sentenza 16 dicembre 1982, n. 222 (Gazzetta ufficiale 22 dicembre 1982, n. 351); Pres. Elia, Rel.Bucciarelli Ducci; Ghilardi c. I.n.a.i.l. (Avv. Cataldi); interv. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Azzariti). Ord. Pret. Bergamo 31 marzo 1976 (Gazz. uff. 30 giugno 1976, n. 170)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 13/14-17/18Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176808 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Mi
lano dubita della legittimità costituzionale della norma di cui al
l'art. 2596 c. c., la quale, con riferimento ai limiti contrattuali del
la concorrenza, testualmente recita: « Il patto che limita la con
correnza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circo
scritto ad una determinata zona o ad una determinata attività e
non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto
non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque
anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio».
Secondo il giudice a auo. tale norma, essendo diretta alla tu
tela dell'interesse individuale degli imprenditori, contrasterebbe
con l'art. 41 Cost., il quale consente di limitare l'iniziativa eco
nomica privata soltanto per ragioni di « utilità sociale ». Sostan
zialmente per lo stesso motivo la disposizione suddetta risultereb
be altresì in contrasto con l'art. 43 Cost.
2. - La questione non è fondata. La libertà di concorrenza tra
imprese ha. com'è noto, una duplice finalità: da un lato, integra la
libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a
tutti gli imprenditori e, dall'altro, è diretta alla protezione della
collettività, in quanto l'esistenza di una pluralità di imprendito
ri, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei pro dotti e a contenerne i prezzi.
Naturalmente la libertà di concorrenza comprende pure la pos
sibilità di autolimitazione mediante accordi, la quale non turba
necessariamente il gioco della libera concorrenza, anzi talvolta
può agevolarlo (come nel caso di accordi intesi ad evitare l'emar
ginazione di imprese più deboli e la conseguente formazione di
posizioni di monopolio o di quasi monopolio ovvero di oligopo
lio. da parte delle imprese più forti).
Naturalmente detta autolimitazione non può superare quei li
miti che l'ordinamento giuridico pone nell'interesse individuale o
in quello della collettività (per quanto concerne il diritto comuni
tario, cfr. in proposito l'art. 85 del trattato istitutivo della Comu
nità economica europea). Da auesto angolo visuale va considerata la disposizione impu
gnata. la auale appunto prevede dei limiti all'accordo intervenuto
tra imprenditori per coordinare la propria azione e regolare i reci
proci rapporti, prescrivendo le restrizioni superiormente indicate.
Essa non comprime dunque la libera concorrenza ma detta con
dizioni di validità e di efficacia alle autolimitazioni che. nella ma
teria, siano intervenute negozialmente fra imprenditori. Ciò posto, non sembra che la persistenza della norma impu
gnata nell'ordinamento giuridico, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, possa essere considerata costitu
zionalmente illegittima per contrasto con il citato art. 41.
È ben vero che dai lavori preparatori si ricava che l'intento
principale dei compilatori del codice fu quello di « evitare una
eccessiva compressione della libertà individuale nel perseguimen to di un'attività economica» (cfr. rei. min. al c. c.. n. 1045). Ma
tale intento non esclude che la norma si risolva anche nella pro
giudice a quo (Trib. Milano, ord. 26 febbraio 1976. massimata in Foro it., 1976, I, 2738, e riprodotta per esteso, sia pure con diversa
indicazione di data, in Giur. arm. dir. ind., 1976, n. 822, pag. 385).
portando alle estreme conseguenze la teoria, di risalente lignaggio. dell'« intento monopolistico » e il suo inevitabile contrasto con un
apprezzamento del criterio dell'« utilità sociale » filtrato attraverso la
disciplina dell'art. 2596 c. c. I giudici della Consulta, peraltro, evitano d'indulgere ai ' vecchi
merletti '. Essi si contentano di rispondere, nella sostanza, che la norma testé menzionata reca, si', le stimmate di una prospettiva meramente individualistica (cfr., per tutti, G. Ghidini, 1 limiti ne
goziali alla concorrenza, in Trattato di diritto commerciale e di di
ritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, IV, La concorrenza e i consorzi, Padova, 1981, II, 27 ss.), ma detta pur sempre dei li miti che potrebbero, magari residualmente, concorrere alla tutela del
la struttura del mercato; per poi concludere che una plausibile po litica antitrust non s'inventa nelle pieghe del sistema.
Verissimo. Non sarà una clausola generale a far le veci di quel l'autentico monumento legislativo che è il Kartellgesetz o di cent'an
ni di storia dello Sherman Act. Giova solo soggiungere che non s'in
venta neppure una cultura in materia. Anzi, si rischia di far appas sire quanto resta di un patrimonio già declinante (v. A. Frignani,
Concorrenza e consorzi: dieci anni di dibattiti e di disegni di legge, ora in Factoring, franchising, concorrenza, Torino, 1979, 235). Ne c
riprova il passo in cui, candidamente, la corte mostra di ritenere in
piena sintonia col modello di free competition restrizioni convenzio
nali alla concorrenza volta a mantener in piedi imprese « più debo
li » e a scongiurare, cosi, l'ombra minacciosa dell'oligopolio: quasi
non fosse risaputo — quale che sia l'approccio seguito, à la Sylos
Labini o à la Joan Robinson, per non dire delle più radicali impo
stazioni Chicago-style — che l'oligopolio è caratterizzato proprio dalla
sopravvivenza artificiosa di unità marginali, sotto l'ombrello (prezzo
più che competitivo) creato dall'impresa leader...
R. Pardolesi
tezione dell'interesse collettivo, impedendo eccessive restrizioni
alla libertà d'iniziativa economica e tutelando cosi', nella misu
ra — sia pure modesta — espressa dalla norma stessa, il mercato
nelle sue oggettive strutture.
3. - Diverso e ben distinto problema è quello riguardante l'ido
neità della disciplina vigente nell'ordinamento giuridico italiano
ad assicurare la effettiva tutela del mercato, oggettivamente con
siderato, sotto il profilo concorrenziale a soddisfare cosi' le esi
genze della moderna vita economica. In proposito, com'è noto,
si sono susseguiti numerosi studi e progetti che generalmente muo
vono dalla insufficienza dell'attuale normativa e tendono a una
più incisiva e sostanziale tutela del mercato stesso. Ma l'auspi cata regolamentazione — è appena il caso di osservarlo — esula
dai poteri della corte e costituisce compito esclusivo del legisla
tore, a cui spetta disciplinare la materia con l'emanazione di una
opportuna normativa (cioè di una legislazione antimonopolio o
antitrust). 4. - Non sembra, infine, pertinente il richiamo all'art. 43 Cost,
operato dal giudice a quo in quanto detta norma prevede, ai fini
di utilità generale, la statizzazione o la socializzazione di imprese
private che abbiano l'oggetto nella stessa norma indicato (servizi
pubblici generali, fonti di energia, situazioni di monopolio) e sia
no di preminente interesse generale. Nella specie, invero, tale pre
visione è del tutto estranea trattandosi non già di collettivizza
zione di imprese, ma, come si è detto, della validità dei limiti con
trattuali alla concorrenza previsti dall'art. 2596 c. c.
Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 2596 c. c. sollevata dal Tribunale di Mi
lano con l'ordinanza in epigrafe in riferimento agli art. 41 e
43 Cost.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 dicembre 1982, n. 222
(Gazzetta ufficiale 22 dicembre 1982, n. 351); Pres. Elia, Rei.
Bucciarellt Ducei; Ghilardi c. I.n.a.i.l. (Avv. Cataldi); interv.
Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. Pret.
Bergamo 31 marzo 1976 (Gazz. uff. 30 giugno 1976, n. 170).
Infortuni sul lavoro — Premio assicurativo — Mancata comuni
cazione delle retribuzioni — Discrezionalità dell'I.n.a.i.l. fra ac
certamento e presunzione — Questione infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3; d. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, t. u. delle
disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, art. 28).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28,
ult. comma, d. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui
consente all'I.n.a.i.l., in caso di mancata comunicazione tempe
stiva delle retribuzioni da parte del datore di lavoro, di proce
dere alla liquidazione del premio, discrezionalmente, sulla base
dell'accertamento effettivo delle retribuzioni oppure del dop
pio delle retribuzioni calcolate in via presuntiva. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 27 maggio
1982, n. 3252; Pres. Renda, Est. Frisina, P. M. La Valva
(conci, diff.); Soc. Golding (Avv. Ricci, Carbone) c. I.n.a.i.l.
(Avv. Cataldi, Hernandez). Cassa Trib. Roma 21 febbraio 1976.
Infortuni sul lavoro — Premio assicurativo — Determinazione in
in base al doppio delle retribuzioni presunte daH'I.n.a.i.l. — Ri
dimensionamento sulla base dei libri contabili esibiti dal datore
di lavoro (D. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 28).
Ove l'I.n.a.i.l., in caso di mancata comunicazione tempestiva delle
retribuzioni da parte del datore di lavoro, abbia proceduto alla
liquidazione del premio in base al doppio delle retribuzioni cal
colate in via presuntiva, al datore di lavoro va riconosciuta la
facoltà di contrastare l'esattezza del computo presuntivo me
diante l'esibizione dei libri e degli altri documenti che la legge
gli fa obbligo di tenere a prova dell'entità del suo debito verso
quell'istituto. (2)
(1-2) Pret. Bergamo, ord. 31 marzo 1976, che ha sollevato la que
stione di costituzionalità, è riassunta in Foro it., Rep. 1976, voce
Infortuni sul lavoro, n. 221. L'art. 28 t. u. 1124/1965 era già uscito indenne dal vaglio della
Corte costituzionale (cfr. sent. 14 luglio 1976, n. 173, id., 1977, 1,
49, con nota di richiami) che l'aveva preso in considerazione sotto
il profilo sanzionatorio, escluso dalla sentenza che si riporta in rela
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PARTE PRIMA
I
Diritto. — (Omissis). 2. - La corte è chiamata a decidere se
contrasti o meno con l'art. 3 Cost, l'art. 28, ult. comma, d. p. r.
30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui, in caso di omissione
da parte del datore di lavoro della comunicazione tempestiva
circa l'ammontare delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti,
consente all'I.n.a.i.l. la scelta discrezionale tra la liquidazione del
premio dovuto in base al doppio delle retribuzioni presunte e
l'accertamento effettivo delle retribuzioni stesse.
Dubita il Pretore di Bergamo che tale norma determini un'arbi
traria ed irrazionale disparità di trattamento tra datori di la
voro ugualmente inadempienti a seconda della misura alternativa
adottata dall'istituto.
3. - La questione non è fondata. Va premesso, innanzitutto,
che in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali si applica il sistema della co
siddetta regolazione successiva e le obbligazioni del datore di la
voro, riguardanti il premio assicurativo e le inerenti modalità di
pagamento sono determinate con provvedimento amministrativo
unilaterale dell'ente cui è affidato tale servizio.
Il pagamento del premio da parte datore di lavoro all'istituto
assicuratore avviene quindi anticipatamente, per la durata di un
anno solare per la minor durata dei lavori, sulla base dell'importo delle retribuzioni che saranno corrisposte dal datore di lavoro du
rante l'anno o durante il periodo di tempo al quale si riferisce il
premio (art. 28, 1° comma, t. u. n. 1124/1965). Per regolare que
st'ultimo il datore di lavoro è tenuto a comunicare all'istituto
l'importo delle mercedi corrisposte entro il termine di trenta
giorni dalla scadenza delle rate di premio (art. 28 cit., 5° com
ma). In caso di inosservanza l'istituto provvede alla liquida
zione del premio o acquisendo d'ufficio i necessari dati salariali
o effettuando la liquidazione del premio sulla base del doppio
delle retribuzioni stabilite per il medesimo periodo assicurativo.
Restano impregiudicati i diritti di credito dell'I.n.a.i.l. qualora
successivi accertamenti rivelassero retribuzioni superiori e in tale
ipotesi l'istituto può esigere un premio maggiore rispetto a quello
già richiesto o riscosso (art. 28, 6° comma).
La disciplina adottata dal legislatore trova la sua ratio da un
lato nella natura essenzialmente assicurativa del rapporto tra
l'I.n.a.i.l. e il datore di lavoro, dall'altro nella finalità solidaristica
che chiaramente informa questo particolare tipo di assicurazione.
La natura assicurativa del rapporto richiede, infatti, che il pre mio dovuto dal datore di lavoro venga determinato e pagato anti
cipatamente, mentre la particolare finalità solidaristica ha indotto
il legislatore ad attribuire allo stesso istituto assicuratore la va
lutazione del rischio e la conseguente determinazione del premio con atto unilaterale. Tuttavia, si è voluto togliere ogni margine di arbitrarietà, stabilendo che il premio vada rapportato alle re
tribuzioni che il datore di lavoro corrisponderà ai dipendenti. Ne
discende l'obbligo del datore di lavoro di comunicare tempesti vamente tali retribuzioni, proprio per consentire all'istituto di
determinare il premio secondo parametri rigidamente prefissati.
Poiché l'omissione di detto adempimento da parte del datore di
lavoro renderebbe impossibili la determinazione del premio e
conseguentemente il suo versamento anticipato, del tutto razio
nale appare la scelta del legislatore di consentire all'istituto l'al
ternativa tra l'accertamento diretto delle retribuzioni effettiva
mente corrisposte (addebitando all'inadempimento il costo del
l'accertamento) e il ricorso ad una valutazione presuntiva delle
retribuzioni stesse, salva facendo la possibilità dell'istituto di ac
certare successivamente la rispondenza di tale valutazione a quan to effettivamente corrisposto al lavoratore.
Tale facoltà discrezionale concessa all'istituto assicuratore non
viola il principio di uguaglianza garantito dall'art. 3 Cost.,
in quanto tutti i datori di lavoro inadempienti si trovano, senza
alcuna discriminazione, di fronte alla stessa scelta alternativa da
parte dell'istituto.
Una volta escluso che la norma impugnata consenta una discri
minazione soggettiva, l'eventuale uso arbitrario o difforme del
potere discrezionale non riguarda il giudizio sulla legittimità costi
tuzionale della norma, ma è invece certamente sindacabile in
sede giurisdizionale ordinaria, come questa corte ha più volte sta
zione alla previsione del 6° comma della norma (nello stesso senso,
in dottrina, cons. Lo Porto, Codice degli infortuni sul lavoro, 1980,
215, nota 2). Questione nuova quella decisa dalla Cassazione con la sent. 3252/
1982 il cui orientamento interpretativo dell'art. 28 trova riscontro e
conferma nella decisione della Corte costituzionale e, in dottrina,
in Alibrandi, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 1981, 580 s., spec. 587, nota 13.
tuito (sent. 88 del 1962, Foro it., 1962, I, 1217; 32, 55 e 141 del
1969, id., 1969, I, 792, 1343 e 3021).
Nel caso di specie in particolare, la liquidazione del premio
sulla base del doppio presunto mira a consentire una determina
zione tempestiva del premio non in via definitiva e neppure a
titolo sanzionatorio.
Pertanto è concesso all'istituto assicuratore di accertare, dopo
l'avvenuto pagamento, l'eventuale corresponsione di retribuzio
ni superiori a quelle determinate in via presuntiva, chiedendo al
datore di lavoro il conguaglio del premio dovuto, ma tale diritto
va riconosciuto altresì allo stesso datore di lavoro, il quale, nei
modi consentiti, potrà sempre provare l'eventuale corresponsione
di retribuzioni in misura inferiore a quella liquidata presuntiva
mente, ottenendo in tal caso il rimborso di quanto versato in
più. Questa è la interpretazione data alle norme impugnate dalla
Corte di cassazione.
In definitiva tutti i datori di lavoro, malgrado la loro inadem
pienza ad un preciso obbligo nei confronti dell'istituto assicura
tore, sono posti nella eguale condizione di versare i premi dovuti
sulla base delle effettive retribuzioni corrisposte ai propri dipen
denti.
Peraltro non si può ritenere — come sostiene la difesa del
l'I.n.a.i.l. — che la sopravvenuta 1. 10 maggio 1982 n. 251, all'art.
14 (che estende all'assicurazione I.n.a.i.l. il condono previsto dal
l'art. 23 quater 1. n. 33/1980 in materia di contributi I.n.p.s.), ab
bia riconosciuto, in via di interpretazione autentica, il carattere
sanzionatorio della norma impugnata, in quanto il richiamo al
l'art. 28 contenuto nel citato art. 14 1. del 1982 riguarda logica
mente solo la parte della norma riferentesi a sanzioni ammini
strative o a quelle somme od oneri accessori connessi ai proce
dimenti alternativi previsti dalla norma stessa (come recita pe
raltro l'art. 23 quater 1. di conversione 29 febbraio 1980 n. 33, ri
chiamato dal citato art. 14 1. del 1982), e non investe invece la
parte relativa alle misure alternative che d'altronde sono previste
per l'accertamento del premio dovuto e senza le quali non sa
rebbe neppure possibile valutare il debito originario del datore
di lavoro, che da quest'ultimo dev'essere comunque soddisfatto
per poter godere del condono.
Per questi motivi, dichiara non fondata nei sensi di cui in mo
tivazione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, ult. comma, d. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, sollevata dal Pre
tore di Bergamo, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza del
31 marzo 1976.
II
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo la ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 28 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, si duole della illegittimità della decisione
adottata dal Tribunale di Roma per aver escluso, con erronea
interpretazione della norma di cui al citato art. 28 d.p.r. n. 1124/ 1965, la possibilità che il datore di lavoro, il quale abbia omesso
di comunicare all'I.n.a.i.l. nel termine stabilito l'ammontare delle
retribuzioni effettivamente corrisposte ai dipendenti durante il
precedente periodo di assicurazione, dimostri che le dette retri
buzioni siano state diverse da quelle accertate in via presuntiva dall'istituto e che di conseguenza diverso sia il premio realmen
te dovuto da quello soltanto presuntivamente accertato.
L'istituto resistente osserva, in contrario, che nel caso in cui il
datore di lavoro abbia lasciato decorrere il termine di trenta
giorni previsto nel 5° comma dell'art. 28 per la comunicazione
delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai propri dipendenti e l'istituto assicuratore, anziché accertare direttamente le effet
tive retribuzioni a spese del datore di lavoro inadempiente al
predetto obbligo, valendosi della facoltà alternativa a tale proce dura di accertamento, come previsto dal 6° comma dell'articolo
in esame, abbia effettuato la liquidazione del premio dovuto in
base al doppio delle retribuzioni presunte, salvo il potere di un
successivo accertamento per l'eventuale conguaglio a suo favore, in questo caso il datore di lavoro non possa contestare la esattez
za del calcolo presuntivo, né essere perciò ammesso a provare l'ammontare dei contributi che ritenga effettivamente dovuti.
Quest'ultima tesi interpretativa, recepita nella impugnata sen
tenza, va disattesa e pertanto fondata è la censura del ricorso.
Premesso che per l'assicurazione obbligatoria contro gli infor
tuni sul lavoro e le malattie professionali viene applicato il si
stema della c.d. regolazione successiva e che le obbligazioni del
datore di lavoro, riflettenti il premio assicurativo e le inerenti
modalità di pagamento sono determinate con provvedimento am
ministrativo unilaterale dell'ente, a cui è affidato il pubblico ser
vizio, si osserva che le norme, dirette a disciplinare l'accertamen
to dei crediti dell'istituto per premi o contributi assicurativi, si
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
delineano nella loro schematicità essenziale in modo abbastan
za chiaro e preciso. II premio assicurativo o contributo si determina in base al tas
so del premio ed all'ammontare complessivo delle mercedi ero
gate ai lavoratori compresi nell'obbligo di assicurazione durante il periodo assicurativo.
L'istituto determina il premio che deve essere pagato antici
patamente, precisamente entro dieci giorni dalla data di inizio
del periodo assicurativo a cui la rata si riferisce, in base al tasso
prestabilito ed all'ammontare delle mercedi che si presumono
possano essere erogate ai lavoratori durante il corrispondente
periodo assicurativo (art. 28, 1° comma, t.u. approvato con il
d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124). Entro trenta giorni dallo scadere di ciascun premio assicura
tivo il datore di lavoro deve inviare all'istituto la dichiarazione delle mercedi effettivamente corrisposte nel periodo stesso ai pro pri dipendenti e ciò ai fini del conguaglio (art. 28, 5° comma).
In caso di mancato invio della comunicazione entro il previ sto termine, l'istituto assicuratore può procedere direttamente al l'accertamento delle mercedi effettive in questione, addebitando al datore di lavoro le spese sostenute per l'accertamento stesso,
oppure effettuare la liquidazione del premio dovuto in base al
doppio delle retribuzioni calcolate sempre in via presuntiva (art. 28, 6° comma), ma resta impregiudicato il diritto dell'istitu to sia per il premio che per la penale di cui all'ult. comma del l'art. 50 t.u. in esame.
In sostanza la liquidazione dei premi segue di regola ad un
meccanismo processuale che presuppone la tempestiva ed one
sta collaborazione della stessa parte obbligata (datore di lavoro) nel perseguimento dello scopo di garantire all'I.n.a.i.l. la possibi lità di attuare sollecitamente il pagamento dei crediti contribu
tivi per lo svolgimento della sua attività istituzionale.
Tuttavia la liquidazione resa cosi prontamente operante non
può intendersi definitiva, in quanto è solo assistita da una pre sunzione di veridicità circa la base retributiva imponibile, la
quale è esposta ad eventuali accertamenti e controlli.
Sorto il rapporto assicurativo in modo automatico (con il fatto
obiettivo dell'esercizio di una delle lavorazioni che la legge spe ciale prevede e tutela), nasce contemporaneamente nell'istituto
il diritto di accertare la retribuzione corrisposta dai datori di la
voro. Ed a tale diritto dell'istituto fa perfetto riscontro il dovere
del datore di lavoro di far pervenire all'istituto stesso le notizie
delle quali si è detto e, inoltre, quello di tenere a disposizione,
per gli eventuali accertamenti e controlli, le registrazioni regola mentari (libro matricola e libro paga).
Dunque l'accertamento presuntivo è sempre sostitutivo, al si
stema, dell'accertamento diretto, ma non mai in via definitiva. Si è visto, infatti, che nel caso in cui il datore obbligato nei
confronti dell'I.n.a.i.l. al pagamento dei premi assicurativi non abbia provveduto, entro il termine di trenta giorni successivi a
quelli di scadenza di ciascun periodo assicurativo, ad inviare al
l'istituto la dichiarazione delle mercedi erogate ai lavoratori di
pendenti nel periodo stesso, l'art. 28 t.u. 1124/65 dà facoltà al
l'istituto di procedere direttamente all'accertamento delle merce
di erogate oppure di liquidare il premio in base al doppio dei
valori presunti, salvo quanto da successivi accertamenti risultasse
dovuto e salve le eventuali sanzioni e penalità nei casi espressa mente previsti.
Poiché un accertamento diretto sull'ammontare dei premi assi
curativi può avvenire unicamente sulla scorta delle registrazioni che devono essere tenute a cura del datore di lavoro e, in parti
colare, del libro paga e del libro matricola, mettendoli a disposi zione dell'istituto ad ogni sua richiesta con gli altri libri conta
bili e con tutti gli altri documenti necessari per un adeguato con
trollo delle registrazioni anzidette, è evidente che se l'istituto, di
fronte al fatto omissivo dell'obbligato, pur essendo nelle possibi lità di procedere (indenne dalle relative spese) all'accertamento
diretto con l'esame dei detti libri, ritenga più opportuna la scelta
della liquidazione presuntiva dilatata sino al doppio, per cui deb
ba porre a base del computo gli elementi indiretti che si ravvi
sino idonei a ricostruire con sufficiente approssimazione l'ammon
tare complessivo delle mercedi erogate, non possa in questo caso
essere negata al datore di lavoro la facoltà di contrastare l'esat
tezza di tale computo presuntivo proprio mediante la esibizione
dei libri e degli altri documenti che la legge gli fa obbligo di te
nere a prova dell'entità del suo debito verso l'istituto.
L'accertamento presuntivo operato dall'istituto determina solo
la liquidazione dei contributi che considerati in misura doppia
possono rilevarsi al controllo non necessariamente superiori al
dovuto, ma anche inferiori, sicché è escluso che il doppio pre sunto abbia quel carattere sanzionatorio che la difesa dell'I.n.a.i.l.
gli attribuisce a sostegno della sua tesi interpretativa e che la
ratio della norma (art. 28, ult. comma) assolutamente non ammette.
Riconosciuta la facoltà dell'istituto di avvalersi, in mancanza
della dichiarazione del datore di lavoro, di un criterio di liqui dazione ritenuto largamente idoneo a stabilire in via presunta l'ammontare dei premi dovuti, 1 'onus probandi a carico dell'I.n.a.m.
si sostanzia nell'esposizione dei dati presi in considerazione in
sostituzione di quelli che avrebbero dovuto essergli direttamente
forniti dal datore di lavoro, mentre, ove questi contesti l'esat
tezza del calcolo presuntivo, dovrà offrire, a sua volta, nei modi
stabiliti dalla legge, la prova dell'ammontare dei contributi che
ritenga effettivamente dovuti.
Pertanto il ricorso va accolto e la impugnata sentenza deve es sere cassata con il rinvio della causa ad altro giudice di pari gra do. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 9 dicembre 1982, n. 215
(Gazzetta ufficiale 15 dicembre 1982, n. 344); Pres. Elia, Rei.
Gallo; Soc. Tirrenia gas e Soc. italiana per il gas c. Min. finanze; interv. Pres. cons, ministri. Ord. (tre) Trib. Genova 21 aprile 1980 (Gazz. uff. 24 settembre 1980, n. 263).
Idrocarburi — Prodotti petroliferi per la produzione di gas di città — Regime fiscale — Interpretazione autentica di norma
precedentemente rimessa al vaglio della Corte costituzionale — Restituzione degli atti al giudice « a quo » per il riesame della rilevanza (Cost., art. 3, 32; d.l. 23 ottobre 1964 n. 989, modificazioni alla disciplina fiscale dei prodotti petroliferi, tab. A; 1. 18 dicembre 1964 n. 1350, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 23 ottobre 1964 n. 989, art. 1).
Va ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli art. 3 e 32 Cost., del punto 4, lett. h, e punto 3, lett. i, della tab. A allegata al d. I. 23 ottobre 1964 n. 989 convertito, con modificazioni, in l. 18 dicembre 1964 n. 1350, affinché ac certi se detta questione sia tuttora rilevante posto che successi vamente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione è entrata in vigore la l. 2 agosto 1982 n. 513 che, all'art. 1, ha operato un'interpretazione autentica di una delle disposizioni impu gnate. (1)
Ritenuto che il Tribunale di Genova, mediante tre ordinanze
pronunziate sotto la stessa data del 21 aprile 1980, nel corso dei
procedimenti civili vertenti tra la s.p.a. Tirrenia gas, la s.p.a. soc. it. per il gas e l'amministrazione delle finanze, sollevava incidente di legittimità costituzionale del punto 4, lett. h, e del punto 3, lett. i, della tabella A allegata al d. 1. 23 ottobre 1964 n. 989
(conv. nella 1. 18 dicembre 1964 n. 1350) nella parte in cui non
(1) Le tre ordinanze di rimessione del Tribunale di Genova, emes se in data 21 aprile 1980, sono massimate in Foro it., 1980, I, 2637. I giudici liguri si erano preoccupati di rendere uniforme (tramite l'intervento della Consulta) il regime di esenzione dall'imposta di fabbricazione per tutti i prodotti petroliferi utilizzati per produrre gas da immettere nelle reti urbane di distribuzione. Il problema era sorto per via della crescente utilizzazione, nei processi industriali volti ad ottenere il gas di città, di prodotti petroliferi (ih particolare benzine c. d. raffinate o speciali) non sottoposti a trattamento di cracking o di reforming (per i quali è prevista — rientrando tra le operazioni di trattamento definito — l'esenzione fiscale: cfr. il
punto 4, lett. h, della tab. A del d.l. 989/64 convertito con modi ficazioni in 1. 1350/64), bensì al trattamento di vaporizzazione (che dall'esenzione fiscale rimaneva invece esclusa). La Corte costituzio nale rinvia gli atti al collegio a quo invitandolo a rimeditare la rile vanza della questione in vista dell'art. 1 1. 2 agosto 1982 n. 513
(norme interpretative della tabella A allegata al d.l. 23 ottobre 1964 n. 989, convertito con modificazioni, nella 1. 18 dicembre 1964 n. 1350 recante modificazioni alla disciplina fiscale dei prodotti pe troliferi e disposizioni concernenti il trattamento fiscale delle miscele di idrocarburi e dei liquidi combustibili ottenuti dal trattamento dei rifiuti industriali o urbani), che ha inteso — venendo incontro, si direbbe, ai dubbi dei giudici genovesi — comprendere nei trattamenti definiti di cracking e reforming, previsti dalla lett. h, punto 4, della tabella A allegata al d. 1. 989/64 sopra citato, « tutti i processi termici, inclusi quelli di vaporizzazione completa, attuati per la pro duzione di gas da immettere nelle reti cittadine di distribuzione».
Sul cracking e il reforming e sulla gassificazione di combustibili
liquidi volta ad ottenere un gas a potere calorifico elevato, che
possa essere distribuito nelle città per gli usi domestici, può essere utile il rinvio a Brisi, Lezioni di chimica applicata, Torino, 1978, 124 ss., 168 ss.
Il Foro Italiano — 1983 — Parte 1-2.
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