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sentenza 16 aprile 1996; Giud. Vitiello; Di Caprio (Avv. Daniele) c. Regione Campania (Avv....

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sentenza 16 aprile 1996; Giud. Vitiello; Di Caprio (Avv. Daniele) c. Regione Campania (Avv. Martuscelli) e Min. interno Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 941/942-953/954 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192343 . Accessed: 28/06/2014 17:46 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:02 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 16 aprile 1996; Giud. Vitiello; Di Caprio (Avv. Daniele) c. Regione Campania (Avv.Martuscelli) e Min. internoSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 941/942-953/954Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192343 .

Accessed: 28/06/2014 17:46

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

PRETURA DI ROMA; decreto 25 ottobre 1997; Giud. Toti;

Ugl. Federazione provinciale sanità c. Soc. Casa di cura S.

Lucia.

PRETURA DI ROMA;

Sindacati, libertà e attività sindacale — Condotta antisindacale — Lavoro straordinario — Comunicazione dei dati — Rifiu

to del datore di lavoro — Disciplina della protezione dei dati

personali — Consenso dei singoli — Mancanza — Legittimità

(L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà

e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività

sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art.

28; 1. 31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri

soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art. 12).

Non integra gli estremi della condotta antisindacale il compor

tamento del datore di lavoro il quale rifiuta di comunicare

al sindacato i dati relativi all'effettuazione del lavoro straor

dinario da parte dei dipendenti in assenza di un consenso di

questi ultimi reso ai sensi della I. 31 dicembre 1996 n. 675,

sul trattamento dei dati personali. (1)

Con ricorso depositato il 24 giugno 1997 la Ugl, federazione

provinciale sanità, esponeva di aver richiesto più volte, tramite

il segretario provinciale, il tabulato delle prestazioni di lavoro

straordinario effettuato da ciascun dipendente della casa di cu

ra S. Lucia s.r.l. durante gli anni 1995, 1996 e 1997, con la

specifica delle competenze spettanti rimaste insolute.

La casa di cura S. Lucia aveva, però, rifiutato di consegnare

la documentazione richiesta.

(1) Il provvedimento in epigrafe, riportato anche in Giur. it., 1998,

I, 267, con nota di P. Lambertucci, Trattamento dei dati personali,

rapporto di lavoro e diritti de! sindacato: brevi note in margine ad un

primo intervento dei giudici, costituisce un primo risvolto dell'impatto della 1. 31 dicembre 1996 n. 675 (per i primi commenti, v. G. Butta

relli, Banche dati e tutela della riservatezza, Milano, 1997; E. Gian

nAntonio, M. G. Losano, V. Zeno-Zencovich, La tutela dei dati per sonali. Commentario alla I. 675/96, Padova, 1997; La disciplina del

trattamento dei dati personali a cura di V. Cuffaro e V. Ricciuto,

Torino, 1997; G. Alpa, La normativa sui dati personali. Modelli di

lettura e problemi esegetici, in Dir. informazione e informatica, 1997,

703 ss.) sul rapporto di lavoro che rientra nel campo di applicazione della legge (v. A. Bellavista, Il trattamento dei dati personali dei lavo

ratori dopo le leggi n. 675 e n. 676: «privacy» e tutela dei dati del

personale, in Dir. e pratica lav., 1997, n. 27, inserto, III ss.; L. Castel

vetri e F. Scarpelli, La protezione dei dati personali del lavoratore

subordinato e la nuova legge-delega nel pubblico impiego, in Riv. it.

dir. lav., 1997, III, 199 ss.; P. Lambertucci, Trattamento dei dati per sonali e rapporto di lavoro, in La disciplina, cit., 423 ss.), come, d'al

tronde, ribadito dal Garante (v. l'autorizzazione n. 1/97 al trattamento

dei dati sensibili nei rapporti di lavoro, in G.U. 21 novembre 1997,

n. 272). Nel caso di specie si trattava di verificare se costituisce condotta anti

sindacale, sanzionabile ex art. 28 statuto dei lavoratori, il rifiuto del

datore di lavoro di inoltrare la documentazione relativa al lavoro straor

dinario effettuato dai dipendenti, rifiuto motivato in ragione della na

tura riservata dei dati personali dei lavoratori, alla stregua della 1. n.

675 del 1996.

Per quanto riguarda la disciplina sulla comunicazione dei dati perso

nali, d'altronde, l'art. 12, 1° comma, lett. c), 1. n. 675 del 1996 esclude

la necessità del consenso dell'interessato (rectius: lavoratore) solo lad

dove venga effettuata in adempimento di un obbligo previsto dalla leg

ge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria. In tale quadro normativo non sembra che il sindacato possa far valere diritti derivanti,

in suo favore, dalla contrattazione collettiva, qualora per l'azionabilità

dei medesimi sia indispensabile richiedere la comunicazione, da parte del datore di lavoro, di dati personali dei lavoratori, in assenza di un

consenso di questi ultimi. Si auspica, pertanto, che, in sede di esercizio

della delega, conferita al governo dalla 1. 31 dicembre 1996 n. 675,

per la predisposizione di discipline integrative dirette ad attuare anche

la raccomandazione del consiglio d'Europa del 18 gennaio 1989 sull'uso

dei dati personali nel rapporto di lavoro (art. 1, 1° comma, lett. b,

n. 4, 1. cit.), si preveda che il consenso del lavoratore non sia richiesto

laddove la raccolta, il trattamento, la comunicazione e diffusione dei

dati siano funzionali all'adempimento, da parte del datore di lavoro,

di obblighi derivanti dal contratto collettivo.

Il Foro Italiano — 1998.

Il sindacato precisava che il fine della richiesta era quello di

verificare il corretto uso dell'istituto del lavoro straordinario, la cui regolamentazione è documentata dalla contrattazione col

lettiva alla contrattazione decentrata.

La Ugl, pertanto, conveniva davanti a questo pretore la casa

di cura S. Lucia s.r.l. per sentir dichiarare antisindacale il com

portamento denunciato.

La società convenuta, regolarmente costituitasi, chiedeva, il

rigetto del ricorso sostenendo che il rifiuto di consegnare la do

cumentazione richiesta era giustificata dalla richiesta riservata

dalle informazioni ai sensi della 1. 31 dicembre 1996 n. 675.

A parere del giudicante il ricorso non può essere accolto.

Il rifiuto della società convenuta di consegnare la documenta

zione relativa al lavoro straordinario di tutti i dipendenti appa

re, infatti, pienamente giustificata alla luce della recente norma

tiva per la tutela delle persone rispetto al trattamento dei reati

personali. L'art. 1, lett. c), I. 31 dicembre 1996 n. 675 precisa che per

dato personale deve intendersi «qualunque informazione relati

va a persona fisica, persona giuridica, ente ed associazione».

In considerazione dell'ampia definizione legislativa non sem

bra dubbio, pertanto, che anche i dati relativi al lavoro straor

dinario prestato ed ai relativi compensi rientrino tra quelli presi in esame dalla suddetta normativa, che ne consente l'utilizzo

solo quando vi sia «il consenso espresso dell'interessato».

L'art. 12 esclude la necessità del consenso qualora il tratta

mento «è necessario per l'esecuzione di obblighi derivanti da

un contratto del quale è parte l'interessato».

Nella fattispecie in esame è pacifico che molti dei lavoratori

che hanno prestato lavoro straordinario non sono neppure iscritti

al sindacato ricorrente e, quindi, non sono parte del contratto

dal quale deriverebbe il diritto del sindacato di controllare le

ore di lavoro straordinario effettivamente svolte dai dipendenti della società convenuta.

Il ricorso va, pertanto, respinto.

PRETURA DI NAPOLI; sentenza 16 aprile 1996; Giud. Vi

tiello; Di Caprio (Aw. Daniele) c. Regione Campania (Avv.

Martuscelli) e Min. interno.

PRETURA DI NAPOLI;

Invalidi civili e di guerra — Riforma delle procedure — Regola mento delegato — Modificazione delle modalità di esercizio

della tutela giurisdizionale — Eccesso di delega —

Illegittimità— Frazionamento della tutela di un unico diritto — Incostituzionalità — Disapplicazione (Cost., art. 24; 1. 24

dicembre 1993 n. 537, interventi correttivi di finanza pubbli

ca, art. 11; d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698, regolamento re

cante norme sul riordinamento dei procedimenti in materia

di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione

dei benefici economici, art. 3, 6)

Sono illegittimi, per eccesso di delega, e vanno pertanto disap

plicati gli art. 3, 5° comma, e 6, 4° comma, d.p.r. 21 settem

bre 1994 n. 698, nella parte in cui modificano in modo so

stanziale le modalità di esercizio della tutela giurisdizionale

in materia di invalidità civile. (1)

(1) La sentenza si segnala in primo luogo perché affronta uno dei

profili che oggi appaiono più problematici in tema di delegificazione: la determinazione dell'ambito entro il quale il regolamento è abilitato

a sostituire la normativa di legge preesistente (per la definizione della

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PARTE PRIMA

Sono illegittimi, per violazione dell'art. 24 Cost., e vanno per tanto disapplicati gli art. 3, 5° comma, e 6, 4° comma, d.p.r. 21 settembre 1994 n. 69, nella parte in cui costringono l'inte

ressato a proporre — in primo grado — due distinti e succes

sivi giudizi per far valere un unico diritto soggettivo in mate

ria di invalidità civile. (2)

delegificazione come trasferimento della disciplina di una materia dalla

fonte legislativa a quella regolamentare, si veda T. Martines, Delegifi cazione e fonti del diritto, in Studi in onore di Biscaretti di Ruffia, Milano, 1987, 867). La problematica tradizionale in tema di regolamen ti delegati, incentra attorno al dubbio circa la compatibilità con il prin cipio di preferenza di legge di atti normativi che, per essere abilitati

a sostituire norme legislative, sembrano acquistare il rango di fonti pri marie (per un'efficace sintesi delle varie opinioni, si veda G. Puccini, La potestà regolamentare del governo nell'esperienza italiana: osserva

zioni e spunti critici sugli sviluppi del dibattito scientifico, in P. Caretti U. De Siervo, Potere regolamentare e strumenti di direzione dell'am

ministrazione, Bologna, 1991, 209 ss., spec. 214 s.) sembrava essere stata risolta con la disciplina introdotta dall'art. 17, 2° comma, 1. 23

agosto 1998 n. 400 (G. Paleologo, L'attività normativa del governo nella legge sull'ordinamento della presidenza del consglio dei ministri, in Foro it., 1989, V, 352 ss.; G. Demuro, La delegificazione, ibid., 355 ss.). In particolare, erano state considerate determinanti le disposi zioni che impongono alla legge autorizzatrice, da un lato, di stabilire le norme generali regolatrici della materia e, dall'altro, di disporre l'a

brogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore del

regolamento (significativa, in tal senso, l'opinione espressa da L. Car

lassare, Regolamento (dir. cost.), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1988, XXXIX, 605 ss., spec. 629 ss.). Il sempre più ampio ricorso alla delegificazione sta, però, rimettendo in discussione il risul

tato raggiunto con la 1. n. 400 del 1988 (un'ampia analisi delle proble matiche attuative dell'art. 17, 2° comma, sia per i profili sostanziali che per quelli procedimentali, è in G. Tarli Barbieri, Le delegificazio ni (1989-1995), Torino, 1996, 125 ss., 225 ss.). In relazione alla senten za in rassegna, interessa soprattutto rilevare la frequente mancanza, nelle recenti leggi di delegificazione, di una espressa e puntuale indicazione delle norme di legge destinate ad essere abrogate con l'emanazione dei

regolamenti autorizzati. In tal modo, l'abrogazione delle disposizioni previgenti viene a dipendere dalla loro concreta incompatibilità con le nuove norme regolamentari (sottolinea la gravità di questo fenomeno, da ultimo, U. De Siervo, Il potere regolamentare alla luce dell'attua

zione dell'art. 17 l. n. 400 del 1988, in Dir. pubbl., 1996, 63 ss., spec. 87). Questo sitema di abrogazione tacita per incompatibilità sembra fuo riuscire dalla logica dell'art. 17, 2° comma, la quale presuppone, inve

ce, che la legge autorizzatrice determini precisamente l'effetto abrogati vo delle norme preesistenti (in tal senso, L. Paladin, Le fonti del dirit to italiano, Bologna, 1996, 354 s., il quale sottolinea che, al di fuori di questa logica, appare difficile non vedere nella delegificazione un'e lusione dei limiti che l'art. 76 Cost, pone alla delega al governo di funzioni legislative). Dal momento in cui si afferma la prassi dell'abro

gazione tacita, l'ammissibilità costituzionale della delegificazione viene a riposare interamente sull'assunto che la legge orginaria possa dispor re, autolimitandosi, della propria competenza a favore della potestà re

golamentare (per tale tesi si veda, da ultimo, F. Modugno, Riflessioni generali sulla razionalizzazione della legislazione e sulla delegificazine, in Studi in onore di Mazziotti di Celso, Padova, 1995, II, 175 ss.). Questa tesi non è, però, condivisa da chi ritiene che la legge non abbia la competenza a stabilire norme sulla produzione giuridica ulteriori ri

spetto a quelle presenti nella Costituzione (A. Ruggeri, «Itinerari» di una ricerca sul sistema delle fonti normative, Torino, 1992, 163 ss.) e da chi ritiene che il meccanismo dell'abrogazione tacita incida grave mente sul principio di legalità (S. Fois, «Delegificazione», «riserva di

legge» e principio di legalità, in Studi in onore di Mazziotti di Celso, cit., I, 727 ss., che riprende la tesi già sostenuta in Legalità (principio di), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1973, XXIII, 695; un

quadro più ampio del dibattito sulla costituzionalità dei regolamenti delegati, sotto il profilo qui considerato, è in F. Bertolini, Profili in

terpretativi della costituzionalità del potere regolamentare in deroga al la legge, in Giur. costit., 1989, II, 76 ss.).

La giurisprudenza non sembra avere finora messo a fuoco la rilevan za costituzionale di questa problematica. In una decisione di controllo si trova affermata l'inammissibilità dell'abrogazione tacita (Corte con

ti, sez. contr., 10 maggio 1994, n. 32, Foro it., Rep. 1994, voce Legge, n. 54), ma la tendenza dominante sembra nel senso di ritenere addirit tura inutile la clausola espressa di abrogazione (Cons. Stato, ad. gen., 16 novembre 1989, n. 100, id., 1990, III, 289; Corte conti, sez. contr., 24 novembre 1995, n. 149, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 64, 65). La stessa Corte costituzionale (sent. 20 luglio 1995, n. 333, id., Rep. 1995, voce cit., n. 91) sembra, seppure implicitamente, accontentarsi di una

Il Foro Italiano — 1998.

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 27 set

tembre 1995 la ricorrente in epigrafe ha convenuto dinanzi a

questo pretore la regione Campania ed il ministero dell'interno,

esponendo che in data 4 aprile 1995 presentò alla commissione

sanitaria competente domanda per il riconoscimento dell'invali

dità civile, al fine di ottenere la provvidenza economica prevista

generica previsione di abrogazione delle norme vigenti, ritenendo che

in tale ipotesi l'effetto abrogativo sia «pur sempre riconducibile alla

stessa fonte legislativa che autorizza la delegificazione». Una volta ammesso che il legislatore possa disporre delegificazioni

senza indicare puntualmente le norme di legge previgenti da abrogare, diviene centrale, in concreto, il problema dell'identificazione della ma

teria delegificata. La giurisprudenza è in proposito rigorosa, afferman

do che l'effetto abrogativo può prodursi solo entro i limiti dell'oggetto della delega, poiché il regolamento ha il potere di incidere su una nor

ma di legge, modificandola, solo in virtù della previsione del relativo

potere da parte della legge delegante e, quindi, oltre quei limiti il potere non sussiste più (Cass. 17 ottobre 1985, n. 5113, id., Rep. 1986, voce

Professioni intellettuali, nn. 36-40; 23 dicembre 1991, n. 13913, id.,

1992, I, 354; 16 luglio 1992, n. 8604, id., 1993, I, 853; 26 novembre

1994, n. 10069, id., Rep. 1994, voce Ferrovie e tramvie, n. 87). La sentenza in epigrafe costituisce un importante esempio di sindacato sul

rispetto dell'ambito assegnato dalla legge alla potestà regolamentare de

legata, nel campo della semplificazione dei procedimenti amministrativi attuata dalla 1. 24 dicembre 1993 n. 537, che costituisce oggi uno dei

casi più rilevanti di delegificazione (fenomeno destinato a diventare im

ponente con l'attuazione dell'art. 20 1. 15 marzo 1997 n. 59, il quale prevede che ogni anno il governo presenti al parlamento un disegno di legge per la delegificazione di norme concernenti procedimenti am

ministrativi). La sentenza afferma che l'ambito della delegificazione de ve rimanere ristretto alle procedure amministrative, senza poter investi re i profili processuali della materia considerata, anche se ciò possa risultare coerente con gli obiettivi perseguiti dal legislatore delegante. Nello stesso senso, ma con riferimento ai profili sostanziali della mate

ria, si vedano Corte conti, sez. contr., 29 dicembre 1994, nn. 152 e

153, id., Rep. 1995, voce Legge, nn. 98-100, per le quali i regolamenti delegati ex art. 2 1. 24 dicembre 1993 n. 537 «non possono che muover si all'interno del ristretto orizzonte della semplificazione delle procedu re». Per altri esempi di sindacato sulla delegificazione delle procedure attuata con la 1. 537/93, si vedano Cons. Stato, sez. Ili, 5 luglio 1994, n. 542, id., Rep. 1996, voce Demanio, nn. 8-11; Tar Lazio, sez. I, 15 marzo 1995, n. 450, id., 1996, III, 61; Tar Lazio, sez. I, 18 ottobre

1996, n. 217, ibid., 615. La sempre maggiore estensione del fenomeno della delegificazione,

con il progressivo allontanamento dai limiti posti dall'art. 17, 2° com

ma, 1. n. 400 del 1988, è destinata a porre in primo piano la questione dell'effettività del controllo giurisdizionale sulla legittimità dei regola menti. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che i regolamenti, non avendo forza di legge, non possono essere sottoposti al sindacato della Corte costituzionale (Corte cost., ord. 31 dicembre 1986, n. 319, id., 1987, I, 1658; 24 gennaio 1989, n. 23, id., 1989, I, 3266; Cass. 8 feb braio 1992, n. 1409, id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, nn. 237, 238; Corte cost., ord. 30 dicembre 1993, n. 484, id., Rep. 1994, voce Concordato preventivo, n. 50, con commento di L. Carlassare, La

corte, il regolamento, la legge, in Giur. costit., 1993, 3946; Cons. Sta

to, sez. IV, 8 novembre 1994, n. 870, Foro it., Rep. 1995, voce Corte

costituizonale, n. 102). Sulle ragioni di questa giurisprudenza si vedano V. Crisafulli, Interrogativi sui criteri di identificazione degli atti «con

forza di legge», in Giur. costit., 1959, 714, e A. D'Atena, Regolamen to delegato, legge abilitante e sindacato di costituzinoalità, id., 1967, 1220. La Corte costituzionale, in particolare, ha motivato l'esclusione della forza di legge ex art. 134 Cost, dei regolamenti delegati, sostenen do che l'innovatività di tali fonti rispetto alle norme primarie preesi stenti non ne presuppone il carattere legislativo, ma si spiega col fatto che la legge autorizzatrice ha «aperto larghi spazi alla normazione se condaria» (Corte cost. 27 febbraio 1980, n. 21, Foro it., 1980, I, 899).

In quanto atti formalmente amministrativi, i regolamenti sono sog getti, a seconda del tipo di controversia, al sindacato del giudice ammi

nistrativo, che ha il potere di annullarli, ed a quello del giudice ordina

rio, che ha il potere di disapplicarli. La scarsa efficacia di questo tipo di sindacato è stata denunciata in dottrina, rilevando, da un lato, che il sindacato del giudice ordinario non soddisfa l'esigenza di certezza del diritto, poiché la dichiarazione di illegittimità del regolamento ha un valore limitato al caso deciso e, dall'altro, che il sindacato del giudi ce amministrativo, pur potendo condurre all'annullamento del regola mento illegittimo, non soddisfa l'esigenza di effettività della tutela, poi ché deve sottostare alla regola dell'onere d'impugnazione entro un bre ve termine di decadenza che vige nel processo amministrativo di legittimità (si veda, per tutti, A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto, in Commenta

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dall'art. 13 1. 118/71, e che la domanda non ha avuto esito

positivo poiché non è stato mai eseguito l'accertamento sanita

rio. Dedotto che gli stati patologici denunciati ed il possesso

degli altri requisiti prescritti le danno diritto alla prestazione

richiesta, l'istante ha chiesto nei confronti dell'ente regione l'ac

certamento dell'invalidità civile con riduzione della capacità la

vorativa in misura superiore al settantaquattro per cento e nei

confronti del ministero, ove la domanda dovesse essere ritenuta

ammissibile, la condanna all'erogazione dell'assegno mensile,

oltre interessi legali. (Omissis)

rio Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 306 ss.). Si deve osservare, in proposito, che la tendenza attuale dell'ordinamento sembra essere

quella di privilegiare le esigenze di effettività della tutela rispetto a quel le della certezza del diritto, generalizzando il ricorso alla disapplicazio ne dei regolamenti illegittimi. Anche il giudice amministrativo, infatti, si sta orientando nel senso di ritenere ammissibile la disapplicazione dei regolamenti sia nella giurisdizione esclusiva che nella giurisdizione

generale di legittimità (Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 1983, n. 799, Foro

it., 1994, III, 332; sez. IV 19 ottobre 1993, n. 897, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa, n. 207; sez. V 7 aprile 1995, n. 531,

id.. Rep. 1995, voce cit., n. 729; 19 settembre 1995, n. 1332, ibid., n. 726; sez. IV 29 febbraio 1996, n. 222, id., Rep. 1996, voce cit., n. 225. Ciò non toglie che il giudice amministrativo conservi il potere di annullare i regolamenti quando questi siano stati dal ricorrente ri

tualmente impugnati. Il sistema presenta, quindi, un certo grado di ir

razionalità, dal momento che la sorte del regolamento illegittimo (an nullamento o disapplicazione) viene a dipendere sia dalla natura della

lite (concernente diritti soggettivi o interessi legittimi), sia, nel processo

amministrativo, dalle scelte processuali degli interessati, i quali sono

liberi di chiedere o meno l'annullamento dei regolamenti. A ciò si ag

giunga l'ulteriore elemento di irrazionalità determinato dal potere della

Corte costituzionale di annullare i regolamenti nell'ambito del giudizio su conflitti di attribuzione.

La sentenza in rassegna manifesta una certa insoddisfazione nei con

fronti del sistema della disapplicazione dei regolamenti, determinata dal

l'ambigua posizione che i regolamenti di delegificazione occupano fra

le fonti del diritto. Tali regolamenti, infatti, si sostituiscono interamen

te alla legge nella disciplina di una materia e quindi acquistano di fatto

una primarietà in senso sostanziale. Per questo motivo, nella sentenza

viene ricordata una pronuncia che definisce i regolamenti delegati come

«atti di normazione secondaria aventi forza di legge» (Cass. 8604/92,

cit.). Si capisce, pertanto, come per essi si avverta in particolar modo

quell'esigenza di certezza ed uniformità del diritto che potrebbe essere

assicurata soltanto dall'annullamento con efficacia erga omnes dei re

golamenti illegittimi. Tanto più che, come avviene significativamente nel caso in esame, la primarietà di fatto dei regolamenti delegati pone le norme in essi contenute a diretto contatto con i principi costituziona

li. Occorre osservare in proposito che si sono moltiplicati, nella recente

giurisprudenza della Corte costituzionale, i richiami alla giurisprudenza ordinaria e amministrativa affinché venga attuato un penetrante sinda

cato diffuso sulla costituzionalità dei regolamenti (Corte cost., ord. 29

marzo 1984, n. 87, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1786; 20 giugno 1984, n. 176, id., Rep. 1985, voce Professioni intellettuali,

n. 83; 23 luglio 1987, n. 283, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 475; 27 aprile 1993, n. 199, id., 1994, I, 2980; 30 dicembre 1993, n. 484, id., Rep. 1994, voce Concordato preventivo, n. 50; ord. 27

giugno 1997, n. 208, id., 1997, I, 3080, con nota di richiami). Nella

giurisprudenza ordinaria, del resto, la sindacabilità dei regolamenti ri

spetto ai principi costituzionali è pacificamente ammessa (Cass. 1° apri le 1982, n. 2006, id.. Rep. 1982, voce Opere pubbliche, n. 27; 5113/85,

cit.; 8604/92, cit.; 13913/92, cit.; 22 aprile 1993, n. 4747, id., Rep.

1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1512). Nonostante ciò, ci sono casi in cui l'esigenza di certezza ed uniformi

tà del diritto è avvertita particolarmente, come in quello esaminato dal

la sentenza in commento, attinente alle modalità di tutela giurisdiziona le di un diritto di rango costituzionale. È per questa esigenza che nella

sentenza viene dato notevole rilievo alla tesi, rimasta minoritaria, di

C. Mortati, Atti con forza di legge e sindacato di costituzionalità,

Milano, 1964, 52 ss., secondo il quale i regolamenti delegati sarebbero

atti con forza di legge e quindi assoggettabili al sindacato accentrato

di costituzionalità. In dottrina si vedano, per un esame delle questioni

connesse alla differenza tra sindacato diffuso o accentrato di costituzio

nalità dei regolamenti, V. Onida, Sulla «disapplicazione» dei regola

menti incostituzionali (a proposito della libertà dei detenuti), in Giur.

costit., 1968, 1032 ss.; M. Cartabia, Il sindacato della Corte costitu

zionale sulle norme regolamentari. . . aventi (ormai) forza di legge,

id., 1993, II, 462 ss. Gli inconvenienti del sindacato diffuso sui regola

menti si manifestano particolarmente in casi come quello esaminato dalla

Il Foro Italiano — 1998 — Parte 7-18.

Motivi della decisione. — Le norme in materia di prestazioni economiche in favore degli invalidi civili, contenute nella 1. 30 marzo 1971 n. 118 e successive modifiche, prevedevano lo svol

gimento di un procedimento amministrativo complesso, artico

lato in due fasi: la prima, necessaria e indefettibile, per l'accer

tamento sanitario dell'invalidità; la seconda, meramente even

tuale perché subordinata all'esito positivo della precedente, diretta

all'accertamento delle condizioni reddituali prescritte dalla leg

ge ed alla concessione delle provvidenze economiche. Anche in

caso di accertamento sanitario negativo, la giurisprudenza ave

sentenza odierna. La mera disapplicazione, infatti, non è in grado di

assicurare quella certezza ed uniformità del diritto che sarebbe invece

necessaria in relazione a diritti di rango costituzionale. Quindi, malgra do l'apprezzabile sforzo compiuto del Pretore di Napoli, la questione della tutela giurisdizionale in materia di invalidità civile rimane esposta ad eventuali difformi opinioni di altri giudici di merito. Per avere un

minimo di certezza occorrerà attendere che sulla questione si pronunci la Cassazione.

Infine, è opportuno ricordare che la sentenza in epigrafe si è occupa ta anche del problema dei rapporti tra potestà regolamentare delegata del governo e attribuzioni regionali. In tale parte la sentenza è stata

«confermata» da Corte cost. 20 maggio 1996, n. 156, Foro it.. Rep.

1996, voce Invalidi civili e di guerra, nn. 6, 7, che, in un giudizio su

conflitto di attribuzioni, ha annullato l'art. 3, 5° comma, d.p.r. 698/94

nella parte in cui attribuiva alla regione la legittimazione passiva nei

giudizi contro l'accertamento della condizione di invalido civile operato dalle commisioni mediche presso le unità sanitarie locali. Nel senso che

i regolamenti delegati non possono incidere sulle competenze regionali, si vedano Corte cost. 1° marzo 1995, n. 69, id., 1995, I, 1745, con

nota di R. Bin e R. Romboli; 7 novembre 1995, n. 482, id., Rep. 1995, voce Opere pubbliche, nn. 121-129.

(2) La decisione si segnala anche per l'importanza delle conclusioni

raggiunte in ordine alla questione dei rapporti tra procedimento ammi

nistrativo e processo in materia di invalidità civile. Anche la 1. 30 mar

zo 1971 n. 118 distingueva il procedimento per l'accertamento della

condizione di invalido dal procedimento per la concessione delle relati

ve provvidenze economiche. La giurisprudenza, però, aveva interpreta to la legge nel senso che l'azione giurisdizionale per il riconoscimento

del diritto alle prestazioni di invalidità civile fosse proponibile già al

termine del primo procedimento, qualora l'accertamento avesse dato

esito negativo.

Significativamente, questa soluzione era stata motivata non solo in

riferimento alla sostanziale unitarietà del, pur complesso, procedimento

(Cass. 15 febbraio 1988, n. 1628, Foro it., Rep. 1988, voce Invalidi

di guerra, n. 18), ma, soprattutto, affermando che, rispetto al procedi mento amministrativo, «la tutela giurisdizionale si pone su un piano

autonomo, non configurando mera impugnazione della decisione am

ministrativa» (Cass., sez. un., 24 ottobre 1985, n. 5251, id., 1986, I,

711; 29 novembre 1985, n. 5934, ibid., 1602, con nota di richiami di

F. Donati; 19 febbraio 1988, n. 1757, id., Rep. 1988, voce cit., n.

17; 18 febbraio 1991, n. 1700, id., Rep. 1991, voce Invalidi civili e

di guerra, n. 23). In tal modo, la giurisprudenza traeva le logiche impli cazioni in tema di rapporti tra procedimento e processo dal proprio orientamento che attribuisce consistenza di diritto soggettivo alle situa

zioni protette dalla 1. 118/71 e nega che l'atto amministrativo in mate ria abbia carattere di accertamento costitutivo e che, quindi, la relativa

azione giurisdizionale abbia carattere impugnatario (ricollega esplicita mente la soluzione del problema dei rapporti tra procedimento e pro cesso alla natura di diritto soggettivo della situazione tutelata ed al ca

rattere non impugnatorio della relativa azione giurisdizionale Cass.,. sez.

un., 24 ottobre 1985, n. 5252, id., Rep. 1985, voce cit., n. 8, con com

mento di P. Cosentino, Sulla tutela giurisdizionale nelle controversie

di invalidità civile, in Rass. avv. Stato, 1986, 41). In dottrina, sulla

rilevanza dell'interpretazione del procedimento in materia di invalidità

civile come procedimento costitutivo o dichiarativo, ai fini dell'effetti

vità della tutela del relativo diritto, si veda M. Ramatoli, Osservazioni

in tema di procedimento previdenziale e assistenziale, in Dir. economia,

1994, 421 ss. (sul tema in generale, ma senza riferimento specifico alla

problematica degli atti amministrativi in materia previdenziale e assi

stenziale, si veda P. Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi, Milano,

1996). L'occasione principale per chiarire la natura meramente dichia

rativa del procedimento in materia ed il conseguente carattere non im

pugnatorio della tutela giurisdizionale, era stata offerta alla giurisprudenza dal problema del riconoscimento post mortem del diritto alle prestazio ni di invalidità civile (Cass., sez. un., 25 ottobre 1991, n. 11329, Foro

it., 1992, I, 1467; 1° luglio 1993, n. 7173, id., Rep. 1993, voce cit., n. 33; 8 agosto 1994, n. 7333, id., Rep. 1994, voce cit., n. 15; contra,

nel senso che il diritto non viene ad esistenza prima dell'accertamento

amministrativo dell'invalidità e che quindi non può essere riconosciuto

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PARTE PRIMA

va ritenuto che fosse direttamente esperibile l'azione giudiziaria

per ottenere l'erogazione dei benefici economici, individuando

come unico legittimato passivo il ministero dell'interno (cfr., fra le altre, Cass., sez. un., 24 ottobre 1985, n. 525, Foro it.,

1986, I, 711). La nuova disciplina introdotta con d.p.r. 21 settembre 1994

n. 698 (regolamento recante norme sul riordinamento dei proce dimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economici) prevede due procedi menti amministrativi nettamente distinti fra loro: un «procedi

neppure in sede giudiziaria in favore degli eredi del soggetto che sia

deceduto dopo la proposizione della domanda ma prima dell'accerta

mento amministrativo, Cass. 9 giugno 1990, n. 5597, id., Rep. 1990, voce cit-, n. 20; 26 giugno 1990, n. 6451, ibid., n. 18). Da ultimo, la Cassazione ha ribadito che il diritto alle prestazioni di invalidità civi le si acquista al momento del perfezionamento dei requisiti stabiliti dal la norma, «anche in assenza dell'avvenuto accertamento dello stato di invalidità in sede amministrativa» (Cass. 16 marzo 1996, n. 2212, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 13; 7 giugno 1996, n. 5317, ibid., n. 15; 11

aprile 1996, n. 3362, ibid., n. 17; 2 maggio 1996, n. 3988, ibid., n.

16; 4 novembre 1996, n. 9559, ibid., n. 19; 7 dicembre 1996, n. 10907, ibid., n. 20; 12 dicembre 1996, n. 11112, ibid., n. 21; 22 gennaio 1997, n. 647, id., Mass., 58), dal momento che tale accertamento, «nel siste ma della legge, ha natura puramente dichiarativa della fattispecie del diritto» (Cass. 6 aprile 1996, n. 3224, ibid., n. 18). Si tenga presente che, in forza di questo principio, la Cassazione, nelle sentenze ora cita

te, si è contrapposta alla Corte costituzionale, la quale aveva invece attribuito carattere costitutivo all'intervento dell'amministrazione, rite nendo che il diritto si perfeziona soltanto al momento dell'avvenuto accertamento medico-amministrativo (Corte cost. 31 maggio 1995, n.

209, id., 1995, I, 3041). Nella presente decisione, il pretore ha ravvisato nel d.p.r. 698/94 un

tentativo di superare la giurisprudenza, sopra ricordata, che riteneva

procedibile l'azione giudiziaria per il riconoscimento del diritto alle pre stazioni di invalidità civile al termine del procedimento per l'accerta mento dello stato di invalidità. Nella sentenza, le nuove norme vengono interpretate nel senso di imporre due separati e successivi giudizi, l'uno

per l'accertamento dello stato di invalidità e l'altro per l'accertamento del diritto e la condanna all'erogazione della prestazione. Così interpre tate, le norme del decreto, a giudizio del pretore, contrastano con l'art. 24 Cost., poiché introducono una gravosa ed irrazionale limitazione alla tutela giurisdizionale del cittadino. In particolare, oltre a raddop piare i tempi del processo ed a contraddire al principio di economia

processuale, lo sdoppiamento del giudizio costituirebbe un illogico fra zionamento della tutela giurisdizionale di un unico diritto. Il caso non trova puntuali precedenti nella giurisprudenza della Corte costituziona le. La decisione affonda però le sue radici nella risalente pronuncia con cui la Corte costituzionale aveva ritenuto costituzionalmente legitti ma la norma che condiziona la proponibilità dell'azione giurisdizionale in materia previdenziale al previo esperimento della procedura ammini strativa (Corte cost. 16 giugno 1964, n. 47, id., 1964, I, 1334, con com mento di C. Esposito, Onere del previo ricorso amministrativo e tutela

giurisdizionale dei diritti, in Giur. costit., 1964, 585). In tale pronuncia, la corte aveva, infatti, segnato il limite oltre il

quale il legislatore non può andare nel condizionare la tutela giurisdi zionale in materia, affermando che non è ammesso rendere impossibile o difficile l'esercizio del diritto (nello stesso senso, più di recente, Corte cost. 11 febbraio 1988, n. 156, Foro it., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, nn. 901-903; 29 dicembre 1988, n. 1143, id., 1989, I, 973 ss.). In dottrina, si veda, per tutti, L. P. Comoglio, La garanzia costituzio nale dell'azione ed il processo civile, Padova, 1970; Id., Commento all'art. 24, in Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 1 ss.).

Da un punto di vista sostanziale, occorre ancora sottolineare che il

pretore, nella presente sentenza, considera come un unico diritto la pre tesa al riconoscimento dello stato d'invalidità e la pretesa all'erogazione delle prestazioni assistenziali conseguenti. Nel senso che il diritto all'as

segno di invalidità nasce al momento in cui vengono a coesistere il re

quisito sanitario, quello economico e quello della inoccupazione, Cass. 13 luglio 1996, n. 6368, Foro it., Rep. 1996, voce Invalidi civili e di

guerra, n. 23. Nel senso che «il requisito economico integra, al pari di quello sanitario, un elemento costitutivo della pretesa e non mera condizione di erogabilità della prestazione», Cass. 1° settembre 1995, n. 9245, id., 1996, I, 967; 7 giugno 1996, n. 5317, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 30. Nel senso che, ai fini del riconoscimento dell'assegno di invalidità o della pensione di inabilità, «l'indagine sull'elemento sanita rio è inseparabile da quella relativa al requisito economico», 16 aprile 1994, n. 3628, id., Rep. 1994, voce cit., n. 39. In tal modo, si presup pone che lo status d'invalido civile non abbia una propria autonomia

Il Foro Italiano — 1998.

mento per l'accertamento sanitario delle minorazioni civili» (v. art. 1 e relativa intestazione), che si svolge in prima istanza

davanti alle commissioni mediche delle unità sanitarie locali e

in seconda istanza presso la commissione medica superiore e

di invalidità civile (art. 3, 2° comma); un «procedimento per la concessione delle provvidenze economiche ai minorati civili»

(v. art. 4 e titolo relativo), di competenza delle prefetture e, in seconda istanza, del ministero dell'interno (art. 6).

Parallelamente, ha previsto che la tutela giurisprudenziale si

svolga attraverso la proposizione di due diversi giudizi, ciascu

rispetto ai diversi benefici che la legge vi ricollega. In proposito, però, la giurisprudenza non è pacifica. Vi è stato, infatti, un contrasto nella

giurisprudenza della Cassazione circa l'ammissibilità di un'azione di mero accertamento dello status d'invalido civile, nella quale si è discusso pro prio dell'autonomia di tale status rispetto ai diritti che vi conseguono. Da una parte, è stato affermato che alla condizione di invalido civile si ricollegano diversi diritti soggettivi, dei quali alcuni non sono condi zionati al possesso di requisiti ulteriori (come, ad esempio, il diritto all'iscrizione negli elenchi per l'assunzione obbligatoria) e che, pertan to, tale status, essendo autonomamente rilevante, è suscettibile di auto nomo accertamento; dall'altra, si è sostenuto, invece, che la condizione di invalidità costituisce soltanto uno degli elementi della fattispecie at tributiva dei diversi diritti assistenziali e che, pertanto, non può essere autonomamente accertata (rispettivamente, Cass. 15 luglio 1987, n. 6192, e 14 gennaio 1988, n. 240, id., 1988, I, 2983, con nota di richiami e osservazioni di V. Ferrari).

Se si affermasse la prima tesi, risulterebbe forse più facile accettare il frazionamento dei giudizi prospettato nel d.p.r. 698/94. Una tale con

seguenza, però, risulterebbe comunque inaccettabile non solo alla luce dell'art. 24 Cost., ma, ancor prima, in dipendenza della consistenza di diritto soggettivo della pretesa all'erogazione delle prestazioni di in

validità, in contrapposizione alla struttura dell'interesse legittimo. Il di ritto soggettivo, infatti, si differenzia dall'interesse legittimo per la sua diretta correlazione con un bene della vita (e ciò anche nel caso dei diritti che «fronteggiano» poteri privati, come dimostrano gli sviluppi recenti che hanno condotto ad ammettere il risarcimento dei danni an che per la mera perdita di chances-. A. Travi, Nuovi fermenti nel dirit to amministrativo verso la fine degli anni '90, id., 1997, V, 171). È

proprio a causa di questa diretta correlazione che la tutela del diritto non può essere frazionata: poiché il bene della vita è unito, unico si deve concepire il diritto, anche quando il suo ricoscimento dipende da

procedimenti amministrativi formalmente distinti, ed unitaria deve con

seguentemente essere la sua tutela giurisdizionale. Al contrario, l'inte resse legittimo ha carattere strumentale, nel senso che non sussiste una diretta correlazione tra il bene della vita e la forma della sua protezione giuridica, la quale dipende, invece, direttamente dal corretto esercizio del potere amministrativo (questa accezione di strumentalità come for me di protezione giuridica, sganciata da ogni idea di dipendenza dell'in teresse privato dall'interesse pubblico, è indicata anche dalla dottrina

contemporanea come il tratto caratteristico dell'interesse legittimo: si veda, per tutti, D. Soracb, Gli «interessi di servizio pubblico» tra ob

blighi e poteri delle amministrazioni, id., 1988, V, 205; un'ampia di scussione del tema è in F. G. Scoca, Interessi protetti (dir. amm.), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVII, 6 ss.). Per que stra ragione, la protezione giuridica di un bene della vita correlativo ad un potere amministrativo può scomporsi sul piano sostanziale, in tanti interessi legittimi quanti sono i procedimenti formalmente autono mi che compongono la dinamica di svolgimento di quel determinato potere. In ciò trae fondamento la regola processuale secondo cui costi tuisce atto impugnabile l'atto conclusivo di un procedimento sostanzial mente autonomo (la più compiuta razionalizzazione di questa regola si deve allo studio fondamentale sul procedimento amministrativo di A. M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, 1964, spec. 41 ss., 175 ss., basato, significativamente, sul concetto di perfezione della fattispecie). Ne consegue che, nella logica dell'interesse legittimo, la tutela giurisdizionale di un unico bene della vita può anche risultare frazionata in diversi processi.

Nel dibattito più recente la differenza tra diritto soggettivo ed inte resse legittimo tende a sfumare, in corrispondenza con una notevole accentuazione del carattere sostanziale dell'interesse legittimo (si veda no, da un punto di vista generale, F. G. Scoca, Sulle implicazioni del carattere sostanziale degli interessi legittimi, in Scritti in onore di M. S. Giannini, Milano, 1988, III, 669 ss., e A. Massera, Individuo e ammi nistrazione nello Stato sociale: alcune considerazioni sulla questione delle situazioni giuridiche soggettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, 33 ss.).

Ciò si è verificato particolarmente per i c.d. interessi pretensivi, in relazione ai quali la pretesa ad ottenere un vantaggio concreto come risultato del corretto esercizio del potere amministrativo sembra avvici

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

no dei quali collegato al corrispondente procedimento ammini

strativo.

Il 5° comma dell'art. 3, infatti, dopo aver affermato che è

ammessa la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario

contro le decisioni dei ricorsi proposti alla commissione medica

superiore e contro le omesse convocazioni a visita, ha stabilito

che «nei procedimenti giurisdizionali concernenti gli accertamenti

sanitari relativi all'invalidità civile, alla cecità civile e al sordo mutismo, effettuati a decorrere dalla data di entrata in vigore

del presente regolamento anche per le istanze presentate ante

riormente a tale data, la legittimazione passiva spetta alla regio ne e al ministero del tesoro, a seconda che l'atto impugnato

sia stato emanato dalle commissioni mediche operanti presso le unità sanitarie locali o dalle commissioni mediche periferiche

per le pensioni di guerra e di invalidità civile». L'art. 6, nel disciplinare il regime giurisdizionale in materia

di concessione di provvidenze economiche ai minori civili, ha

disposto che «nei procedimenti giurisdizionali concernenti la con

cessione di provvidenze economiche ai minorati civili, la legitti mazione passiva spetta al ministero dell'interno» (4° comma).

Il successivo comma ha eliminato ogni dubbio in ordine alla

portata innovatrice della disposizione contenuta nel precedente

alinea, nel senso di limitare la legittimazione del ministero ai

soli giudizi per l'attribuzione di provvidenze economiche, preci

sando — con norma transitoria — che nei procedimenti già pen

denti «la legittimazione passiva permane al ministero dell'inter

no sia per gli aspetti concernenti gli accertamenti sanitari che

per quelli relativi alla concessione delle provvidenze economiche».

Ne deriva un sistema secondo il quale, per ottenere la conces

sione di uno dei benefici economici previsti per i minorati civili, l'interessato deve necessariamente percorrere prima l'iter ammi

nistrativo per l'accertamento dell'invalidità e, in caso di esito

narsi alla relazione diretta con il bene della vita caratteristica del diritto

soggettivo (M. Nigro, Ma che cos'è questo interesse legittimo? Interro

gativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 477, aveva chiamato queste situazioni soggettive «quasi-diritti», a causa del

loro carattere di «pretesa sostanziale» che sembra farne «qualcosa di

molto simile al diritto soggettivo»). Tale relazione, però, nel caso del

l'interesse legittimo, non può mai giungere ad una piena identificazio

ne, proprio per la frazionabilità della tutela che il bene della vita è

in tal caso suscettibile di subire, in connessione con l'articolarsi dei

procedimenti amministrativi. Si consideri che nel processo civile non

è ammessa neppure la possibilità di far valere singole frazioni di un

bene della vita sostanzialmente unico. Sull'impossibilità, nel giudizio

civile, di chiedere l'accertamento dei fatti che non perfezionino la fatti

specie attributiva di un diritto si veda A. Proto Pisani, Appunti sulla

tutela di mero accertamento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 620

ss.; in giurisprudenza, si veda, fra le più recenti, Cass. 5 giugno 1996, n. 5240, Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 131, per la quale è inammissibile la domanda avente ad oggetto l'accertamento

della sussistenza di una mera componente di un diritto, atteso che l'ac

certamento giudiziale può avere ad oggetto esclusivamente un diritto

nel suo insieme, e non già una parte o un elemento di esso»; conf., da ultimo, i richiami al paragrafo II della nota di F. Fabiani a Cass.

28 giugno 1997, n. 5819, in questo fascicolo, I, 902). Al contrario,

nel processo amministrativo, l'interessato può essere addirittura costret

to a frazionare la propria richiesta di tutela di un unico bene della

vita, vigendo la regola per cui deve essere immediatamente impugnato l'atto che produce un qualsiasi diretto effetto sfavorevole in capo al

destinatario (per la regola generale dell'inammissibilità dell'impugna zione dell'atto consequenziale se non sia stato impugnato tempestiva mente l'atto presupposto, si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 13

aprile 1994, n. 512, id., Rep. 1994, voce Giustizia amministrativa, n.

199; per alcuni esempi paradigmatici, si vedano Cons. Stato, sez. IV,

20 ottobre 1992, n. 904, id., Rep. 1992, voce cit., n. 190; sez. VI 7

dicembre 1994, n. 1743, id., Rep. 1995, voce cit.,n. 206; sez. IV 12

giugno 1995, n. 443, id., 1996, III, 9; sez. V 7 settembre 1995, n. 1281,

id., Rep. 1995, voce cit., n. 220; 17 ottobre 1995, n. 1426, id., Rep.

1996, voce cit., n. 222; Tar Toscana, sez. I, 26 giugno 1995, n. 352,

id., 1996, III, 184). In conclusione, ed a prescindere da qualsiasi consi

derazione circa l'opportunità di assimilare l'interesse legittimo al diritto

soggettivo al fine di aumentare l'effettività della sua tutela, la prospetti

va dei rapporti tra procedimento e processo, suggerita dalla sentenza

in commento, permette di individuare un punto di differenziazione im

portante tra le due situazioni soggettive, che deve essere ancora com

piutamente esplorato. [B. Tonoletti]

Il Foro Italiano — 1998.

negativo dello stesso, agire in giudizio (nei confronti della re

gione o del ministero del tesoro) a tale limitato fine, successiva

mente, una volta ottenuto il riconoscimento del requisito sani

tario, deve attendere l'esito del secondo procedimento ammini

strativo diretto alla verifica dei requisiti reddituali ed alla

concessione della provvidenza e, se questo si è concluso negati

vamente, proporre una nuova azione giudiziaria (contro il mini

stero dell'interno) per ottenere il riconoscimento del diritto alla

prestazione richiesta.

Tutto ciò significa che il regolamento in esame non si è limi

tato a riordinare i procedimenti amministrativi, ma ha modifi cato in modo sostanziale le modalità di esercizio della tutela

giurisdizionale, sia per quanto attiene alla legittimazione passi

va, sia e soprattutto per quel che riguarda l'iter giudiziario da

compiere, sostituendo all'unico giudizio (attraverso il quale era

possibile ottenere contestualmente l'accertamento dell'invalidità

ed il riconoscimento del diritto alla prestazione) due distinti pro cedimenti giudiziari.

Sulla base di tali premesse, appare inevitabile ritenere illegit

time quelle disposizioni del regolamento che hanno innovato

la precedente disciplina dell'esercizio della tutela giudiziaria, per

vari motivi: a) perché eccedono i limiti della delega in base alla

quale il regolamento è stato emanato; b) per contrasto con la

disciplina previgente, che non può ritenersi abrogata né modifi

cata dalle nuove disposizioni regolamentari; c) perché fortemente

limitative del diritto — costituzionalmente garantito — di agire

in giudizio per far valere i propri diritti; d) per violazione della riserva di legge in tema di delega di funzioni amministrative

alle regioni; è) per gli effetti sul regime di anticipazione delle

spese nel processo.

A) In ordine al primo aspetto, è opportuno richiamare il te

sto dell'art. 11 1. 24 dicembre 1993 n. 537, che ha così disposto:

«1. Con regolamento, da emanare ai sensi dell'art. 17, 2°

comma, 1. 23 agosto 1988 n. 400, nel termine di novanta giorni

dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede

al riordinamento dei procedimenti in materia di invalidità civi le, cecità civile e sordomutismo, sulla base dei seguenti criteri:

a) semplificazione dei procedimenti;

b) distinzione del procedimento di accertamento sanitario dal

procedimento per la concessione delle provvidenze con attribu

zione della rispettiva competenza alle commissioni mediche di

cui alla 1. 15 ottobre 1990 n. 2905, e ai prefetti;

c) soppressione dei comitati provinciali di assistenza e benefi

cenza pubblica e devoluzione delle funzioni concernenti le prov

videnze in favore dei minorati civili ai prefetti; d) previsione della facoltà dell'invalido convocata per accer

tamenti sanitari di motivare la propria impossibilità a risponde

re e di indicare la data in cui può effettuarsi visita domiciliare.

2. L'abrogazione delle vigenti norme di legge incompatibili

con il regolamento di cui al 1° comma ha effetto dalla data

di entrata in vigore del regolamento stesso».

Che la legge di delega, nell'attribuire al governo il potere di riordinare i procedimenti in materia di invalidità civile, inten

desse riferirsi esclusivamente ai procedimenti amministrativi, è

reso palese, in primo luogo, dal preciso ed univoco riferimento

a tale tipo di procedimenti contenuto nella lett. b), che ne attri

buisce la competenza, rispettivamente, alle commissioni medi

che e ai prefetti; in secondo luogo, dalla mancanza di qualsiasi

disposizione che contenga un espresso riferimento al momento

della tutela giudiziaria; in ultimo, dalla considerazione logica

che, se il legislatore avesse inteso conferire al governo il potere

di innovare in una materia così delicata quale è quella dell'eser

cizio dell'azione giudiziaria, lo avrebbe fatto con una delega

esplicita e con indicazione precisa dei limiti e dei criteri dell'in tervento normativo, ancor più di quanto ha fatto nell'attribuire

la delega per il riordinamento dei procedimenti amministrativi.

Né vale, per sostenere la legittimità della normativa regola

mentare, osservare che la previsione di una duplice legittimazio

ne passiva (della regione e del ministero dell'interno) è coerente

con la distinzione fra i due procedimenti amministrtivi. Ben più

gravi sono i motivi di incoerenza con principi fondamentali del

l'ordinamento ravvisabili nelle disposizioni in esame, come sarà

evidenziato più avanti. D'altro canto, la mera compatibilità di

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PARTE PRIMA

una norma regolamentare — che abbia portata innovativa del

precedente sistema — con i principi di differente contenuto det

tati dalla legge di delega non è sufficiente a legittimarla, essen

do invece a tale scopo necessario che la norma sia stata emessa

sulla base e nei limiti della delega conferita dal legislatore. Il

che, nella fattispecie in esame, sembra da escludere per i motivi

già esposti. In altre parole, la categoria della coerenza logica non può

sostiture quella del rigoroso rispetto della delega.

Pertanto, deve ritenersi che il governo, nel modificare le mo

dalità di esercizio della tutela giurisdizionale, abbia ecceduto

dai limiti della potestà regolamentare autorizzata, emanando ac

canto alle disposizioni per il riordinamento dei procedimenti am

ministrativi — cui era limitata la delega — disposizioni estranee

a tale materia e perciò illegittime.

B) Strettamente connesso al primo è il secondo profilo di ille

gittimità. Il regolamento in esame rientra, per espressa qualificazione

operata dalla legge di delega attraverso il riferimento all'art.

17, 2° comma, 1. 23 agosto 1988 n. 400, fra i c.d. regolamenti autorizzati. Questi ultimi vengono emanati con decredo del pre sidente della repubblica previa deliberazione del consiglio dei

ministri, sentito il Consiglio di Stato, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, «per le quali le leggi della repubbli

ca, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del go

verno, determinano le norme generali regolatrici della natura

e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dal

l'entrata in vigore delle norme regolamentari (art. 17, 2° com

ma, cit.). Nel caso di specie, come si è visto, l'effetto abrogativo delle

norme previgenti incompatibili con la nuova disciplina regola mentare è stato espressamente ribadito dal 2° comma dell'art.

11 della legge di delega. Ovviamente tale effetto, non derivante dall'intrinseca forza

del regolamento ma dalla legge di delega, è subodinato al legit timo esercizio della potestà delegata e, soprattutto, al rispetto dei limiti della delega stessa. Oltre tali confini, il regolamento emanato dal governo conserva l'efficacia propria dell'atto am

ministrativo e non ha il potere di abrogare norme preesistenti di rango superiore.

In particolare, non è in grado di abrogare la disciplina della

tutela giurisdizionale contenuta nella 1. 30 marzo 1971 n. 118

e sucessive modifiche, in base alla quale — secondo l'interpre tazione oramai consolidata della giurisprudenza, tale da costi

tuire «diritto vivente» — può essere esercitata in un unico pro cesso l'azione giudiziaria nei confronti del ministero dell'inter

no per l'accertamento contestuale dell'invalidità e del diritto alle

provvidenze economiche.

Di conseguenza, le nuove disposizioni contenute negli art. 3, 5° comma, e 6, 4° comma, d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698

risultano in contrasto con la disciplina legislativa preesistente

e, non avendo il potere di abrogarla o modificarla, devono rite

nersi illegittime.

C) Le disposizioni in oggetto violano, inoltre, il diritto di

agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, sancito dal 1°

comma dell'art. 24 Cost.

Infatti, costringendo l'interessato a proporre — in primo gra do — due distinti e successivi giudizi per far valere un unico

diritto soggettivo (per giunta, dopo aver percorso prima di cia

scuno di essi un lungo iter amministrativo), tali norme introdu

cono una gravosa ed irrazionale limitazione alla tutela giurisdi zionale del cittadino.

Gravosa, perché raddoppia i tempi, già di per sé lunghi, del

normale iter giudiziario. Irrazionale, perché la previsione di due distinti procedimenti

giudiziari (rispettivamente, per l'accertamento dell'invalidità e

per il riconoscimento del diritto alle provvidenze economiche) non ha logica giustificazione, in quanto contrasta sia con la

generale esigenza di celerità della tutela giudiziaria, sia con il

principio di economia processuale cui si ispira il nostro ordina

mento nell'agevolare, al contrario, la proposizione di più do

mande in un unico processo (v. art. 31 ss. c.p.c.), sia con la

necessità di omogneità e coerenza del sistema processuale, nel

quale la fattispecie introdotta dal regolamento in esame rappre

II Foro Italiano — 1998.

sentrebbe un caso isolato di frazionamento della tutela giurisdi

zionale di un unico diritto soggettivo.

D) La norma che introduce — modificando profondamente

l'ordinamento preesistente — la legittimazione passiva della re

gione nel giudizio per l'accertamento dell'invalidità civile appa re in contrasto anche con l'art. 118, 2° comma, Cost., che con

tiene un'espressa riserva di legge in tema di delega di funzioni

amministrative alle regioni in materie diverse da quelle elencate

nel precedente art. 117.

Non vi è dubbio, infatti, che la funzione di resistere nei giu dizi promossi da privati cittadini per l'accertamento dell'invali

dità civile, pur avendo natura propriamente amministrativa non

ha nulla a che vedere con la materia dell'assistenza sanitaria,

che è attribuita alle regioni dagli art. 117 e 118, 1° comma,

Cost, ed è riferibile, oltretutto, alla sola funzione di erogazione dell'assistenza.

Ed è altrettanto evidente che la 1. 537/93 non contiene il ben

ché minimo cenno alla delega di funzioni amministrative alle

regioni, che l'art. 11 neppure nomina.

Ma, oltre a violare la riserva di legge, la norma regolamenta re in esame contiene palesi profili di irrazionalità nella parte in cui attribuisce alle regioni la legittimazione passiva rispetto ad atti o comportamenti delle varie commissioni mediche, nes

suna delle quali è organo della regione. Per quanto riguarda le commissioni mediche Usi, che l'art.

1 1. 295/90 configura come organismi tecnici delle stesse Usi

ed alle quali normalmente compete l'accertamento sanitario del

l'invalidità, l'incongruenza è resa ancor più palese dall'istituzio

ne delle nuove unità sanitarie locali, cui l'art. 3 d.leg. 30 dicem

bre 1992 n. 502 espressamente attribuisce natura di «azienda

dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organiz

zativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tec

nica», ovverosia di ente completamente distinto dalla regione. Ciò vale ancor più ad escludere, sul piano logico-interpretativo,

che il legislatore ordinario abbia inteso delegare all'emanando

regolamento l'introduzione della legittimazione passiva delle re

gioni, ed a confermare la tesi dell'eccesso di delega.

E) Un ultleriore motivo di contrasto delle norme in esame

con principi costituzionali potrebbe ravvisarsi per la mancanza, nell'ordinamento vigente, di una disposizione che consenta di

porre a carico della regione l'anticipazione delle spese di consu

lenza tecnica di ufficio (spese che, notoriamente, ricorrono in

quasi tutte le cause promosse per l'accertamento dell'invalidità).

Infatti, per quanto riguarda i giudizi contro gli istituti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatoria, l'onere di an

ticipazione si fonda su una norma speciale (art. 125, ultimo

comma, r.d. 28 agosto 1924 n. 1422); per le cause proposte contro l'amministrazione dello Stato per ottenere la concessione

delle previdenze economiche di invalidità il medesimo effetto

viene fatto discendere — secondo un'interpretazione piuttosto diffusa — dall'applicazione analogica di quella stessa norma

all'amministrazione statale che svolge una funzione simile nel

l'erogare le previdenze in favore degli invalidi civili.

Tale argomento sarebbe difficilmente utilizzabile per sostene

re l'esistenza di un onere di anticipazione di spese a carico delle

regioni nei giudizi promossi nei loro confronti a norma dell'art.

3, 5° comma, d.p.r. 698/94, poiché tali enti non sono erogatori di prestazioni previdenziali od assistenziali obbligatorie.

La conseguenza sarebbe l'applicazione della norma generale dell'art. 90 c.p.c., per effetto della quale l'onere di anticipare in giudizio le spese di consulenza tecnica sarebbe a carico del

cittadino che aspiri alla prestazione assistenziale. Una tale disci

plina porrebbe seri dubbi di compatibilità con gli art. 3, 24 e 38 Cost., per motivi analoghi a quelli che hanno indotto la Cor

te costituzionale a confermare la legittimità dell'art. 152 disp. att. c.p.c., che dispone l'esonero del lavoratore soccombente

nei giudizi per prestazioni previdenziali dal pagamento di spese,

competenze ed onorari (sent. 135/87, id., 1987,1, 1974, e 60/79,

id., 1979,1, 2295); poi, ad estendere l'applicazione della norma in favore dei destinatari dell'assistenza pubblica (sent. 85/79,

ibid., 2294); infine, a dichiarare l'illegittimità dell'art. 4, 2° com ma, d.l. 19 settembre 1992 n. 384 che aveva abrogato l'art. 152 (sent. 134/94, id., 1994, I, 1303).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

F) Per effetto della violazione dei limiti della delega e del

contrasto con i principi costituzionali richiamati, le norme rego lamentari devono essere dichiarate illegittime e disapplicate dal

giudice ordinario, come qualsiasi atto amministrativo contra

legem. A tal proposito, va ricordato che la giurisprudenza della Cor

te costituzionale è rigorosa e costante nel ritenere soggetti al

giudizio di costituzionalità soltanto le leggi in senso formale, ovverosia le leggi in senso stretto, i decreti legge, i decreti legis lativi delegati, con esclusione di ogni tipo di regolamento.

Analogamente la Corte di cassazione, pur avendo talvolta qua lificato i regolamenti c.d. delegati (detti anche indipendenti o

liberi) come atti di normazione secondaria aventi forza di legge

(Cass. 16 luglio 1992, n. 8604, id., 1993, I, 853), ha per il pas sato affermato che anche su tali regolamenti dev'essere esercita

to il controllo di legittimità da parte del giudice ordinario, ai

fini dell'eventuale disapplicazione (Cass. 1° aprile 1982, n. 2006, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 103); né risulta che

tale orientamento sia stato modificato da più recenti pronunce. In dottrina, un'opinione minoritaria ritiene di poter distin

guere, all'interno dello stesso regolamento delegato, una parte di norme di natura meramente amministrativa da altre aventi

natura legislativa; ipotizzando solo per queste ultime la possibi lità di rimessione alla Corte costituzionale.

La maggior parte degli autori, però, esclude totalmente che

i regolamenti delegati possano essere assoggettati al sindacato

di costituzionalità della corte (fra gli altri, Mortati, Pizzorusso), riconoscendo tale possibilità solo nei confronti della legge di

delega che abbia omesso di fissare limiti e indirizzi precisi alla potestà regolamentare.

Conseguenza della disapplicazione delle norme regolamentari

illegittime (art. 3, 5° comma, e art. 6, 4° comma, nella parte in cui limita la legittimazione passiva del ministero ai soli giudi zi per l'attribuzione di provvidenze economiche) è il permanere

del precedente regime del contenzioso giudiziario, sia per quan

to riguarda la legittimazione passiva del ministero dell'interno,

sia in ordine alla possibilità di richiedere le prestazioni econo miche di invalidità in un unico giudizio.

La coesistenza della nuova disciplina dei procedimenti ammi

nistrativi con il preesistente regime della tutela giurisdizionale

non sembra dar luogo ad incongruenze né a particolari difficol

tà di coordinamento.

Infatti, anche il nuovo regolamento prevede la possibilità di

proporre con un'unica domanda amministrativa l'istanza per

l'accertamento sanitario dell'invalidità civile e quella per la con

cessione delle provvidenze economiche (art. 1,1° comma), non

ché la trasmissione di ufficio dalla commissione medica alla pre

fettura dell'istanza di concessione della prestazione e del verba

le di visita, se favorevole (art. 1, 5° comma).

Sicché potrà aversi, nell'ipotesi di un iter amministrativo re

golare e favorevole, l'accoglimento della domanda di prestazio ne attraverso l'espletamento dei due distinti e successivi proce

dimenti. Laddove, in caso di omessa convocazione a visita o

di esito sfavorevole del procedimento per l'accertamento sanita

rio, l'interessato potrà convenire in giudizio il ministero dell'in

terno per far valere, in un unico processo, il diritto al riconosci

mento dell'invalidità ed all'erogazione del beneficio economico.

Né può dirsi che, in questa seconda ipotesi, l'azione giudiziaria

sarebbe esercitata senza il previo espletamento dell'/ter ammini

strativo, dal momento che la domanda volta ad ottenere la pre

stazione è stata ritualmente proposta e l'esito sfavorevole dell'i

stanza di riconoscimento dell'invalidità rende del tutto super

fluo lo svolgimento del secondo procedimento amministrativo.

Il Foro Italiano — 1998.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Difensore e difesa penale — Assenza dei difensore — Designa zione di sostituto — Termine per la difesa — Omessa previ sione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.

3, 24; cod proc. pen., art. 108).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

108 c.p.p., nella parte in cui non comprende, tra i presupposti

per la concessione di un termine per la difesa al difensore desi

gnato che ne faccia richiesta, anche la semplice assenza dall'u

dienza del difensore di fiducia, in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 30 dicembre 1997, n. 450 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 7 gennaio 1998, n. 1); Pres.

Granata, Est. Vassalli; Bortone e altri; interv. Pres. cons, mini

stri. Ord. Pret. Napoli-Marano 5 dicembre 1996 (G.U., la s.s., n. 14 del 1997).

(1) Nel dichiarare l'infondatezza della questione sollevata dal giudice a quo, la corte sottolinea come sussista una ratio comune alle ipotesi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono di difesa (pur se, in

tale ultimo caso con qualche peculiarità) prese in esame dall'art. 108

c.p.p.: in ciascuna di esse l'imputato rimane privo di assistenza difensi

va, e pertanto si profila l'esigenza di garantire al nuovo difensore, sem

pre che questi ne faccia richiesta, un termine per lo studio degli atti, «di norma» non inferiore a tre giorni (per ulteriori note sull'indicato

denominatore comune e sulla misura del termine, cfr., per tutti, Frigo, in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amo

dio e Dominioni, Milano, 1989, I, sub art. 108, 716 ss.; sulla palese

inadeguatezza di termini eccessivamente angusti, cfr. Cass. 22 giugno

1995, Marandola, Foro it., Rep. 1996, voce Difensore e difesa penale, n. 33). La mera assenza del difensore si colloca, di contro, su un diver

so piano prospettico, potendo essa risalire ad una molteplicità di cause

(impedimento improvviso che è impossibile render noto, semplice ritar

do, scelta di strategia difensiva in ipotesi anche a conoscenza dell'impu

tato): ad essa non può, dunque, sotto il profilo della doverosità costitu

zionale, ricollegarsi una tutela analoga a quella prevista per le situazio

ni contemplate dall'art. 108 c.p.p. In altri termini, rimarca la corte, la scelta del difensore di non partecipare al processo, ove non condizio

nata da situazioni di impedimento (rilevanti, ad esempio, ex art. 486, 5° comma, c.p.p.) non può in nessun caso turbare lo svolgimento del

rito; non è, invero, pensabile consentire che «attraverso una serie di

assenze non previste e non motivate si innesti una serie di rinvìi ex

art. 108», i quali, pur se ciascuno di pochi giorni, possono condurre, «come il più delle volte accade nella vita giudiziaria, a intervalli di lun

ghezza insostenibile per un ordinato svolgimento della giustizia e per

gli interessi delle altre parti del processo». Quanto, d'altronde, all'esi

genza di «assicurare la concretezza della difesa attraverso il sostituto

d'ufficio designato nella stessa udienza», il giudice — sottolinea ancora

la corte — «potrà sempre concedere allo stesso, tenendo conto della

natura dell'attività da svolgere e della rilevanza che la stessa può assu

mere in relazione alla specifica funzione dell'imputato, un differimento

ad horas per studiare gli atti e congniamente prepararsi alla difesa».

Per rilievi «a prima lettura» sulla pronuncia in epigrafe, cfr. Bricchet

ti, La mancata apparizione a dibattimento non è paragonabile alla re

voca della nomina, in Guida al diritto, 1998, fase. 4, 75.

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