Date post: | 30-Jan-2017 |
Category: |
Documents |
Upload: | duongkhuong |
View: | 213 times |
Download: | 1 times |
sentenza 16 luglio 2002, n. 346 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 luglio 2002, n. 29);Pres. Ruperto, Est. Onida; Congregazione cristiana dei testimoni di Geova c. Comune diCremona. Ord. Tar Lombardia 4 dicembre 2001 (G.U., 1 a s.s., n. 11 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 2935/2936-2941/2942Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196650 .
Accessed: 28/06/2014 16:14
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 92.63.107.96 on Sat, 28 Jun 2014 16:14:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2935 PARTE PRIMA 2936
dizionale», non risultando assicurati congrui modi per colmare i
vuoti temporanei nel collegio giudicante, così da garantire il ne
cessario funzionamento dell'ufficio (cfr. sentenza n. 392 del
2000, id., 2000,1, 3406). Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale del combinato disposto degli art. 139 e 143, 3° comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 (t.u. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), nella parte in cui non
prevede meccanismi di sostituzione del componente astenuto, ricusato o legittimamente impedito del Tribunale superiore delle
acque pubbliche.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 luglio 2002, n. 346 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 luglio 2002, n.
29); Pres. Ruperto, Est. Onida; Congregazione cristiana dei
testimoni di Geova c. Comune di Cremona. Ord. Tar Lom
bardia 4 dicembre 2001 (G.U., la s.s., n. 11 del 2002).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombar
dia — Contributi a favore di confessioni religiose — Con
dizioni — Stipula di intesa con lo Stato — Incostituzionali
tà (Cost., art. 8, 19; 1. reg. Lombardia 9 maggio 1992 n. 20, norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature
destinate a servizi religiosi).
E incostituzionale l'art. 1 l. reg. Lombardia 9 maggio 1992 n.
20, nella parte in cui condiziona l'erogazione dei contributi a
favore delle confessioni religiose al requisito dell'avere que ste stipulato un'intesa con lo Stato, ai sensi dell'art. 8, 3°
comma, Cost. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 28 novembre 2001, n. 379 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 dicembre 2001, n. 47); Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; V.M. c. Congrega zione cristiana dei testimoni di Geova (Avv. Grassi, Visenti
ni); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Caramazza). Ord. Trib. Firenze-Pontassieve 14 febbraio 2000 (G.U., 1J
s.s., n. 26 del 2000).
Persona fisica e diritti della personalità — Confessioni reli
giose — Trattamento dei dati personali degli aderenti sen
za consenso o autorizzazione — Condizioni — Stipula di
intesa con lo Stato — Questione manifestamente inammis
sibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 7, 8, 19; 1. 31 dicem
bre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art. 22; d.leg. 11 maggio 1999 n. 135, disposizioni integrative della 1. 31 dicembre
1996 n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei sog
getti pubblici, art. 5).
E manifestamente inammissibile, in quanto irrilevante per il
giudizio a quo, la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 22, comma 1 bis, /. 31 dicembre 1996 n. 675, introdotto
dall'art. 5, 1° comma, d.leg. 11 maggio 1999 n. 135, nella
parte in cui prevede che il trattamento dei dati personali re
lativi agli aderenti alle confessioni religiose da parte delle
stesse non sia subordinato né al consenso scritto dell'inte
ressato né alla preventiva autorizzazione del garante, solo nel
caso in cui i rapporti tra le confessioni e lo Stato siano rego lati da accordi o intese ai sensi degli art. 7 e 8 Cost., in rife rimento agli art. 3,8, 1° comma, e 19 Cost. (2)
(1-2) In entrambi i casi i giudici a quibus fondavano i dubbi di co stituzionalità delle disposizioni impugnate sui principi affermati dalla
Il Foro Italiano — 2002.
I
Diritto. — 1. - La questione sollevata dal Tar Lombardia in
veste l'art. 1 1. reg. Lombardia 9 maggio 1992 n. 20 (norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a
servizi religiosi). La disposizione in esame indica come finalità della legge la promozione della «realizzazione di attrezzature di
interesse comune destinati [rectius: destinate] a servizi religiosi, da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in
materia di culto della Chiesa cattolica, e delle altre confessioni
religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi
dell'art. 8, 3° comma, Cost.» — vale a dire da leggi sulla base
di intese con le relative rappresentanze — «e che già abbiano
una presenza organizzata nell'ambito dei comuni ove potranno essere realizzati gli interventi» previsti. I successivi articoli pre cisano quali attrezzature di interesse comune per servizi religio si possono essere finanziate (immobili destinati al culto o all'a
bitazione dei ministri del culto e del personale di servizio, o ad
Corte costituzionale con la sent. 27 aprile 1993, n. 195 (Foro it., 1994,
I, 2986 e 1995,1, 3114, con nota di richiami e osservazioni di Colaian ni e di Cardia) la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 1 1.
reg. Abruzzo 16 marzo 1988 n. 29, nella parte in cui limitava l'accesso
ai contributi per la realizzazione degli edifici di culto alla Chiesa catto
lica e alle altre confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato sono di
sciplinati ai sensi dell'art. 8, 3° comma, Cost. Richiamandosi al surricordato precedente, la corte ha accolto la que
stione, del tutto analoga, relativa alla 1. reg. lombarda 20/92 (sent.
346/02), ribadendo che lo strumento delle intese, di cui all'art. 8, 3°
comma, Cost., vale per gli aspetti che si collegano alla specificità delle
singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune, mentre non possono divenire una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire delle libertà di organizzazione e di azione, lo ro garantite dall'art. 8, 1° e 2° comma, Cost., né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose.
Con l'ord. 379/01 la corte fa invece notare come il giudice a quo ab bia sollevato questione di costituzionalità della disposizione che preve de la posizione di supposto favore per le confessioni i cui rapporti con 10 Stato sono regolati dalle intese, concludendone che pertanto trattasi di disposizione non applicabile nel giudizio principale, dove era parte una confessione che non aveva sottoscritto alcuna intesa e che l'even tuale eliminazione della disposizione impugnata non avrebbe per niente influito sulla decisione del caso da parte dell'autorità giudiziaria ri mettente.
Per l'inammissibilità della questione di costituzionalità dell'art. 10, 1° comma, lett. e), i), /), d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, nella parte in cui dispone la deducibilità dal reddito, ai fini Irpef, di erogazioni libe rali a favore di fedeli di quelle sole confessioni religiose che abbiano
stipulato un'intesa con lo Stato italiano, v. Corte cost. 31 maggio 1996, n. 178. id.. 1998,1, 3503, con nota di richiami.
Per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale del l'art. 4 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 e dell'art. 20 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, nella parte in cui limitano l'applicabilità delle disposizioni fiscali alle associazioni non riconosciute, sulla base solo della loro au
toqualificazione religiosa, con esclusione degli enti associativi riferibili alla Chiesa cattolica e alle confessioni religiose che hanno stipulato in tese con lo Stato, v. Corte cost. 19 novembre 1992, n. 467, id., 1994, I,
2987, con nota di richiami e osservazioni di Colaianni. Per l'affermazione secondo cui, in virtù dell'art. 8, 3° comma. Cost.,
11 quale impone le intese come base della legislazione speciale sulle confessioni acattoliche, ogni modificazione della legislazione pre costituzionale ancora in vigore (1. 24 giugno 1929 n. 1159 e r.d. 28 feb braio 1930 n. 289), che tenda ad innovare, in tutto o in parte, il regime giuridico speciale per le confessioni di minoranza, può aver luogo solo facendosi ricorso alla previa negoziazione con le rappresentanze con
fessionali, v. Tar Piemonte, sez. I, 16 gennaio 1992, n. 1, id., Rep. 1992, voce Enti e beni ecclesiastici, n. 19, che ha ritenuto legittimo, in assenza di apposita intesa recepita nella legislazione vigente, il provve dimento dell'ufficio distrettuale delle imposte dirette col quale si esclude la possibilità di destinare, secondo quanto disposto per la Chie sa cattolica dall'art. 47 1. 20 maggio 1985 n. 222, una quota pari al l'otto per mille dell'Irpef alla Congregazione cristiana dei testimoni di Geova.
Per un'applicazione dell'art. 22 1. 675/96, v. Trib. Palermo 12 giugno 2001, id., 2001,1, 2982, con nota di richiami.
Sulle condizioni, di cui alla 1. 675/96, per il trattamento (utilizzo, dif fusione o comunicazione) di un dato atto a consentire l'identificazione di una persona fisica, v. Cass. 30 giugno 2001, n. 8889, ibid., 2448, con nota di richiami e osservazioni di A. Palmieri-R. Pardolesi e Granieri, commentata da Vari, Buttarelli, Vitale e Martinelli, in Dir. e giusti zia, 2001, fase. 28, 15, da Nasti, in Corriere giur., 2001, 1299, e da M. Finocchiaro, in Guida al dir., 2001, fase. 28, 40.
This content downloaded from 92.63.107.96 on Sat, 28 Jun 2014 16:14:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
attività di formazione religiosa; immobili adibiti, nell'esercizio del ministero pastorale, ad attività educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro, che non abbiano fini di lucro: art. 2); pre vedono che gli strumenti urbanistici generali individuino le aree
destinate ad attrezzature religiose, riservando ad esse una dota
zione di aree pari almeno al venticinque per cento di quella
complessiva destinata ad attrezzature di interesse comune (art.
3); disciplinano l'erogazione di contributi, a valere su un appo sito fondo alimentato da una quota, pari almeno all'otto per
cento, delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secon
daria, contributi che sono ripartiti fra le confessioni religiose che ne facciano richiesta «e che abbiano le caratteristiche di cui
al precedente art. 1» (art. 4). La disposizione impugnata è censurata invocando le ragioni
che condussero questa corte a dichiarare, con la sentenza n. 195
del 1993 (Foro it., 1994, I, 2986), l'illegittimità costituzionale parziale di un'analoga legge della regione Abruzzo (sentenza
che, correttamente, il Tar esclude possa estendere i suoi effetti
alla legge lombarda): il condizionare l'erogazione dei contributi
a favore delle confessioni religiose al requisito dell'avere queste
stipulato un'intesa con lo Stato ai sensi dell'art. 8, 3° comma,
Cost, è in contrasto, secondo il rimettente, con i principi di
eguale libertà delle confessioni (art. 8, 1° comma, Cost.) e di li
bertà di esercizio del culto (art. 19 Cost.), libertà sulla quale gli interventi pubblici in questione incidono positivamente.
La censura investe dunque, più precisamente, quella parte dell'art. 1 della legge impugnata che pone come requisito, che
debbono possedere le confessioni religiose per ottenere i contri
buti, l'essere i loro rapporti con lo Stato «disciplinati ai sensi
dell'art. 8, 3° comma, Cost.».
2. - La questione è fondata.
Già nella sentenza n. 195 del 1993 questa corte, giudicando sulla legittimità costituzionale di una legge della regione Abruz
zo, dichiarò che «un intervento generale ed autonomo dei pub blici poteri che trova la sua ragione e giustificazione
— propria
della materia urbanistica — nell'esigenza di assicurare uno
sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella rea
lizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia
accezione, che comprende perciò anche i servizi religiosi», ed
ha l'effetto di facilitare «le attività di culto, che rappresentano un'estrinsecazione del diritto fondamentale ed inviolabile della
libertà religiosa», non può introdurre come elemento di discri
minazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruir
ne, avendone gli altri requisiti, l'esistenza di un'intesa per la re
golazione dei rapporti della confessione con lo Stato.
Tale ragione di incostituzionalità trova applicazione anche nel
presente giudizio. Le intese di cui all'art. 8, 3° comma, sono in
fatti lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli
aspetti che si collegano alle specificità delle singole confessioni
o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non pos sono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di
azione, loro garantita dal 1° e dal 2° comma dello stesso art. 8,
né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni
religiose. Ciò è tanto più vero in una situazione normativa in cui la sti
pulazione delle intese è rimessa non solo all'iniziativa delle
confessioni interessate (le quali potrebbero anche non voler ri
corre ad esse, avvalendosi solo del generale regime di libertà e
delle regole comuni stabilite dalle leggi), ma anche, per altro
verso, al consenso prima del governo — che non è vincolato
oggi a norme specifiche per quanto riguarda l'obbligo, su ri
chiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l'intesa —
e poi del parlamento, cui spetta deliberare le leggi che, sulla ba
se delle intese, regolano i rapporti delle confessioni religiose
con lo Stato.
Vale dunque in proposito il divieto di discriminazione, san
cito in generale dall'art. 3 Cost, e ribadito, per quanto qui inte
ressa, dall'art. 8, 1° comma. Ne risulterebbe, in caso contrario,
violata anche l'eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo
della libertà di culto, di cui l'eguale libertà delle confessioni di
organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria
sul piano comunitario, e sulla quale esercita una evidente, an
corché indiretta influenza la possibilità delle diverse confessioni
di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla leg
ge in esame.
Il Foro Italiano — 2002.
3. - Nemmeno si potrebbe ritenere che — data l'assenza, nel
l'ordinamento, di criteri legali precisi che definiscano le «con
fessioni religiose» — il riferimento all'esistenza dell'intesa pos
sa valere come elemento oggettivo di qualificazione delle orga nizzazioni richiedenti, atto a distinguere le confessioni religiose da diversi fenomeni di organizzazione sociale che pretendessero tuttavia di accedere ai benefici.
È bensì vero che siffatto problema di qualificazione si pone sia in sede di applicazione dell'art. 8, 3° comma, Cost., ai fini di identificare i soggetti che possono chiedere di stipulare le inte
se, sia in sede di applicazione, amministrativa o giurispruden
ziale, di ogni altra norma che abbia come destinatarie le confes
sioni religiose. Ma ciò non significa che si possa confondere
tale problema qualificatorio — che può essere, in concreto, di
più o meno difficile soluzione — con un requisito, quello della
stipulazione di intese, che presuppone bensì la qualità di confes
sione religiosa, ma non si identifica con essa.
Nella specie, da un lato, possono valere i diversi criteri, non
vincolati alla semplice autoqualificazione (cfr. sentenza n. 467
del 1992, ibid., 2987), che nell'esperienza giuridica vengono utilizzati per distinguere le confessioni religiose da altre orga nizzazioni sociali (ed è ben noto come vi siano confessioni, pur
prive di intesa, che hanno però ottenuto diverse forme di ricono
scimento: cfr. sentenza n. 195 del 1993 e ordinanza n. 379 del
2001, che segue); dall'altro lato, dal punto di vista pratico, vale
la considerazione che il beneficio previsto riguarda comunque
(e continuerà a riguardare anche dopo la dichiarazione di par ziale incostituzionalità derivante dalla presente pronunzia) solo
le confessioni che «abbiano una presenza organizzata nell'am
bito dei comuni ove potranno essere realizzati gli interventi pre visti» dalla legge stessa, e potrà essere concesso solo in relazio
ne alla realizzazione delle «attrezzature di interesse comune per servizi religiosi», definite nell'art. 2 della legge.
4. - La norma impugnata, nella parte che introduce il requisito della disciplina sulla base di intesa, ai sensi dell'art. 8, 3° com
ma, Cost., dei rapporti con lo Stato delle singole confessioni re
ligiose, ai fini di poter usufruire dei benefici previsti, deve esse
re dunque dichiarata costituzionalmente illegittima. Non è ne
cessario invece estendere tale dichiarazione di illegittimità al di
sposto dell'art. 4, 2° comma, della legge, che, facendo rinvio
alle «caratteristiche di cui al precedente art. 1» per identificare
le confessioni richiedenti aventi titolo ai contributi, si conforma
automaticamente alla nuova portata dell'art. 1 medesimo risul
tante dalla presente pronunzia. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 1 1. reg. Lombardia 9 maggio 1992
n. 20 (norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrez
zature destinate a servizi religiosi), limitatamente alle parole «i
cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'art. 8, 3°
comma, Cost., e».
II
Ritenuto che con ordinanza del 14 febbraio 2000 il Tribunale
di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, nel corso di un
giudizio promosso, a norma dell'art. 700 c.p.c., con ricorso di
una persona aderente alla Congregazione cristiana dei testimoni
di Geova nei confronti della medesima congregazione, ha solle
vato, in riferimento agli art. 3, 8, 1° comma, e 19 Cost., questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma 1 bis, 1. 31
dicembre 1996 n. 675 (tutela delle persone e di altri soggetti ri
spetto al trattamento dei dati personali), introdotto dall'art. 5, 1°
comma, d.leg. 11 maggio 1999 n. 135 (disposizioni integrative della 1. 31 dicembre 1996 n. 675, sul trattamento di dati sensibili
da parte dei soggetti pubblici), che dispone che il trattamento
dei dati personali relativi agli aderenti alle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano regolati da accordi o intese ai
sensi degli art. 7 e 8 Cost., da parte delle stesse confessioni, non
sia subordinato né al consenso scritto dell'interessato né alla
preventiva autorizzazione del garante, al contrario di quanto di
spone in via generale il 1° comma dell'art. 22 1. n. 675 del 1996,
che viceversa richiede entrambi i suddetti requisiti perché pos
sano essere oggetto di trattamento, tra gli altri, i «dati personali
idonei a rivelare [...] le convinzioni religiose», o «l'adesione a
[...] associazioni od organizzazioni a carattere religioso»; che la ricorrente ha chiamato in giudizio la Congregazione
cristiana dei testimoni di Geova perché venga accertato che, in
This content downloaded from 92.63.107.96 on Sat, 28 Jun 2014 16:14:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2939 PARTE PRIMA 2940
qualità di aderente a tale confessione, non è tenuta a prestare il consenso scritto ai fini del trattamento dei dati personali;
che, secondo il rimettente, l'art. 22, comma 1 bis, 1. n. 675 del
1996 fa obbligo alla congregazione convenuta, per poter proce dere al trattamento dei dati personali del proprio aderente, di
acquisire il consenso scritto dell'interessato e la preventiva au torizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, in
quanto si tratta di confessione religiosa i cui rapporti con lo Stato italiano non sono regolati da intese o accordi ai sensi degli art. 7 e 8 Cost.;
che alla stregua dell'anzidetta disciplina, poiché risulta che la
Congregazione cristiana dei testimoni di Geova non ha concluso alcuna intesa con lo Stato italiano secondo l'art. 8 Cost., il ri corso dovrebbe essere rigettato;
che pertanto il dubbio di costituzionalità della normativa in
questione sarebbe rilevante perché attiene al presupposto del
giudizio di merito, nel quale si controverte dei rapporti tra una confessione e un suo aderente, e per la soluzione del quale
—
sempre ad avviso del rimettente — è «necessario che sia decisa
[...] la questione se la disposizione dell'art. 22, comma 1 bis, della legge, che pone concretamente la differenza tra le confes sioni religiose per quanto attiene al trattamento dei dati perso nali degli aderenti, tra quelle che hanno concluso intese con lo
Stato e quelle che non lo hanno fatto, violi o meno le norme e i
principi costituzionali» invocati;
che, nel merito, il tribunale ritiene che la norma denunciata, in quanto esonera le sole confessioni titolari di intesa dall'ac
quisizione sia del previo consenso scritto dell'appartenente sia dell'autorizzazione del garante, ai fini del trattamento dei dati
personali, pone le confessioni religiose che non hanno concluso un'intesa con lo Stato in una «posizione di minore considera zione» rispetto a quelle che invece un'intesa abbiano concluso, determinando in tal modo, in danno delle prime, una compres sione della libertà di esercitare l'attività pastorale e spirituale nei confronti degli adepti;
che sotto questo profilo, pur essendo dettata dall'intento di
apprestare una maggiore tutela della riservatezza dei dati perso nali degli aderenti, la norma in questione si tradurrebbe in una violazione a) della pari libertà delle confessioni garantita dal l'art. 8 Cost., b) del principio di uguaglianza (art. 3) per i sin
goli aderenti, a seconda dell'esistenza o meno di un'intesa tra la confessione di appartenenza e lo Stato, e c) del diritto di eserci zio della libertà religiosa, individuale e collettiva (art. 19);
che, infine, il giudice a quo desume argomenti, a sostegno della valutazione di non manifesta infondatezza della questione, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1993 (Foro it., 1994,1, 2986), in cui è stata dichiarata l'illegittimità costitu zionale di una disciplina legislativa regionale che individuava nelle sole confessioni che avessero concluso intese con lo Stato
i destinatari privilegiati di interventi regionali di sostegno eco
nomico; che si è costituita nel giudizio così promosso la Congregazio
ne cristiana dei testimoni di Geova che, nella memoria di costi
tuzione, previa ampia ricostruzione del quadro normativo non ché dei provvedimenti adottati in materia dal garante a facendo richiamo a diversi precedenti della giurisprudenza costituziona
le, ha sottolineato come l'innovazione legislativa di favore per le confessioni con intesa di cui al comma 1 bis dell'art. 22 abbia determinato una «inammissibile penalizzazione» per le altre
confessioni, finendo così per produrre una disparità di tratta mento che, oltre a essere ingiustificata alla stregua del parame tro dell'uguaglianza nell'esercizio dei diritti di libertà religiosa, si porrebbe anche in contraddizione con la normativa comunita ria di cui la 1. n. 675 del 1996 costituisce attuazione, concluden do per l'accoglimento della questione sollevata;
che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
Stato; che secondo l'avvocatura la questione sarebbe inammissibile
— per un triplice ordine di rilievi: a) per «assenza di una lite
reale fra ricorrente e resistente i cui interessi coincidono», ciò che sarebbe dimostrato dalla comunanza di opinioni tra le parti sulla questione sollevata, b) per perplessità dell'ordinanza di rimessione circa il verso della pronuncia richiesta, se cioè ri volta a estendere la garanzia individuale del consenso scritto dell'interessato anche alle confessioni con intesa ovvero se ri volta a escluderlo per tutte le confessioni, e c) per insufficiente
Il Foro Italiano — 2002.
esposizione dei fatti dedotti nel giudizio di merito, in particolare
quanto all'essere stato effettivamente prestato il consenso di cui si tratta — e comunque, nel merito, infondata, rappresentando la
scelta legislativa censurata lo strumento con il quale vengono assicurate le «idonee garanzie» richieste anche in sede comuni
taria in relazione al trattamento di dati idonei a rivelare i con
vincimenti religiosi dei singoli; che in prossimità dell'udienza la Congregazione cristiana dei
testimoni di Geova ha depositato una memoria integrativa nella
quale, adducendo argomenti in senso contrario alle eccezioni di
inammissibilità dell'avvocatura dello Stato, e ulteriormente
sviluppando i contenuti dell'atto di costituzione in giudizio, ha insistito per l'accoglimento della questione.
Considerato che il giudice rimettente, con ricorso a norma
dell'art. 700 c.p.c., è chiamato ad accertare che la ricorrente —
aderente alla Congregazione cristiana dei testimoni di Geova —
non è tenuta a prestare il consenso scritto per il trattamento dei dati personali richiesto dalla congregazione medesima, secondo
quanto previsto dall'art. 22 1. 31 dicembre 1996 n. 675 (tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati
personali); che dal menzionato art. 22 risulta un doppio regime di tratta
mento dei dati personali idonei a rivelare l'adesione ad associa
zioni od organizzazioni a carattere religioso, risultante dal 1°
comma e dal comma 1 bis\
che, precisamente, a) il 1° comma, con riguardo al tratta
mento dei dati personali idonei a rivelare l'adesione ad associa zioni od organizzazioni a carattere religioso, prevede il consen
so scritto dell'interessato e la previa autorizzazione del Garante
per la protezione dei dati personali, mentre b) il comma 1 bis
esonera dall'applicazione della disciplina del 1° comma il trat
tamento dei dati relativi ai loro aderenti, operato dalle confes sioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano regolati da ac
cordi o intese ai sensi degli art. 7 e 8 Cost., sempre che tali dati
non siano comunicati o diffusi fuori delle medesime confessioni
(tenute inoltre a determinare «idonee garanzie» relative ai trat
tamenti effettuati); che il giudice rimettente — dubitando che tale doppio regime,
dalla legge fatto seguire alla circostanza che le confessioni reli
giose non abbiano o abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese, determini una disparità di trattamento non giustificata, cioè una discriminazione, con violazione degli art. 3, 8, 1° comma, e 19 Cost. — solleva questione di legitti mità costituzionale del comma 1 bis dell'art. 22 in questione;
che il trattamento dei dati relativi ai propri aderenti da parte della Congregazione cristiana dei testimoni di Geova — ente di culto dotato di personalità giuridica (d.p.r. 31 ottobre 1986 n.
783), i cui rapporti con lo Stato non sono a oggi regolati da inte sa (non essendo stata tradotta in legge l'intesa sottoscritta il 20 marzo 2000) — ricade nella previsione del 1° comma dell'art.
22, norma di cui il giudice rimettente è chiamato a fare applica zione;
che, tuttavia, la questione di costituzionalità è stata sollevata non sul 1° comma, bensì sul comma 1 bis dell'art. 22, investen do così la norma che determina, ad avviso del rimettente, la di scriminazione denunciata ma non la norma che trova applica zione a riguardo delle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato non sono regolati in base a intese e quindi a riguardo della
Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, e la cui even tuale dichiarazione d'incostituzionalità non avrebbe altro effetto che di generalizzare la portata della norma già applicabile nel
giudizio davanti al giudice rimettente, cosicché la pronuncia della corte non potrebbe determinare alcuna conseguenza in
quest'ultimo; che, pur avendo la difesa della congregazione avanzato un
modo d'intendere la questione come rivolta invece a ottenere
l'estensione della norma dettata per le confessioni i cui rapporti con lo Stato sono regolati da intese — cioè del comma 1 bis —
a quelle che non lo sono, e quindi anche alla Congregazione cri stiana dei testimoni di Geova, i termini della questione sono
quelli fissati dall'ordinanza di rimessione (art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87) e che, comunque, anche secondo questa ri
configurazione della questione, essa non varrebbe comunque a investire il 1° comma dell'art. 22, cioè la previsione normativa nella quale rientra la fattispecie sulla quale il giudice rimettente è chiamato a pronunciarsi;
che pertanto la questione di legittimità costituzionale, così
This content downloaded from 92.63.107.96 on Sat, 28 Jun 2014 16:14:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
come configurata, è manifestamente irrilevante nel giudizio dal
quale essa è stata promossa. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 22, comma 1 bis, 1. 31 dicembre 1996 n. 675 (tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati
personali), introdotto dall'art. 5, 1° comma, d.leg. 11 maggio 1999 n. 135 (disposizioni integrative della 1. 31 dicembre 1996 n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti
pubblici), sollevata, in riferimento agli art. 3, 8, 1° comma, e 19
Cost., dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassie
ve, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 luglio 2002, n. 327 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 luglio 2002, n. 28); Pres. Ruperto, Est. Mezzanotte. Ord. Cass. 18 dicembre
2000 (G.U., la s.s., n. 16 del 2001).
Religione e culti (delitti contro la) — Turbamento di funzio ni religiose del culto cattolico — Trattamento punitivo —
Incostituzionalità (Cost., art. 3, 8; cod. pen., art. 405, 406).
E incostituzionale l'art. 405 c.p., nella parte in cui, per i fatti di
turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, prevede la pena della reclusione fino a due anni, anziché la pena di
minuita stabilita dall'art. 406 c.p. per gli stessi fatti commes
si contro gli altri culti. (1)
Diritto. — 1. - La Corte di cassazione (Foro it.. Rep. 2001, voce Religione e culti (delitti), n. 14) solleva questione di legit timità costituzionale dell'art. 405 c.p. (turbamento di funzioni
religiose del culto cattolico), che punisce con la reclusione fino
a due anni «chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si
compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o
in un luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al
pubblico».
( 1 ) La Corte costituzionale si richiama ai propri precedenti e prose gue l'opera di livellamento del trattamento punitivo per fatti commessi contro la religione cattolica alle più lievi sanzioni stabilite per gli stessi
fatti, realizzati nei riguardi di altri culti religiosi ammessi. In particolare la corte riafferma il principio secondo cui il carattere di laicità dello
Stato, che implica equidistanza ed imparzialità verso tutte le confessio ni, non potrebbe tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da
quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi compia i me desimi fatti ai danni del culto cattolico.
Per i precedenti interventi della corte, v. Corte cost. 14 novembre
1997, n. 329, Foro it., 1998, I, 26, con nota di richiami e osservazioni di Fiandaca, commentata da Fontana, in Giur. it., 1998, 987, da Rimo
li, in Giur. costit., 1997, 3335, da Palombo, in Dir. eccles., 1998, II, 3, e da Chizzoniti, in Cass. pen.. 1998, 1575, che ha dichiarato l'incosti tuzionalità dell'art. 404, 1° comma, c.p., nella parte in cui prevedeva la
pena della reclusione da uno a tre anni, anziché la pena diminuita di cui
all'art. 406 c.p.; 20 novembre 2000, n. 508, Foro it., 2002, I, 985, con nota di richiami, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 402 c.p. che prevedeva il reato di vilipendio della religione dello Stato, ritenuto un anacronismo cui il legislatore avrebbe dovuto da tempo porre rime dio.
Per la manifesta infondatezza, in quanto fondata su un presupposto interpretativo chiaramente erroneo, della questione di costituzionalità dell'art. 404 c.p., nella parte in cui stabilirebbe una tutela penale alle
sole offese mediante vilipendio di cose, commesse ai danni della reli
gione cattolica e non se rivolte alle altre religioni, v. Corte cost., ord. 23 maggio 2002, n. 213, ibid., 2528, con nota di richiami.
L'ordinanza di rimessione della Cassazione è massimata id., Rep. 2001, voce Religione e culti (delitti), n. 14.
Il Foro Italiano — 2002.
Il giudice rimettente dubita che la disposizione in esame, pre vedendo per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto
cattolico ivi considerati un trattamento sanzionatorio più severo
rispetto a quello stabilito dall'art. 406 stesso codice (delitto contro i culti ammessi nello Stato) per i medesimi fatti commes
si contro un culto «ammesso» dallo Stato, violi gli art. 3, 1°
comma,' e 8, 1° comma, Cost., cioè l'eguaglianza di tutti i citta
dini senza distinzione di religione e l'eguale libertà di tutte le
confessioni religiose davanti alla legge. Ad avviso della Corte di cassazione, la diversità di pena nella
quale si incorre a seconda che il turbamento della funzione reli
giosa riguardi il culto cattolico ovvero altri culti ammessi dallo
Stato si configurerebbe come una discriminazione costituzio
nalmente inammissibile, in quanto contrasterebbe con il «prin
cipio supremo» di laicità dello Stato, che richiede l'equidistanza e l'imparzialità dello Stato nei confronti di tutte le religioni.
2. - La questione è fondata.
Nel sistema del codice penale sono oggetto della tutela del
sentimento religioso sia la religione cattolica, sia i culti «am
messi» nello Stato, da intendersi, dopo l'entrata in vigore della
Costituzione, con la piena affermazione della libertà religiosa, come culti diversi da quello cattolico. Identiche sono le condotte
sanzionate penalmente, descritte negli art. 403, 404 e 405 c.p., ma differente è il trattamento sanzionatorio: l'art. 406, infatti, stabilisce che la pena prevista per tali reati è diminuita se le me
desime condotte vengono poste in essere contro i culti «ammes
si».
L'esigenza di una unificazione del trattamento sanzionatorio
ai fini di una eguale protezione del sentimento religioso, che è
imposta dai principi costituzionali evocati dal giudice rimetten
te, è stata già affermata da questa corte nella sentenza n. 329 del
1997 (id., 1998,1, 26). Con essa è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione degli art. 3 e 8 Cost., dell'art. 404, 1° comma, c.p. (offese alla religione dello Stato mediante vili
pendio di cose), nella parte in cui prevede una pena maggiore di
quella stabilita per le medesime condotte riferite a confessioni
diverse dalla cattolica dall'art. 406 stesso codice.
Si tratta ora di applicare i medesimi principi, già enucleati in
quella sentenza, al caso sottoposto all'esame di questa corte,
giacché anche le diverse previsioni concernenti il turbamento di
funzioni religiose, se riferite al culto cattolico, devono essere
assoggettate al più lieve trattamento sanzionatorio previsto dal
l'art. 406 c.p. per i culti «ammessi».
Il principio fondamentale di laicità dello Stato, che implica
equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni, non po trebbe tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi
l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti di versi da quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi
compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico.
3. - Esula dai compiti di questa corte indagare se l'art. 406
c.p. costituisca un'attenuante di un reato base ovvero debba es
sere considerato autonoma figura di reato, come pure pronun ciarsi sulla qualificazione da riservare alla previsione di cui al
2° comma dell'art. 405 c.p. («se concorrono fatti di violenza o
di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni»). E tutta via, quale che sia l'interpretazione che la giurisprudenza vorrà
accreditare, l'istanza costituzionale di equiparazione della tutela
penale dei culti va soddisfatta in relazione a tutte le previsioni dell'art. 405 c.p.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 405 c.p., nella parte in cui, per i
fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, pre vede pene più gravi, anziché le pene diminuite stabilite dall'art.
406 c.p. per gli stessi fatti commessi contro gli altri culti.
This content downloaded from 92.63.107.96 on Sat, 28 Jun 2014 16:14:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions