sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 113/114-127/128Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200498 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
immediatamente recuperati dalla polizia e restituitigli come da
decreto del p.m. in data 6 agosto 2002. In relazione a tali beni il
suo patrimonio è stato reintegrato. Bosco ha tuttavia subito altri danni di natura fisica, costituiti
dalle lesioni procurategli dagli aggressori (trauma cranico non
commotivo, ecchimosi ed escoriazioni alla regione frontale sini
stra), nonché quelli di natura morale, costituiti dai patimenti de
rivati dalle violenze e dalle minacce.
Non si rinvengono in atti elementi obiettivi, idonei a consen
tire una precisa quantificazione del valore economico di tali
danni; la somma di euro 2.500, ritenuta dalla persona offesa
adeguata a soddisfare interamente le proprie pretese risarcitone,
non appare incongrua, anche in considerazione dell'entità delle
lesioni, curate in quindici giorni e senza postumi. Va in ultimo evidenziato che la somma è stata corrisposta al
Bosco dalla madre dell'imputato, Angela Di Marca.
Il giudice non ignora l'orientamento della Cassazione, secon
do il quale il risarcimento effettuato da un terzo non può legit timare di per sé l'applicazione del beneficio di cui all'art. 62, n.
6, c.p. all'imputato (cfr., tra le altre, con riferimento al risarci
mento erogato da ente assicuratore, Cass. 13 gennaio 1993, Di
Carlo, id., Rep. 1993, voce cit., n. 49; 15 gennaio 1991, Cianci mino, id., Rep. 1992, voce cit., n. 54).
Ma se si ritiene davvero che l'attenuante sia collegata ad un
comportamento riparatorio libero e volontario del colpevole, maturato dopo la commissione del reato e indicativo di una sua
resipiscenza, non si può richiedere necessariamente che la
somma erogata a titolo di risarcimento provenga dal patrimonio
personale dell'imputato o che egli l'abbia materialmente conse
gnata al danneggiato; potrà essere sufficiente che il colpevole si
sia adoperato al fine di reperire la somma e far conseguire all'a
vente diritto il controvalore del danno patito. Non sembra corretto difatti negare l'attenuante di cui all'art.
62, n. 6, c.p. all'imputato impossidente, che si procuri il denaro
da versare al danneggiato attraverso prestiti o donazioni di terzi;
né sembra equo negare tale attenuante sol perché il denaro così
reperito non sia stato direttamente consegnato dal colpevole,
qualora questi sia momentaneamente privato della libertà perso nale e pertanto impossibilitato ad effettuare con modalità age voli tale operazione.
Golisano è privo di redditi propri (è difatti stato ammesso al
beneficio del gratuito patrocinio) e, per come da lui stesso rife
rito, pur non convivendo con i genitori, si manteneva grazie alle
elargizioni che essi di tanto in tanto gli concedevano. Egli ha
più volte dichiarato di essere pentito del reato commesso e di
voler rimediare alle conseguenze delle sue azioni. L'intervento
della madre nel reperimento e nella consegna della somma a ti
tolo di risarcimento al Bosco costituisce di fatto l'unica moda
lità con la quale il Golisano avrebbe potuto realizzare le condi
zioni di cui all'art. 62, n. 6, c.p. Sicché tale attenuante gli va
concessa.
Tuttavia l'intervento di un terzo in maniera così determinante
ed il fatto che il Golisano non abbia patito l'aggravio economi
co derivante dalla sua condotta riparatoria sono elementi che
devono trovare adeguata considerazione nel valutare l'estensio
ne con la quale applicare la circostanza attenuante.
Proprio per queste ragioni più limitati dovranno ritenersi gli effetti di essa nel caso di specie.
Dovendosi quindi svolgere il giudizio di bilanciamento di cui
all'art. 69 c.p., le attenuanti riconosciute appaiono equivalenti alle aggravanti contestate; non minusvalenti in quanto le mani
festazioni di resipiscenza dell'imputato sono state significative e proporzionate alla gravità del fatto e dei suoi precedenti pena
li; non prevalenti in quanto il delitto è stato commesso in pre senza di diverse ed allarmanti circostanze aggravanti, tali da non
poter essere superate dal pur apprezzabile comportamento suc
cessivo del Golisano.
5. - Le pene e le statuizioni finali. Dovendosi applicare le
sanzioni di cui all'art. 628, 1° comma, c.p., stante il giudizio di
equivalenza tra le aggravanti contestate e le attenuanti concesse,
appare equo irrogare all'imputato la pena —
leggermente supe riore al minimo edittale al fine di retribuire la gravità del fatto
— di anni quattro di reclusione ed euro 300 di multa, ridotta di
un terzo in considerazione del rito ad anni due e mesi otto di re
clusione ed euro 200 di multa.
Consegue la condanna alle spese del presente giudizio e alle
spese per il suo rispettivo mantenimento in carcere.
Il Foro Italiano — 2004.
Golisano nel recente passato ha beneficiato per ben tre volte
della sospensione condizionale: con la sentenza del Tribunale di
Caltanissetta in data 4 febbraio 2000 che lo aveva condannato
alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di lesioni perso nali in concorso; con la sentenza del Tribunale di Caltanissetta
in data 17 luglio 2000 che lo aveva condannato alla pena di me
si otto di reclusione per un reato della stessa specie; con decreto
del g.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta in data 23 novem
bre 2001 che lo aveva condannato alla multa di lire 70.000 (pari a euro 36,15) per il reato di minaccia aggravata.
La presente sentenza comporta la revoca di diritto di tali be
nefici ai sensi dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., in quanto entro
i cinque anni dalla loro concessione Golisano ha commesso un
delitto per il quale gli è stata inflitta una pena detentiva.
L'istanza di sostituzione della misura cautelare avanzata dal
difensore nell'interesse di Golisano merita accoglimento nei li
miti e per le ragioni già esplicitate nel dispositivo della senten
za.
TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 16 gennaio 2002; Pres. Ghionni, Est. Perrino; imp. Russo e altri.
TRIBUNALE DI NAPOLI;
Corruzione — Impiegato di cancelleria — Propalazione di
notizie apprese in ragione dell'ufficio verso corrispettivo — Reato (Cod. proc. civ., art. 743, 744; disp. att. cod. proc.
civ., art. 76; cod. pen., art. 319, 358; 1. 23 ottobre 1960 n.
1196, ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie e dei dattilografi, art. 159; 1. 7 agosto 1990 n. 241, nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22, 24, 28). Abuso di poteri e violazione dei doveri d'ufficio — Impiega
to di cancelleria — Propalazione di notizie ontologicamen te segrete — Rivelazione di segreti d'ufficio (Cod. pen., art.
326, 358; 1. 23 ottobre 1960 n. 1196, art. 159; 1. 7 agosto 1990 n. 241, art. 22, 24, 28).
Rispondono del delitto di corruzione propria gli impiegati di
cancelleria (ed i loro correi) i quali propalino, dietro corri
spettivo, notizie apprese in ragione del loro ufficio, ancorché
non coperte da segreto ed ancorché in adesione ad una prassi
illegittima. (1) Rispondono del delitto di rivelazione di segreti d'ufficio gli im
piegati di cancelleria (ed i loro correi) che propaghino noti
zie ontologicamente segrete, sia pure conformandosi ad una
prassi illegittima. (2)
(1-2) I. - Nella vicenda oggetto della sentenza in epigrafe, impiegati di cancellerie di tribunali, adeguandosi ad una prassi da tempo invalsa
in quegli uffici, commercializzavano notizie, oggettivamente segrete e
non, apprese in ragione del loro ufficio, ricevendone corrispettivo da
impiegati di banca, titolari di agenzie d'informazioni e soggetti comun
que interessati a ricevere informazioni concernenti atti giudiziari. La
sentenza esamina il regime degli atti diffusi ed esclude la rilevanza
della prassi applicata, contrastante con norme di rango primario. In termini, Cass. 3 novembre 1982, Liberti, Foro it.. Rep. 1984, voce
Corruzione, n. 17, citata in motivazione, resa in una fattispecie in tutto
analoga a quella esaminata dal Tribunale di Napoli. II. - Per la definizione di incaricato di pubblico servizio, Cass. 21
febbraio 2003, Sannia, Ced Cass., rv. 224050; 8 novembre 2002. Botta,
id., rv. 223017; 23 novembre 1995, Diana, Foro it., Rep. 1996, voce
Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 23.
Per l'esclusione dal novero degli incaricati di pubblico servizio sol
tanto di coloro che svolgano mansioni meramente esecutive, Cass. 10
ottobre 2001, Iracà, id., Rep. 2002, voce cit., n. 4; 15 dicembre 2000,
Pizzimenti, id., Rep. 2001, voce cit.. n. 13; 7 marzo 2000, Di Carmino,
id.. Rep. 2000, voce cit., n. 9; 13 ottobre 1999, Ventre, ibid., n. 11; 4
febbraio 1999, Di Sabatino, id., Rep. 1999, voce cit., n. 18; 17 novem
bre 1998, Lo Re, ibid., n. 27; 27 maggio 1998, Prigitano, ibid., n. 25; 7
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PARTE SECONDA
Motivi della decisione. — Le complesse imputazioni rubri
cate s'imperniano sulla reiterata commissione di reati di corru
zione propria e di rivelazione di segreti d'ufficio.
Protagonisti della vicenda sono impiegati dei Tribunali di Napoli, Nola e Torre Annunziata, impiegati di banca, titolari di agenzie d'informazioni e soggetti comunque interessati a rice
vere notizie concernenti atti giudiziari. Sia i reati di corruzione, sia quelli di rivelazione di segreti
maggio 1998, Gigante, id., Rep. 1998, voce cit., n. 33; 17 ottobre 1997, Francini, ibid., n. 32; 13 giugno 1997, Mesiano, ibid., n. 31; 28 maggio 1997, Russo, ibid., n. 36; 24 giugno 1996, Montescuro, id., Rep. 1996, voce cit., n. 26; 28 settembre 1995, Mauro, ibid., n. 21; 30 gennaio 1995, De Mitri, id., Rep. 1995, voce cit., n. 16; 13 ottobre 1994, D'A
lessandro, id., Rep. 1996, voce Peculato, n. 11; 23 settembre 1994, Frau, id., Rep. 1995. voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 13; 4 marzo 1994, Paini, ibid., n. 12; 6 novembre 1992, Or
bitello, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 30; 9 marzo 1984, Costa, id., Rep. 1985, voce cit., n. 14; 14 gennaio 1983, Paponetti, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 15; per la giurisprudenza di merito, Trib. Pescara 4 maggio 1998, id., Rep. 1999, voce Abuso di poteri, n. 127, citata in motivazio
ne; Trib. Rovigo 28 maggio 1992, id., Rep. 1994, voce Concussione, n.
29, citata in motivazione.
Restringono la nozione di «mansioni d'ordine», Cass. 22 novembre
1996, Pellicciari, id., Rep. 1997, voce Oltraggio, n. 27; 23 novembre
1995, Diana, cit.; 5 novembre 1991, Amadori, id., 1993, II, 695. III. - Reputano sufficiente, per la configurabilità del pubblico servi
zio, che l'agente si trovi, per ragioni del proprio ufficio, nella possibi lità di compiere l'atto criminoso, Cass. 15 marzo 1993, D'Annibale, id., Rep. 1993, voce Corruzione, n. 6; 23 febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce cit., n. 9, citata in motivazione; 21 novembre 1983, Corrorati, id., Rep. 1985, voce cit., n. 5, citata in motivazione; 25 gen naio 1982, Albertini, id., Rep. 1984, voce cit., n. 13; 21 aprile 1978, Se
rafini, id., Rep. 1981, voce cit., n. 9. IV. - Per la nozione di pubblico servizio in senso oggettivo, v. Trib.
Napoli 21 ottobre 2003, id., 2003, II, 698. V. - Sulla nozione di segreto d'ufficio dell'impiegato, Cass. 15 mar
zo 2001, D'Ambrosio, id., Rep. 2001, voce Abuso di poteri, n. 52. Per la sopravvivenza del segreto d'ufficio a seguito dell'emanazione
della 1. 241/90, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105, id.,
Rep. 2000, voce Amministrazione dello Stato, n. 227, citata in motiva zione.
Sulle relazioni tra la disciplina del segreto d'ufficio e le norme su! diritto d'accesso, Cass. 4 marzo 1998, Balestri, id., Rep. 1998, voce
Segreti (reati), n. 2. Per l'esclusione del segreto nell'ipotesi in cui l'impiegato abbia po
tuto comunque avere conoscenza delle notizie, pur nell'ambito dell'uf
ficio, Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 1987, n. 67, id., Rep. 1987, voce
Impiegato dello Stato, n. 1034. VI. - Sulla sopravvivenza delle norme organizzatorie della 1. 1196/60
a seguito della contrattualizzazione del lavoro pubblico, Cass. 23 otto bre 1998, n. 10537, id.. Rep. 1999, voce Cancelliere, n. 6, citata in mo tivazione.
In generale, per altri aspetti del lavoro pubblico, Cass. 16 maggio 2003, n. 7704, id., 2003,1, 2675.
VII. - Per la distinzione tra segreto professionale, presidiato dall'art. 622 c.p., e segreto d'ufficio, contemplato dall'art. 326 c.p., Cass. 19
aprile 1996, Carola, id., Rep. 1998, voce Segreti (reati), n. 6. Vili. - Sulla rilevanza, ai fini della configurabilità del delitto di ri
velazione di segreto d'ufficio, dell'effetto di diffusione della notizia connesso alla condotta dell'incaricato di pubblico servizio, Cass. 5 di cembre 1997, Colandrea, ibid., voce Abuso di poteri, n. 127.
IX. - Per la rilevanza dell'errore su legge diversa da quella penale, Cass. 19 aprile 2002, Dessi, id., Rep. 2002, voce Errore penale, n. 2; 11 gennaio 2000, Di Patti, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1, citata in moti
vazione; 18 novembre 1998, Benanti, ibid., n. 2, citata in motivazione; 22 ottobre 1993, Lunardi, id., Rep. 1995, voce cit., n. 11; Pret. Venezia Dolo 4 marzo 1997, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 5; Trib. Piacenza 27 settembre 1994, id., 1995, II, 315, con nota di E. Belfiore.
X. - Sulla irrilevanza della prassi in ordine alla sussistenza dell'ele mento soggettivo, cfr. Trib. Napoli 21 ottobre 2003, cit.
Esclude che la circolare vincoli il dipendente in tema di interpreta zione di una legge da applicare, Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 1992, n. 1240, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa, n. 221, citata in motivazione. V., però, per l'esclusione della colpa, ai fini della respon sabilità contabile, del funzionario che si sia attenuto ad una circolare, successivamente rivelatasi illegittima, Corte conti, sez. I, 13 marzo 1987, n. 50, id., 1988, III, 572.
XI. - In dottrina, sulla nozione d'incaricato di pubblico servizio, R. Li Vecchi, Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio tra vec chia e nuova normativa, in Riv. pen., 1992, 807; S. Monteverde, In certezze giurisprudenziali nel delimitare la figura dell'incaricato di
pubblico servizio, in Dir. pen. e proc., 1998, 861.
Il Foro Italiano — 2004.
d'ufficio hanno infatti ad oggetto la divulgazione di notizie ri
guardanti procedure per decreto ingiuntivo, procedure concor
suali nonché, in misura minore, accertamenti anagrafici. Nella ricostruzione dei fatti prospettata dall'accusa, Sacco
Mario e Russo Salvatore promuovevano l'attività associativa, finalizzata alla commissione dei reati scopo di corruzione e di
rivelazione di segreti d'ufficio; all'attività associativa parteci
pava, con funzioni esecutive, De Maria Maria, moglie di Russo.
In concreto, Russo, titolare dell'agenzia «Pesce», provvedeva
all'approvvigionamento delle notizie segrete da commercializ
zare con banche ed altri soggetti; si procurava le notizie tramite
Cotticelli Giuseppe, impiegato del Tribunale di Torre Annun
ziata, Iorio Felice, impiegato del Tribunale di Nola, Perfetto
Armando e Trippitelli Costanzo, impiegati del Tribunale di Na
poli, Caiazzo Raffaele, impiegato della Corte d'appello di Na
poli, Cuccurullo Michele, impiegato a riposo della Pretura cir
condariale di Napoli. Inoltre, Trippitelli forniva verso compenso notizie segrete a
Ferrara Antonio, mentre Caiazzo Raffaele soddisfaceva le ri
chieste di notizie di numerose agenzie d'informazioni e di altri
soggetti, ricevendone un corrispettivo. Gli snodi fondamentali del processo concernono, in diritto:
1) quanto all'attribuzione della qualifica di incaricato di pub blico servizio, richiesta dai reati in questione, la determinazione
della nozione di atto d'ufficio rientrante nella competenza del
l'incaricato;
2) sul piano dell'elemento materiale dei reati, l'individuazio
ne della natura, pubblica o segreta, delle notizie propagate;
3) sul piano dell'elemento soggettivo, la rilevanza di prassi,
qualificate e non, di propagazione delle notizie.
Capitolo a parte, cui sarà riservata trattazione in prosieguo, concerne la sussistenza del delitto associativo rubricato.
1. - La nozione di atto d'ufficio ai fini del riconoscimento
della qualità di incaricato di pubblico servizio. Degli impiegati
imputati nell'odierno processo, Perfetto Armando era addetto,
all'epoca dei fatti, all'inserimento di dati nel terminale di un
computer ed al discarico di provvedimenti di magistrati; Trip
pitelli Costanzo è stato adibito, sino a settembre 1995, al rila
scio di copie di ricorsi fallimentari e successivamente al cam
pione penale; Caiazzo Raffaele era preposto al compimento di
ricerche sui terminali collegati con la Corte di cassazione e con
il comune di Napoli per l'acquisizione di notizie relative a pro cessi ed a certificati anagrafici; Cotticelli Giuseppe era asse
gnato all'ufficio copie della cancelleria civile del Tribunale di
Torre Annunziata; Iorio Felice era addetto ai servizi ausiliari di
anticamera del Tribunale di Nola, al rilascio di copie anche per l'ufficio delle società commerciali ed alla trasmissione degli atti
all'ufficio del registro; Cuccurullo Michele era impiegato a ri
poso, già in servizio presso la Pretura circondariale di Napoli. A Perfetto, Caiazzo, Trippitelli, Cotticelli e Iorio senz'altro
spetta la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Sfuggono infatti alla definizione generale di pubblico servizio
fornita dall'art. 358 c.p., come sostituito dall'art. 18 1. 26 aprile 1990 n. 86, soltanto le mansioni meramente esecutive, per le
quali il contributo alla realizzazione delle finalità pubblicistiche
possa essere indifferentemente fornito con altri rimedi stru
mentali sostitutivi della prestazione personale (Cass. 28 settem
bre 1995, Mauro, Foro it., Rep. 1996, voce Pubblico ufficiale e
incaricato di pubblico servizio, n. 21). Si è in conseguenza rico
nosciuta, in via d'esempio, la qualifica d'incaricato di pubblico servizio al coadiutore giudiziario (Trib. Rovigo 28 maggio 1992, id., Rep. 1994, voce Concussione, n. 29); al bidello della
scuola elementare (Cass. 17 ottobre 1997, Francini, id., Rep.
XII. - In dottrina, sul segreto d'ufficio, L. Fioravanti, Segreto d'uf ficio (violazione del), voce del Digesto pen., Torino, 1997, XIII, 94.
Sulle relazioni tra segreto d'ufficio e normativa sul diritto d'accesso, E.P. Fiorino, Brevi osservazioni sulla violazione del segreto d'ujficio prima e dopo la l. 7 agosto 1990 n. 241. in Giur. it., 2002, 1046.
In generale, sulla disciplina del diritto di accesso, Cons. Stato, ad.
plen., 2 luglio 2001, n. 5, Foro it., 2003, III, 263, con nota di M. Oc CHIENA.
XIII. - Sul regime di pubblicità dei registri di cancelleria, R. Teresi P. Troiano, La pubblicità degli atti giudiziali e dei registri di cancelle
ria, in Giur. it.. 1984, IV, 343. XIV. - Sull'errore in diritto penale, E. Belfiore, Contributo alla teo
ria dell'errore in diritto penale, Torino, 1997.
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GIURISPRUDENZA PENALE
1998, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 32); all'addetto all'obitorio, con mansioni di apertura e chiu
sura dei locali (Trib. Pescara 4 maggio 1998, id., Rep. 1999, vo ce Abuso di poteri, n. 127).
La difesa, argomentando dal contenuto concreto delle man
sioni affidate agli impiegati, ha tuttavia rilevato che, almeno per alcuni, tra i quali Caiazzo, la propalazione di notizie concernenti
atti giudiziari non si può considerare rientrante nell'ambito del
pubblico servizio da loro espletato in concreto.
La tesi contrasta con l'orientamento della Suprema corte, se
condo cui, perché si configuri atto d'ufficio rientrante nella
competenza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, occorre soltanto che esso riguardi un comportamento, sia pure materiale, relativo al servizio; né è richiesto che l'atto
rientri nella competenza specifica dell'impiegato, essendo suffi
ciente che rientri nella competenza dell'ufficio al quale l'impie
gato appartiene; non è richiesto, inoltre, che l'atto sia espressa mente devoluto alle specifiche mansioni che l'impiegato adem
pie. È sufficiente, dunque, che l'agente si trovi, per ragioni del
suo ufficio, nella possibilità di compiere l'atto criminoso (Cass. 21 novembre 1983, Corrorati, id., Rep. 1985, voce Corruzione, n. 5; per l'affermazione che non è necessario, perché si configu ri il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio, che le notizie ri velate siano apprese dall'agente per ragione del suo ufficio, v.
Cass. 12 ottobre 1989, De Leonibus, id., Rep. 1990, voce Abuso
di poteri, n. 46). Altresì ininfluente è la circostanza che alcuni degli impiegati,
attuali imputati, si siano limitati a divulgare notizie segrete rac
colte e fornite da altri (è il caso, almeno in parte, come s'illu
strerà in prosieguo, di Caiazzo e di Trippitelli). La divulgazione di notizie segrete integra, di per sé, la nozio
ne di contrarietà a dovere d'ufficio: la giurisprudenza ha preci sato, infatti, che è ininfluente che i doveri violati siano estranei
alla specifica sfera di competenza conferita al pubblico ufficiale
o all'incaricato di pubblico servizio, essendo sufficiente che
l'atto compiuto — che ben si può concretare in un'attività mate
riale — sia contrario al suo generico dovere d'ufficio (Cass. 23
febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce Corruzione, n.
9). La novella della legge del 1990 non ha apportato alcuna mo
difica incidente sul punto. 2. - La natura delle notizie divulgate. Sia la nozione di se
greto d'ufficio, sia la nozione di contrarietà a dovere d'ufficio
hanno rilievo extrapenale, giacché necessitano, per la determi
nazione del loro contenuto, di una etero-integrazione mediante
rinvio a norme diverse da quella incriminatrice.
Nella specie, occorre verificare se contrarietà a dovere d'uffi
cio e rivelazione di segreto identifichino concetti differenti o se,
invece, abbiano la medesima estensione.
In generale, il concetto di segreto in senso giuridico implica una relazione materiale o personale che indichi il limite posto, da una volontà giuridicamente competente, alla conoscibilità di
un fatto, di un atto o di una cosa, destinata a rimanere occulta ad
ogni persona diversa da quelle che legittimamente conoscono il
fatto, l'atto o la cosa (Cass. 4 luglio 1985, Acunzo, id., Rep. 1986. voce Spionaggio, n. 1).
Nel concreto, il segreto d'ufficio s'identifica col c.d. segreto amministrativo, ossia con quello che concerne l'attività espli cata dalla pubblica amministrazione e segnatamente dall'ammi
nistrazione giudiziaria. 1 parametri normativi generali. Le 1. n. 142 e n. 241 del 1990
hanno capovolto le regole che si erano affermate in precedenza sulla ostensibilità degli atti amministrativi. Sia l'una sia l'altra
sono improntate al principio per cui la conoscibilità è la regola, il segreto è l'eccezione nell'azione amministrativa.
In particolare, la 1. 241/90 riconosce «a chiunque vi abbia in
teresse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il di
ritto di accesso a documenti amministrativi», «al fine di assicu
rare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo
svolgimento imparziale» (art. 22).
Peraltro, nonostante il riferimento testuale a «chiunque», la
legge non prevede l'accesso generalizzato a qualsiasi soggetto, ma soltanto a coloro che, intendendo tutelare «situazioni giuri dicamente rilevanti», vantino un interesse non di mero fatto, ma
riconosciuto e tutelato dall'ordinamento. Non a caso, il richie
dente è tenuto ad enunciare nell'istanza, che deve obbligatoria mente essere indirizzata all'amministrazione che ha formato o
Il Foro Italiano — 2004.
che custodisce stabilmente i documenti, l'interesse che l'acces
so deve soddisfare; l'interesse e la sua rilevanza sono discrezio
nalmente vagliati dall'amministrazione, che valuta la meritevo
lezza delle ragioni per le quali le viene chiesta la discovery della
documentazione (art. 25). La legge esclude inoltre il diritto di accesso «nei casi di se
greto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordi
namento» (art. 24): la norma ha indotto il giudice amministrati
vo a ritenere che «l'innovazione legislativa, per quanto radicale, non travolge le diverse ipotesi di segreti previsti dall'ordina
mento, finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello riconducibile alla mera protezione dell'esercizio della funzione
amministrativa» (Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n.
5105, id., Rep. 2000, voce Amministrazione dello Stato, n. 227, che ha escluso il diritto di accesso con riguardo agli atti redatti
dai legali e dai professionisti in esecuzione dei rapporti di con
sulenza con l'amministrazione). La stessa 1. 241/90 disciplina una delle ipotesi più rilevanti di
segreto, dettando con l'art. 28, che ha sostituito l'art. 15 t.u. su
gli impiegati civili dello Stato, una nuova definizione del se
greto d'ufficio. Il segreto d'ufficio resta uno dei doveri del pub blico impiegato; esso di tanto si estende di quanto si estendono i
limiti all'accesso.
Dalla previsione dell'art. 15 è stata espunta l'estensione del
dovere anche agli «atti non segreti», che aveva indotto numerosi
interpreti dell'abrogato art. 15 del testo unico ad enucleare dalla
medesima previsione due diversi istituti: il segreto vero e pro
prio ed il riserbo d'ufficio, ovvero un segreto soggettivo o per sonale (perché connesso alla qualità del soggetto pubblico de
tentore delle notizie) e un segreto oggettivo o reale (connesso invece al contenuto delle notizie stesse).
L'art. 28, tuttavia, concernendo i medesimi soggetti destina
tari dell'articolo abrogato, ha lasciato in vita le disposizioni
speciali vigenti per particolari categorie. / parametri normativi peculiari al settore dell'amministra
zione giudiziaria. L'ordinamento è costellato di normative spe cifiche che impongono segreti d'ufficio specificamente discipli nati in settori determinati: nel settore che c'interessa, rilevano, in misura minore, l'art. 9, 2° comma, d.p.r. n. 322 del 1989, il
quale dispone che i dati statistici non possano essere comunica
ti, se non in forma aggregata sulla base di dati individuali non
nominativi, ad alcun soggetto esterno pubblico o privato, né ad
alcun ufficio della pubblica amministrazione e, in special modo, l'art. 159 1. 23 ottobre 1960 n. 1196, che detta l'ordinamento del
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie. L'art. 159, con disposizione onnicomprensiva, riferendosi a
tutte le categorie in cui la legge inquadra (rectius, inquadrava, in quanto la classificazione del personale è oggi diversamente
disciplinata, a seguito della riforma del pubblico impiego) il personale di cancelleria e di segreteria, così testualmente dispo ne: «il funzionario di cancelleria e di segreteria e il dattilografo devono osservare il più scrupoloso segreto d'ufficio e non pos sono dare a chi non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti
segreti, informazioni o comunicazioni relative ad operazioni o
provvedimenti giudiziari o amministrativi di qualsiasi natura e
dei quali sono comunque venuti a conoscenza a causa del loro
ufficio». La disposizione non riproduce, invece, il riferimento, conte
nuto nell'abrogato art. 15 t.u. sugli impiegati civili dello Stato
ed espunto dall'art. 28 1. 241/90, al danno potenzialmente arre
cabile dalla diffusione della notizia.
È unanime opinione della dottrina che, pure a seguito della ri
forma del pubblico impiego, l'art. 159 dell'ordinamento delle
cancellerie sia tuttora vigente, così come, del resto, sono tuttora
vigenti le norme di tipo organizzatorio contenute nella legge (ad
esempio, in tema di orario di apertura al pubblico, Cass. 23 ot
tobre 1998, n. 10537, id., Rep. 1999, voce Cancelliere, n. 6, ed
altre meno recenti, ma comunque successive alla privatizzazio ne del pubblico impiego).
Sembrerebbe, peraltro, che l'art. 15 t.u. sugli impiegati civili
dello Stato, come modificato dall'art. 28 1. 241/90 e l'art. 159
siano norme sovrapposte. L'art. 159, di chiara ispirazione disciplinare, tuttavia, è assai
più chiaro; si riferisce con nettezza a tutte le informazioni, co
munque conosciute, dal funzionario, che, quindi, possono essere
sia quelle pertinenti al suo ufficio, sia quelle pertinenti ad altri
uffici.
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PARTE SECONDA
D'altra parte la norma, introducendo un riferimento alle «co
municazioni» oltre che alle informazioni, ha un contenuto più
specifico di quello dell'art. 15 che, sintomaticamente, non parla di comunicazioni, ma solo di informazioni.
Questa specificazione normativa appare, in effetti, il vero di
scrimine tra le due ipotesi normative: l'art. 159 non può non fa
re riferimento anche al plesso giurisdizionale, e dunque deve in
serire un criterio di raccordo con le norme processuali. Già solo
per questo fatto si deve riconoscere l'autonoma vigenza della
norma.
Il contenuto deontologico dell'art. 159, inoltre, è più marcato
di quello dell'art. 15, non foss'altro che per l'aggettivazione
adoperata, e per quel riferimento alla conoscenza «comunque»
acquisita, che appare essere parametro più forte della conoscen
za acquisita a causa delle funzioni svolte, menzionata dall'art.
15.
Un peculiare rigore appare del resto giustificato, quando si
parla di addetti alle cancellerie, proprio a cagione del loro pecu liare lavoro, che evidentemente non è del tutto assimilabile a
pur paritetiche funzioni svolte presso altre amministrazioni.
L'art. 159 1. 1196/60 ripropone la distinzione, scomparsa dal
testo dell'art. 15 t.u. sugli impiegati civili dello Stato, tra se
greto personale e segreto reale.
Questa distinzione non è sconosciuta al codice penale: sempre con riguardo alla tutela penale del segreto, l'art. 256 c.p. distin
gue tra notizie che devono rimanere segrete e notizie di cui sia
vietata la divulgazione. Norme specifiche identificano gli atti coperti da segreto c.d.
reale.
Rilevano anzitutto gli art. 743 e 744 c.p.c. L'art. 743 prescrive che qualunque pubblico depositario, au
torizzato a spedire copia degli atti che detiene, deve rilasciarne
copia autentica, ancorché l'istante o i suoi aventi causa non sia
no parte dell'atto, sotto pena dei danni e delle spese, salve le
norme speciali delle leggi sulle tasse di registro e di bollo. L'art.
744 stabilisce che i cancellieri ed i depositari di pubblici registri sono tenuti, eccettuati i casi determinati dalla legge, a spedire a
chiunque ne faccia istanza, copie ed estratti degli atti giudiziali da essi detenuti.
Le norme vanno interpretate tenendo conto della loro colloca
zione. Esse si trovano inserite nel titolo III, intestato «della co
pia e della collazione di atti pubblici»; e non a caso, l'art. 743, di cui l'art. 744 costituisce specificazione, regola il rilascio di
copie degli atti detenuti da «pubblici depositari». Si deve quindi ritenere che le norme previste dal titolo III abbiano ad oggetto atti pubblici. Anche gli «atti giudiziali» considerati dall'art. 744, dunque, devono avere, per essere assoggettati alla norma, connotazione pubblicistica, ossia devono rispondere alla speci fica funzione di fungere, nei confronti dell'intera collettività o,
quantomeno, di una categoria più o meno ampia di soggetti, da
veicolo di conoscenza dei fatti o dei rapporti giuridici in essi rappresentati.
Orbene, non tutti gli atti del processo civile esplicano tale
funzione. Che, anzi, la gran parte di essi sia finalizzata, all'in
terno del processo civile, soltanto all'accertamento della verità
in ordine alle contrapposte pretese dedotte in causa, lo si ricava
da due specifiche norme processuali: l'art. 76 e l'art. 84 disp. att. c.p.c.
L'art. 84 disp. att. c.p.c. prescrive la non pubblicità delle
udienze istruttorie e quindi degli atti in esse compiuti. Ne con
segue che i terzi estranei non possono presenziare allo svolgi mento degli atti compiuti nelle udienze istruttorie e sono am
messi a conoscere i soli fatti accertati che il giudice e le parti riterranno di valorizzare in sede di discussione orale e nella
motivazione della sentenza ovvero di quei provvedimenti assi
milabili alla sentenza.
In questo quadro s'inserisce l'art. 76 disp. att., che va consi
derato in correlazione con l'art. 744 c.p.c.
Quest'ultima norma, lo si è detto, pone a carico del cancellie
re l'obbligo di rilasciare a «chiunque ne faccia richiesta», ec
cettuati i casi determinati dalla legge, copie ed estratti degli atti
giudiziali da essi detenuti; l'art. 76 riconosce espressamente alle
parti ed ai loro difensori regolarmente costituiti il potere di
esaminare gli atti e i documenti inseriti nei fascicoli d'ufficio e
di parte e di farsene rilasciare copia dal cancelliere, osservate le
leggi sul bollo. Va rammentato, al riguardo, che, a norma degli art. 58, 168 c.p.c., 72, 73 e 74 disp. att., i fascicoli di parte con
II Foro Italiano — 2004.
tengono gli originali o le copie notificate dell'atto di citazione,
delle comparse, delle memorie, nonché i documenti esibiti; il
fascicolo d'ufficio, a sua volta, racchiude la nota d'iscrizione a
ruolo, la copia delle citazioni e delle comparse e delle memorie
delle parti, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti d'istruzione e copia del dispositivo della sentenza.
È ragionevole ritenere che l'art. 76 disp. att. c.p.c. ponga una
di quelle deroghe al generico potere di ottenere il rilascio di co
pie ed estratti, cui allude l'inciso dell'art. 744 «eccettuati i casi
determinati dalla legge»; e ciò nel senso che gli atti e i docu
menti inseriti nei fascicoli di causa possono essere rilasciati, in
copia, alle sole parti ed ai loro difensori. La deroga va comun
que interpretata restrittivamente, nel senso che gli atti giudiziali, la cui conoscenza è riservata alle sole parti ed ai loro difensori,
sono soltanto quegli atti custoditi nei fascicoli di causa, i quali limitino la loro efficacia nell'ambito del processo, in quanto di
retti a promuovere e regolare il corretto svolgimento di questo e
ad acquisire il materiale probatorio necessario per la decisione.
Questa interpretazione è l'unica che riconosce autonoma
portata precettiva all'art. 76, che, altrimenti, non ne avrebbe al
cuna.
Sul piano della ratio, soltanto quest'interpretazione si conci
lia con le esigenze di riservatezza tutelate dall'art. 84 disp. att.;
esigenze incompatibili con l'illimitato accesso, da parte di qual siasi terzo, a qualunque atto del processo.
Il meccanismo adottato al riguardo dal legislatore [che preve de: a) la subordinazione dell'obbligo di spedire le copie all'ac
certamento di un qualificato interesse in chi le richieda e b) il
conferimento al giudice di un potere autorizzatorio, in funzione
di bilanciamento dei contrapposti interessi implicati] si ritrova
in numerose altre ipotesi similari. Basti citare gli art. 118 e 210
c.p.c., secondo cui l'esibizione del documento è subordinata al
l'esigenza che essa possa compiersi senza grave danno per chi
deve esibire; o l'art. 23 1. n. 1409 del 1963 sull'archivio di Sta
to, che pone un severo limite temporale alla consultabilità degli atti «riservati relativi a situazioni puramente private di perso ne».
In sintesi, traendo le fila del ragionamento, nell'individuare
gli atti coperti da segreto c.d. reale, si possono fissare i seguenti
punti:
a) a norma dell'art. 76 disp. att., soltanto le parti ed i loro di
fensori possono prendere visione ed ottenere copia dei docu
menti e degli atti (diversi da quelli indicati sub b), inseriti nei fascicoli di ufficio o di parte); gli atti comprendono i ricorsi in troduttivi, che nel processo riguardano le procedure monitorie e
fallimentari, nonché gli atti istruttori o comunque anteriori alla
definizione del giudizio. Nell'odierno processo ricorre l'impiego dei termini «riserva
te», con specifico riferimento alle procedure fallimentari nonché
di «sviluppi», genericamente concernenti sia le procedure per decreto ingiuntivo sia le procedure fallimentari.
Soddisfacente definizione dell'accezione del termine «riser
vata» è fornita dal teste Vespa, direttore di cancelleria, in servi
zio presso la sezione fallimentare dal 9 giugno 1992 al giugno 1997: «le riservate alla fallimentare ... erano quei fascicoli per i
quali il collegio si riservava per la dichiarazione di fallimento».
La definizione è così specificata dal presidente De Rosa, che
ha presieduto la sezione fallimentare dal 1992 al 1995 e in pre cedenza è stato giudice della medesima sezione per numerosi
anni: «'riservate' significava che — la procedura —- era riser
vata al giudizio del tribunale, perché tutti i provvedimenti erano
fatti dal giudice monocratico istruttorio che segnava solamente i
rinvìi ..., poi quando scriveva 'riservata' vuol dire che la prati ca doveva passare all'esame del collegio».
Il teste Vespa ha aggiunto che «c'era un registro delle riser
vate dove venivano annotati i fascicoli che erano maturi per la
dichiarazione di fallimento», che egli definisce anche brogliac cio.
La più chiara definizione di «sviluppo» ci è fornita da Russo
Salvatore: «... gli sviluppi ... mi dicevano devi fare lo svilup
po di questo decreto ingiuntivo ed io facevo lo sviluppo dei de
creti ingiuntivi che volevano sapere, la somma, l'indirizzo vole
vano sapere, da chi proveniva questo debito, se era che non ave
vano pagato fatture, se era un saldo di conto corrente ...».
Le telefonate intercettate evidenziano, inoltre, che lo «svilup
po» concerneva notizie attinenti alle procedure monitorie e fal
limentari.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Dunque, «riservate» e «sviluppi», riferendosi ad attività ante
riori alla definizione dei giudizi, rientrano pienamente nel nove
ro degli atti oggettivamente segreti a norma dell'art. 76 disp. att.
c.p.c.; b) in virtù della combinazione degli art. 744 c.p.c. e 76 disp.
att., i terzi possono ottenere il rilascio delle sole copie dei prov vedimenti del giudice;
c) tuttavia, quei soggetti che, pur non rivestendo la qualità di
parte, siano legittimati ad intervenire in causa, o, comunque, a
spiegare attività nel procedimento possono prendere visione od
estrarre copia degli atti che li riguardano, qualora dimostrino la
sussistenza di un qualificato interesse, che il giudice deve valu
tare in concreto;
d) detto interesse dev'essere tale da trovare il proprio soddi
sfacimento soltanto nell'ambito del procedimento. Non si pos sono ammettere alla conoscenza degli atti suddetti i terzi che, in
pendenza o dopo la conclusione del processo, richiedano di
esaminare o di ottenere copia di tali atti a fini di studio o ad altri
fini. Il regime di pubblicità dei registri di cancelleria non è dettato
da alcuna norma specifica. Sembra tuttavia corretto conformarlo al corrispondente regi
me caratteristico degli atti del procedimento, giacché nei registri in esame vengono trascritti dati dedotti dagli atti.
Si deve quindi ritenere che:
a) i dati annotati nei registri del ruolo generale degli affari
(contenziosi o non contenziosi) civili, nei quali sono trascritti
gli elementi caratteristici di ciascun procedimento, possono es
sere comunicati dal cancelliere esclusivamente alle parti ed ai
loro difensori nonché ai terzi che intendano intervenire in causa
o, comunque, svolgere attività nel procedimento, previa valuta
zione, in tal caso, dell'interesse da parte del giudice;
b) lo stesso principio vale per i registri del ruolo di ciascuna
sezione, compreso il brogliaccio che elencava i fascicoli maturi
per la dichiarazione di fallimento di cui ha parlato, tra gli altri, il
teste Vespa;
c) un discorso più articolato meritano il registro-repertorio ed
il registro cronologico. Nel primo sono annotati tutti gli atti
soggetti a registrazione ai sensi dell'art. 8 della parte prima della tariffa allegata al d.p.r. n. 634 del 1972 (art. 28-32 disp. att. c.p.c.). È quindi possibile, ex art. 744, ottenere notizie in or
dine ai dati indicati in repertorio, che vertono su provvedimenti del giudice aventi carattere pubblico. Identico principio vale per il registro cronologico, limitatamente però ai dati relativi ai
provvedimenti decisori o esecutivi o costituenti comunque titolo
giudiziario. Si deve ritenere, quanto agli altri dati concernenti,
ad esempio, il rilascio di certificati nonché i provvedimenti me
ramente istruttori o integrativi dei medesimi, emessi fuori
udienza, che vi possano accedere soltanto le parti, i loro difen
sori ovvero coloro che siano, comunque, abilitati a svolgere at
tività nel procedimento. In definitiva, per quel che rileva nell'odierno processo, ri
mangono esclusi dal novero degli atti coperti da segreto reale,
ossia ontologicamente segreti, le sentenze del giudice, i provve dimenti ad esse equiparati, come i decreti ingiuntivi depositati in cancelleria nonché i dati annotati sui registri repertorio e cro
nologico relativi a questi atti.
Questi atti, tuttavia, giusta l'ampia previsione dell'art. 159 1.
n. 1196 del 1960, non possono comunque essere divulgati dagli addetti alle cancellerie: in relazione ad essi si configura il c.d.
segreto personale. Ad abundantiam, ed a conferma di quanto sin qui sostenuto,
si segnala che l'art. 2, 5° comma, del codice di comportamento dei pubblici dipendenti, emanato con d.m. del 31 marzo 1994
del ministro della funzione pubblica, prescrive che in ogni caso
è vietato all'impiegato di utilizzare a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio.
L'art. 159, come si è visto, consente che degli atti coperti da
segreto personale si forniscano informazioni o comunicazioni
soltanto a chi ne abbia diritto.
Il diritto ad ottenere le informazioni o le comunicazioni si
può ritenere disciplinato dalla normativa già richiamata in tema
di diritto di accesso.
Si rammenta al riguardo che l'accesso è riconosciuto all'i
stante soltanto dopo che il suo interesse sia stato positivamente valutato dall'amministrazione che ha formato o che detiene sta
bilmente gli atti.
Il Foro Italiano — 2004.
La natura del «diritto» di accesso è d'incerta classificazione.
Ciò che qui importa rilevare è che, comunque, si tratta di una
situazione giuridica soggettiva per la quale è espressamente
prevista razionabilità davanti al giudice amministrativo, con
modalità procedurali particolari (ex art. 25 1. 241/90), sia in caso
di diniego, sia in caso di differimento.
Ne consegue che qualunque comunicazione od informazione
che avvenga senza che si sia compiuto il prescritto vaglio, si
pone parimenti in violazione del dovere di segreto incombente
sull'addetto alla cancelleria.
Anche i dati anagrafici, dunque, la cui comunicazione è im
putabile in special modo a Caiazzo, il quale, si noti, era adibito
proprio a ricerche anagrafiche, sono qualificabili come notizie
soggettivamente segrete, rientranti nello specchio applicativo dell'art. 159 della legge sull'ordinamento del personale delle
cancellerie.
Le autorizzazioni alla consultazione dei decreti ingiuntivi di
chiarati esecutivi nonché del pubblico registro dei falliti e delle
sentenze dichiarative di fallimento rispettivamente rilasciate a
Russo dal presidente del Tribunale di Avellino e dal presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere non contrastano, ma
confermano la ricostruzione della normativa, giacché le autoriz
zazioni costituiscono appunto il risultato del vaglio dell'interes
se del soggetto che chiedeva l'accesso ai documenti da parte dell'autorità competente alla valutazione.
Quanto alla relazione tra i delitti di corruzione e quelli di ri
velazione di segreti d'ufficio, si osserva, in generale, che ai fini
del reato previsto dall'art. 319 c.p., sono atti contrari ai doveri
d'ufficio sia quelli illeciti o illegittimi, sia quelli che, se pure formalmente regolari, siano compiuti dall'agente prescindendo volutamente dall'osservanza dei doveri su di lui incombenti
(Cass. 7 dicembre 1994, Ventura, id., Rep. 1995, voce Corru
zione, n. 22). Nella specie, risulta violato il dovere di segretezza dell'ad
detto alle cancellerie, severamente disciplinato in considerazio
ne della delicatezza del settore in cui egli opera; ne deriva che
l'atto contrario ai doveri d'ufficio è a sua volta integrato dal
reato di rivelazione di segreti d'ufficio.
Esistenza di eventuali ulteriori parametri normativi, di natu
ra secondaria. Il quadro normativo sopra lumeggiato individua
e regola in maniera esauriente il segreto d'ufficio oggetto del
relativo dovere incombente sull'addetto alle cancellerie.
Non sono invece idonee ad integrare l'elemento materiale dei
reati in questione le circolari ministeriali del 10 gennaio 1983,
n. 82, del 13 luglio 1983, del 5 aprile 1985, del 15 febbraio 1986, del 20 luglio 1988 e del 15 gennaio 1992, dedotte dall'ac
cusa a fondamento della propria prospettazione. Un tempo si riteneva che il termine «circolare» indicasse un
peculiare genus di atti amministrativi emanati da un'autorità su
periore per stabilire, in via generale e astratta, le regole di con
dotta che le autorità inferiori dovevano osservare.
Oggi la dottrina è sostanzialmente concorde nel negare che il
termine abbia un significato tecnico preciso, indicando piuttosto un semplice mezzo di comunicazione di atti della natura più va
ria (prevalentemente norme interne).
Le circolari che rilevano nel processo appartengono al novero
delle circolari interpretative di norme e si limitano alla formula
zione di un giudizio tecnico.
Su questi atti è da registrare l'intervento del giudice ammini
strativo, secondo il quale le circolari aventi contenuto interpre tativo sono atti meramente interni dell'amministrazione e, per loro natura, non sono idonee ad apportare direttamente vincoli o
vantaggi a terzi oppure a disciplinare in via immediata i rapporti con l'amministrazione, qualora non siano state recepite negli atti emanati al riguardo dall'organo competente (Cons. Stato,
sez. V, 1240/92, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa,
n. 227). Queste circolari, dunque, non assurgono al livello di fonti di
normazione secondaria alle quali la dottrina, sia pure con cau
tela, riconosce funzione d'integrazione o di specificazione del
fatto di reato.
A fortiori, sono del tutto inidonee ad incidere sull'elemento
materiale della fattispecie penale e, in particolare, ad escludere
il segreto, reale o personale, la prassi e le istruzioni di servizio
su cui gli imputati hanno impostato larga parte della propria di
fesa.
In particolare, il libero accesso di fatto alle notizie segrete
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PARTE SECONDA
non è idoneo ad escludere, anche in astratto, il reato di rivela
zione di segreti d'ufficio, giacché, per consolidato orientamento
giurisprudenziale, questo reato si configura anche quando il
fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato
di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di dif
fonderlo in un ambito più vasto, com'è appunto accaduto nell'i
potesi in esame (v., in termini, Cass. 5 dicembre 1997, Colan
drea, id.. Rep. 1998, voce Abuso di poteri, n. 127). In particolare, la rilevanza di prassi ed istruzioni di servizio.
Nel caso in esame, occorre distinguere, in fatto, tra la situazione
del Tribunale e della Pretura di Napoli da un lato e quella dei
Tribunali di Nola e Torre Annunziata dall'altro; inoltre, all'in
terno degli uffici napoletani, s'impone l'ulteriore distinzione tra
la sezione fallimentare del tribunale e gli uffici di tribunale e
pretura deputati al rilascio di copie di decreti ingiuntivi.
Quanto alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, il
teste Vespa ha così illustrato le varie fasi che si susseguivano a
partire dalla presentazione di un ricorso di fallimento, precisan do che sin dal 1992 era pienamente a regime l'informatizzazio
ne dei servizi di cancelleria.
Al momento del deposito di un ricorso di fallimento, l'ope ratore (tra gli operatori adibiti a questa mansione vi era Perfetto
Armando) attribuiva un numero al ricorso e ne digitava gli estremi al terminale di un computer. Il computer era fornito di
un programma che scandiva tutte le fasi procedurali successive
alla presentazione del ricorso; per attivare il programma, era
sufficiente digitare il numero identificativo del ricorso. Sino al 5
maggio 1995, data cui risale un decreto restrittivo del presidente del tribunale Di Fiore, vi era, «aperto al pubblico», un computer «al di fuori delle nostre strutture di cancelleria», corredato di
istruzioni che ne consentivano il funzionamento.
Come già sopra chiarito, i fascicoli maturi per la dichiarazio
ne di fallimento venivano annotati sul c.d. «brogliaccio delle ri
servate», che si trovava sulla scrivania dove si depositavano i
ricorsi. «Non è che era accessibile, ma bastava chiederlo»; «era
l'uso comune che il registro poteva essere guardato da tutti»,
anche se «di solito non lo facevamo consultare, lo dicevamo
noi, perché stava sulla scrivania o stava in un cassetto; era un
po' alla portata degli operatori». Soltanto se desiderava una ri
sposta per iscritto, l'interessato doveva formulare una richiesta
scritta e pagare i diritti di cancelleria.
Sul brogliaccio venivano annotati anche i rinvìi relativi alle
dichiarazioni di fallimento, con l'indicazione delle ragioni del
rinvio; il teste ha ritenuto di poter escludere che il programma del computer comprendesse le notizie relative ai rinvìi.
Le dichiarazioni di fallimento venivano quindi affisse in ba
checa. A questo punto, Perfetto «traeva dal computer tutti gli estratti della sentenza dichiarativa di fallimento che dovevano
essere mandati ai vari enti».
Il teste Lubreto, direttore di cancelleria sino al 1° ottobre
1993, anch'egli addetto alla sezione fallimentare, ha aggiunto che nel 1979, data d'inizio della sua attività presso la sezione, la
«pandetta» era accessibile al pubblico, per disposizione del pre sidente dell'epoca, che la ribadì anche successivamente alle cir
colari ministeriali interpretative del 1983 di cui sopra vi è men
zione. La disposizione è stata ulteriormente ribadita dal succes
sivo presidente, nonostante il contrario avviso della relazione
conclusiva di una precedente ispezione ministeriale (v. i decreti, in atti, del 22 ottobre 1982, del 23 marzo 1983 e del 25 settem
bre 1983 dei presidenti della sezione fallimentare del tribunale). Va chiarito che il termine «pandetta», di per sé generico, sen
z'altro designa un registro avente le caratteristiche del registro
generale, giacché, come ha precisato il teste, «... vi era il nome, il cognome, il magistrato e l'esito ...», ossia gli elementi identi
ficativi del procedimento; in quanto tale, era soggetto al regime di segretezza di cui innanzi si è dato conto.
Il teste ha confermato quanto riferito da Vespa in relazione al
periodo dell'informatizzazione, precisando che i computer a di
sposizione del pubblico erano due (v., al riguardo, anche le di
chiarazioni, di uguale tenore, del teste Nambresini, addetto alla
sezione fallimentare in qualità di dirigente). Anche il presidente De Rosa ha ribadito quanto già riferito da
Vespa e da Lubreto, aggiungendo che la «prassi di ostensibilità»
durava da numerosi anni, che l'elenco delle «riservate» veniva
anche affisso in bacheca e che i fascicoli erano custoditi in ar
madi muniti di chiavi. La circostanza dell'affissione in bacheca
delle «riservate» è invece stata smentita dal teste Mazzocca,
Il Foro Italiano — 2004.
giudice addetto alla sezione fallimentare dal 1967 al 1989; sul
punto, il teste Vespa ha soltanto riferito di aver «sentito dire»
che il brogliaccio aveva sostituito un elenco che si affiggeva in
bacheca, ma ha escluso di aver assistito a detta affissione.
Il teste Mazzocca ha anche parlato, quanto alla consultazione
dei registri, di «un uso improprio», dovuto precipuamente ad
una «difficoltà operativa degli uffici»; «in realtà, gli avvocati
non dovrebbero neanche prendere i fascicoli dagli armadi in cui
sono custoditi ... In teoria, e secondo un sistema organizzato
civilmente, ci si dovrebbe rivolgere al personale per avere il
proprio fascicolo».
In relazione alla situazione dell'ufficio procedimenti speciali del Tribunale di Napoli, competente per i decreti ingiuntivi, ri
lievo primario assume la testimonianza del presidente Scordo,
addetto, con altri due presidenti della prima sezione, alla sotto
scrizione dei decreti ingiuntivi che si emettevano; il teste, su in
carico e delega del presidente del tribunale Di Fiore, ha svolto
un'indagine amministrativa seguita a fughe di notizie concer
nenti i decreti ingiuntivi. Si precisa, al riguardo, che è irrile
vante, ai fini dell'attendibilità del teste, la circostanza che il
presidente Scordo abbia assunto le funzioni di presidente della
prima sezione civile soltanto qualche mese prima della denuncia
che ha innescato l'odierna vicenda processuale, in quanto le no
tizie riferite dal teste sono state da lui apprese nel corso dell'in
dicata indagine amministrativa, che gli ha consentito di appro fondire la conoscenza dei fatti rilevanti.
Il teste ha così sunteggiato le fasi che seguono la presentazio ne di un ricorso per decreto ingiuntivo.
«I ricorsi venivano presentati all'ufficio ruolo ..veniva
formato un fascicolo ed anche un elenco con l'indicazione del
ricorrente, mi sembra anche del resistente, ma senza l'indica
zione della somma ... Questi fascicoli venivano portati all'uffi
cio affari speciali ... La dirigente dell'ufficio indicava il nome del giudice che avrebbe dovuto esaminare l'atto secondo l'ordi
ne di anzianità della prima sezione. Dopodiché, questi fascicoli
venivano prelevati dal giudice a cui venivano assegnati ..da
gli armadi dove erano ... i faldoni in cui c'era scritto il nome
dei destinatari. Venivano consegnati poi dal singolo giudice a
quello stesso ufficio e veniva emesso il decreto secondo l'indi
cazione riassuntiva del giudice che l'aveva esaminato ... un'in
dicazione a penna al margine del ricorso ... I decreti emessi ve
nivano mandati all'ufficio del registro, per essere registrati ...
Quindi ritornavano agli affari speciali». Il teste ha recisamente escluso di avere verificato, nel corso
dell'indagine amministrativa da lui condotta, che vi fosse la
prassi di comunicare notizie concernenti le procedure monitorie
a persone diverse dalle parti interessate. Ha aggiunto che, a se
guito del deposito del ricorso, ne veniva fatta annotazione su un
registro di passaggio, che non indicava la somma richiesta; que sti registri «non erano consultabili da chiunque, erano registri di
passaggio ...»; tuttavia, ha precisato, «... è anche vero che al
cuni registri, che non dovrebbero essere mostrati al pubblico, sono messi non a disposizione, ma gli avvocati li consultano per aiutare il cancelliere. Anziché chiedere se è stato emesso un de
creto ingiuntivo contro una certa persona chiedono al cancellie
re se risulta dal registro come intimata una certa persona». Il te
ste ha escluso che i decreti ingiuntivi venissero affissi e pubbli
cati; vi era al riguardo «un registro della cancelleria, dove veni
va scritto se — il decreto — era stato concesso oppure no ... e
del quale la cancelleria si avvaleva per dare la risposta alla do
manda».
Dei registri menzionati dal teste Scordo, senz'altro il primo, che riporta le annotazioni relative alla presentazione dei ricorsi
rientra nel novero dei ricorsi innanzi indicati sub b)\ il secondo
può essere assimilato al registro cronologico, relativamente al
l'indicazione dei ricorsi costituenti titolo esecutivo. Si rimanda
in conseguenza alle notazioni generali per quel che concerne il
regime di segretezza che presidia questi registri. In relazione alla situazione degli uffici della Pretura circonda
riale di Napoli competenti per l'emissione dei decreti ingiuntivi, il teste Angiolelli, funzionario di cancelleria addetto dal 1989
1990 al settore dei decreti ingiuntivi, che ha diretto a partire dal
1996, ha esposto che il servizio di cancelleria usava tre registri: il ruolo, sul quale «venivano annotate tutte le notizie relative al
creditore, debitore, l'avvocato e la somma per la quale si agiva. Poi avevamo due pandette: una alfabetica dei decreti, che veni
va impostata con il nome del ricorrente, resistente e il numero di
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GIURISPRUDENZA PENALE
iscrizione a ruolo ed ... aggiornata di volta in volta e veniva
annotato il numero del decreto esecutivo e non esecutivo perché
gli avvocati potessero chiedere copia dell'atto; poi c'era una
pandetta opposizioni dove veniva iscritta a ruolo l'opposizione a decreto ingiuntivo qualora il debitore ritenesse di opporsi al
l'ingiunzione». Il teste ha specificato che i registri si trovavano su un tavolo
all'interno di una delle stanze che componevano gli uffici di
cancelleria, sotto la diretta sorveglianza dello stesso Angiolelli e
di un operatore amministrativo. «L'avvocato chiedeva sempre l'autorizzazione a controllare la pandetta ... mi dava lui il nome
del ricorrente ..., la pandetta era impostata in modo tale che si
potesse sapere solo il nome del ricorrente ... era una pandetta alfabetica ma era con il nome del ricorrente, non con il nome
del debitore ... Chiedevo il documento ...; quando ero presente 10 sicuramente il controllo lo esercitavo ... Non erano ostensi
bili a tutti le pandette, erano in tal senso le disposizioni». In
particolare, il controllo era così esercitato: l'avvocato «mi dice
va per quale persona agiva, io facevo un controllo sulla pandet ta, lui mi diceva il nome del ricorrente, del resistente; io rileva
vo il numero del ruolo generale sulla pandetta e a quel numero
di ruolo generale corrispondeva il ruolo generale contenzioso
sul ruolo grande ... controllavo sul ruolo generale la costituzio
ne del difensore». Il teste ha più volte ripetuto che non esercita
va il controllo soltanto quando la grande affluenza in cancelleria
materialmente non glielo consentiva.
Quanto ai fascicoli, ha proseguito il teste, «le produzioni di
parte venivano custodite in faldoni all'interno di armadi metal
lici, lo stesso valeva per il fascicoletto di cancelleria, perché nel
fascicoletto di cancelleria c'era la nota di iscrizione a ruolo ed
una copia del ricorso ... Quando l'avvocato veniva a ritirare la
produzione se c'era il commesso lo prendeva il commesso, al
trimenti uno di noi con il numero di ruolo generale ... lo prele vava dall'armadio». Infine, «il decreto ingiuntivo una volta
emesso veniva custodito sempre in faldoni come le produzioni all'interno di armadi...»; «veniva annotata la data di emissione
sul ruolo affari contenziosi ed il numero di decreto sulla pan detta ...; mentre i non esecutivi erano custoditi direttamente in
cancelleria, per quelli esecutivi bisognava assolvere prima la
formalità della registrazione; una volta registrati, rientravano da
noi e venivano inseriti nei faldoni». Il procuratore costituito era
comunque tenuto a chiedere all'Angiolelli o ad un operatore amministrativo se il decreto fosse tornato dal registro. Il teste ha
reiteratamente escluso che i registri fossero liberamente con
sultabili, ribadendo che la consultazione era consentita soltanto
alle parti ed ai procuratori costituiti; ha specificato che soltanto
per un breve periodo, a causa di un trasloco dell'ufficio, le pan dette e non i ruoli sono stati tenuti al di fuori della cancelleria.
Le dichiarazioni rese in argomento dal presidente De Rosa
sono di segno diverso.
Il teste, che ha svolto le funzioni di consigliere pretore diri
gente la Pretura circondariale di Napoli dal 1995 al 1998, ha ri
ferito che «... i decreti ingiuntivi sono su un grosso tavolo fuori
dalla porta in cui c'era l'ufficio dei decreti ingiuntivi. Successi
vamente, dopo che emersero delle perplessità, questo tavolo fu
collocato all'interno dell'ufficio diretto da un funzionario ...
Sostanzialmente erano a disposizione delle parti, perché erano
elenchi con nomine dei creditori e dei debitori e gli avvocati
interessati». Poco dopo, il presidente ha parlato di «fogli che si
trovavano su questo grosso tavolo ...»; ancora oltre, non è stato
in grado di specificare quanti e quali registri fossero in uso, né
quali indicazioni contenessero di preciso. Il teste ha comunque
precisato che «... la compulsabilità di questi elenchi ... ovvia
mente sul piano della disciplina doveva essere riservata ai cre
ditori e ai debitori rispettivamente richiedenti il provvedimento
d'ingiunzione e il debitore che di questo provvedimento era de
stinatario. Poi sul piano, diciamo così, dei mezzi e degli stru menti per controllare, anche un terzo se ne avesse fatto richiesta
... poteva avere l'autorizzazione».
Infine, ha aggiunto il presidente, «i fascicoli stavano a dispo
sizione, ovviamente, degli avvocati che andavano lì e si reputa vano che fossero interessati e quindi si prendeva il fascicolo e lo
facevano vedere».
La testimonianza di Angiolelli, più precisa e circostanziata, si
ritiene maggiormente significativa ed attendibile, perché espres sione di conoscenza specifica.
Tuttavia, le difformità riscontrabili tra le due deposizioni ri
11 Foro Italiano — 2004.
sultano ininfluenti in diritto, secondo quanto si esporrà in pro
sieguo. Passando alla situazione degli uffici di cancelleria del Tribu
nale di Torre Annunziata, il teste Amatucci, dirigente ammini
strativo del tribunale sin dalla sua istituzione, ossia da gennaio 1994, ha riferito, quanto alle procedure monitorie, che, antece
dentemente all'ordine di servizio del febbraio 1996 emesso dal
presidente del tribunale, i registri, che riportavano il nome delle
parti, la data di presentazione e quella di emissione del decreto
ingiuntivo, «... erano situati in modo tale che anche grazie alla
confusione che si creava nell'ufficio ... erano praticamente alla
portata di tutti»; «i fascicoli erano tenuti nell'ufficio copie — al
quale era addetto Cotticelli Giuseppe —
per una questione di
mancanza di spazio ... Erano collocati in armadi a vista ...»;
tuttavia, «gli avvocati stessi si vanno a prelevare anche i fasci
coli ...». «Per quanto riguarda le copie, la richiesta di copia de
v'essere fatta dall'interessato, quindi ... sull'accertamento che
quella persona fosse realmente interessata o meno, io credo che
data la confusione che c'era in quell'ufficio era un po' difficile
chiedere a tutti il documento d'identità ...».
Situazione differente vigeva per i fascicoli della sezione fal
limentare, che non erano accessibili, se non ai curatori «... per ché comunque stavano all'interno di una barriera di scrivanie
...»; «c'è un reparto dove sono custoditi i fascicoli dove i cu
ratori vengono sorvegliati a vista da un commesso».
Il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, Greco, ha ri
badito quanto dichiarato da Amatucci, specificando che la libera
consultabilità dei registri non derivava da alcuna autorizzazione
da lui rilasciata, ma soltanto da una prassi; ha riferito che la
parte o anche i terzi interessati potevano visionare i ricorsi di
fallimento pendenti; poco prima, tuttavia, aveva affermato che
«... io ero al corrente che soltanto alle parti ed ai procuratori delle parti era possibile l'accesso a questi registri ed in questo senso doveva interpretarsi la prassi da noi instaurata». Il teste ha
aggiunto che, anche prima dell'ordine di servizio del febbraio
1996, soltanto le parti ed i procuratori delle parti erano legitti mati a richiedere ed ottenere copie degli atti contenuti nei fasci
coli.
Infine, per quel che concerne il Tribunale di Nola, il teste
Motti, presidente del tribunale dal 15 aprile 1994, ha affermato
che, quanto alle procedure fallimentari, «... gli unici autorizzati
a ricevere notizie in merito erano il creditore, il debitore, il pro curatore comandato del creditore, il procuratore del debitore e
nessun altro». I fascicoli fallimentari erano custoditi in armadi
metallici ed i più delicati tra essi in armadi blindati, i decreti in giuntivi erano conservati come i fascicoli civili all'interno di
armadi in ferro. Il teste ha anche escluso che fossero accessibili
al pubblico i registri di cancelleria, che «... sono custoditi dal
cancelliere come i fascicoli». L'ordine di servizio emanato nel
l'aprile 1996, che vietava l'accesso alla cancelleria fallimentare
a tutti i non addetti, «ribadiva solo per iscritto quelle che erano
le istruzioni che venivano date; richiamava ai propri doveri di
ufficio il personale». In sintesi, non è emersa alcuna prassi di libero accesso a regi
stri e fascicoli in relazione ai servizi di cancelleria di ausilio alla
prima sezione del Tribunale di Napoli, ai corrispondenti uffici della Pretura circondariale di Napoli, al Tribunale di Nola.
Una tale prassi è invece emersa, nonostante le ambiguità della
deposizione del presidente Greco, con riguardo al Tribunale di
Torre Annunziata.
È emersa, infine, quanto alla sezione fallimentare del Tribu
nale di Napoli, sino al 5 maggio 1995, data di emanazione del
decreto restrittivo del presidente Di Fiore, sul quale infra, una
prassi di libero accesso a registri, brogliacci e fascicoli, qualifi cata da specifiche istruzioni di servizio di presidenti che si sono
avvicendati alla guida della sezione.
La prassi, semplice o qualificata, si ribadisce, è del tutto ini donea ad incidere sull'elemento materiale dei reati in questione, ossia ad escludere il connotato di segretezza, oggettiva o sog
gettiva, che presidia tutti gli atti sopra enumerati nelle notazioni
generali. Ciò in quanto:
a) la prassi è fatto (non atto) idoneo, al più e non sempre, a
produrre norme interne;
b) le istruzioni di servizio che, nella specie, hanno qualificato la prassi vigente all'interno della sezione fallimentare del Tri
bunale di Napoli, al pari delle circolari ministeriali sopra men
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PARTE SECONDA
zionate, costituiscono mero esercizio di potere di autorganizza zione, fondamento di produzione, al più, di norme interne.
Ed il collegio ha già rimarcato che tali norme, proprio perché
interne, non possono assurgere al livello di atti dotati di forza
normativa, capaci, cioè, di innovare l'ordinamento giuridico
quali fonti di diritto oggettivo (art. 1 disp. prel. c.c.). Il principio di legalità che governa la fattispecie penale esclu
de, in conseguenza, che le norme interne eventualmente pro dotte da prassi, semplice o qualificata, possano integrare o con
correre ad integrare il fatto di reato e, nella specie, possano escludere la sussistenza dell'elemento extrapenale della segre tezza.
3. - La rilevanza, sul piano dell'elemento soggettivo, delle
prassi di propagazione delle notizie segrete. Nei repertori di
giurisprudenza si rinviene un unico precedente specifico, relati
vo ad una fattispecie pressoché identica a quella oggi in que stione. Si tratta di Cass., sez. VI, 3 novembre 1982, Liberti (id.,
Rep. 1984, voce Corruzione, n. 17), relativa al caso in cui un
impiegato di cancelleria (nella specie, un coadiutore dattilogra
fo) aveva consegnato dietro compenso ai rappresentanti di alcu
ne banche elenchi di decreti ingiuntivi, sequestri conservativi, istanze e sentenze dichiarative di fallimento, esecuzioni mobi
liari ed immobiliari, fuori dei tempi e dei modi di comunicazio ne legittima. La corte ha osservato che le opinioni circa la legit timità delle operazioni retribuite dalla banca non possono «as
solutamente condurre a riscontrare nella condotta un errore sul
fatto costituente il predetto reato». L'imputato, «violando un
preciso, specifico obbligo di legge, che egli aveva un particolare dovere di conoscere ed osservare, siccome inerente all'ordina
mento del personale di cui faceva parte, era certamente consa
pevole dell'illegalità del suo comportamento, ad onta del modo
aperto con cui esso si svolgeva, addirittura 'formalizzato' in or
dini di pagamento delle banche interessate per quanto atteneva
all'aspetto 'retributivo' della vicenda».
Il collegio condivide pienamente questa impostazione in rife
rimento all'elemento soggettivo dei delitti di corruzione, che è
integrato dal dolo specifico caratterizzato dal fine di compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio. Ai fini del reato, è irrile
vante che si tratti di dovere d'ufficio generico o specifico oppu re che l'atto contrario ai doveri d'ufficio costituisca reato o
semplice mancanza disciplinare (Cass. 2 maggio 1983, Anitra
no, ibid., n. 15). È indifferente, quindi, nella specie, che l'ele
mento soggettivo riguardi anche il connotato di segretezza delle
notizie comunicate; è sufficiente la consapevolezza che la con
dotta si traduca in una violazione di doveri d'ufficio.
Occorre, invece, una più approfondita analisi con riguardo al
l'elemento soggettivo dei delitti di rivelazione di segreti d'uffi
cio, che deve estendersi anche alla connotazione di segretezza delle notizie di ufficio rivelate o la cui conoscenza è stata age volata.
In particolare, è necessario verificare se:
a) la prassi di cui si è parlato sia idonea a determinare un er
rore sulla legge extrapenale e segnatamente sulle norme innanzi
richiamate che stabiliscono la segretezza delle notizie;
b) in ipotesi affermativa, quale sia l'oggetto finale dell'erro
re, il precetto o il fatto.
E indubitabile che la prassi descritta dai testi in riferimento
alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli nonché al Tri
bunale di Torre Annunziata sia contra legem, in quanto si pone in patente contrasto con le fonti normative di rango primario il
lustrate nelle notazioni generali. Altrettanto indubbio, quantomeno in riferimento alla situa
zione del Tribunale di Torre Annunziata, è che tale prassi, di per sé, non elida affatto l'elemento soggettivo della fattispecie di
reato prevista dall'art. 326 c.p., che consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di propagare notizie d'ufficio
che debbano rimanere segrete. Una prassi illegittima, che me
glio può essere definita come tolleranza, di per sé non è in grado di determinare la falsa rappresentazione della realtà, fonte del
l'errore-motivo, giacché le fonti normative di rango primario, con le quali tale prassi contrasta, devono essere conosciute da
coloro che hanno il dovere di applicarle (il principio è consoli
dato in giurisprudenza. V., anche se con riguardo a diverse ipo tesi di reato, Cass., sez. V, 19 febbraio 1987, Inserra, id., Rep. 1988, voce Abuso di poteri, n. 38, relativa al reato di omissione
o rifiuto di atti d'ufficio; 10 aprile 1984, Mandelli, id., Rep. 1986, voce cit., n. 21, con riguardo al reato già previsto dall'art.
324 c.p.; 19 maggio 1982, Coscia, id., Rep. 1983, voce Omis
II Foro Italiano — 2004.
sione di denunzia, n. 3, in riferimento alla fattispecie di omessa
denuncia di reato). Non a caso, i testi escussi, ad eccezione di coloro che si sono
riferiti alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, hanno
imputato la prassi alla confusione degli uffici ed alla notevole
affluenza che li connotava e che non rendeva materialmente
possibile l'esercizio del controllo sulla legittimazione di chi ri
chiedeva le notizie.
Differente rilievo assume la prassi vigente nella sezione fal
limentare del Tribunale di Napoli, che, sino al 5 maggio 1995, data del decreto restrittivo del presidente del tribunale Di Fiore, era qualificata da specifiche istruzioni di servizio dei presidenti della sezione, che affermavano il principio del libero accesso a
registri e notizie concernenti le procedure concorsuali.
Le istruzioni di servizio, provenendo dal presidente della se
zione, cui compete la generale supervisione ed il coordinamento
delle attività svolte presso la sezione, risultano idonee a falsare la
rappresentazione della realtà di coloro che operavano nella se
zione; in particolare, risultano idonee a falsare la consapevolezza
degli agenti della segretezza delle notizie da loro propagate. Occorre quindi verificare, quanto al profilo sub b), quale sia
l'oggetto finale dell'errore.
L'orientamento giurisprudenziale prevalente ha, di fatto,
«abrogato» l'art. 47, 3° comma, c.p., sulla base del principio per cui ogni errore sulla legge extrapenale si risolverebbe in un er
rore sull' antigiuridicità penale e quindi sarebbe inescusabile (in virtù dell'art. 5 c.p.). L'errore, secondo tale orientamento, sa
rebbe irrilevante ogniqualvolta la norma extrapenale integri la
norma penale incriminatrice, formando un tutt'uno con essa,
giacché non si potrebbe scindere il precetto penale dalla norma
integratrice (Cass. 11 gennaio 2000, Di Patti, id., Rep. 2000, voce Errore penale, n. 1; 18 novembre 1998, Benanti, ibid., n.
2; 15 aprile 1986, Iacopinelli, id., Rep. 1987, voce Legge pena le, n. 8; 24 marzo 1977, Zanga, id., Rep. 1978, voce Errore pe
nale, n. 3; 13 giugno 1973, Maddaluno, id., Rep. 1974, voce
Abuso di poteri, n. 34; 30 giugno 1972, Lovatelli, id., Rep. 1973, voce Errore penale, n. 1; 16 gennaio 1970, Cipolla, id.,
Rep. 1970, voce cit., n. 11). Data l'indeterminatezza del criterio
d'individuazione delle ipotesi in cui la legge extrapenale effetti
vamente integri la norma penale, tale principio ha finito, di fat
to, col determinare la sovrapposizione dell'ambito di operatività dell'art. 5 c.p. su quello originario dell'art. 47, sino alla sostan
ziale abrogazione di quest'ultimo. Osserva il collegio che è senz'altro vero che l'errore sulla
legge extrapenale richiamata dalla fattispecie di reato comporta, anzitutto e necessariamente, anche un errore sulla fattispecie le
gale, sulla norma incriminatrice; ma non è meno vero che so
vente non si esaurisce in esso.
Quando l'errore extrapenale non si esaurisce in un errore sul
precetto, ma comporta anche un errore sul fatto, esso è ontolo
gicamente identico, negli effetti psicologici ultimi, all'errore sul
fatto determinato da un errore di fatto. In entrambi i casi l'a
gente vuole un fatto concreto diverso da quello vietato dalla
norma penale, giacché l'errore non cade sul significato penali stico dell'elemento normativo della fattispecie di reato, ma di
rettamente sulle norme extrapenali richiamate.
Nel caso in esame è accaduto proprio che le istruzioni di ser
vizio abbiano indotto gli agenti in errore sulle norme extrapenali che qualificano come segrete le notizie di ufficio propalate. L'errore in questione assume anche il connotato di essenzialità, in quanto si riferisce ad uno degli elementi oggettivi richiesti
per l'esistenza del reato di rivelazione di segreti d'ufficio.
Ne consegue che le condotte aventi ad oggetto la rivelazione
di notizie concernenti procedure concorsuali pendenti o definite
innanzi alla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli ante
cedente al 5 maggio 1995 non costituiscano reato, perché non
sorrette dal dolo, escluso da errore essenziale sulle richiamate
norme extrapenali. L'errore non è più configurabile a partire dal 5 maggio 1995,
giacché, in questa data, il presidente del tribunale Di Fiore, in
considerazione dell'«ingente danno che può derivare all'im
prenditore dalla generalizzata conoscibilità di una istanza di
fallimento pendente a suo carico, con violazione, in ogni caso, del diritto alla riservatezza, costituzionalmente garantito», ha
decretato che «la rubrica alfabetica dei corsi di fallimento non è
liberamente accessibile alla consultazione; le sue risultanze so
no certificate dal cancelliere solo a domanda di chi dimostri uno
specifico, legittimo interesse». (Omissis)
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