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Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70; Pres. Azzariti P., Rel. Manca; Società Chimical (Avv. M. S....

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Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70; Pres. Azzariti P., Rel. Manca; Società Chimical (Avv. M. S. Giannini, Nicolò, Sorrentino) e Società Lancellotti (Avv. Tagliaferri) c. I.n.a.m. (Avv. Dedin, Jemolo); interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Salerni) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 1 (1961), pp. 3/4-9/10 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174699 . Accessed: 25/06/2014 04:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 04:49:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70; Pres. Azzariti P., Rel. Manca; Società Chimical (Avv. M. S. Giannini, Nicolò, Sorrentino) e Società Lancellotti (Avv. Tagliaferri) c. I.n.a.m.

Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70; Pres. Azzariti P., Rel. Manca; Società Chimical (Avv. M. S.Giannini, Nicolò, Sorrentino) e Società Lancellotti (Avv. Tagliaferri) c. I.n.a.m. (Avv. Dedin,Jemolo); interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Salerni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 1 (1961), pp. 3/4-9/10Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174699 .

Accessed: 25/06/2014 04:49

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PARTE PRIMA

si sarebbero dovuto riprodurre per sostituirle « fra l'altro

a quelle dell'anzidetto decreto del 1934 che non possono essere messe in attuazione ».

Di più, da tutto il contenuto del r. decreto legge n. 317

del 1939 si desume che al Governo si chiedeva una disci

plina completa di tutta la materia delle privative indu

striali, come dei modelli e dei marchi (va ricordata anche la sentenza n. 42 del 1958 di questa Corte) : disciplina che

pertanto, dovendosi tenere conto di necessità sopraggiunte dopo il 1934 e di nuove esperienze, non era attuabile con le sole disposizioni del r. decreto n. 1602 del 1934 e delle

leggi precedenti. Occorrevano più ampi poteri che non

fossero quelli di semplice coordinamento e adattamento delle aorme già scritte. Questi poteri furono appunto conferiti con l'ultima parte del citato art. 3, 2° comma, della legge di delegazione, per il quale il Governo poteva

integrare, oltreché modificare e sopprimere, i precetti contenuti nel r. decreto n. 1602 del 1934.

La Eelazione, richiamata poco fa, non mancava di

osservare in proposito che il Governo aveva avuto « i

necessari poteri non solo per coordinare, ma anche per

integrare le disposizioni da mandare in attuazione » : con il che essa, distinguendo, contrapponeva la funzione inte

grativa alla funzione coordinatrice di quelle disposizioni, mentre il r. decreto legge n. 317 del 1939, sempre nell'art. 3, 2° comma, lasciava intendere che l'integrazione si dovesse

fare, oltreché per lo scopo di armonizzare il r. decreto n. 1602 del 1934 con gli accordi internazionali e con le vecchie leggi, anche per un altro fine.

Infatti l'osservazione del Tribunale di Milano, secondo cui il Governo poteva integrare, modificare e sopprimere le norme del r. decreto n. 1602 del 1934 (a parte le esigenze del coordinamento) solo per adattarle alle convenzioni

internazionali e alle leggi dello Stato, non può essere accolta ; vi si oppone, fra l'altro, il testo stesso dell'art. 3, 2° comma : « integrando, modificando, sopprimendo, anche

per armonizzarle, ecc. » : l'armonizzazione rispetto agli accordi internazionali e alle leggi interne era soltanto uno

degli scopi per cui le disposizioni del r. decreto n. 1602

del 1934 dovevano essere integrate, modificatelo soppresse dal Governo.

Ma l'altro scopo, in vista del quale si era data al Governo una così ampia potestà di integrazione, non identificandosi

nel coordinamento, come risulta anche dalla Relazione, non poteva essere se non quello di completare e aggior nare con norme nuove le disciplina preesistente.

Se ne conclude che il Governo, emettendo con l'art. 83 r. decreto n. 1127 del 1939 un precetto che integrava la tutela preventiva già contenuta nelle disposizioni prece denti, non è andato oltre i limiti dei poteri attribuitigli dalla legge di delegazione. Tanto più in quanto con ciò introduceva una norma che si poteva dire vigente presso altri Paesi aderenti alle convenzioni internazionali rela tive ai brevetti.

Per questi motivi, dichiara non fondata la questione, proposta con l'ordinanza del 25 settembre 1959 dal Trib. di Milano, sulla legittimità costituzionale dell'art. 83 del r. decreto 29 giugno 1939 n. 1127, in relazione alla legge di delegazione r. decreto legge 24 febbraio 1939 n. 317.

CORTE COSTITUZIONALE.

Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70 ; Pres. Azzariti P., Eel.

Manca ; Società Chimical (Avv. M. S. Giannini, Nicolò,

Sorrentino) e Società Lancellotti (Avv. Tagliaferri) c. I.n.a.m. (Avv. Dedin, Jemolq) ; interv. Pres. Cons,

ministri (Avv. dello Stato Salerni).

Sanità pubblica — Vendita «li medicinali — Sconto a ìavorc di determinati enti —• Misura ■— Poteri

del Ministro della sanità —- Incostituzionalità della normativa — Limiti (Costituzione della Repub blica, art. 3, 23, 38, 53 ; 1. 4 agosto 1955 n. 692, esten

sione dell'assistenza di malattia ai pensionati di inva

lidità e vecchiaia, art. 3, 4).

È incostituzionale, per contrasto con l'art. 23 della Costitu

zione, l'art. 4, 3° comma, legge 4 agosto 1955 n. 692, nella

parte in cui il potere di fissare uno sconto, in misura

superiore al 17% a favore degli istituti e degli enti in

dicati nell'art. 2 della legge medesima, è attribuito al

Ministero per la sanità, senza fissare criteri e limiti. (1) Sono, invece, infondate le questioni d'incostituzionalità del

l'art. 4, 3° comma, per il contrasto che si assume sus

sistere con gli art. 3 e 38 della Costituzione. (2)

La Corte, ecc. — Le due cause, discusse nella stessa

udienza, debbono essere riunite e decise con unica sen

tenza, data l'identità della questione.

1) Come risulta dalle ordinanze, ed è pacifico, la que stione di costituzionalità è sollevata riguardo al 3° com

ma dell'art. 4 legge 4 agosto 1955 n. 692, il cui testo è

stato sopra riportato. Il dubbio sulla costituzionalità della

disposizione è prospettato dall'ordinanza emessa dal

Tribunale di Roma in riferimento agli art. 3, 23, 38 e 53

Cost., e dall'ordinanza emessa dal Pretore di Napoli in

riferimento agli art. 3, 38, 41, 42 e 53.

2) La Corte non ritiene fondati i rilievi che la difesa

dell'Istituto naz. per l'assicurazione contro le malattie

(I.n.a.m.), senza peraltro formulare al riguardo conclu

sioni, deduce preliminarmente circa il giudizio sulla rile

vanza espresso dal Tribunale di Eoma. Il Giudice del

merito, si assume, avrebbe sollevato la questione di costi

tuzionalità senza tener conto : 1° che sostanzialmente

l'azione intentata dalla Società « Chimical » aveva come

presupposto il rifiuto di dare esecuzione al decreto dell'Alto

commissario del 18 novembre del 1955, e che perciò contro

questo provvedimento si sarebbe dovuto proporre l'impu

gnazione nella competente sede, nella quale si sarebbe

potuta dedurre l'eccezione di incostituzionalità della norma

legislativa ; 2° che, comunque, l'Alto commissario ha

determinato in concreto lo sconto preveduto dal 3° comma

dell'art. 4, nella misura minima del 17% già stabilita

dalla legge. Di guisa che, anche se tale sconto si confi

gurasse come prestazione patrimoniale obbligatoria, ai

sensi dell'art. 23 Cost., l'eccezione di illegittimità della

disposizione, per mancanza, nella parte variabile, di criteri

e di limiti idonei a circoscrivere il potere dell'Amministra

(1-2) Delle due ordinanze di rinvio, quella Trib. Roma 25

giugno 1959 è massimata in Foro it., 1959, I, 1807, con nota di richiami (ed è criticata da Crisafulli, Sconto obbligatorio sul prezzo dei medicinali e art. 23 della Costituzione, in I problemi della sicurezza sociale, pag. 9-13 dell'estratto) ; mentre quella del Pret. Napoli 20 ottobre 1959 è riprodotta su Le Leggi, 1959, 1152.

Delle sentenze della Corte costituzionale, richiamate nella motivazione di quella che si annota, la 26 gennaio 1957, n. 4, Foro it., 1957, I, 202, ha ritenuto essere necessario che la legge, che attribuisce il potere di imposizione, indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere attribuitogli; la 26 gennaio 1957, li. 30, ibid., 502, ha negato illegittimità costituzionale alla norma che delega ad un comitato di determinare il corrispettivo giornaliero per l'uso della bombola di metano ; la 18 marzo 1957, n. 47, ibid., 912, ha dichiarato incostituzionali le norme che regolano l'imposi zione e l'accertamento dei contributi dovuti agli enti provinciali del turismo da soggetti diversi da enti pubblici ; la 8 luglio 1957, n. 122, ibid., 1129, nega il contrasto dell'art. 23 Cost, con la norma che attribuisce al Ministro dei lavori pubblici il potere di determinare il perimetro dei bacini imbriferi montani ai fini

dell'imposizione del sovracanone ai concessionari di grandi deri vazioni per produzione di forza motrice ; la 27 giugno 1959, n. 36, id., 1959, I, 1069, ha dichiarato illegittimo l'art. 2 decreto

legisl. 8 novembre 1947 n. 1417, concernente la disciplina delle

pubbliche affissioni e pubblicità affini, in quanto comprendo nella fissazione delle tariffe per il servizio di pubblicità imposi zioni tributarie senza determinare criteri e limiti.

Infine, con la sentenza 26 gennaio 1957, n. 29, id., 1957, I, 505, non si è ravvisato in contrasto con l'art. 41 Cost, il divieto di vendere al pubblico specialità medicinali a prezzo inferiore a quello segnato sull'etichetta.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zione, sarebbe perciò irrilevante nella controversia pro mossa dalla Società « Chimical ».

Sul primo punto la Corte osserva che il Tribunale, circa la rilevanza, ha sufficientemente motivato, perchè ha premesso che la eccezione di incostituzionalità riguarda in definitiva l'art. 4 della legge, di cui il decreto dell'Alto

commissario ha determinato soltanto le modalità di appli cazione, ed ha precisato, con giudizio insindacabile, che

le ragioni delle parti avevano come presupposto proprio

l'applicazione della norma legislativa che si assume viziata

d'incostituzionalità.

Osserva, sul secondo punto, che l'eccezione dedotta

dalla difesa dell'I.n.a.m. tendeva in sostanza a negare alla

Società « Chimical » l'interesse a promuovere la contro

versia, e che l'accertamento sulla sussistenza o meno di tale

interesse rientra nell'apprezzamento del giudice del merito, non soggetto a controllo in questa sede.

Nessuna critica d'altra parte si può muovere al Tri

bunale per non aver respinto l'eccezione di incostituzio

nalità, essendo rimesso esclusivamente al giudice del merito

sollevare la questione, ed alla competenza di questa Corte

decidere sulla fondatezza o meno della questione medesima.

3) Il problema principale, che ora si prospetta, consiste

nell'esaminare se lo sconto obbligatorio, stabilito a favore

degli istituti e degli enti indicati nell'art. 2 legge del 1955

già ricordata, debba qualificarsi come prestazione patrimo niale imposta in base alla legge, ai sensi dell'art. 23 Cost., come deduce la Società « Chimical » ; ovvero se si debba

considerare come un'ulteriore riduzione del prezzo d'im

pello, stabilito per la vendita dei prodotti farmaceutici, a favore degli enti assistenziali indicati dalla legge, e perciò

quale prezzo differenziato, sostanzialmente analogo al prezzo

d'imperio, e del tutto diverso, per sua stessa natura, dalle

prestazioni patrimoniali imposte. Questa tesi, sostenuta dalla difesa dell'I.n.a.m. e dal

l'Avvocatura dello Stato, muove dal presupposto che la

concessione di uno sconto si presenta come fenomeno nor

male non soltanto nelle libere contrattazioni, ma altresì

quando la determinazione dei prezzi, o l'imposizione di

uno sconto a favore di determinate categorie di soggetti, è

disciplinata da norme legislative. In entrambi i casi, si

sostiene, il concessionario di un pubblico servizio, il pro duttore e il venditore, per stabilire la tariffa o il prezzo, terranno conto del volume degli affari e anche dello sconto

da praticarsi, così da assicurare un congruo margine di

utile. La situazione non sarebbe diversa se riferita allo

sconto obbligatorio preveduto dal ricordato 3° comma

dell'art. 4, poiché anche questo sarebbe strettamente col

legato con i prezzi d'imperio invariabili, stabiliti per la

vendita dei prodotti medicinali a tutti i consumatori, e

dei detti prezzi avrebbe la medesima natura sostanziale.

La tesi non è fondata. È vero che i prezzi di vendita al

pubblico dei prodotti farmaceutici, approvati dalle com

petenti autorità, rientrano nella categoria dei prezzi d'im

perio, invariabili in base alle disposizioni dell'art. 125 t. u.

delle leggi sanitarie (approvato con decreto del 27 luglio 1934 n. 1265) ; disposizioni ritenute costituzionalmente le

gittime con la sentenza di questa Corte n. 29 del 1957

(Foro it., 1957, I, 505). Ma da ciò non si può trarre la illa

zione che, alla stessa stregua, debba considerarsi anche lo

sconto obbligatorio, di cui si discute. Non è contestato

infatti che i prezzi anzidetti, valevoli per la generalità

degli acquirenti, sono determinati in seguito ad un proce

dimento, nel quale si tiene conto di vari coefficienti, al

fine, già posto in luce dalla citata sentenza, di tutelare il

pubblico, non soltanto da eventuali specidazioni, ma anche

dagli inconvenienti che dalla libera concorrenza potrebbero derivare per la preparazione dei medicinali, con risultati

pregiudizievoli per la salute dei cittadini. Lo sconto ob

bligatorio invece, stabilito dal citato art. 4, è diretto al

conseguimento di una diversa finalità, pure di interesse

generale, quella cioè di assicurare, con mezzi adeguati, l'assistenza farmaceutica, nella misura più estesa possibile, a tutti i pensionati di invalidità e vecchiaia. Ed è perciò

che, nel sistema della legge del 1955, coerentemente alla

predetta finalità, come risulta anche dai lavori preparatori,

questo sconto è regolato in modo autonomo rispetto ai

prezzi di vendita al pubblico. Esso è infatti imposto al

di fuori di tali prezzi (come è pacifico), ed oltre quegli sconti che, di regola, vengono praticati a favore dei gros sisti e dei farmacisti. È la legge stessa, d'altra parte, che

ne stabilisce direttamente la misura minima, non inferiore

al 17%, ponendo a carico dei farmacisti una parte di questa

percentuale nella misura fissa del 5% ; e che dispone altresì

che alla determinazione provvede annualmente, con proprio

decreto, il Ministro per la sanità di concerto col Ministro

per il lavoro e la previdenza sociale. Da ciò deriva che lo

sconto obbligatorio non può essere assimilato ai prezzi

d'imperio, nè tanto meno paragonato alle agevolazioni nelle

tariffe stabilite per i servizi di trasporto, a favore di parti colari categorie di persone.

4) Il carattere speciale dello sconto e le finalità per le

quali è stato stabilito, inducono a ritenere invece che sia

da qualificare come prestazione patrimoniale imposta a

favore degli istituti e degli enti pubblici indicati dalla legge del 1955, in relazione ai compiti istituzionali ad essi affi

dati ; prestazione compresa perciò nella sfera di appli cazione dell'art. 23 della Carta costituzionale.

È noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte

(sentenza n. 4 del 1957, Foro it., 1957, I, 202), la presta zione patrimoniale ha tale carattere quando è istituita con

atto di autorità senza il concorso della volontà del soggetto

passivo, quale che sia la denominazione attribuita dalla

legge che la impone. In base a questo principio sono state

ritenute prestazioni patrimoniali nel senso anzidetto, oltre

il « diritto di contratto » dovuto all'Ente risi (sentenza n. 4

ora ricordata), il corrispettivo dovuto all'Ente metano

(ora E.n.i.) dagli utenti di bombole, per i servizi posti a

carico dell'ente (sentenza n. 30 del 1957, "ricordata anche

dalla difesa della Società « Chimical », ibid., 502), il contri

buto dovuto agli enti provinciali del turismo (sentenza n. 47 del 1957, ibid., 912) ; ed inoltre il sovracanone dovuto

dai concessionari di grandi derivazioni dai bacini imbriferi

montani (sentenza n. 122 del 1957, ibid., 1129) e le presta zioni patrimoniali dovute ai comuni per le pubbliche af

fissioni effettuate dai privati (sentenza n. 36 del 1959, id.,

1959, I, 1069). Ora, coerentemente all'interpretazione che è stata data

al precetto costituzionale, la prestazione patrimoniale è

configurabile non soltanto quando l'obbligazione istituita

autoritativamente consiste nel pagamento di una somma di

denaro, ma anche quando il sacrificio pecuniario deriva

dalla riduzione di una parte dell'utile altrimenti spettante ; di quella parte di utile cioè che, nel caso in esame, i produt tori dei medicinali avrebbero conseguito se non fosse ad

essi imposto l'ulteriore sconto. Pure in questa ipotesi non

si può disconoscere che sussiste un prelievo di ricchezza a

carico di soggetti ed a favore di enti pubblici. È infatti palese che alla ulteriore riduzione del prezzo

dei medicinali corrisponde, a favore degli enti assistenziali, un risparmio di spesa rispetto al prezzo di vendita al pub

blico, con conseguente aumento della capacità di acquistare ; la quale poi, in definitiva, si risolve in un aumento delle

disponibilità finanziarie da parte degli enti stessi. E che

questa sia stata la ragione determinante per cui, nella

legge del 1955, sono state inserite le disposizioni dell'art. 4,

è posto in luce dai lavori preparatori, dai quali risulta che

la Commissione del Senato si preoccupò, in modo partico

lare, di porre in grado gli istituti e gli enti indicati nell'art. 2

della legge, di sostenere gli oneri derivanti dai nuovi compiti ad essi affidati, non avendo ritenuto sufficiente il finanzia

mento preveduto nell'art. 5 e nell'art. 6 della legge mede

sima.

Le osservazioni sopra esposte chiariscono che, anche

nello sconto di cui al 3° comma dell'art. 4, concorrono gli elementi necessari perchè possa ritenersi compreso nel

l'ambito dell'art. 23 Cost., e dimostrano altresì che, anche

nel caso attuale, come in altri già esaminati da questa

Corte, di fronte agli elementi ai quali si è accennato, non

hanno rilevanza in contrario, nè la denominazione usata

dalla legge, e neppure il fatto che, nel sistema adottato

dal legislatore, la prestazione venga in concreto realizzata

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PARTE PRIMA

sotto la forma di un'ulteriore riduzione del prezzo di ven

dita dei medicinali. 5) Ciò posto occorre tenere presente che, pure secondo

la ricordata giurisprudenza di questa Corte, la prestazione

patrimoniale può ritenersi costituzionalmente legittima anche quando la legge non ne stabilisce compiutamente gli estremi, ma ne demanda la determinazione al potere ese

cutivo, purché, in questo caso, indichi i criteri e i limiti

idonei a circoscrivere l'esercizio di tale potere. Ora, dal

testo del 3° comma dell'art. 4, risulta che la discrezionalità

del potere esecutivo sussiste (come non si contesta) per la

determinazione dello sconto in misura superiore al minimo ; nè la legge indica alcun criterio idoneo a delimitare il po tere discrezionale del Ministero, come fondatamente rileva

la difesa della Società « Chimical ». Non è esatto, d'altra

parte, che l'esercizio di tale potere sia regolato dagli stessi

criteri direttivi, in base ai quali si procede alla fissazione dei

prezzi di vendita dei prodotti medicinali ; dato che, come

si è chiarito, la determinazione dello sconto, di cui si discute, non è collegata a tale procedimento, come del resto emerge anche dal decreto dell'Alto commissario del 18 novembre

1955 in precedenza ricordato.

E neppure si può ritenere, come accenna la difesa del

l'I.n.a.m. che, alla lacuna della legge, possa supplire il

fatto che il provvedimento è demandato ad un organo amministrativo (il Ministro per la sanità) particolarmente

qualificato. La norma contenuta nell'art. 23 infatti, es

sendo stabilita a garanzia della libertà e proprietà indivi

duale, esige (secondo la ricordata giurisprudenza di questa

Corte) che la stessa disposizione legislativa, che impone la prestazione, indichi i criteri limitativi della discrezio nalità del potere esecutivo.

Da quanto si è esposto consegue che il contrasto con

la norma dell'art. 23 Cost, è ravvisabile per quella parte del

3° comma dell'art. 4 legge del 1955, che demanda al Mi

nistro per la sanità la determinazione dello sconto in misura

superiore al minimo stabilito dalla legge. Questa parte pertanto dev'essere dichiarata costituzionalmente ille

gittima. Altrettanto non si può ritenere invece, per quanto at

tiene alla percentuale minima dello sconto a carico dei pro duttori e per la percentuale fissa a carico delle farmacie,

poiché l'una e l'altra sono già stabilite dalla legge, e il

Ministro non può determinare, come risulta dal testo della

disposizione, lo sconto in misura inferiore al minimo, nè modificare la percentuale posta a carico delle farmacie.

Questa parte della disposizione quindi non è in contrasto con la norma dell'art. 23 Cost.

Data la qualificazione dello sconto sopra chiarita e, in base alla decisione cui è pervenuta la Corte, resta as sorbita l'indagine se l'imposizione dello sconto, per sè

stessa, possa ritenersi incompatibile con le norme degli art. 41 e 42 Cost., come sostiene la difesa della Società « Lancellotti », perchè queste, riguardando la disciplina dell'iniziativa economica e della proprietà privata, operano in una sfera diversa da quella cui si riferisce l'art. 23.

6) Resta invece da esaminare un altro aspetto della

questione, se cioè tale incompatibilità sussista con le norme

degli art. 3, 38 e 53 Cost. Norme che nelle due ordinanze sono collegate, prospettandosi il dubbio che la disposizione impugnata abbia violato il principio della uguaglianza sancito nell'art. 3. Rispetto all'art. 38, perchè si fareb bero ricadere su una particolare categoria, i produttori farmaceutici, oneri che, invece, essendo destinati all'assi stenza sociale, dovrebbero gravare sulla generalità dei cittadini o mediante imposizioni tributarie, o mediante contributi a carico dei lavoratori e di tutte le categorie produttrici. E rispetto all'art. 53, perchè il principio an zidetto non sarebbe stato osservato nella ripartizione dei contributi fra tutti i cittadini.

Peraltro la questione, sotto l'aspetto in cui è prospettata nelle ordinanze, non appare fondata. In proposito la Corte non può che riferirsi alla propria giurisprudenza, nella

quale è stato più volte affermato che il principio fonda mentale dell'art. 3 (riferito dalle ordinanze alla sfera di

applicazione degli art. 38 e 53) non è violato quando ri

sultano diversamente disciplinate situazioni che il legisla tore considera diverse, purché siano osservati i limiti sta

biliti dal 1° comma del detto articolo, e purché il tratta

mento differenziato riguardi categorie di persone e non già

singoli soggetti. Nella specie lo sconto obbligatorio è posto a carico dei produttori di medicinali, cioè di quella categoria di industriali, l'attività dei quali, pur essendo compresa nell'ambito dell'assistenza sanitaria in genere, si ricollega tuttavia, in particolare, direttamente all'assistenza far

maceutica, cui si riferisce il 3° comma dell'art. 4 legge del

1955, in relazione all'art. 3, n. 3, della legge stessa. Cate

goria che perciò il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto più idonea a sostenere in parte l'onere del

l'assistenza anzidetta.

Per ciò che riguarda l'art. 38 è da rilevare inoltre che

già questa Corte, con la sentenza n. 38 del 1960 (Foro it.,

1960, I, 1077), non ha ritenuto in contrasto col predetto articolo, in re'azione con l'art. 3 Cost., le disposizioni del

decreto legisl. 3 ottobre 1947 n. 1222, concernenti l'ob

bligo di assunzione dei mutilati ed invalidi del lavoro a

carico delle imprese private. Questione diversa, ma che esula dalla competenza di

questa Corte, perchè attinente all'opportunità della dispo sizione, è il vedere se, dall'applicazione di essa, i produttori di medicinali possano risentire vantaggi e in quale misura.

La difesa della Società « Chimical » sostiene peraltro che la violazione dell'art. 3 sarebbe ravvisabile, oltre che

nei confronti dei produttori, anche riguardo agli assistiti, in quanto non sarebbero compresi nei benefici speciali della

legge altre categorie di persone che godono dell'assistenza

malattie ; e riguardo agli enti a favore dei quali è imposto lo sconto, perchè questo non si estenderebbe, in pari misura, ad altri enti che pure provvedono all'assistenza farmaceu

tica, come i comuni, le istituzioni locali di assistenza e nu

merose casse mutue aziendali non assorbite dall'I.n.a.m.

Sotto questi aspetti però, la questione, che metterebbe in

discussione il sistema previdenziale ed assistenziale adottato

nella legislazione vigente, non è prospettata nelle due

ordinanze, e non può essere perciò esaminata. Essendo

pure da notare che nelle ordinanze non sono menzionati

nè l'art. 1 legge del 1955, che concerne le categorie dei pen sionati ammessi all'assistenza di malattia, nè l'art. 2 che

indica gli istituti e gli enti a favore dei quali è imposto lo

sconto.

Nè d'altra parte, per quanto attiene all'art. 38, la fina

lità di preminente interesse pubblico, cui sono ispirate le

disposizioni dell'articolo stesso, e i conseguenti compiti

imposti allo Stato dal 4° comma, portano ad escludere, come si obietta, che gli oneri finanziari inerenti a tali com

piti possano far carico a categorie di soggetti diversi dallo

Stato. Esso infatti si avvale, anche in tale caso, dei mezzi

offerti dall'ordinamento giuridico, con imposizione di tri

buti in senso stretto o di altre prestazioni patrimoniali nella forma dei contributi. Questi trovano, come è noto,

larga applicazione nella legislazione vigente e in particolare nelle numerose leggi attinenti alla previdenza ed all'assi

stenza sociale, il sistema delle quali, per quanto attiene al

finanziamento, è fondato principalmente sui contributi

dei datori di lavoro e dei lavoratori. Nè alcun elemento ri

sulta dai lavori preparatori che possa far ritenere che, a

tale sistema, l'art. 38 abbia apportato modificazioni nel

disciplinare i diritti dei lavoratori e gli obblighi dello Stato.

7) La difesa della Società « Chimical » deduce infine

che la violazione dell'art. 53 deriverebbe anche dalla irra

zionalità dell'imposizione dello sconto, come è regolato nel ricordato 3° comma. In quanto cioè l'aumento della

vendita dei medicinali produrrebbe un corrispondente ag

gravamento dell'onere dei produttori, a differenza delle

altre industrie nelle quali l'incremento della produzione

giova all'imprenditore ; e in quanto, non avendo la legge stabilito un limite massimo nella determinazione dello

sconto, questo potrebbe, a un certo punto, annullare ogni profitto per il produttore. Senonchè tali aspetti della que stione, che si riferiscono, in particolare, alla situazione

subiettiva dei produttori gravati dallo sconto, e, di riflesso, alla loro capacità contributiva, non risultano prospettati

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Page 5: Sentenza 16 dicembre 1960, n. 70; Pres. Azzariti P., Rel. Manca; Società Chimical (Avv. M. S. Giannini, Nicolò, Sorrentino) e Società Lancellotti (Avv. Tagliaferri) c. I.n.a.m.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 10

nelle ordinanze ; e perciò non possono formare oggetto di

esame nell'attuale controversia.

Per questi motivi, pronunziando con unica sentenza

sui due procedimenti riuniti come in epigrafe ; dichiara

la illegittimità costituzionale dell'art. 3, 3° comma, legge 4 agosto 1955 n. 692, concernente l'estensione dell'assi

stenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia, nella parte in cui il potere di fissare uno sconto, in misura

superiore al 17%, è attribuito ài Ministero per la sanità, senza fissare criteri e limiti, in riferimento alla norma con

tenuta nell'art. 23 Costituzione.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione II civile; sentenza 19 gennaio 1961, n. 76; Pres. Varallo P., Est. Rossi G., P. M. Mazza (conci, conf.) ; Ricci-Colasanti e Marini (Avv. Chiola) c. Cappel lacci (Avv. Magrone).

(Conferma App. Boma 6 marzo 1959)

Successione •— Figli naturali non riconosciuti o non

riconoscibili -— Assegno vitalizio — Criteri di

determinazione (Cod. civ., art. 580).

L'ammontare dell'assegno vitalizio spettante, dopo la morte

del genitore, al figlio naturale non riconosciuto o non

riconoscibile, ed il limite massimo di esso, come previsto dall'art. 580 cod. civ., van determinati in proporzione dell'intero relictum e non della sola porzione disponibile. (1)

La Corte, ecc. — I ricorrenti denunciano la violazione

e falsa applicazione dell'art. 580 cod. civ. ; ed all'uopo insistono nel sostenere, in contrasto con quanto ha ritenuto

la sentenza impugnata, che l'assegno vitalizio spettante,

dopo la morte del genitore, al figlio naturale non ricono

sciuto e non riconoscibile, nei casi in cui la filiazione risulti

accertata in uno dei modi indicati nell'art. 279, debba

essere determinato, non già in proporzione di tutte le so

stanze che all'atto dell'apertura della successione integrano il patrimonio del de cuius, ma esclusivamente in proporzione di quella parte delle sostanze stesse, che è contenuta entro i limiti della disponibile.

La tesi è destitu ta di giuridico fondamento.

È noto che il diritto ad un assegno vitalizio, attribuito

dalla disposizione, innovativa, dell'art. 580 ai figli naturali

non riconosciuti o non riconoscibili nei casi previsti dal

l'art. 279, essendo ormai svincolato dal presupposto dello

stato di bisogno, ha natura successoria e non alimentare, non è soggetto a variazioni (salvo che dopo la liquidazione di esso si rinvengano ulteriori cespiti ereditari) e, secondo

l'indirizzo decisamente seguito in dottrina e giurisprudenza, va configurato come un diritto di credito che forma og

getto di un legato ex lege. Peraltro, la detta norma non fissa in modo tassativo

la misura dell'assegno o la quota dell'asse ereditario, cui

deve essere commisurato, tenuto conto del reddito che essa

produce o è atta a produrre secondo la ordinaria fruttifi

cazione del relativo valore capitale, ma si limita a disporre che l'assegno stesso non può giammai superare l'ammontare

della rendita della quota a cui i figli naturali avrebbero

diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta, e che, entro questo limite, deve essere determinato in pro

porzione delle sostanze ereditarie e del numero e della

qualità degli eredi. Il legislatore, adunque, in vista della varietà delle si

tuazioni che possano profilarsi in concreto e nell'intento

di fare in modo che si realizzi caso per caso un equo contem

peramento della conclamata esigenza di tutela degli interessi

(1) La sentenza confermata, App. Roma 6 marzo 1959,

leggesi in Foro it., 1960, I, 313, con ampia nota di richiami, cui si rinvia.

della prole illegittima con l'esigenza, non meno essenziale, del rispetto e della preminenza della famiglia legittima, ha fissato in modo preciso e tassativo soltanto il limite

massimo dell'assegno, assumendo appunto come termine di

riferimento la quota clie nella successione spetterebbe al

figlio naturale, se fosse stato riconosciuto, ed in tal guisa ha lasciato un margine di discrezionalità e di elasticità

all'apprezzamento del giudice ; ma nel contempo ha ul

teriormente chiarito i fondamentali criteri direttivi, ai

quali questo prudenziale apprezzamento deve adeguarsi,

esigendo che nella concreta liquidazione dell'assegno si

tenga conto del numero e della qualità degli eredi, nonché

della entità delle « sostanze ereditarie ».

Non è il caso, qui, di indugiare sulle questioni, che pur

possono delinearsi a proposito del criterio che concerne il

numero e la qualità dei soggetti che partecipano alla suc

cessione, dato che esse trascendono l'oggetto ed i termini

della presente controversia. Ciò che invece occorre chiarire

è la portata dell'altro criterio, secondo cui l'assegno deve

essere determinato in proporzione delle « sostanze eredi

tarie » : in particolare, si tratta di stabilire se, per calcolare

dapprima il limite massimo e poi l'ammontare concreto

dell'assegno, si debba avere riguardo a tutto il compendio

ereditario, oppure dedurre preventivamente da esso la

parte che, qualora vi siano dei legittimatari, corrisponde alla quota ad essi riservata, e tener conto soltanto della

porzione disponibile. Ora, è innegabile che la espressione « sostanze ereditarie »,

in mancanza di qualsiasi riserva, precisazione o discrimi

nazione che valga a circoscrivere il suo significato preciso, chiaro ed univocamente comprensivo, sta a designare nell'intento del legislatore, il patrimonio ereditario consi

derato nel suo complesso, e cioè tutti i cespiti relitti dal

de cuius, rispetto ai quali si opera la successione mortis

causa, e quindi non consente di distinguere tra la parte dell'asse che integra eventualmente la legittima e quella,

eccedente, che rientra nella quota disponibile ; tanto più che la norma ha una portata generale, e contempla anche i

casi nei quali, per la mancanza di legittimari o l'insussi

stenza di donazioni o disposizioni testamentarie che possano incidere sui loro diritti, la distinzione tra legittima e dispo nibile sarebbe priva di senso e di ragion d'essere.

Questo primo rilievo, desunto dalla formulazione let

terale dell'art. 580, è conforme all'orientamento finora

seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale,

pur senza esaminare ex professo la questione, ha sempre affermato che nel calcolo dell'assegno si deve tener conto

dello « intero patrimonio » relitto dal de cuius, e del va

lore, al tempo dell'apertura della successione, di « tutti i

beni » in esso compresi (cfr. la sent. n. 1600 del 13 set

tembre 1948, Foro it., 1949, I, 306 ; ed in senso sostan

zialmente conforme le sent. n. 3073 del 1952, id., 1953,

I, 6 ; n. 2372 del 1953, id., Rep. 1953, voce Successione, n. 134; n. 622 del 1955, id., 1955, I, 465, e n. 3281

del 1957, id., Eep. 1957, voce cit., nn. 171, 172), e trova

conferma, sotto il profilo logico e sistematico, nella consi

derazione che, secondo le norme generali sulla successione

del figlio naturale riconosciuto, la quota ereditaria cui il

medesimo ha diritto, la quale, ripetesi, è stata assunta come

termine di riferimento per la concreta individuazione del

limite massimo dell'assegno dovuto al non riconosciuto,

va determinata appunto con specifico riferimento all'entità

complessiva dell'asse ereditario, tenendo altresì conto della

qualità dei soggetti che concorrono con lui nella successione,

in particolare, se il figlio naturale concorre con i legittimi

(come nella specie), la detta quota è pari alla metà di quella

che conseguono i legittimi (art. 574) ; nell'ipotesi di concorso

con gli ascendenti o con il coniuge del genitore, o con l'uno e

gli altri, è costituita rispettivamente da due terzi o da cinque

dodicesimi dell'intera eredità, ed infine, qualora non vi

siano nè figli legittimi, ne ascendenti, nè il coniuge, com

prende tutta l'eredità. Ora, se la misura massima dell'as

segno è rappresentata, nelle diverse ipotesi, dalla rendita

di quote che, sebbene di varia entità, sono pur sempre fis

sate dalla legge in rapporto all'intero asse ereditario, si

incorrerebbe in una palese contraddizione, se si ritenesse

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