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sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri

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sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 113/114-127/128 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200498 . Accessed: 28/06/2014 19:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 19:04:16 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri

sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 113/114-127/128Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200498 .

Accessed: 28/06/2014 19:04

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

immediatamente recuperati dalla polizia e restituitigli come da

decreto del p.m. in data 6 agosto 2002. In relazione a tali beni il

suo patrimonio è stato reintegrato. Bosco ha tuttavia subito altri danni di natura fisica, costituiti

dalle lesioni procurategli dagli aggressori (trauma cranico non

commotivo, ecchimosi ed escoriazioni alla regione frontale sini

stra), nonché quelli di natura morale, costituiti dai patimenti de

rivati dalle violenze e dalle minacce.

Non si rinvengono in atti elementi obiettivi, idonei a consen

tire una precisa quantificazione del valore economico di tali

danni; la somma di euro 2.500, ritenuta dalla persona offesa

adeguata a soddisfare interamente le proprie pretese risarcitone,

non appare incongrua, anche in considerazione dell'entità delle

lesioni, curate in quindici giorni e senza postumi. Va in ultimo evidenziato che la somma è stata corrisposta al

Bosco dalla madre dell'imputato, Angela Di Marca.

Il giudice non ignora l'orientamento della Cassazione, secon

do il quale il risarcimento effettuato da un terzo non può legit timare di per sé l'applicazione del beneficio di cui all'art. 62, n.

6, c.p. all'imputato (cfr., tra le altre, con riferimento al risarci

mento erogato da ente assicuratore, Cass. 13 gennaio 1993, Di

Carlo, id., Rep. 1993, voce cit., n. 49; 15 gennaio 1991, Cianci mino, id., Rep. 1992, voce cit., n. 54).

Ma se si ritiene davvero che l'attenuante sia collegata ad un

comportamento riparatorio libero e volontario del colpevole, maturato dopo la commissione del reato e indicativo di una sua

resipiscenza, non si può richiedere necessariamente che la

somma erogata a titolo di risarcimento provenga dal patrimonio

personale dell'imputato o che egli l'abbia materialmente conse

gnata al danneggiato; potrà essere sufficiente che il colpevole si

sia adoperato al fine di reperire la somma e far conseguire all'a

vente diritto il controvalore del danno patito. Non sembra corretto difatti negare l'attenuante di cui all'art.

62, n. 6, c.p. all'imputato impossidente, che si procuri il denaro

da versare al danneggiato attraverso prestiti o donazioni di terzi;

né sembra equo negare tale attenuante sol perché il denaro così

reperito non sia stato direttamente consegnato dal colpevole,

qualora questi sia momentaneamente privato della libertà perso nale e pertanto impossibilitato ad effettuare con modalità age voli tale operazione.

Golisano è privo di redditi propri (è difatti stato ammesso al

beneficio del gratuito patrocinio) e, per come da lui stesso rife

rito, pur non convivendo con i genitori, si manteneva grazie alle

elargizioni che essi di tanto in tanto gli concedevano. Egli ha

più volte dichiarato di essere pentito del reato commesso e di

voler rimediare alle conseguenze delle sue azioni. L'intervento

della madre nel reperimento e nella consegna della somma a ti

tolo di risarcimento al Bosco costituisce di fatto l'unica moda

lità con la quale il Golisano avrebbe potuto realizzare le condi

zioni di cui all'art. 62, n. 6, c.p. Sicché tale attenuante gli va

concessa.

Tuttavia l'intervento di un terzo in maniera così determinante

ed il fatto che il Golisano non abbia patito l'aggravio economi

co derivante dalla sua condotta riparatoria sono elementi che

devono trovare adeguata considerazione nel valutare l'estensio

ne con la quale applicare la circostanza attenuante.

Proprio per queste ragioni più limitati dovranno ritenersi gli effetti di essa nel caso di specie.

Dovendosi quindi svolgere il giudizio di bilanciamento di cui

all'art. 69 c.p., le attenuanti riconosciute appaiono equivalenti alle aggravanti contestate; non minusvalenti in quanto le mani

festazioni di resipiscenza dell'imputato sono state significative e proporzionate alla gravità del fatto e dei suoi precedenti pena

li; non prevalenti in quanto il delitto è stato commesso in pre senza di diverse ed allarmanti circostanze aggravanti, tali da non

poter essere superate dal pur apprezzabile comportamento suc

cessivo del Golisano.

5. - Le pene e le statuizioni finali. Dovendosi applicare le

sanzioni di cui all'art. 628, 1° comma, c.p., stante il giudizio di

equivalenza tra le aggravanti contestate e le attenuanti concesse,

appare equo irrogare all'imputato la pena —

leggermente supe riore al minimo edittale al fine di retribuire la gravità del fatto

— di anni quattro di reclusione ed euro 300 di multa, ridotta di

un terzo in considerazione del rito ad anni due e mesi otto di re

clusione ed euro 200 di multa.

Consegue la condanna alle spese del presente giudizio e alle

spese per il suo rispettivo mantenimento in carcere.

Il Foro Italiano — 2004.

Golisano nel recente passato ha beneficiato per ben tre volte

della sospensione condizionale: con la sentenza del Tribunale di

Caltanissetta in data 4 febbraio 2000 che lo aveva condannato

alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di lesioni perso nali in concorso; con la sentenza del Tribunale di Caltanissetta

in data 17 luglio 2000 che lo aveva condannato alla pena di me

si otto di reclusione per un reato della stessa specie; con decreto

del g.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta in data 23 novem

bre 2001 che lo aveva condannato alla multa di lire 70.000 (pari a euro 36,15) per il reato di minaccia aggravata.

La presente sentenza comporta la revoca di diritto di tali be

nefici ai sensi dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., in quanto entro

i cinque anni dalla loro concessione Golisano ha commesso un

delitto per il quale gli è stata inflitta una pena detentiva.

L'istanza di sostituzione della misura cautelare avanzata dal

difensore nell'interesse di Golisano merita accoglimento nei li

miti e per le ragioni già esplicitate nel dispositivo della senten

za.

TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri.

TRIBUNALE DI NAPOLI;

Corruzione — Impiegato di cancelleria — Propalazione di

notizie apprese in ragione dell'ufficio verso corrispettivo — Reato (Cod. proc. civ., art. 743, 744; disp. att. cod. proc.

civ., art. 76; cod. pen., art. 319, 358; 1. 23 ottobre 1960 n.

1196, ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie

giudiziarie e dei dattilografi, art. 159; 1. 7 agosto 1990 n. 241, nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di

diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22, 24, 28). Abuso di poteri e violazione dei doveri d'ufficio — Impiega

to di cancelleria — Propalazione di notizie ontologicamen te segrete — Rivelazione di segreti d'ufficio (Cod. pen., art.

326, 358; 1. 23 ottobre 1960 n. 1196, art. 159; 1. 7 agosto 1990 n. 241, art. 22, 24, 28).

Rispondono del delitto di corruzione propria gli impiegati di

cancelleria (ed i loro correi) i quali propalino, dietro corri

spettivo, notizie apprese in ragione del loro ufficio, ancorché

non coperte da segreto ed ancorché in adesione ad una prassi

illegittima. (1) Rispondono del delitto di rivelazione di segreti d'ufficio gli im

piegati di cancelleria (ed i loro correi) che propaghino noti

zie ontologicamente segrete, sia pure conformandosi ad una

prassi illegittima. (2)

(1-2) I. - Nella vicenda oggetto della sentenza in epigrafe, impiegati di cancellerie di tribunali, adeguandosi ad una prassi da tempo invalsa

in quegli uffici, commercializzavano notizie, oggettivamente segrete e

non, apprese in ragione del loro ufficio, ricevendone corrispettivo da

impiegati di banca, titolari di agenzie d'informazioni e soggetti comun

que interessati a ricevere informazioni concernenti atti giudiziari. La

sentenza esamina il regime degli atti diffusi ed esclude la rilevanza

della prassi applicata, contrastante con norme di rango primario. In termini, Cass. 3 novembre 1982, Liberti, Foro it.. Rep. 1984, voce

Corruzione, n. 17, citata in motivazione, resa in una fattispecie in tutto

analoga a quella esaminata dal Tribunale di Napoli. II. - Per la definizione di incaricato di pubblico servizio, Cass. 21

febbraio 2003, Sannia, Ced Cass., rv. 224050; 8 novembre 2002. Botta,

id., rv. 223017; 23 novembre 1995, Diana, Foro it., Rep. 1996, voce

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 23.

Per l'esclusione dal novero degli incaricati di pubblico servizio sol

tanto di coloro che svolgano mansioni meramente esecutive, Cass. 10

ottobre 2001, Iracà, id., Rep. 2002, voce cit., n. 4; 15 dicembre 2000,

Pizzimenti, id., Rep. 2001, voce cit.. n. 13; 7 marzo 2000, Di Carmino,

id.. Rep. 2000, voce cit., n. 9; 13 ottobre 1999, Ventre, ibid., n. 11; 4

febbraio 1999, Di Sabatino, id., Rep. 1999, voce cit., n. 18; 17 novem

bre 1998, Lo Re, ibid., n. 27; 27 maggio 1998, Prigitano, ibid., n. 25; 7

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PARTE SECONDA

Motivi della decisione. — Le complesse imputazioni rubri

cate s'imperniano sulla reiterata commissione di reati di corru

zione propria e di rivelazione di segreti d'ufficio.

Protagonisti della vicenda sono impiegati dei Tribunali di Napoli, Nola e Torre Annunziata, impiegati di banca, titolari di agenzie d'informazioni e soggetti comunque interessati a rice

vere notizie concernenti atti giudiziari. Sia i reati di corruzione, sia quelli di rivelazione di segreti

maggio 1998, Gigante, id., Rep. 1998, voce cit., n. 33; 17 ottobre 1997, Francini, ibid., n. 32; 13 giugno 1997, Mesiano, ibid., n. 31; 28 maggio 1997, Russo, ibid., n. 36; 24 giugno 1996, Montescuro, id., Rep. 1996, voce cit., n. 26; 28 settembre 1995, Mauro, ibid., n. 21; 30 gennaio 1995, De Mitri, id., Rep. 1995, voce cit., n. 16; 13 ottobre 1994, D'A

lessandro, id., Rep. 1996, voce Peculato, n. 11; 23 settembre 1994, Frau, id., Rep. 1995. voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 13; 4 marzo 1994, Paini, ibid., n. 12; 6 novembre 1992, Or

bitello, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 30; 9 marzo 1984, Costa, id., Rep. 1985, voce cit., n. 14; 14 gennaio 1983, Paponetti, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 15; per la giurisprudenza di merito, Trib. Pescara 4 maggio 1998, id., Rep. 1999, voce Abuso di poteri, n. 127, citata in motivazio

ne; Trib. Rovigo 28 maggio 1992, id., Rep. 1994, voce Concussione, n.

29, citata in motivazione.

Restringono la nozione di «mansioni d'ordine», Cass. 22 novembre

1996, Pellicciari, id., Rep. 1997, voce Oltraggio, n. 27; 23 novembre

1995, Diana, cit.; 5 novembre 1991, Amadori, id., 1993, II, 695. III. - Reputano sufficiente, per la configurabilità del pubblico servi

zio, che l'agente si trovi, per ragioni del proprio ufficio, nella possibi lità di compiere l'atto criminoso, Cass. 15 marzo 1993, D'Annibale, id., Rep. 1993, voce Corruzione, n. 6; 23 febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce cit., n. 9, citata in motivazione; 21 novembre 1983, Corrorati, id., Rep. 1985, voce cit., n. 5, citata in motivazione; 25 gen naio 1982, Albertini, id., Rep. 1984, voce cit., n. 13; 21 aprile 1978, Se

rafini, id., Rep. 1981, voce cit., n. 9. IV. - Per la nozione di pubblico servizio in senso oggettivo, v. Trib.

Napoli 21 ottobre 2003, id., 2003, II, 698. V. - Sulla nozione di segreto d'ufficio dell'impiegato, Cass. 15 mar

zo 2001, D'Ambrosio, id., Rep. 2001, voce Abuso di poteri, n. 52. Per la sopravvivenza del segreto d'ufficio a seguito dell'emanazione

della 1. 241/90, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105, id.,

Rep. 2000, voce Amministrazione dello Stato, n. 227, citata in motiva zione.

Sulle relazioni tra la disciplina del segreto d'ufficio e le norme su! diritto d'accesso, Cass. 4 marzo 1998, Balestri, id., Rep. 1998, voce

Segreti (reati), n. 2. Per l'esclusione del segreto nell'ipotesi in cui l'impiegato abbia po

tuto comunque avere conoscenza delle notizie, pur nell'ambito dell'uf

ficio, Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 1987, n. 67, id., Rep. 1987, voce

Impiegato dello Stato, n. 1034. VI. - Sulla sopravvivenza delle norme organizzatorie della 1. 1196/60

a seguito della contrattualizzazione del lavoro pubblico, Cass. 23 otto bre 1998, n. 10537, id.. Rep. 1999, voce Cancelliere, n. 6, citata in mo tivazione.

In generale, per altri aspetti del lavoro pubblico, Cass. 16 maggio 2003, n. 7704, id., 2003,1, 2675.

VII. - Per la distinzione tra segreto professionale, presidiato dall'art. 622 c.p., e segreto d'ufficio, contemplato dall'art. 326 c.p., Cass. 19

aprile 1996, Carola, id., Rep. 1998, voce Segreti (reati), n. 6. Vili. - Sulla rilevanza, ai fini della configurabilità del delitto di ri

velazione di segreto d'ufficio, dell'effetto di diffusione della notizia connesso alla condotta dell'incaricato di pubblico servizio, Cass. 5 di cembre 1997, Colandrea, ibid., voce Abuso di poteri, n. 127.

IX. - Per la rilevanza dell'errore su legge diversa da quella penale, Cass. 19 aprile 2002, Dessi, id., Rep. 2002, voce Errore penale, n. 2; 11 gennaio 2000, Di Patti, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1, citata in moti

vazione; 18 novembre 1998, Benanti, ibid., n. 2, citata in motivazione; 22 ottobre 1993, Lunardi, id., Rep. 1995, voce cit., n. 11; Pret. Venezia Dolo 4 marzo 1997, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 5; Trib. Piacenza 27 settembre 1994, id., 1995, II, 315, con nota di E. Belfiore.

X. - Sulla irrilevanza della prassi in ordine alla sussistenza dell'ele mento soggettivo, cfr. Trib. Napoli 21 ottobre 2003, cit.

Esclude che la circolare vincoli il dipendente in tema di interpreta zione di una legge da applicare, Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 1992, n. 1240, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa, n. 221, citata in motivazione. V., però, per l'esclusione della colpa, ai fini della respon sabilità contabile, del funzionario che si sia attenuto ad una circolare, successivamente rivelatasi illegittima, Corte conti, sez. I, 13 marzo 1987, n. 50, id., 1988, III, 572.

XI. - In dottrina, sulla nozione d'incaricato di pubblico servizio, R. Li Vecchi, Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio tra vec chia e nuova normativa, in Riv. pen., 1992, 807; S. Monteverde, In certezze giurisprudenziali nel delimitare la figura dell'incaricato di

pubblico servizio, in Dir. pen. e proc., 1998, 861.

Il Foro Italiano — 2004.

d'ufficio hanno infatti ad oggetto la divulgazione di notizie ri

guardanti procedure per decreto ingiuntivo, procedure concor

suali nonché, in misura minore, accertamenti anagrafici. Nella ricostruzione dei fatti prospettata dall'accusa, Sacco

Mario e Russo Salvatore promuovevano l'attività associativa, finalizzata alla commissione dei reati scopo di corruzione e di

rivelazione di segreti d'ufficio; all'attività associativa parteci

pava, con funzioni esecutive, De Maria Maria, moglie di Russo.

In concreto, Russo, titolare dell'agenzia «Pesce», provvedeva

all'approvvigionamento delle notizie segrete da commercializ

zare con banche ed altri soggetti; si procurava le notizie tramite

Cotticelli Giuseppe, impiegato del Tribunale di Torre Annun

ziata, Iorio Felice, impiegato del Tribunale di Nola, Perfetto

Armando e Trippitelli Costanzo, impiegati del Tribunale di Na

poli, Caiazzo Raffaele, impiegato della Corte d'appello di Na

poli, Cuccurullo Michele, impiegato a riposo della Pretura cir

condariale di Napoli. Inoltre, Trippitelli forniva verso compenso notizie segrete a

Ferrara Antonio, mentre Caiazzo Raffaele soddisfaceva le ri

chieste di notizie di numerose agenzie d'informazioni e di altri

soggetti, ricevendone un corrispettivo. Gli snodi fondamentali del processo concernono, in diritto:

1) quanto all'attribuzione della qualifica di incaricato di pub blico servizio, richiesta dai reati in questione, la determinazione

della nozione di atto d'ufficio rientrante nella competenza del

l'incaricato;

2) sul piano dell'elemento materiale dei reati, l'individuazio

ne della natura, pubblica o segreta, delle notizie propagate;

3) sul piano dell'elemento soggettivo, la rilevanza di prassi,

qualificate e non, di propagazione delle notizie.

Capitolo a parte, cui sarà riservata trattazione in prosieguo, concerne la sussistenza del delitto associativo rubricato.

1. - La nozione di atto d'ufficio ai fini del riconoscimento

della qualità di incaricato di pubblico servizio. Degli impiegati

imputati nell'odierno processo, Perfetto Armando era addetto,

all'epoca dei fatti, all'inserimento di dati nel terminale di un

computer ed al discarico di provvedimenti di magistrati; Trip

pitelli Costanzo è stato adibito, sino a settembre 1995, al rila

scio di copie di ricorsi fallimentari e successivamente al cam

pione penale; Caiazzo Raffaele era preposto al compimento di

ricerche sui terminali collegati con la Corte di cassazione e con

il comune di Napoli per l'acquisizione di notizie relative a pro cessi ed a certificati anagrafici; Cotticelli Giuseppe era asse

gnato all'ufficio copie della cancelleria civile del Tribunale di

Torre Annunziata; Iorio Felice era addetto ai servizi ausiliari di

anticamera del Tribunale di Nola, al rilascio di copie anche per l'ufficio delle società commerciali ed alla trasmissione degli atti

all'ufficio del registro; Cuccurullo Michele era impiegato a ri

poso, già in servizio presso la Pretura circondariale di Napoli. A Perfetto, Caiazzo, Trippitelli, Cotticelli e Iorio senz'altro

spetta la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Sfuggono infatti alla definizione generale di pubblico servizio

fornita dall'art. 358 c.p., come sostituito dall'art. 18 1. 26 aprile 1990 n. 86, soltanto le mansioni meramente esecutive, per le

quali il contributo alla realizzazione delle finalità pubblicistiche

possa essere indifferentemente fornito con altri rimedi stru

mentali sostitutivi della prestazione personale (Cass. 28 settem

bre 1995, Mauro, Foro it., Rep. 1996, voce Pubblico ufficiale e

incaricato di pubblico servizio, n. 21). Si è in conseguenza rico

nosciuta, in via d'esempio, la qualifica d'incaricato di pubblico servizio al coadiutore giudiziario (Trib. Rovigo 28 maggio 1992, id., Rep. 1994, voce Concussione, n. 29); al bidello della

scuola elementare (Cass. 17 ottobre 1997, Francini, id., Rep.

XII. - In dottrina, sul segreto d'ufficio, L. Fioravanti, Segreto d'uf ficio (violazione del), voce del Digesto pen., Torino, 1997, XIII, 94.

Sulle relazioni tra segreto d'ufficio e normativa sul diritto d'accesso, E.P. Fiorino, Brevi osservazioni sulla violazione del segreto d'ujficio prima e dopo la l. 7 agosto 1990 n. 241. in Giur. it., 2002, 1046.

In generale, sulla disciplina del diritto di accesso, Cons. Stato, ad.

plen., 2 luglio 2001, n. 5, Foro it., 2003, III, 263, con nota di M. Oc CHIENA.

XIII. - Sul regime di pubblicità dei registri di cancelleria, R. Teresi P. Troiano, La pubblicità degli atti giudiziali e dei registri di cancelle

ria, in Giur. it.. 1984, IV, 343. XIV. - Sull'errore in diritto penale, E. Belfiore, Contributo alla teo

ria dell'errore in diritto penale, Torino, 1997.

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GIURISPRUDENZA PENALE

1998, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 32); all'addetto all'obitorio, con mansioni di apertura e chiu

sura dei locali (Trib. Pescara 4 maggio 1998, id., Rep. 1999, vo ce Abuso di poteri, n. 127).

La difesa, argomentando dal contenuto concreto delle man

sioni affidate agli impiegati, ha tuttavia rilevato che, almeno per alcuni, tra i quali Caiazzo, la propalazione di notizie concernenti

atti giudiziari non si può considerare rientrante nell'ambito del

pubblico servizio da loro espletato in concreto.

La tesi contrasta con l'orientamento della Suprema corte, se

condo cui, perché si configuri atto d'ufficio rientrante nella

competenza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, occorre soltanto che esso riguardi un comportamento, sia pure materiale, relativo al servizio; né è richiesto che l'atto

rientri nella competenza specifica dell'impiegato, essendo suffi

ciente che rientri nella competenza dell'ufficio al quale l'impie

gato appartiene; non è richiesto, inoltre, che l'atto sia espressa mente devoluto alle specifiche mansioni che l'impiegato adem

pie. È sufficiente, dunque, che l'agente si trovi, per ragioni del

suo ufficio, nella possibilità di compiere l'atto criminoso (Cass. 21 novembre 1983, Corrorati, id., Rep. 1985, voce Corruzione, n. 5; per l'affermazione che non è necessario, perché si configu ri il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio, che le notizie ri velate siano apprese dall'agente per ragione del suo ufficio, v.

Cass. 12 ottobre 1989, De Leonibus, id., Rep. 1990, voce Abuso

di poteri, n. 46). Altresì ininfluente è la circostanza che alcuni degli impiegati,

attuali imputati, si siano limitati a divulgare notizie segrete rac

colte e fornite da altri (è il caso, almeno in parte, come s'illu

strerà in prosieguo, di Caiazzo e di Trippitelli). La divulgazione di notizie segrete integra, di per sé, la nozio

ne di contrarietà a dovere d'ufficio: la giurisprudenza ha preci sato, infatti, che è ininfluente che i doveri violati siano estranei

alla specifica sfera di competenza conferita al pubblico ufficiale

o all'incaricato di pubblico servizio, essendo sufficiente che

l'atto compiuto — che ben si può concretare in un'attività mate

riale — sia contrario al suo generico dovere d'ufficio (Cass. 23

febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce Corruzione, n.

9). La novella della legge del 1990 non ha apportato alcuna mo

difica incidente sul punto. 2. - La natura delle notizie divulgate. Sia la nozione di se

greto d'ufficio, sia la nozione di contrarietà a dovere d'ufficio

hanno rilievo extrapenale, giacché necessitano, per la determi

nazione del loro contenuto, di una etero-integrazione mediante

rinvio a norme diverse da quella incriminatrice.

Nella specie, occorre verificare se contrarietà a dovere d'uffi

cio e rivelazione di segreto identifichino concetti differenti o se,

invece, abbiano la medesima estensione.

In generale, il concetto di segreto in senso giuridico implica una relazione materiale o personale che indichi il limite posto, da una volontà giuridicamente competente, alla conoscibilità di

un fatto, di un atto o di una cosa, destinata a rimanere occulta ad

ogni persona diversa da quelle che legittimamente conoscono il

fatto, l'atto o la cosa (Cass. 4 luglio 1985, Acunzo, id., Rep. 1986. voce Spionaggio, n. 1).

Nel concreto, il segreto d'ufficio s'identifica col c.d. segreto amministrativo, ossia con quello che concerne l'attività espli cata dalla pubblica amministrazione e segnatamente dall'ammi

nistrazione giudiziaria. 1 parametri normativi generali. Le 1. n. 142 e n. 241 del 1990

hanno capovolto le regole che si erano affermate in precedenza sulla ostensibilità degli atti amministrativi. Sia l'una sia l'altra

sono improntate al principio per cui la conoscibilità è la regola, il segreto è l'eccezione nell'azione amministrativa.

In particolare, la 1. 241/90 riconosce «a chiunque vi abbia in

teresse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il di

ritto di accesso a documenti amministrativi», «al fine di assicu

rare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo

svolgimento imparziale» (art. 22).

Peraltro, nonostante il riferimento testuale a «chiunque», la

legge non prevede l'accesso generalizzato a qualsiasi soggetto, ma soltanto a coloro che, intendendo tutelare «situazioni giuri dicamente rilevanti», vantino un interesse non di mero fatto, ma

riconosciuto e tutelato dall'ordinamento. Non a caso, il richie

dente è tenuto ad enunciare nell'istanza, che deve obbligatoria mente essere indirizzata all'amministrazione che ha formato o

Il Foro Italiano — 2004.

che custodisce stabilmente i documenti, l'interesse che l'acces

so deve soddisfare; l'interesse e la sua rilevanza sono discrezio

nalmente vagliati dall'amministrazione, che valuta la meritevo

lezza delle ragioni per le quali le viene chiesta la discovery della

documentazione (art. 25). La legge esclude inoltre il diritto di accesso «nei casi di se

greto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordi

namento» (art. 24): la norma ha indotto il giudice amministrati

vo a ritenere che «l'innovazione legislativa, per quanto radicale, non travolge le diverse ipotesi di segreti previsti dall'ordina

mento, finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello riconducibile alla mera protezione dell'esercizio della funzione

amministrativa» (Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n.

5105, id., Rep. 2000, voce Amministrazione dello Stato, n. 227, che ha escluso il diritto di accesso con riguardo agli atti redatti

dai legali e dai professionisti in esecuzione dei rapporti di con

sulenza con l'amministrazione). La stessa 1. 241/90 disciplina una delle ipotesi più rilevanti di

segreto, dettando con l'art. 28, che ha sostituito l'art. 15 t.u. su

gli impiegati civili dello Stato, una nuova definizione del se

greto d'ufficio. Il segreto d'ufficio resta uno dei doveri del pub blico impiegato; esso di tanto si estende di quanto si estendono i

limiti all'accesso.

Dalla previsione dell'art. 15 è stata espunta l'estensione del

dovere anche agli «atti non segreti», che aveva indotto numerosi

interpreti dell'abrogato art. 15 del testo unico ad enucleare dalla

medesima previsione due diversi istituti: il segreto vero e pro

prio ed il riserbo d'ufficio, ovvero un segreto soggettivo o per sonale (perché connesso alla qualità del soggetto pubblico de

tentore delle notizie) e un segreto oggettivo o reale (connesso invece al contenuto delle notizie stesse).

L'art. 28, tuttavia, concernendo i medesimi soggetti destina

tari dell'articolo abrogato, ha lasciato in vita le disposizioni

speciali vigenti per particolari categorie. / parametri normativi peculiari al settore dell'amministra

zione giudiziaria. L'ordinamento è costellato di normative spe cifiche che impongono segreti d'ufficio specificamente discipli nati in settori determinati: nel settore che c'interessa, rilevano, in misura minore, l'art. 9, 2° comma, d.p.r. n. 322 del 1989, il

quale dispone che i dati statistici non possano essere comunica

ti, se non in forma aggregata sulla base di dati individuali non

nominativi, ad alcun soggetto esterno pubblico o privato, né ad

alcun ufficio della pubblica amministrazione e, in special modo, l'art. 159 1. 23 ottobre 1960 n. 1196, che detta l'ordinamento del

personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie. L'art. 159, con disposizione onnicomprensiva, riferendosi a

tutte le categorie in cui la legge inquadra (rectius, inquadrava, in quanto la classificazione del personale è oggi diversamente

disciplinata, a seguito della riforma del pubblico impiego) il personale di cancelleria e di segreteria, così testualmente dispo ne: «il funzionario di cancelleria e di segreteria e il dattilografo devono osservare il più scrupoloso segreto d'ufficio e non pos sono dare a chi non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti

segreti, informazioni o comunicazioni relative ad operazioni o

provvedimenti giudiziari o amministrativi di qualsiasi natura e

dei quali sono comunque venuti a conoscenza a causa del loro

ufficio». La disposizione non riproduce, invece, il riferimento, conte

nuto nell'abrogato art. 15 t.u. sugli impiegati civili dello Stato

ed espunto dall'art. 28 1. 241/90, al danno potenzialmente arre

cabile dalla diffusione della notizia.

È unanime opinione della dottrina che, pure a seguito della ri

forma del pubblico impiego, l'art. 159 dell'ordinamento delle

cancellerie sia tuttora vigente, così come, del resto, sono tuttora

vigenti le norme di tipo organizzatorio contenute nella legge (ad

esempio, in tema di orario di apertura al pubblico, Cass. 23 ot

tobre 1998, n. 10537, id., Rep. 1999, voce Cancelliere, n. 6, ed

altre meno recenti, ma comunque successive alla privatizzazio ne del pubblico impiego).

Sembrerebbe, peraltro, che l'art. 15 t.u. sugli impiegati civili

dello Stato, come modificato dall'art. 28 1. 241/90 e l'art. 159

siano norme sovrapposte. L'art. 159, di chiara ispirazione disciplinare, tuttavia, è assai

più chiaro; si riferisce con nettezza a tutte le informazioni, co

munque conosciute, dal funzionario, che, quindi, possono essere

sia quelle pertinenti al suo ufficio, sia quelle pertinenti ad altri

uffici.

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PARTE SECONDA

D'altra parte la norma, introducendo un riferimento alle «co

municazioni» oltre che alle informazioni, ha un contenuto più

specifico di quello dell'art. 15 che, sintomaticamente, non parla di comunicazioni, ma solo di informazioni.

Questa specificazione normativa appare, in effetti, il vero di

scrimine tra le due ipotesi normative: l'art. 159 non può non fa

re riferimento anche al plesso giurisdizionale, e dunque deve in

serire un criterio di raccordo con le norme processuali. Già solo

per questo fatto si deve riconoscere l'autonoma vigenza della

norma.

Il contenuto deontologico dell'art. 159, inoltre, è più marcato

di quello dell'art. 15, non foss'altro che per l'aggettivazione

adoperata, e per quel riferimento alla conoscenza «comunque»

acquisita, che appare essere parametro più forte della conoscen

za acquisita a causa delle funzioni svolte, menzionata dall'art.

15.

Un peculiare rigore appare del resto giustificato, quando si

parla di addetti alle cancellerie, proprio a cagione del loro pecu liare lavoro, che evidentemente non è del tutto assimilabile a

pur paritetiche funzioni svolte presso altre amministrazioni.

L'art. 159 1. 1196/60 ripropone la distinzione, scomparsa dal

testo dell'art. 15 t.u. sugli impiegati civili dello Stato, tra se

greto personale e segreto reale.

Questa distinzione non è sconosciuta al codice penale: sempre con riguardo alla tutela penale del segreto, l'art. 256 c.p. distin

gue tra notizie che devono rimanere segrete e notizie di cui sia

vietata la divulgazione. Norme specifiche identificano gli atti coperti da segreto c.d.

reale.

Rilevano anzitutto gli art. 743 e 744 c.p.c. L'art. 743 prescrive che qualunque pubblico depositario, au

torizzato a spedire copia degli atti che detiene, deve rilasciarne

copia autentica, ancorché l'istante o i suoi aventi causa non sia

no parte dell'atto, sotto pena dei danni e delle spese, salve le

norme speciali delle leggi sulle tasse di registro e di bollo. L'art.

744 stabilisce che i cancellieri ed i depositari di pubblici registri sono tenuti, eccettuati i casi determinati dalla legge, a spedire a

chiunque ne faccia istanza, copie ed estratti degli atti giudiziali da essi detenuti.

Le norme vanno interpretate tenendo conto della loro colloca

zione. Esse si trovano inserite nel titolo III, intestato «della co

pia e della collazione di atti pubblici»; e non a caso, l'art. 743, di cui l'art. 744 costituisce specificazione, regola il rilascio di

copie degli atti detenuti da «pubblici depositari». Si deve quindi ritenere che le norme previste dal titolo III abbiano ad oggetto atti pubblici. Anche gli «atti giudiziali» considerati dall'art. 744, dunque, devono avere, per essere assoggettati alla norma, connotazione pubblicistica, ossia devono rispondere alla speci fica funzione di fungere, nei confronti dell'intera collettività o,

quantomeno, di una categoria più o meno ampia di soggetti, da

veicolo di conoscenza dei fatti o dei rapporti giuridici in essi rappresentati.

Orbene, non tutti gli atti del processo civile esplicano tale

funzione. Che, anzi, la gran parte di essi sia finalizzata, all'in

terno del processo civile, soltanto all'accertamento della verità

in ordine alle contrapposte pretese dedotte in causa, lo si ricava

da due specifiche norme processuali: l'art. 76 e l'art. 84 disp. att. c.p.c.

L'art. 84 disp. att. c.p.c. prescrive la non pubblicità delle

udienze istruttorie e quindi degli atti in esse compiuti. Ne con

segue che i terzi estranei non possono presenziare allo svolgi mento degli atti compiuti nelle udienze istruttorie e sono am

messi a conoscere i soli fatti accertati che il giudice e le parti riterranno di valorizzare in sede di discussione orale e nella

motivazione della sentenza ovvero di quei provvedimenti assi

milabili alla sentenza.

In questo quadro s'inserisce l'art. 76 disp. att., che va consi

derato in correlazione con l'art. 744 c.p.c.

Quest'ultima norma, lo si è detto, pone a carico del cancellie

re l'obbligo di rilasciare a «chiunque ne faccia richiesta», ec

cettuati i casi determinati dalla legge, copie ed estratti degli atti

giudiziali da essi detenuti; l'art. 76 riconosce espressamente alle

parti ed ai loro difensori regolarmente costituiti il potere di

esaminare gli atti e i documenti inseriti nei fascicoli d'ufficio e

di parte e di farsene rilasciare copia dal cancelliere, osservate le

leggi sul bollo. Va rammentato, al riguardo, che, a norma degli art. 58, 168 c.p.c., 72, 73 e 74 disp. att., i fascicoli di parte con

II Foro Italiano — 2004.

tengono gli originali o le copie notificate dell'atto di citazione,

delle comparse, delle memorie, nonché i documenti esibiti; il

fascicolo d'ufficio, a sua volta, racchiude la nota d'iscrizione a

ruolo, la copia delle citazioni e delle comparse e delle memorie

delle parti, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti d'istruzione e copia del dispositivo della sentenza.

È ragionevole ritenere che l'art. 76 disp. att. c.p.c. ponga una

di quelle deroghe al generico potere di ottenere il rilascio di co

pie ed estratti, cui allude l'inciso dell'art. 744 «eccettuati i casi

determinati dalla legge»; e ciò nel senso che gli atti e i docu

menti inseriti nei fascicoli di causa possono essere rilasciati, in

copia, alle sole parti ed ai loro difensori. La deroga va comun

que interpretata restrittivamente, nel senso che gli atti giudiziali, la cui conoscenza è riservata alle sole parti ed ai loro difensori,

sono soltanto quegli atti custoditi nei fascicoli di causa, i quali limitino la loro efficacia nell'ambito del processo, in quanto di

retti a promuovere e regolare il corretto svolgimento di questo e

ad acquisire il materiale probatorio necessario per la decisione.

Questa interpretazione è l'unica che riconosce autonoma

portata precettiva all'art. 76, che, altrimenti, non ne avrebbe al

cuna.

Sul piano della ratio, soltanto quest'interpretazione si conci

lia con le esigenze di riservatezza tutelate dall'art. 84 disp. att.;

esigenze incompatibili con l'illimitato accesso, da parte di qual siasi terzo, a qualunque atto del processo.

Il meccanismo adottato al riguardo dal legislatore [che preve de: a) la subordinazione dell'obbligo di spedire le copie all'ac

certamento di un qualificato interesse in chi le richieda e b) il

conferimento al giudice di un potere autorizzatorio, in funzione

di bilanciamento dei contrapposti interessi implicati] si ritrova

in numerose altre ipotesi similari. Basti citare gli art. 118 e 210

c.p.c., secondo cui l'esibizione del documento è subordinata al

l'esigenza che essa possa compiersi senza grave danno per chi

deve esibire; o l'art. 23 1. n. 1409 del 1963 sull'archivio di Sta

to, che pone un severo limite temporale alla consultabilità degli atti «riservati relativi a situazioni puramente private di perso ne».

In sintesi, traendo le fila del ragionamento, nell'individuare

gli atti coperti da segreto c.d. reale, si possono fissare i seguenti

punti:

a) a norma dell'art. 76 disp. att., soltanto le parti ed i loro di

fensori possono prendere visione ed ottenere copia dei docu

menti e degli atti (diversi da quelli indicati sub b), inseriti nei fascicoli di ufficio o di parte); gli atti comprendono i ricorsi in troduttivi, che nel processo riguardano le procedure monitorie e

fallimentari, nonché gli atti istruttori o comunque anteriori alla

definizione del giudizio. Nell'odierno processo ricorre l'impiego dei termini «riserva

te», con specifico riferimento alle procedure fallimentari nonché

di «sviluppi», genericamente concernenti sia le procedure per decreto ingiuntivo sia le procedure fallimentari.

Soddisfacente definizione dell'accezione del termine «riser

vata» è fornita dal teste Vespa, direttore di cancelleria, in servi

zio presso la sezione fallimentare dal 9 giugno 1992 al giugno 1997: «le riservate alla fallimentare ... erano quei fascicoli per i

quali il collegio si riservava per la dichiarazione di fallimento».

La definizione è così specificata dal presidente De Rosa, che

ha presieduto la sezione fallimentare dal 1992 al 1995 e in pre cedenza è stato giudice della medesima sezione per numerosi

anni: «'riservate' significava che — la procedura —- era riser

vata al giudizio del tribunale, perché tutti i provvedimenti erano

fatti dal giudice monocratico istruttorio che segnava solamente i

rinvìi ..., poi quando scriveva 'riservata' vuol dire che la prati ca doveva passare all'esame del collegio».

Il teste Vespa ha aggiunto che «c'era un registro delle riser

vate dove venivano annotati i fascicoli che erano maturi per la

dichiarazione di fallimento», che egli definisce anche brogliac cio.

La più chiara definizione di «sviluppo» ci è fornita da Russo

Salvatore: «... gli sviluppi ... mi dicevano devi fare lo svilup

po di questo decreto ingiuntivo ed io facevo lo sviluppo dei de

creti ingiuntivi che volevano sapere, la somma, l'indirizzo vole

vano sapere, da chi proveniva questo debito, se era che non ave

vano pagato fatture, se era un saldo di conto corrente ...».

Le telefonate intercettate evidenziano, inoltre, che lo «svilup

po» concerneva notizie attinenti alle procedure monitorie e fal

limentari.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Dunque, «riservate» e «sviluppi», riferendosi ad attività ante

riori alla definizione dei giudizi, rientrano pienamente nel nove

ro degli atti oggettivamente segreti a norma dell'art. 76 disp. att.

c.p.c.; b) in virtù della combinazione degli art. 744 c.p.c. e 76 disp.

att., i terzi possono ottenere il rilascio delle sole copie dei prov vedimenti del giudice;

c) tuttavia, quei soggetti che, pur non rivestendo la qualità di

parte, siano legittimati ad intervenire in causa, o, comunque, a

spiegare attività nel procedimento possono prendere visione od

estrarre copia degli atti che li riguardano, qualora dimostrino la

sussistenza di un qualificato interesse, che il giudice deve valu

tare in concreto;

d) detto interesse dev'essere tale da trovare il proprio soddi

sfacimento soltanto nell'ambito del procedimento. Non si pos sono ammettere alla conoscenza degli atti suddetti i terzi che, in

pendenza o dopo la conclusione del processo, richiedano di

esaminare o di ottenere copia di tali atti a fini di studio o ad altri

fini. Il regime di pubblicità dei registri di cancelleria non è dettato

da alcuna norma specifica. Sembra tuttavia corretto conformarlo al corrispondente regi

me caratteristico degli atti del procedimento, giacché nei registri in esame vengono trascritti dati dedotti dagli atti.

Si deve quindi ritenere che:

a) i dati annotati nei registri del ruolo generale degli affari

(contenziosi o non contenziosi) civili, nei quali sono trascritti

gli elementi caratteristici di ciascun procedimento, possono es

sere comunicati dal cancelliere esclusivamente alle parti ed ai

loro difensori nonché ai terzi che intendano intervenire in causa

o, comunque, svolgere attività nel procedimento, previa valuta

zione, in tal caso, dell'interesse da parte del giudice;

b) lo stesso principio vale per i registri del ruolo di ciascuna

sezione, compreso il brogliaccio che elencava i fascicoli maturi

per la dichiarazione di fallimento di cui ha parlato, tra gli altri, il

teste Vespa;

c) un discorso più articolato meritano il registro-repertorio ed

il registro cronologico. Nel primo sono annotati tutti gli atti

soggetti a registrazione ai sensi dell'art. 8 della parte prima della tariffa allegata al d.p.r. n. 634 del 1972 (art. 28-32 disp. att. c.p.c.). È quindi possibile, ex art. 744, ottenere notizie in or

dine ai dati indicati in repertorio, che vertono su provvedimenti del giudice aventi carattere pubblico. Identico principio vale per il registro cronologico, limitatamente però ai dati relativi ai

provvedimenti decisori o esecutivi o costituenti comunque titolo

giudiziario. Si deve ritenere, quanto agli altri dati concernenti,

ad esempio, il rilascio di certificati nonché i provvedimenti me

ramente istruttori o integrativi dei medesimi, emessi fuori

udienza, che vi possano accedere soltanto le parti, i loro difen

sori ovvero coloro che siano, comunque, abilitati a svolgere at

tività nel procedimento. In definitiva, per quel che rileva nell'odierno processo, ri

mangono esclusi dal novero degli atti coperti da segreto reale,

ossia ontologicamente segreti, le sentenze del giudice, i provve dimenti ad esse equiparati, come i decreti ingiuntivi depositati in cancelleria nonché i dati annotati sui registri repertorio e cro

nologico relativi a questi atti.

Questi atti, tuttavia, giusta l'ampia previsione dell'art. 159 1.

n. 1196 del 1960, non possono comunque essere divulgati dagli addetti alle cancellerie: in relazione ad essi si configura il c.d.

segreto personale. Ad abundantiam, ed a conferma di quanto sin qui sostenuto,

si segnala che l'art. 2, 5° comma, del codice di comportamento dei pubblici dipendenti, emanato con d.m. del 31 marzo 1994

del ministro della funzione pubblica, prescrive che in ogni caso

è vietato all'impiegato di utilizzare a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio.

L'art. 159, come si è visto, consente che degli atti coperti da

segreto personale si forniscano informazioni o comunicazioni

soltanto a chi ne abbia diritto.

Il diritto ad ottenere le informazioni o le comunicazioni si

può ritenere disciplinato dalla normativa già richiamata in tema

di diritto di accesso.

Si rammenta al riguardo che l'accesso è riconosciuto all'i

stante soltanto dopo che il suo interesse sia stato positivamente valutato dall'amministrazione che ha formato o che detiene sta

bilmente gli atti.

Il Foro Italiano — 2004.

La natura del «diritto» di accesso è d'incerta classificazione.

Ciò che qui importa rilevare è che, comunque, si tratta di una

situazione giuridica soggettiva per la quale è espressamente

prevista razionabilità davanti al giudice amministrativo, con

modalità procedurali particolari (ex art. 25 1. 241/90), sia in caso

di diniego, sia in caso di differimento.

Ne consegue che qualunque comunicazione od informazione

che avvenga senza che si sia compiuto il prescritto vaglio, si

pone parimenti in violazione del dovere di segreto incombente

sull'addetto alla cancelleria.

Anche i dati anagrafici, dunque, la cui comunicazione è im

putabile in special modo a Caiazzo, il quale, si noti, era adibito

proprio a ricerche anagrafiche, sono qualificabili come notizie

soggettivamente segrete, rientranti nello specchio applicativo dell'art. 159 della legge sull'ordinamento del personale delle

cancellerie.

Le autorizzazioni alla consultazione dei decreti ingiuntivi di

chiarati esecutivi nonché del pubblico registro dei falliti e delle

sentenze dichiarative di fallimento rispettivamente rilasciate a

Russo dal presidente del Tribunale di Avellino e dal presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere non contrastano, ma

confermano la ricostruzione della normativa, giacché le autoriz

zazioni costituiscono appunto il risultato del vaglio dell'interes

se del soggetto che chiedeva l'accesso ai documenti da parte dell'autorità competente alla valutazione.

Quanto alla relazione tra i delitti di corruzione e quelli di ri

velazione di segreti d'ufficio, si osserva, in generale, che ai fini

del reato previsto dall'art. 319 c.p., sono atti contrari ai doveri

d'ufficio sia quelli illeciti o illegittimi, sia quelli che, se pure formalmente regolari, siano compiuti dall'agente prescindendo volutamente dall'osservanza dei doveri su di lui incombenti

(Cass. 7 dicembre 1994, Ventura, id., Rep. 1995, voce Corru

zione, n. 22). Nella specie, risulta violato il dovere di segretezza dell'ad

detto alle cancellerie, severamente disciplinato in considerazio

ne della delicatezza del settore in cui egli opera; ne deriva che

l'atto contrario ai doveri d'ufficio è a sua volta integrato dal

reato di rivelazione di segreti d'ufficio.

Esistenza di eventuali ulteriori parametri normativi, di natu

ra secondaria. Il quadro normativo sopra lumeggiato individua

e regola in maniera esauriente il segreto d'ufficio oggetto del

relativo dovere incombente sull'addetto alle cancellerie.

Non sono invece idonee ad integrare l'elemento materiale dei

reati in questione le circolari ministeriali del 10 gennaio 1983,

n. 82, del 13 luglio 1983, del 5 aprile 1985, del 15 febbraio 1986, del 20 luglio 1988 e del 15 gennaio 1992, dedotte dall'ac

cusa a fondamento della propria prospettazione. Un tempo si riteneva che il termine «circolare» indicasse un

peculiare genus di atti amministrativi emanati da un'autorità su

periore per stabilire, in via generale e astratta, le regole di con

dotta che le autorità inferiori dovevano osservare.

Oggi la dottrina è sostanzialmente concorde nel negare che il

termine abbia un significato tecnico preciso, indicando piuttosto un semplice mezzo di comunicazione di atti della natura più va

ria (prevalentemente norme interne).

Le circolari che rilevano nel processo appartengono al novero

delle circolari interpretative di norme e si limitano alla formula

zione di un giudizio tecnico.

Su questi atti è da registrare l'intervento del giudice ammini

strativo, secondo il quale le circolari aventi contenuto interpre tativo sono atti meramente interni dell'amministrazione e, per loro natura, non sono idonee ad apportare direttamente vincoli o

vantaggi a terzi oppure a disciplinare in via immediata i rapporti con l'amministrazione, qualora non siano state recepite negli atti emanati al riguardo dall'organo competente (Cons. Stato,

sez. V, 1240/92, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa,

n. 227). Queste circolari, dunque, non assurgono al livello di fonti di

normazione secondaria alle quali la dottrina, sia pure con cau

tela, riconosce funzione d'integrazione o di specificazione del

fatto di reato.

A fortiori, sono del tutto inidonee ad incidere sull'elemento

materiale della fattispecie penale e, in particolare, ad escludere

il segreto, reale o personale, la prassi e le istruzioni di servizio

su cui gli imputati hanno impostato larga parte della propria di

fesa.

In particolare, il libero accesso di fatto alle notizie segrete

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PARTE SECONDA

non è idoneo ad escludere, anche in astratto, il reato di rivela

zione di segreti d'ufficio, giacché, per consolidato orientamento

giurisprudenziale, questo reato si configura anche quando il

fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato

di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di dif

fonderlo in un ambito più vasto, com'è appunto accaduto nell'i

potesi in esame (v., in termini, Cass. 5 dicembre 1997, Colan

drea, id.. Rep. 1998, voce Abuso di poteri, n. 127). In particolare, la rilevanza di prassi ed istruzioni di servizio.

Nel caso in esame, occorre distinguere, in fatto, tra la situazione

del Tribunale e della Pretura di Napoli da un lato e quella dei

Tribunali di Nola e Torre Annunziata dall'altro; inoltre, all'in

terno degli uffici napoletani, s'impone l'ulteriore distinzione tra

la sezione fallimentare del tribunale e gli uffici di tribunale e

pretura deputati al rilascio di copie di decreti ingiuntivi.

Quanto alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, il

teste Vespa ha così illustrato le varie fasi che si susseguivano a

partire dalla presentazione di un ricorso di fallimento, precisan do che sin dal 1992 era pienamente a regime l'informatizzazio

ne dei servizi di cancelleria.

Al momento del deposito di un ricorso di fallimento, l'ope ratore (tra gli operatori adibiti a questa mansione vi era Perfetto

Armando) attribuiva un numero al ricorso e ne digitava gli estremi al terminale di un computer. Il computer era fornito di

un programma che scandiva tutte le fasi procedurali successive

alla presentazione del ricorso; per attivare il programma, era

sufficiente digitare il numero identificativo del ricorso. Sino al 5

maggio 1995, data cui risale un decreto restrittivo del presidente del tribunale Di Fiore, vi era, «aperto al pubblico», un computer «al di fuori delle nostre strutture di cancelleria», corredato di

istruzioni che ne consentivano il funzionamento.

Come già sopra chiarito, i fascicoli maturi per la dichiarazio

ne di fallimento venivano annotati sul c.d. «brogliaccio delle ri

servate», che si trovava sulla scrivania dove si depositavano i

ricorsi. «Non è che era accessibile, ma bastava chiederlo»; «era

l'uso comune che il registro poteva essere guardato da tutti»,

anche se «di solito non lo facevamo consultare, lo dicevamo

noi, perché stava sulla scrivania o stava in un cassetto; era un

po' alla portata degli operatori». Soltanto se desiderava una ri

sposta per iscritto, l'interessato doveva formulare una richiesta

scritta e pagare i diritti di cancelleria.

Sul brogliaccio venivano annotati anche i rinvìi relativi alle

dichiarazioni di fallimento, con l'indicazione delle ragioni del

rinvio; il teste ha ritenuto di poter escludere che il programma del computer comprendesse le notizie relative ai rinvìi.

Le dichiarazioni di fallimento venivano quindi affisse in ba

checa. A questo punto, Perfetto «traeva dal computer tutti gli estratti della sentenza dichiarativa di fallimento che dovevano

essere mandati ai vari enti».

Il teste Lubreto, direttore di cancelleria sino al 1° ottobre

1993, anch'egli addetto alla sezione fallimentare, ha aggiunto che nel 1979, data d'inizio della sua attività presso la sezione, la

«pandetta» era accessibile al pubblico, per disposizione del pre sidente dell'epoca, che la ribadì anche successivamente alle cir

colari ministeriali interpretative del 1983 di cui sopra vi è men

zione. La disposizione è stata ulteriormente ribadita dal succes

sivo presidente, nonostante il contrario avviso della relazione

conclusiva di una precedente ispezione ministeriale (v. i decreti, in atti, del 22 ottobre 1982, del 23 marzo 1983 e del 25 settem

bre 1983 dei presidenti della sezione fallimentare del tribunale). Va chiarito che il termine «pandetta», di per sé generico, sen

z'altro designa un registro avente le caratteristiche del registro

generale, giacché, come ha precisato il teste, «... vi era il nome, il cognome, il magistrato e l'esito ...», ossia gli elementi identi

ficativi del procedimento; in quanto tale, era soggetto al regime di segretezza di cui innanzi si è dato conto.

Il teste ha confermato quanto riferito da Vespa in relazione al

periodo dell'informatizzazione, precisando che i computer a di

sposizione del pubblico erano due (v., al riguardo, anche le di

chiarazioni, di uguale tenore, del teste Nambresini, addetto alla

sezione fallimentare in qualità di dirigente). Anche il presidente De Rosa ha ribadito quanto già riferito da

Vespa e da Lubreto, aggiungendo che la «prassi di ostensibilità»

durava da numerosi anni, che l'elenco delle «riservate» veniva

anche affisso in bacheca e che i fascicoli erano custoditi in ar

madi muniti di chiavi. La circostanza dell'affissione in bacheca

delle «riservate» è invece stata smentita dal teste Mazzocca,

Il Foro Italiano — 2004.

giudice addetto alla sezione fallimentare dal 1967 al 1989; sul

punto, il teste Vespa ha soltanto riferito di aver «sentito dire»

che il brogliaccio aveva sostituito un elenco che si affiggeva in

bacheca, ma ha escluso di aver assistito a detta affissione.

Il teste Mazzocca ha anche parlato, quanto alla consultazione

dei registri, di «un uso improprio», dovuto precipuamente ad

una «difficoltà operativa degli uffici»; «in realtà, gli avvocati

non dovrebbero neanche prendere i fascicoli dagli armadi in cui

sono custoditi ... In teoria, e secondo un sistema organizzato

civilmente, ci si dovrebbe rivolgere al personale per avere il

proprio fascicolo».

In relazione alla situazione dell'ufficio procedimenti speciali del Tribunale di Napoli, competente per i decreti ingiuntivi, ri

lievo primario assume la testimonianza del presidente Scordo,

addetto, con altri due presidenti della prima sezione, alla sotto

scrizione dei decreti ingiuntivi che si emettevano; il teste, su in

carico e delega del presidente del tribunale Di Fiore, ha svolto

un'indagine amministrativa seguita a fughe di notizie concer

nenti i decreti ingiuntivi. Si precisa, al riguardo, che è irrile

vante, ai fini dell'attendibilità del teste, la circostanza che il

presidente Scordo abbia assunto le funzioni di presidente della

prima sezione civile soltanto qualche mese prima della denuncia

che ha innescato l'odierna vicenda processuale, in quanto le no

tizie riferite dal teste sono state da lui apprese nel corso dell'in

dicata indagine amministrativa, che gli ha consentito di appro fondire la conoscenza dei fatti rilevanti.

Il teste ha così sunteggiato le fasi che seguono la presentazio ne di un ricorso per decreto ingiuntivo.

«I ricorsi venivano presentati all'ufficio ruolo ..veniva

formato un fascicolo ed anche un elenco con l'indicazione del

ricorrente, mi sembra anche del resistente, ma senza l'indica

zione della somma ... Questi fascicoli venivano portati all'uffi

cio affari speciali ... La dirigente dell'ufficio indicava il nome del giudice che avrebbe dovuto esaminare l'atto secondo l'ordi

ne di anzianità della prima sezione. Dopodiché, questi fascicoli

venivano prelevati dal giudice a cui venivano assegnati ..da

gli armadi dove erano ... i faldoni in cui c'era scritto il nome

dei destinatari. Venivano consegnati poi dal singolo giudice a

quello stesso ufficio e veniva emesso il decreto secondo l'indi

cazione riassuntiva del giudice che l'aveva esaminato ... un'in

dicazione a penna al margine del ricorso ... I decreti emessi ve

nivano mandati all'ufficio del registro, per essere registrati ...

Quindi ritornavano agli affari speciali». Il teste ha recisamente escluso di avere verificato, nel corso

dell'indagine amministrativa da lui condotta, che vi fosse la

prassi di comunicare notizie concernenti le procedure monitorie

a persone diverse dalle parti interessate. Ha aggiunto che, a se

guito del deposito del ricorso, ne veniva fatta annotazione su un

registro di passaggio, che non indicava la somma richiesta; que sti registri «non erano consultabili da chiunque, erano registri di

passaggio ...»; tuttavia, ha precisato, «... è anche vero che al

cuni registri, che non dovrebbero essere mostrati al pubblico, sono messi non a disposizione, ma gli avvocati li consultano per aiutare il cancelliere. Anziché chiedere se è stato emesso un de

creto ingiuntivo contro una certa persona chiedono al cancellie

re se risulta dal registro come intimata una certa persona». Il te

ste ha escluso che i decreti ingiuntivi venissero affissi e pubbli

cati; vi era al riguardo «un registro della cancelleria, dove veni

va scritto se — il decreto — era stato concesso oppure no ... e

del quale la cancelleria si avvaleva per dare la risposta alla do

manda».

Dei registri menzionati dal teste Scordo, senz'altro il primo, che riporta le annotazioni relative alla presentazione dei ricorsi

rientra nel novero dei ricorsi innanzi indicati sub b)\ il secondo

può essere assimilato al registro cronologico, relativamente al

l'indicazione dei ricorsi costituenti titolo esecutivo. Si rimanda

in conseguenza alle notazioni generali per quel che concerne il

regime di segretezza che presidia questi registri. In relazione alla situazione degli uffici della Pretura circonda

riale di Napoli competenti per l'emissione dei decreti ingiuntivi, il teste Angiolelli, funzionario di cancelleria addetto dal 1989

1990 al settore dei decreti ingiuntivi, che ha diretto a partire dal

1996, ha esposto che il servizio di cancelleria usava tre registri: il ruolo, sul quale «venivano annotate tutte le notizie relative al

creditore, debitore, l'avvocato e la somma per la quale si agiva. Poi avevamo due pandette: una alfabetica dei decreti, che veni

va impostata con il nome del ricorrente, resistente e il numero di

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Page 8: sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri

GIURISPRUDENZA PENALE

iscrizione a ruolo ed ... aggiornata di volta in volta e veniva

annotato il numero del decreto esecutivo e non esecutivo perché

gli avvocati potessero chiedere copia dell'atto; poi c'era una

pandetta opposizioni dove veniva iscritta a ruolo l'opposizione a decreto ingiuntivo qualora il debitore ritenesse di opporsi al

l'ingiunzione». Il teste ha specificato che i registri si trovavano su un tavolo

all'interno di una delle stanze che componevano gli uffici di

cancelleria, sotto la diretta sorveglianza dello stesso Angiolelli e

di un operatore amministrativo. «L'avvocato chiedeva sempre l'autorizzazione a controllare la pandetta ... mi dava lui il nome

del ricorrente ..., la pandetta era impostata in modo tale che si

potesse sapere solo il nome del ricorrente ... era una pandetta alfabetica ma era con il nome del ricorrente, non con il nome

del debitore ... Chiedevo il documento ...; quando ero presente 10 sicuramente il controllo lo esercitavo ... Non erano ostensi

bili a tutti le pandette, erano in tal senso le disposizioni». In

particolare, il controllo era così esercitato: l'avvocato «mi dice

va per quale persona agiva, io facevo un controllo sulla pandet ta, lui mi diceva il nome del ricorrente, del resistente; io rileva

vo il numero del ruolo generale sulla pandetta e a quel numero

di ruolo generale corrispondeva il ruolo generale contenzioso

sul ruolo grande ... controllavo sul ruolo generale la costituzio

ne del difensore». Il teste ha più volte ripetuto che non esercita

va il controllo soltanto quando la grande affluenza in cancelleria

materialmente non glielo consentiva.

Quanto ai fascicoli, ha proseguito il teste, «le produzioni di

parte venivano custodite in faldoni all'interno di armadi metal

lici, lo stesso valeva per il fascicoletto di cancelleria, perché nel

fascicoletto di cancelleria c'era la nota di iscrizione a ruolo ed

una copia del ricorso ... Quando l'avvocato veniva a ritirare la

produzione se c'era il commesso lo prendeva il commesso, al

trimenti uno di noi con il numero di ruolo generale ... lo prele vava dall'armadio». Infine, «il decreto ingiuntivo una volta

emesso veniva custodito sempre in faldoni come le produzioni all'interno di armadi...»; «veniva annotata la data di emissione

sul ruolo affari contenziosi ed il numero di decreto sulla pan detta ...; mentre i non esecutivi erano custoditi direttamente in

cancelleria, per quelli esecutivi bisognava assolvere prima la

formalità della registrazione; una volta registrati, rientravano da

noi e venivano inseriti nei faldoni». Il procuratore costituito era

comunque tenuto a chiedere all'Angiolelli o ad un operatore amministrativo se il decreto fosse tornato dal registro. Il teste ha

reiteratamente escluso che i registri fossero liberamente con

sultabili, ribadendo che la consultazione era consentita soltanto

alle parti ed ai procuratori costituiti; ha specificato che soltanto

per un breve periodo, a causa di un trasloco dell'ufficio, le pan dette e non i ruoli sono stati tenuti al di fuori della cancelleria.

Le dichiarazioni rese in argomento dal presidente De Rosa

sono di segno diverso.

Il teste, che ha svolto le funzioni di consigliere pretore diri

gente la Pretura circondariale di Napoli dal 1995 al 1998, ha ri

ferito che «... i decreti ingiuntivi sono su un grosso tavolo fuori

dalla porta in cui c'era l'ufficio dei decreti ingiuntivi. Successi

vamente, dopo che emersero delle perplessità, questo tavolo fu

collocato all'interno dell'ufficio diretto da un funzionario ...

Sostanzialmente erano a disposizione delle parti, perché erano

elenchi con nomine dei creditori e dei debitori e gli avvocati

interessati». Poco dopo, il presidente ha parlato di «fogli che si

trovavano su questo grosso tavolo ...»; ancora oltre, non è stato

in grado di specificare quanti e quali registri fossero in uso, né

quali indicazioni contenessero di preciso. Il teste ha comunque

precisato che «... la compulsabilità di questi elenchi ... ovvia

mente sul piano della disciplina doveva essere riservata ai cre

ditori e ai debitori rispettivamente richiedenti il provvedimento

d'ingiunzione e il debitore che di questo provvedimento era de

stinatario. Poi sul piano, diciamo così, dei mezzi e degli stru menti per controllare, anche un terzo se ne avesse fatto richiesta

... poteva avere l'autorizzazione».

Infine, ha aggiunto il presidente, «i fascicoli stavano a dispo

sizione, ovviamente, degli avvocati che andavano lì e si reputa vano che fossero interessati e quindi si prendeva il fascicolo e lo

facevano vedere».

La testimonianza di Angiolelli, più precisa e circostanziata, si

ritiene maggiormente significativa ed attendibile, perché espres sione di conoscenza specifica.

Tuttavia, le difformità riscontrabili tra le due deposizioni ri

11 Foro Italiano — 2004.

sultano ininfluenti in diritto, secondo quanto si esporrà in pro

sieguo. Passando alla situazione degli uffici di cancelleria del Tribu

nale di Torre Annunziata, il teste Amatucci, dirigente ammini

strativo del tribunale sin dalla sua istituzione, ossia da gennaio 1994, ha riferito, quanto alle procedure monitorie, che, antece

dentemente all'ordine di servizio del febbraio 1996 emesso dal

presidente del tribunale, i registri, che riportavano il nome delle

parti, la data di presentazione e quella di emissione del decreto

ingiuntivo, «... erano situati in modo tale che anche grazie alla

confusione che si creava nell'ufficio ... erano praticamente alla

portata di tutti»; «i fascicoli erano tenuti nell'ufficio copie — al

quale era addetto Cotticelli Giuseppe —

per una questione di

mancanza di spazio ... Erano collocati in armadi a vista ...»;

tuttavia, «gli avvocati stessi si vanno a prelevare anche i fasci

coli ...». «Per quanto riguarda le copie, la richiesta di copia de

v'essere fatta dall'interessato, quindi ... sull'accertamento che

quella persona fosse realmente interessata o meno, io credo che

data la confusione che c'era in quell'ufficio era un po' difficile

chiedere a tutti il documento d'identità ...».

Situazione differente vigeva per i fascicoli della sezione fal

limentare, che non erano accessibili, se non ai curatori «... per ché comunque stavano all'interno di una barriera di scrivanie

...»; «c'è un reparto dove sono custoditi i fascicoli dove i cu

ratori vengono sorvegliati a vista da un commesso».

Il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, Greco, ha ri

badito quanto dichiarato da Amatucci, specificando che la libera

consultabilità dei registri non derivava da alcuna autorizzazione

da lui rilasciata, ma soltanto da una prassi; ha riferito che la

parte o anche i terzi interessati potevano visionare i ricorsi di

fallimento pendenti; poco prima, tuttavia, aveva affermato che

«... io ero al corrente che soltanto alle parti ed ai procuratori delle parti era possibile l'accesso a questi registri ed in questo senso doveva interpretarsi la prassi da noi instaurata». Il teste ha

aggiunto che, anche prima dell'ordine di servizio del febbraio

1996, soltanto le parti ed i procuratori delle parti erano legitti mati a richiedere ed ottenere copie degli atti contenuti nei fasci

coli.

Infine, per quel che concerne il Tribunale di Nola, il teste

Motti, presidente del tribunale dal 15 aprile 1994, ha affermato

che, quanto alle procedure fallimentari, «... gli unici autorizzati

a ricevere notizie in merito erano il creditore, il debitore, il pro curatore comandato del creditore, il procuratore del debitore e

nessun altro». I fascicoli fallimentari erano custoditi in armadi

metallici ed i più delicati tra essi in armadi blindati, i decreti in giuntivi erano conservati come i fascicoli civili all'interno di

armadi in ferro. Il teste ha anche escluso che fossero accessibili

al pubblico i registri di cancelleria, che «... sono custoditi dal

cancelliere come i fascicoli». L'ordine di servizio emanato nel

l'aprile 1996, che vietava l'accesso alla cancelleria fallimentare

a tutti i non addetti, «ribadiva solo per iscritto quelle che erano

le istruzioni che venivano date; richiamava ai propri doveri di

ufficio il personale». In sintesi, non è emersa alcuna prassi di libero accesso a regi

stri e fascicoli in relazione ai servizi di cancelleria di ausilio alla

prima sezione del Tribunale di Napoli, ai corrispondenti uffici della Pretura circondariale di Napoli, al Tribunale di Nola.

Una tale prassi è invece emersa, nonostante le ambiguità della

deposizione del presidente Greco, con riguardo al Tribunale di

Torre Annunziata.

È emersa, infine, quanto alla sezione fallimentare del Tribu

nale di Napoli, sino al 5 maggio 1995, data di emanazione del

decreto restrittivo del presidente Di Fiore, sul quale infra, una

prassi di libero accesso a registri, brogliacci e fascicoli, qualifi cata da specifiche istruzioni di servizio di presidenti che si sono

avvicendati alla guida della sezione.

La prassi, semplice o qualificata, si ribadisce, è del tutto ini donea ad incidere sull'elemento materiale dei reati in questione, ossia ad escludere il connotato di segretezza, oggettiva o sog

gettiva, che presidia tutti gli atti sopra enumerati nelle notazioni

generali. Ciò in quanto:

a) la prassi è fatto (non atto) idoneo, al più e non sempre, a

produrre norme interne;

b) le istruzioni di servizio che, nella specie, hanno qualificato la prassi vigente all'interno della sezione fallimentare del Tri

bunale di Napoli, al pari delle circolari ministeriali sopra men

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PARTE SECONDA

zionate, costituiscono mero esercizio di potere di autorganizza zione, fondamento di produzione, al più, di norme interne.

Ed il collegio ha già rimarcato che tali norme, proprio perché

interne, non possono assurgere al livello di atti dotati di forza

normativa, capaci, cioè, di innovare l'ordinamento giuridico

quali fonti di diritto oggettivo (art. 1 disp. prel. c.c.). Il principio di legalità che governa la fattispecie penale esclu

de, in conseguenza, che le norme interne eventualmente pro dotte da prassi, semplice o qualificata, possano integrare o con

correre ad integrare il fatto di reato e, nella specie, possano escludere la sussistenza dell'elemento extrapenale della segre tezza.

3. - La rilevanza, sul piano dell'elemento soggettivo, delle

prassi di propagazione delle notizie segrete. Nei repertori di

giurisprudenza si rinviene un unico precedente specifico, relati

vo ad una fattispecie pressoché identica a quella oggi in que stione. Si tratta di Cass., sez. VI, 3 novembre 1982, Liberti (id.,

Rep. 1984, voce Corruzione, n. 17), relativa al caso in cui un

impiegato di cancelleria (nella specie, un coadiutore dattilogra

fo) aveva consegnato dietro compenso ai rappresentanti di alcu

ne banche elenchi di decreti ingiuntivi, sequestri conservativi, istanze e sentenze dichiarative di fallimento, esecuzioni mobi

liari ed immobiliari, fuori dei tempi e dei modi di comunicazio ne legittima. La corte ha osservato che le opinioni circa la legit timità delle operazioni retribuite dalla banca non possono «as

solutamente condurre a riscontrare nella condotta un errore sul

fatto costituente il predetto reato». L'imputato, «violando un

preciso, specifico obbligo di legge, che egli aveva un particolare dovere di conoscere ed osservare, siccome inerente all'ordina

mento del personale di cui faceva parte, era certamente consa

pevole dell'illegalità del suo comportamento, ad onta del modo

aperto con cui esso si svolgeva, addirittura 'formalizzato' in or

dini di pagamento delle banche interessate per quanto atteneva

all'aspetto 'retributivo' della vicenda».

Il collegio condivide pienamente questa impostazione in rife

rimento all'elemento soggettivo dei delitti di corruzione, che è

integrato dal dolo specifico caratterizzato dal fine di compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio. Ai fini del reato, è irrile

vante che si tratti di dovere d'ufficio generico o specifico oppu re che l'atto contrario ai doveri d'ufficio costituisca reato o

semplice mancanza disciplinare (Cass. 2 maggio 1983, Anitra

no, ibid., n. 15). È indifferente, quindi, nella specie, che l'ele

mento soggettivo riguardi anche il connotato di segretezza delle

notizie comunicate; è sufficiente la consapevolezza che la con

dotta si traduca in una violazione di doveri d'ufficio.

Occorre, invece, una più approfondita analisi con riguardo al

l'elemento soggettivo dei delitti di rivelazione di segreti d'uffi

cio, che deve estendersi anche alla connotazione di segretezza delle notizie di ufficio rivelate o la cui conoscenza è stata age volata.

In particolare, è necessario verificare se:

a) la prassi di cui si è parlato sia idonea a determinare un er

rore sulla legge extrapenale e segnatamente sulle norme innanzi

richiamate che stabiliscono la segretezza delle notizie;

b) in ipotesi affermativa, quale sia l'oggetto finale dell'erro

re, il precetto o il fatto.

E indubitabile che la prassi descritta dai testi in riferimento

alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli nonché al Tri

bunale di Torre Annunziata sia contra legem, in quanto si pone in patente contrasto con le fonti normative di rango primario il

lustrate nelle notazioni generali. Altrettanto indubbio, quantomeno in riferimento alla situa

zione del Tribunale di Torre Annunziata, è che tale prassi, di per sé, non elida affatto l'elemento soggettivo della fattispecie di

reato prevista dall'art. 326 c.p., che consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di propagare notizie d'ufficio

che debbano rimanere segrete. Una prassi illegittima, che me

glio può essere definita come tolleranza, di per sé non è in grado di determinare la falsa rappresentazione della realtà, fonte del

l'errore-motivo, giacché le fonti normative di rango primario, con le quali tale prassi contrasta, devono essere conosciute da

coloro che hanno il dovere di applicarle (il principio è consoli

dato in giurisprudenza. V., anche se con riguardo a diverse ipo tesi di reato, Cass., sez. V, 19 febbraio 1987, Inserra, id., Rep. 1988, voce Abuso di poteri, n. 38, relativa al reato di omissione

o rifiuto di atti d'ufficio; 10 aprile 1984, Mandelli, id., Rep. 1986, voce cit., n. 21, con riguardo al reato già previsto dall'art.

324 c.p.; 19 maggio 1982, Coscia, id., Rep. 1983, voce Omis

II Foro Italiano — 2004.

sione di denunzia, n. 3, in riferimento alla fattispecie di omessa

denuncia di reato). Non a caso, i testi escussi, ad eccezione di coloro che si sono

riferiti alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, hanno

imputato la prassi alla confusione degli uffici ed alla notevole

affluenza che li connotava e che non rendeva materialmente

possibile l'esercizio del controllo sulla legittimazione di chi ri

chiedeva le notizie.

Differente rilievo assume la prassi vigente nella sezione fal

limentare del Tribunale di Napoli, che, sino al 5 maggio 1995, data del decreto restrittivo del presidente del tribunale Di Fiore, era qualificata da specifiche istruzioni di servizio dei presidenti della sezione, che affermavano il principio del libero accesso a

registri e notizie concernenti le procedure concorsuali.

Le istruzioni di servizio, provenendo dal presidente della se

zione, cui compete la generale supervisione ed il coordinamento

delle attività svolte presso la sezione, risultano idonee a falsare la

rappresentazione della realtà di coloro che operavano nella se

zione; in particolare, risultano idonee a falsare la consapevolezza

degli agenti della segretezza delle notizie da loro propagate. Occorre quindi verificare, quanto al profilo sub b), quale sia

l'oggetto finale dell'errore.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente ha, di fatto,

«abrogato» l'art. 47, 3° comma, c.p., sulla base del principio per cui ogni errore sulla legge extrapenale si risolverebbe in un er

rore sull' antigiuridicità penale e quindi sarebbe inescusabile (in virtù dell'art. 5 c.p.). L'errore, secondo tale orientamento, sa

rebbe irrilevante ogniqualvolta la norma extrapenale integri la

norma penale incriminatrice, formando un tutt'uno con essa,

giacché non si potrebbe scindere il precetto penale dalla norma

integratrice (Cass. 11 gennaio 2000, Di Patti, id., Rep. 2000, voce Errore penale, n. 1; 18 novembre 1998, Benanti, ibid., n.

2; 15 aprile 1986, Iacopinelli, id., Rep. 1987, voce Legge pena le, n. 8; 24 marzo 1977, Zanga, id., Rep. 1978, voce Errore pe

nale, n. 3; 13 giugno 1973, Maddaluno, id., Rep. 1974, voce

Abuso di poteri, n. 34; 30 giugno 1972, Lovatelli, id., Rep. 1973, voce Errore penale, n. 1; 16 gennaio 1970, Cipolla, id.,

Rep. 1970, voce cit., n. 11). Data l'indeterminatezza del criterio

d'individuazione delle ipotesi in cui la legge extrapenale effetti

vamente integri la norma penale, tale principio ha finito, di fat

to, col determinare la sovrapposizione dell'ambito di operatività dell'art. 5 c.p. su quello originario dell'art. 47, sino alla sostan

ziale abrogazione di quest'ultimo. Osserva il collegio che è senz'altro vero che l'errore sulla

legge extrapenale richiamata dalla fattispecie di reato comporta, anzitutto e necessariamente, anche un errore sulla fattispecie le

gale, sulla norma incriminatrice; ma non è meno vero che so

vente non si esaurisce in esso.

Quando l'errore extrapenale non si esaurisce in un errore sul

precetto, ma comporta anche un errore sul fatto, esso è ontolo

gicamente identico, negli effetti psicologici ultimi, all'errore sul

fatto determinato da un errore di fatto. In entrambi i casi l'a

gente vuole un fatto concreto diverso da quello vietato dalla

norma penale, giacché l'errore non cade sul significato penali stico dell'elemento normativo della fattispecie di reato, ma di

rettamente sulle norme extrapenali richiamate.

Nel caso in esame è accaduto proprio che le istruzioni di ser

vizio abbiano indotto gli agenti in errore sulle norme extrapenali che qualificano come segrete le notizie di ufficio propalate. L'errore in questione assume anche il connotato di essenzialità, in quanto si riferisce ad uno degli elementi oggettivi richiesti

per l'esistenza del reato di rivelazione di segreti d'ufficio.

Ne consegue che le condotte aventi ad oggetto la rivelazione

di notizie concernenti procedure concorsuali pendenti o definite

innanzi alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli ante

cedente al 5 maggio 1995 non costituiscano reato, perché non

sorrette dal dolo, escluso da errore essenziale sulle richiamate

norme extrapenali. L'errore non è più configurabile a partire dal 5 maggio 1995,

giacché, in questa data, il presidente del tribunale Di Fiore, in

considerazione dell'«ingente danno che può derivare all'im

prenditore dalla generalizzata conoscibilità di una istanza di

fallimento pendente a suo carico, con violazione, in ogni caso, del diritto alla riservatezza, costituzionalmente garantito», ha

decretato che «la rubrica alfabetica dei corsi di fallimento non è

liberamente accessibile alla consultazione; le sue risultanze so

no certificate dal cancelliere solo a domanda di chi dimostri uno

specifico, legittimo interesse». (Omissis)

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