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sentenza 15 novembre 1983; Pres. Sammarco, Est. Paolini; Ferrara (Avv. Calvi) c. Fabiani

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sentenza 15 novembre 1983; Pres. Sammarco, Est. Paolini; Ferrara (Avv. Calvi) c. Fabiani Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 281/282-285/286 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177546 . Accessed: 28/06/2014 11:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.90 on Sat, 28 Jun 2014 11:05:46 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 15 novembre 1983; Pres. Sammarco, Est. Paolini; Ferrara (Avv. Calvi) c. Fabiani

sentenza 15 novembre 1983; Pres. Sammarco, Est. Paolini; Ferrara (Avv. Calvi) c. FabianiSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 281/282-285/286Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177546 .

Accessed: 28/06/2014 11:05

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tente, per relationem, a provvedere) e se è pur vero che la

pronuncia di nullità non può soddisfare l'interesse dell'ingiunto

ad ottenere il rigetto nel merito dell'azione di condanna esperita

dalla controparte (che resta appunto impregiudicata), non sembra

peraltro sostenibile la tesi che l'interesse alla dichiarazione di

invalidità del decreto emesso in violazione dell'art. 637 c.p.c.

venga meno quando l'altra parte si limiti a rinunciare al provve

dimento d'ingiunzione. Non può infatti sfuggire che la successiva rinuncia al decreto,

nullo ab origine e per ciò stesso improduttivo di effetti, si

sostanzia in un atto giuridicamente irrilevante ed incapace di

determinare conseguenze favorevoli per la parte intimata.

Né può dubitarsi che la dichiarazione di rinuncia a un provve dimento giudiziale è di per sé priva di significato se non sia

correlata con gli effetti di ordine sostanziale e processuale che ne

discendono nella sfera giuridica dell'interessato e che soli possono sostanziare il « diritto » oggetto dell'atto abdicativo. Nel caso in

esame non è delineabile alcuno di tali effetti sicché appare confermato il convincimento che la rinuncia, lungi dal comporta re la cessazione della lite o l'estinzione del processo, sia stata

strumentalizzata al solo fine di ottenere l'emanazione del provve dimento previsto dall'art. 38, ult. comma, c.p.c. che, per le ragioni

già illustrate, non è compatibile con il procedimento qui attivato, il quale non si snatura né può sottrarsi alla sua speciale discipli na sol perché il decreto ingiuntivo impugnato venga riconosciuto

nullo per ragioni di competenza o inefficace per altro titolo.

Pertanto, in accoglimento della proposta opposizione, il tribuna

le deve dichiare la nullità del decreto ingiuntivo emesso da

giudice territorialmente incompetente (in quanto era invece com

petente il Tribunale di Milano), sancendo per ciò stesso la

propria incompetenza a decidere in merito alla domanda di

condanna esperita col ricorso per ingiunzione, cosi come sulla

domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale dedotta dal

l'opponente. (Omissis)

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 novembre 1983; Pres.

Sammarco, Est. Paolini; Ferrara (Aw. Calvi) c. Fabiani. TRIBUNALE DI ROMA;

Responsabilità civile — Stampa — Attribuzione della qualità di

iscritto alla massoneria — Non veridicità della notizia — Risar

cimento del danno (Cod. civ., art. 1226, 2043, 2059).

In una pubblicazione a stampa l'attribuzione della qualità di

iscritta alla massoneria ad una persona determinata (in ipo tesi a pubblico ufficiale), quando non corrispondente a verità,

integra una lesione del diritto all'identità personale e costituisce

illecito civile risarcibile a norma dell'art. 2043 c.c. (1)

(1) La premessa della decisione è costituita dall'affermazione di non

segretezza e quindi di liceità delle associazioni massoniche (almeno quelle « ufficiali »), anche alla luce della 1. 25 gennaio 1982 n. 17, di attuazione dell'art. 18 Cost, e di scioglimento della loggia massonica P2

(su cui v., per un commento comprensivo, L. Barbiera, G. Conten

to, P. Giocoli Nacci, Le associazioni segrete, Napoli, 1984). Può cosi

configurarsi non infamante per l'onore di un pubblico funzionario l'attribuzione allo stesso della qualifica di massone, per quanto fallace

sia tale riferimento. Va notato che a conclusioni parzialmente diverse è pervenuta la

commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, ri

guardo specificamente al tema dei rapporti tra questa loggia e l'intera

comunità massonica. Nella relazione del dep. Anselmi si legge che la

loggia P2, in quanto loggia coperta, presenta indubbi caratteri di

segretezza mentre, se è certo che la massoneria « non è una associazio

ne segreta, è per altro certo che essa è una associazione con segreti, e

uno di questi era la loggia propaganda 2 ». 11 ruolo e le attività di

tale loggia erano infatti conosciuti nell'ambito della massoneria e la

riservatezza, sancita negli statuti massonici, « ha costituito l'imprescin dibile terreno di coltura per l'innesto dell'operazione » P2: « la certa

segretezza della loggia, al di là di sofismi cartolari e notarili, trova

infatti radice ed al tempo stesso costante e vitale alimento nella

riservatezza della comunione intera ». Pur ammettendo una certa

strumentalizzazione delle forme massoniche da parte di Licio Gelli, la

relazione conclusiva dell'organo parlamentare formula la seguente osservazione sull'organizzazione massonica e sui principi che vi presie dono (libertà, fratellanza, uguaglianza): «o infatti questo, o altro

lecito, è il cemento morale della comunione ed allora non v'ha luogo a

riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione

repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragion d'essere dell'asso

ciazione è di diversa natura e va allora revocata in dubbio la sua

legittimità in questo ordinamento » (IX legislatura, documento XXIIiI,

n. 2, pagg. 26-30). Gli aspetti propositivi della relazione predisposta dal

Il Foro Italiano — 1985.

Motivi della decisione. — 1. - Arnaldo Ferrara, alto ufficiale

dell'arma dei carabinieri, ha proposto in questa sede una doman

da con la quale ha chiesto: a) innanzi tutto, l'accertamento di un

fatto illecito che ha allegato essere stato commesso ai suoi danni

da Roberto Fabiani, prima, con la propalazione, nel testo di una

sua opera intitolata « I massoni in Italia », della falsa notizia

dell'appartenenza di esso istante all'organizzazione massonica nel

l'ambito di una loggia c.d. « coperta », e, poi, con la violazione

della promessa, solennemente ed espressamente fatta, di pubblica

re, con modalità pattiziamente stabilite, una inequivocabile ret

tifica della informazione erronea imprudentemente diffusa; b) in

secondo luogo, la condanna della controparte al risarcimento dei

danni provocati dal fatto asserito illecito come sopra individuato. 2. - La materiale sussistenza del fatto denunciato dall'attore per

illecito e dannoso non sembra revocabile in discussione.

È provato, di vero, che Roberto Fabiani, in un suo libretto

dep. Anselmi sono riassunti a cura di R. Moretti, in Rubrica

parlamentre, voce Parlamento, n. 3 (Foro it., 1984, V, 242), mentre, per le relazioni di minoranza, si vedano le notazioni inserite nel numero successivo (ibid., 315).

Qualche dubbio sul carattere di segretezza delle associazioni masso niche è tuttavia stato posto anche in epoca più lontana. Si veda, ad

esempio, V. Arangio Ruiz, Associazione (diritto di), in E ne. giur. it., Milano, 1903, I, parte IV, 877, secondo cui la massoneria, in quan to società segreta, era però « tollerata » in regime liberale, perché in essa « il segreto si mantiene per tradizione anziché per intima ragione ». Un breve profilo storico della massoneria è poi tracciato da R. De Felice, ad vocem, in Novissimo digesto, Torino 1964, X, 317.

Per riferimenti di dottrina e di giurisprudenza sulle vicende della

loggia P2, cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 23 marzo 1983, n. 265 (Foro it., 1984, III, 219), sulla restituzione all'amministrazione di appartenenza di un ufficiale dei carabinieri in servizio presso il S.i.s.m.i., il cui nominativo era comparso tra gli aderenti alla loggia predetta; T.A.R.

Lazio, sez. Ili, 5 luglio 1982, n. 686 (id., 1983, III, 223), sulla revoca del commissario per l'amministrazione straordinaria di una grande impresa in crisi, risultante associato alla loggia P2.

Un'ampia documentazione sulle vicende giudiziarie riguardanti la

loggia massonica P2 è ora riprodotta in Questione giustizia, 1984, 383. In particolare, sono riportate: 1) la sentenza 17 marzo 1983 del

giudice istruttore del Tribunale di Roma (giud. Cudillo), di prosciogli mento nei confronti degli imputati Trecca ed altri; 2) la sentenza 9 febbraio 1983, pronunciata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei magistrati figuranti negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi; 3) la decisione 13 dicembre

1982, emessa dal consiglio dell'ordine dei giornalisti della Lombardia nei riguardi dei giornalisti e pubblicisti iscritti alla P2.

Va segnalato che, investita da contestazioni mosse da esponenti del Partito radicale, circa l'appartenenza del giudice Brunetto Bucciarelli Ducci alla loggia P2, la Corte costituzionale ha nuovamente esaminato il caso nella seduta del 15 ottobre 1984. In tale circostanza si è ritenuto all'unanimità che né dalla lettera di segnalazione, né dal

successivo colloquio avuto dal presidente Leopoldo Elia, insieme al

giudice Giuseppe Ferrari, con i deputati Spadaccia e Teodori, fossero emersi elementi nuovi per giustificare « deliberazioni ulteriori e diverse da quella assunta il 1° giugno 1981 ». In questa seduta la corte

unanime, presieduta da Leonetto Amadei, aveva preso atto di una lettera di documentata smentita delio stesso giudice Bucciarelli Ducci.

Sul diritto all'identità personale, v., da ultimo, Trib. Roma 15 settembre 1984, Foro it., 1984, I, 2592 (e v., anche, la nota a Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, ibid., 2711).

L'ancoraggio della risarcibilità del danno non patrimoniale alla sussistenza del reato (art. 2059 c.c.) è stato di recente criticato da

Cass., sez. un., 6 dicembre 1982, n. 6651 (id., 1983, I, 1630, con osservazioni di A. Jannarelli), come idea « ricollegata ai vecchi concetti di danno ed ormai respinta dalla maggioranza degli altri ordinamenti ». Analoga opinione esprime A. De Cupis, I diritti della

personalità, Milano, 1982, 56, con riferimenti alla tesi contraria che tende a generalizzare il risarcimento oltre i limiti stabiliti dall'art. 2059 c.c. Questa norma è altresì interpretata non solo come rinvio all'art. 185 c.p., bensì anche a tutte le altre ipotesi legislative in cui vi sia una tutela di interessi non patrimoniali da M. Garutti, F. Macioce, Il danno da lesione dei diritti della personalità - Profili generali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 40 (v., altresì, G. Bonilini, Il danno non

patrimoniale, Milano, 1983, 349 ss. e passim). In particolare, da Trib. Roma 27 marzo 1984 (Foro it., 1984, I,

1687, con osservazioni di R. Pardolesi) è stata ritenuta la risarcibilità del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione dell'indennità

personale causata da una notizia giornalistica erronea, quando la mancanza di querela abbia impedito l'accertamento del reato, giudicato comunque sussistente. In argomento v. anche le annotazioni di M.

Dogliotti, in Nuova giur. civ., 1985, I, 71.

Di recente è stata infine affermata la liceità del c.d. Warentest sulla base della serietà e scientificità del metodo seguito nel divulgare le notizie relative ad un determinato prodotto, a nulla rilevando l'eventua le erroneità dei risultati ottenuti, da Trib. Roma 23 luglio 1984 (ibid., 1963, con osservazioni di O. Troiano).

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PARTE PRIMA

intitolato « I massoni in Italia », che vorrebbe costituire una

ricostruzione storica delle vicende della massoneria italiana, affer

mò essere stato il generale Ferrara affiliato alla organizzazione massonica c.d. di piazza del Gesù, e iscritto, nell'ambito di

questa, alla loggia coperta denominata « Giustizia e libertà » (v., in proposito, la copia del volume cennato prodotta dall'istante ed

inserita nel di lui fascicolo di parte).

L'oggettiva falsità dell'informazione in tal modo pubblicata risulta incontestabilmente accertata sulla base della documenta

zione acqusita (v., sul punto, la dichiarazione di remissione di

querela in data 3 maggio 1980, con relativa contestuale dichiara

zione di accettazione del convenuto, ed inoltre i comunicati di

rettifica fatti pubblicare, dal Fabiani sui quotidiani « l'Unità » del

20 giugno 1981 e il « Corriere della Sera » del 22 giugno 1981). L'esistenza dell'allegato obbligo del convenuto di rendere pub

blica, con modalità specificamente concordate, una inequivocabile smentita della notizia come sopra propalata, nonché la violazione

da parte dello stesso dell'impegno preso in tal senso, infine, sono

dimostrate dalle emergenze desumibili, oltre che dalla documenta

zione dianzi ricordata, dalla prova per testimoni assunta nella

istruzione.

3. - A) L'illiceità del fatto del convenuto consistito nella

violazione degli accordi a suo tempo intervenuti fra gli -attuali

contendenti in ordine alla rettifica della notizia dell'appartenenza dell'attore Ferrara alla massoneria non abbisogna di specifica e

particolareggiata dimostrazione, discendendo l'antigiuridicità del

fatto considerato dal generalissimo principio di diritto per il

quale tutti sono obbligati ad onorare gli impegni legittimamente

presi in sede negoziale.

B) Profili più delicati presenta l'indagine sulla riducibilità

nell'ambito del concetto di illecito del fatto concretatosi nella

falsa attribuzione all'attore dell'appartenenza all'organizzazione massonica e, all'interno di questa, ad una loggia coperta.

In merito, soccorrono le seguenti riflessioni. Le organizzazioni massoniche hanno incontestabilmente pieno diritto di cittadinanza

nel vigente ordinamento statuale, che garantisce la libertà di

associazione: art. 18, p.p., Cost., nel quale si configurano, di

solito, come enti corporativi non riconosciuti (cfr., per qualche riferimento sul punto, la relazione del comitato amministrativo di

inchiesta nominato con decreto del presidente del consiglio dei

ministri in data 7 maggio 1981, pubblicata in Foro it., 1981, III,

400).

Lecite, in linea di principio sono state sempre considerate

anche quelle particolari, e per certi versi anomale, logge massoni

che dette « riservate » o « coperte », nelle quali tradizionalmente

ebbero a confluire persone interessate a non far conoscere all'e

sterno la loro militanza nella massoneria e desiderose di sottrarsi

alla frequentazione dei « fratelli » appartenenti ad altre logge: il

semplice riserbo mantenuto sui nominativi degli affiliati, difatti,

non è mai stato ritenuto elemento di per sé sufficiente a conferire

a detti enti quel carattere di segretezza che sarebbe stato suscet

tibile di renderli illeciti e vietati ai sensi dell'art. 18, cpv., Cost.

Vale la pena di rilevare, a questo proposito, che i solidalizi in

questione non possono essere ritenuti vietati neppure a norma

della recente, restrittiva 1. 25 gennaio 1982 n. 17, recante disposi zioni di attuazione dell'art. 18 Cost, in materia di associazioni

segrete. L'art. 1 di detto testo legislativo, difatti, nel delineare la

nozione di corporazione vietata, statuisce che sono da ritenere

segrete, e come tali illecite, solo quelle organizzazioni che « occul

tando la loro esistenza, ovvero tenendo segreto congiuntamente attività e finalità sociali, ovvero rendendo sconosciuti in tutto o in

parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad

interferire sulle funzioni di organi costituzionali, di amministra

zioni pubbliche, di enti pubblici anche economici, nonché di

servizi pubblici essenziali ».

Orbene, avuto riguardo al dato, notorio, che la ideologia massonica risulta ispirata essenzialmente alla elevazione morale, materiale e spirituale dell'uomo singolo e dell'intera umanità

intesa come famiglia, in cui ciascuno, animato da spirito di

fratellanza, è tenuto all'insegnamento e alla assistenza reciproci, nell'ambito del giusto e dell'onesto (cfr., in proposito, la già citata relazione del comitato amministrativo di inchiesta), e si

caratterizza per una quasi generale indifferenza per la politica, il

requisito dello svolgimento di attività diretta ad influire sul

corretto funzionamento degli organi pubblici, in mancanza di una

concreta e rigorosa prova del contrario, deve presumersi non

riscontrabile con riferimento alle logge massoniche di ogni tipo. Dal riconoscimento della generale legittimità delle corporazioni

massoniche discende che la partecipazione dei singoli cittadini a

Il Foro Italiano — 1985.

dette organizzazioni deve essere ritenuta consentita e legittima, siccome estrinsecazione di quel diritto di libertà di associazione

che nel sistema vigente è garantito dall'art. 18, p.p., Cost.

Il diritto di aderire alla massoneria sembra incontestabile anche

per i pubblici dipendenti, non potendo considerarsi escluso dalla

normativa contenuta nell'art. 212 r.d. 18 giugno 1931 n. 773

(t.u.l.p.s.), per il quale « i funzionari, impiegati e agenti civili e

militari di ogni ordine e grado dello Stato e i funzionari,

impiegati e agenti delle province e dei comuni o di istituti

sottoposti per legge alla tutela dello Stato, delle province e dei

comuni che appartengono anche in qualità di semplice socio ad

assiciazioni, enti od istituti costituiti nel regno o fuori ed operan

ti, anche solo in parte, in modo clandestino od occulto, o i cui

soci sono comunque vincolati dal segreto, sono destituiti o

rimossi dal grado e dall'impiego o comunque licenziati».

La disposizione in questione, emanata durante il ventennio

della dittatura fascista e costituente tipica espressione della con

cezione totalitaria dell'organizzazione pubblica propria del fasci

smo, caduta, perciò, in stato di, non casuale, completa obsole

scenza o « inofficiosità » nei primi decenni della repubblica (cfr., in merito, la dianzi menzionata relazione del comitato ammini

strativo di inchiesta di che al decreto del presidente del consiglio dei ministri in data 7 maggio 1981), è di molto dubbia costitu

zionalità (cfr., il parere, invero tanto articolato nella forma

quanto perplesso nella sostanza, del Cons. Stato, sez. I, n. 1083 del

24 giugno 1981, id., 1981, III, 397), e, in ogni caso, nell'unica

interpretazione restrittiva che può renderlo compatibile con i

principi costituzionali in vigore, non è riferibile alle affiliazioni

massoniche, in considerazione dell'evidenziato carattere non segre to della massoneria e delle sue articolazioni.

Sotto altro profilo, va posto in risalto che la militanza massoni

ca, in passato aspramente riprovata dalla chiesa cattolica e dalle

organizzazioni confessionali e clericali ad essa collegate, spesso vista con ostilità e talvolta apertamente perseguitata da movimen

ti di opinione e da partiti professanti ideologie totalitarie e

antidemocratiche, e per contro considerata quasi un segno di

distinzione sociale negli ambienti di tradizione risorgimentale e

libertaria, nell'attuale momento storico non pare possa essere

considerata socialmente o moralmente disdicevole: e, difatti, non

sembrano ravvisabili ragioni plausibili per censurare come scon

veniente l'adesione ad una congregazione che ha un passato storicamente senz'altro rispettabile, e che professa principi ideolo

gici non in constrasto con le concezioni morali dominanti.

In una tale situazione, nella quale la professione di ideali

massonici e la adesione alla organizzazione della massoneria

devono essere ritenute, da un lato, lecite manifestazioni di diritti

soggettivi di libertà costituzionalmente garantiti, e, dall'altro,

comportamenti eticamente non riprovevoli e socialmente non

sconvenienti, l'attribuzione a taluno, in ipotesi anche ad un

pubblico funzionario, della qualifica di massone non può sicura

mente costituire fatto illecito sotto il profilo della violazione del

diritto personale all'onore che trova la sua tutela, fra l'altro, negli art. 594 ss. c.p.

L'attribuzione della cennata qualifica, peraltro, quando risulti

non veridica, integra indiscutibilmente una lesione di quel partico lare diritto della personalità che va sotto il nome di « diritto

all'identità personale », e che si configura come il diritto di ogni individuo, in quanto tale, di non veder travisata nella pubblica considerazione l'immagine della propria personalità, a prescindere dalla circostanza che il travisamento integri, o non, una offesa

al'onore, attraverso l'attribuzione di fatti non commessi, di

opinioni non manifestate, di qualifiche in realtà non possedute (sulla sussistenza del diritto di che trattasi, cfr., la remota sent. n.

3119 del 7 dicembre 1960, id., 1961, I, 43). Sulla scorta delle esposte osservazioni, la pubblicazione da

parte di Roberto Fabiani della falsa notizia dell'appartenenza di

Arnaldo Ferrara alla massoneria deve essere giudicata alla stregua di un fatto illecito civile, integrante lesione di un diritto della

personalità dell'attore e suscettibile di porsi come fonte di re

sponsabilità aquiliana a mente, degli art. 2043 ss. c.c., non

riducibile, però, nell'ambito delle ipotesi delittuose previste dagli art. 594 ss. c.p.

4. - In conclusione, sulla base di quanto detto nei due

precedenti paragrafi della motivazione, deve aversi per acclarato che il Fabiani, nel suo libro « I massoni in Italia », ha attribuito falsamente all'attore l'appartenenza alla massoneria, e successiva mente non ha mantenuto l'impegno negozialmente preso di smen

tire, con particolari concordate modalità, la propalata erronea

informazione.

£ da ritenere, altresì, che i fatti in tal modo realizzati dal

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

convenuto integrino gli estremi di un illecito civile, produttivo di

obbligazione risarcitoria, configurando, da un lato, una lesione del

diritto dell'istante all'identità personale, e, dall'altro, violazione di

un obbligo negoziale. 5. - Arnoldo Ferrara, come posto in rilievo nella parte iniziale

della motivazione, ha reclamato il ristoro di danni che ha

sostenuto di aver patito in conseguenza della denunciata, e come

sopra accertata, lesione della propria sfera giuridica. L'ari del credito oggetto dell'istanza in argomento è da giudica

re accertato, potendo essere desunto dalla dichiarata sussistenza

di un fatto illecito produttivo di obbligazione risarcitoria.

Per ciò che concerne il quantum del rivendicato risarcimento,

va precisato, innanzi tutto, che non riguardando la fattispecie

illeciti di rilievo penale, dai quali possa esser fatto derivare il

diritto alla rifusione di danni c.d. « morali », ai termini degli art.

2059 c.c. e 185, cpv., c.p., l'attore può legittimamente pretendere

soltanto il ristoro del pregiudizio patrimoniale di che sia dimo

strata l'esistenza.

Ora, con riferimento all'acclarata violazione del diritto all'iden

tità personale, è da dire che il Ferrara, il quale ha invocato il

risarcimento per equivalente, mediante pagamento di una somma

di danaro, e si è astenuto dal chiedere la reintegrazione in forma

specifica, agevolmente conseguibile nel caso delibato, a mente

degli art. 2058, p.p., c.c. e 120 c.p.c., per il tramite di un'appro

priata pubblicità della sentenza, non ha provato, in nessun modo,

l'esistenza di un pregiudizio pecuniariamente determinabile.

L'esaminata pretesa, pertanto, non può avere ingresso per la

parte tendente ad ottenere il ristoro del danno conseguito alla

violazione del diritto della personalità. L'istante invece ha dimostrato, sia pure in termini indiziari e

generici, di aver dovuto sopportare imprecisati esborsi per ovviare

alle conseguenze del mancato rispetto da parte del convenuto

dell'obbligo di rettifica convenzionalmente assunto.

Non risultando provata nel suo esatto ammontare l'entità di

siffatta perdita patrimoniale, il reclamato risarcimento va liquida

to con valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., e, quindi,

può essere congruamente ed onnicomprensivamente determinato

in lire 500.000.

Roberto Fabiani, conseguentemente, per il titolo in questione,

deve essere condannato a pagare ad Arnaldo Ferrara la somma

sopra indicata, con gli interessi nella misura di legge a decorrere

dalla data della presente sentenza. (Omissis)

TRIBUNALE DI LUCCA; ordinanza 5 giugno 1984; Pres. Turri,

Rei. Pacini; Mars ili c. Penditene e altri. TRIBUNALE DI LUCCA;

Filiazione — Riconoscimento di paternità — Impugnazione per

difetto di veridicità — Questione non manifestamente infonda

ta di costituzionalità (Cost., art. 29; cod. civ., art. 263).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 263, 2" comma, c.c. nella parte in cui consente a

chiunque vi abbia interesse (nella specie trattasi del vero

genitore) di impugnare il riconoscimento di paternità per difet

to di veridicità, anche dopo la legittimazione, in riferimento

all'art. 29 Cost. (1)

(1) Il dubbio di legittimità costituzionale è predicato sul presupposto che il vero genitore non dovrebbe poter impugnare il riconoscimento

di paternità per difetto di veridicità, dopo la legittimazione operata da altri. Sul punto Cass. 15 gennaio 1948, n. 48 (Foro it.,

1948, I, 494 con nota di M. Stella Richter), a cui dire il

vero genitore può impugnare il riconoscimento di paternità per difetto

di veridicità ma, come presupposto della sua azione, deve dimostrare la

propria paternità. In dottrina cfr., da ultimo, Majello, Filiazione naturale e legittima

zione2, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma,

1982, 143, il quale sostiene che il vero genitore è legittimato ad

esperire l'azione ex art. 263 c.c., dato che il falso riconoscimento gli

impedirebbe di provvedere al mantenimento, all'educazione e all'istru

zione del figlio (di cui all'art. 30, 1° comma, Cost.).

Inoltre, secondo questo autore (e v. già Stella Richter, cit.) non è

necessario, ai fini dell'accoglimento dell'azione, che l'istante dimostri la

sua qualità di padre, essendo invece sufficiente la prova della non

paternità di colui il quale ha effettuato il riconoscimento.

Controversa, in giurisprudenza e dottrina, è la questione relativa

all'ammissibilità dell'azione allorché il vero genitore non possa procede re al riconoscimento del figlio. In senso negativo, ma con riferimento

Il Foro Italiano — 1985.

Premesso in fatto che con atto di citazione notificato il 19

ottobre 1979, Marsili Luigi conveniva in giudizio Pendibene

Roberto e Bartolomei Isabella in Pendibene, nonché la minore

Laura Pendibene, in persona del curatore speciale all'uopo nomi

nato dal tribunale, per sentir dichiarare la nullità del riconosci

mento di paternità fatta dal Pendibene nei riguardi della piccola

Laura, nata I'll marzo 1977, per difetto di veridicità ai sensi

dell'art. 263 c.c.; che nel maggio del 1978 la minore predetta

veniva legittimata per susseguente matrimonio tra il Pendibene Ro

berto e la Bartolomei Isabella; che quest'ultima, già prima dell'ini

zio della presente causa, aveva negato il suo consenso al riconosci

mento della minore da parte del Marsili, ed il Tribunale per i

minori di Firenze aveva respinto la istanza del Marsili, presentata ai sensi dell'art. 250 c.c.; che il giudice istruttore, con ordinanza

21 aprile 1984 ha rimesso la causa al collegio per la decisione

sulla ammissibilità e rilevanza delle prove dedotte dall'attore.

Osserva in diritto quanto segue: l'art. 263, 2" comma, c.c.

ammette la impugnativa del riconoscimento, anche dopo l'avvenu

ta legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, senza

limiti di tempo; l'impugnativa, se accolta, porrebbe nel nulla sia

la legittimazione che il riconoscimento, per cui il minore verrebbe a perdere non soltanto lo status di figlio legittimo ma altresì

quello di figlio naturale riconosciuto; per l'art. 253, come mo

dificato dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151, non è oggi più possibile un riconoscimento in contrasto con lo status di figlio legittimato; tale divieto, ad avviso del collegio, mira in definitiva a tutelare la

famiglia legittima privilegiando i vincoli di affetto rispetto a

quelli di sangue che non hanno dato buona prova; viceversa, l'art. 263 c.c., ammettendo la impugnativa del riconoscimento, anche dopo la legittimazione, da parte di chiunque vi abbia

interesse, consente di sottrarre il minore alla famiglia legittima, per ricondurlo, nella migliore delle ipotesi, in una situazione deteriore di figlio naturale di genitori che hanno vincoli matrimo niali con persone diverse.

Tanto premesso e ritenuto, il collegio opina che il contrasto tra le due norme (l'art. 253 e l'art. 263, 2° comma, c.c.) si risolve in un pregiudizio gravissimo per il minore che ha acquistato lo stato di figlio legittimo, e rende non manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalità sollevata dalla parte convenuta in relazione all'art. 29 Cost., che garantisce e tutela i diritti della

famiglia legittima fondata sul matrimonio, e quindi anche la condizione dei minori che da quel matrimonio hanno tratto la fonte della loro legittimazione.

In altri termini il collegio ritiene che il favor legitimitatis debba prevalere sul favor veritatis quando ad impugnare il riconoscimento sia un terzo estraneo al nucleo familiare.

In proposito il collegio ricorda che la stessa Corte costituziona

le, con la sentenza n. 70 del 1965 (Foro it., 1965, I, 1369),

prendendo in esame il rapporto tra i diritti del preteso padre naturale, ed i diritti costituzionali del figlio, che ha ormai

acquistato lo status di figlio legittimo, ha statuito che la incertez

za sullo status ha di per sé effetti negativi, spesso irreversibili, sulla formazione della personalità del minore, e costituisce causa

di grave turbamento in seno alla famiglia legittima nella quale è

inserito.

Per questi motivi, il Tribunale di Lucca, Visti gli art. 1 1. cost. 9

febbraio 1948 o. 7, 23 e 24 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara

rilevante e non manifestamente infondata la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.c. in relazione

all'art. 29 Cost., nella parte in cui ammette la impugnativa del

riconoscimento per difetto di veridicità, anche dopo la legittima

zione, da parte di chiunque vi abbia interesse; sospende il

presente giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale; (o

missis)

ai figli adulterini (per i quali è caduto, con la novella del 1975, il divieto) v. Cass. 22 giugno 1957, n. 2385, Foro it., 1957, I,

1956; App. Milano 20 luglio 1954, id., 1955, I, 1081; Trib. Lodi 29

aprile 1953, id., 1954, I, 727; in dottrina v. Tamburrino, La filiazione, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1984, 131.

Sull'ammissibilità dell'azione anche in questo caso v. Majello, cit.,

144-145, per il quale ai fini dell'impugnativa per falso riconoscimento è

irrilevante la circostanza che il vero genitore possa, o non, riconoscere

il figlio, posto che egli ha comunque interesse a esercitare i diritti che

gli derivano dalla sua qualità di padre.

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