuali tra
smesse al giudice competente — sprovvista di tutela costituzio
nale, dal momento che la garanzia del giudice naturale non ri
guarda il pubblico ministero. 4. - La questione in esame non riflette una situazione di fatto
ed è prospettata diversamente, e più correttamente, con riferi
mento ai parametri costituzionali menzionati. Con ciò ponen dosi in evidenza come, a causa dell'erronea individuazione della
competenza territoriale da parte del primo pubblico ministero
e del giudice dell'udienza preliminare, uno dei due imputati (quel lo che aveva eccepito l'incompetenza del giudice ratione loci) non abbia potuto beneficiare della riduzione di pena stabilita
per la richiesta del rito abbreviato. Sì che non ha pregio, ai
fini di questo scrutinio, la regola giurisprudenziale in base alla
quale l'imputato ha l'obbligo di fare richieste in via subordina
ta, rispetto alle preliminari eccezioni, e queste ultime non devo
no posporsi alle prime, perché le questioni inerenti alla giuris dizione e alla competenza sono (e restano) logicamente prece denti a ogni altra eccezione o questione di mero rito.
L'imputato non era tenuto a formulare una richiesta subordi
nata, perché dall'errore del giudice non possono derivare limi
tazioni di sorta al diritto di difesa, valore costituzionale garan tito in ogni tipo di processo dell'art. 24 Cost., che in questa sede è opportunamente invocato. Va quindi dichiarata l'illegit timità costituzionale dell'art. 23, 1° comma, c.p.p., anche per la parte riguardante l'annullamento della sentenza di primo gra
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1723 PARTE PRIMA 1724
do per incompetenza per territorio, con l'effetto — pure per tali ipotesi — dell'obbligo di trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente.
Restano così assorbite le doglianze relative agli altri parame tri costituzionali.
5. - In forza dei poteri attribuiti alla Corte costituzionale dal
l'art. 27 1. n. 87 del 1953, la declaratoria deve estendersi conse
guentemente all'altra disposizione denunciata, l'art. 24, 1° com
ma, c.p.p. sollevata con riferimento a detto articolo, la questio ne attiene, infatti, a norma perfettamente analoga a quella già dichiarata incostituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 23, 1° comma, c.p.p., nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il giu dice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompe tenza per territorio; dichiara — in applicazione dell'art. 27 1.
11 marzo 1953 n. 87 — l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, 1° comma, c.p.p., nella parte in cui dispone che, a seguito del
l'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza
per territorio, gli atti sono trasmessi al giudice competente anzi
ché al pubblico ministero presso quest'ultimo.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 settembre 1995, n.
420 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 settembre 1995, n. 38); Pres. Baldassarre, Est. Ferri; Proc. rep. Trib. Na
poli (Aw. Luciani) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Sica). Conflitto di attribuzione.
Corte costituzionale — Conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato — Collaboratori della giustizia — Protezione — Prov
vedimento emanato dal ministro dell'interno di concerto con
il ministro di grazia e giustizia — Ministro di grazia e giusti zia — Legittimazione passiva — Esclusione — Inammissibili
tà (Cost., art. 13, 101, 104, 107, 108, 110, 112, 134; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funziona
mento della Corte costituzionale, art. 37; d.m. 24 novembre
1994 n. 687, regolamento recante norme dirette ad individua
re i criteri di formulazione del programma di protezione di
coloro che collaborano con la giustizia e le relative modalità
di attuazione). Corte costituzionale — Conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato — Collaboratori della giustizia — Protezione — Legit timazione attiva del pubblico ministero — Limiti — Inam
missibilità (Cost., art. 13, 101, 104, 108; 1. 11 marzo 1953
n. 87, art. 37; d.m. 24 novembre 1994 n. 687, art. 1, 3, 4, 5, 8).
È inammissibile, per difetto di legittimazione passiva, il ricorso
per conflitto di attribuzione proposto dal procuratore della
repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del mi
nistro di grazia e giustizia, in relazione al d.m. 24 novembre
1994 n. 687, in quanto il provvedimento oggetto di ricorso
è stato emanato dal ministro dell'interno di concerto con il
ministro di grazia e giustizia, sicché l'intervento di quest'ulti mo si è inserito nella fase preparatoria dell'atto, alla quale
tipicamente attiene l'attività di concerto, con la conseguenza che la titolarità dell'atto va attribuita al ministro dell'interno
(nella specie, la corte ha comunque chiarito che l'organo le
gittimato a resistere va individuato nel governo della repub blica, al quale l'atto impugnato è da ritenersi imputabile). (1)
(1-2) La sentenza si può leggere in Foro it., 1996, I, 3307, con nota di richiami.
Se ne riproducono due delle cinque massime estratte per pubblicare la nota di D. Florenzano.
Il Foro Italiano — 1997.
È inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal procuratore della repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti degli art. 1,1° comma, lett. b), 3, 4, 5, 4°
comma, e 8 d.m. 24 novembre 1994 n. 687, in riferimento
agli art. 13, 101, 104 e 108 Cost., poiché la legittimazione a proporre conflitto spetta al pubblico ministero esclusiva
mente quando agisce in difesa dell'integrità della competenza inerente all'esercizio dell'azione penale, competenza della quale è direttamente investito dall'art. 112 Cost, e in ordine alla
quale è fornito di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere. (2)
* * *
L'art. 37, 4° comma, 1. n. 87 del 1953 e l'obbligo della corte di individuare gli organi «interessati» al giudizio sui conflitti tra poteri dello Stato.
1. - La sentenza ha meritato ampia attenzione dalla cronaca prima ancora di essere pubblicata poiché vi erano state, come si ricorderà,
«anticipazioni» del presidente della corte. Successivamente, l'interesse si è attenuato poiché la sentenza, in parte contraddicendo le «anticipa zioni», non ha contenuto affermazioni di particolare novità. La corte ha solo chiarito che è l'art. 112, e non altra disposizione della Costitu
zione, la norma sulla quale si fonda la legittimazione del pubblico mini
stero nel giudizio sui conflitti tra i poteri dello Stato. In particolare è stato statuito che il p.m. è legittimato al giudizio e, ancor prima, a confliggere «quando agisce a difesa della integrità della competenza inerente all'esercizio dell'azione penale, competenza della quale è diret
tamente investito dalla citata norma costituzionale e in ordine alla qua le è fornito di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere» (1).
2. - In questa sede non si vuole indugiare sulla portata di tale conclu
sione, interessa riflettere su di una affermazione che è stata pronunziata
quasi marginalmente dal giudice e che invece investe in pieno il ruolo della corte in questo giudizio e pure la funzione e il procedimento del
giudizio di ammissibilità previsto dall'art. 37 1. n. 87 del 1953.
Il giudice costituzionale ha affermato che nel giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri «spetta a questa corte, al di là della formale
indicazione del ricorrente, l'identificazione dell'organo interessato cui
l'atto asseritamente invasivo va imputato ed al quale, quindi il ricorso
deve essere notificato» (2).
(1) La pronunzia ha comunque rilievo poiché l'affermazione ci giun ge dal privilegiato proscenio che è la valutazione sull'ammissibilità del ricorso per conflitto tra poteri ed è stata espressa con riferimento ad un ricorso che era pieno di espressioni assertive circa l'esistenza di una
pluralità di fondamenti costituzionali delle funzioni del p.m. e che pure non aveva svolto alcuna distinzione tra il ruolo del giudice e quello del p.m. (nel ricorso si faceva esplicito riferimento all'art. 13 e all'art.
101, 2° comma, Cost.). Non solo; anche se le asserzioni contenute nella sentenza sembravano
ribadire quanto già dichiarato in precedenti e note pronunzie (ord. 264, 265/93, Foro it., 1993, I, 2073 confermate dalle sentenze 462, 463 e
464/93, id., 1994, I, 975), si potrebbe ritenere che i chiari richiami al l'art. 112, quale titolo legittimante al conflitto, avrebbero comunque chiarito definitivamente il ruolo del p.m., almeno ai limitati fini di cui è questione (la legittimazione ad essere parte nei giudizi sui conflitti tra poteri). Ciò in quanto, con la sentenza, il giudice costituzionale ha potuto precludere, ai limitati fini della legittimazione al giudizio, ogni altra lettura ed ha potuto lasciare al dibattito politico oltre che dottrinario la discussione, ormai annosa, sul ruolo del p.m. e sul conse
guente status dei magistrati assegnati a tali funzioni.
(2) Va segnalato che la corte ha nuovamente fatto applicazione della
regola testé affermata con l'ord. 19 luglio 1996, n. 269, id., 1997, I, 370. Con la pronunzia, la corte ha individuato i soggetti legittimati passivi nel giudizio. Infatti, del tutto correttamente in considerazione del potere/dovere della corte di individuare gli organi da convenire, la ricorrente — nella specie la camera dei deputati — aveva evitato di individuare i convenuti, limitandosi a precisare che gli atti ritenuti lesivi delle attribuzioni, costituzionalmente protette e a cihederne l'an nullamento (il ricorso è stato pubblicato sulla G.U. n. 37 del 1996, 22).
Va altresì segnalato che, successivamete alla presente pronunzia, la corte ha pure inaugurato, probabilmente anche sulla scorta di questa decisione, un nuovo orientamento, ossia quello di individuare sempre ai sensi dell'art. 37, 4° comma, anche i soggetti/organi comunque inte ressati a partecipare al contraddittorio ancorché non rivestano la posi zione di «controparte» in senso tecnico.
Con l'ordinanza 27 ottobre 1995 (confermata dalla sentenza 18 gen naio 1996, n. 7, id., 1996, I, 386), che è stata resa sui noti ricorsi del ministro guardasigilli, il giudice ha ordinato la notificazione del ri corso anche alla camera dei deputati rilevanto che essa sia interessata
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