Sentenza 17 luglio 1963; Pres. Tangari P., Est. Milanese, P. M. Ilari; imp. CiampiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 3 (1964), pp. 113/114-119/120Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153748 .
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113 GIURISPRUDENZA PENALE 114
l'ordinanza in questione è ovviamente illegittima, in
quanto il provvedimento che stabilisce divieti di sosta nel centro urbano, che è di esclusiva competenza del sin
daco, il quale ha il dovere di precisarlo in tutti i suoi ele menti concreti, dovrebbe, invece, nella ipotesi in esame, essere completato attraverso una ulteriore manifestazione di volontà di altro soggetto, non essendo di per sè idoneo a tutelare l'interesse concreto per il quale è stato emanato.
Ben vero, non si disconosce che il provvedimento emesso dal competente organo amministrativo nell'eser cizio di un potere discrezionale ad esso riservato dalla
legge possa aver bisogno, talvolta, di essere integrato da altri organi della pubblica amministrazione con proprie manifestazioni di volontà e di giudizio ; ma è indispen sabile, perchè quel provvedimento risulti in tal caso le
gittimo e legittiqiamente eseguito, che esso stabilisca
precisi e sufficienti criteri per l'attività successiva da
svolgersi dagli altri organi, in maniera che questa, espli candosi nei dovuti limiti, debba considerarsi come vin colata dal provvedimento stesso e non già discrezionale.
Così, per quanto attiene alla materia della segnaletica stradale nei centri urbani, è senz'altro ammissibile che la identificazione delle strade e dei tratti di esse ove la se
gnaletica dev'essere apposta debba avvenire ad opera di
organi dipendenti dal sindaco, quando quest'ultimo abbia descritto con precisione nella propria ordinanza le caratte ristiche delle strade del centro abitato e dei tratti relativi sui quali i segnali debbano essere posti (sent, di questa Sez. 20 marzo 1963, n. 657, ric. Pisillo ; est. Lapiccirella).
Al contrario, l'ordinanza del sindaco è palesemente illegittima quando, ai fini del divieto di sosta generica mente stabilito nel provvedimento, per la individuazione e localizzazione delle zone di divieto, si rimettesse, senza
neppur dettare criteri orientativi in proposito, al giudizio, alla scelta ed all'attività di organi preposti alla esecuzione. Ed è appunto ad una tale ipotesi che il Pretore di Bari ha inteso riferirsi nella impugnata decisione.
Ma il pubblico ministero, nel suo ricorso, afferma che
l'ipotesi è, invece, diversa, in quanto la disposizione di cui all'art. 4 dell'ordinanza 1° luglio 1959 del sindaco di Bari non va intesa nel senso di un divieto generico, mancante di ogni motivazione e di ogni specificazione, e meno ancora nel senso di una totale rimessane da parte del s-'ndaco all'attività degli organi esecutivi per la identi ficazione delle zone a cui il divieto stesso debba ritenersi
applicabile ; bensì deve intendersi come rivolto a confer mare tutti i divieti di sosta già esistenti in forza di pre cedenti ordinanze, e perciò già individuati dalla esistenza in loco dei prescritti segnali.
Questa ipotesi è, per vero, la più attendibile e la più fondata.
Essa, però, non toglie che il provvedimento del sindaco debba ugualmente ritenersi illegittimo. Ed a renderlo tale basterebbe il fatto stesso della incertezza ed equivo cità della sua formulazione, che rendono altresì incerta la sua interpretazione.
In vero, non si può ammettere che un provvedimento inteso a porre in essere, ed anche a confermare soltanto, i divieti di sosta nel centro urbano, anziché indicare concretamente i luoghi in cui il divieto dovrà operare, si rimetta, per la relativa individuazione, ad un ele mento di fatto instabile, insicuro e non certo precisa mente fissato da un atto ufficiale di verbalizzazione e di localizzazione, quali sono i segnali di divieto già esi
stenti, nei cui riguardi sono financo ipotizzabili, ad opera di agenti autorizzati o non, spostamenti di fatto, sensibili o poco sensibili, attuali o futuri, ma sempre di difficile od
impossibile accertamento.
I segnali di divieto seguono, non precedono, il prov vedimento che li impone, il quale dev'essere completo di tutti gli elementi necessari a concretizzare ed a localiz
zarne la installazione. Che se poi si tratta, come risulterebbe
nella specie, di confermare la validità di divieti già esi
stenti, è anche possibile un riferimento a segnali che si
trovano già installati, purché di questi sia ben chiarita
e individuata la ubicazione con esplicito e specifico ri
chiamo, quanto meno, al precedente provvedimento in
base al quale essi furono localizzati ed apposti. È, infatti, a questa rigorosa condizione soltanto, e non altrimenti, che si può ammettere, nel provvedimento del sindaco, ed in genere nei provvedimenti dell'autorità i quali deb
bano per legge essere motivati, una motivazione per re
lationem.
Nella specie, l'ordinanza sindacale, che nel preambolo si limita a ricordare genericamente le precedenti in materia
(« viste le precedenti ordinanze sulla disciplina della circo
lazione stradale . . . »), e che nella parte terminale le
menziona di nuovo, sempre genericamente, per dichiarare
che esse sono tutte abrogate, non fa, nel suo testo, alcun
esplicito e specifico richiamo alla precedente ordinanza
(quella del 15 gennaio 1952) che imponeva e localizzava
i divieti di sosta dei veicoli nel centro urbano, e quantun
que avesse facile possibilità di concretizzare ed esprimere la sua volontà con una chiara statuizione di « conferma di
tutti i divieti di sosta già esistenti in forza del precedente
provvedimento », a questo espressamente richiamandosi
per la precisazione delle località, pone, invece nell'art. 4, un divieto ex novo ed autonomo, che tuttavia si avvale
per la identificazione dei luoghi interessati, non già della
precedente ordinanza (neppur specificamente richiamata
o ricordata), bensì dei segnali già di fatto esistenti.
La qual cosa rende quanto mai equivoca ed incerta
la portata del provvedimento, nonché aleatoria la volontà
stessa della pubblica amministrazione, e costituisce perciò un vizio palese dell'atto amministrativo, afferente alla
sua legittimità. Ciò posto, la sentenza del pretore, con le accennate
rettificazioni in ordine alla sua motivazione, va confer
mata ed il ricorso del p. m. respinto. Per questi motivi, ecc.
CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI ROMA.
Sentenza 17 luglio 1963 ; Pres. Tangari P., Est. Mila
nese, P. M. Ilabi ; imp. Ciampini.
Pena — Omicidio colposo — Determinazione della
sanzione — Fattispecie (Cod. pen., art. 133, 589). Circostanze di reato — Attenuanti generiche ■—■
Concessione —- Criteri (Cod. pen., art. 62 bis).
Ai fini della determinazione della 'pena per il reato di omi cidio colposo, occorre avere riguardo prevalentemente al
grado della colpa ed alla condotta dell'offeso, mentre non è utilizzabile il criterio della gravità del danno (nella
specie, è stata ritenuta eccessiva la irrogazione del mas
simo della pena a colui che, nell'atto di difendersi dal
l'aggressione del ladro inseguito subito dopo la commis
sione di un furto in danno di un cliente del proprio ristorante, aveva fatto inavvertitamente partire un colpo mortale dalla pistola che impugnava a scopo intimida
torio). (1) Le attenuanti generiche possono essere concesse sulla base
delle stesse circostanze soggettive ed oggettive, considerate
per ritenere eccessiva la pena inflitta dal giudice di
primo grado. (2)
(1) La sentenza, elie si riporta, è passata in giudicato. Secondo Cass. 13 novembre 1961, Lucchina, Foro it., Rep.
1962, voce Pena, n. 16; 24 ottobre 1961, Zambelli, ibid., n. 13, per giustificare la misura della pena inflitta, non è necessario che il giudice prenda singolarmente in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen., essendo sufficiente che indichi
quelli ai quali ha attribuito valore prevalente e che lo hanno indotto ad irrogare la sanzione. È giurisprudenza costante della
Suprema corte che non occorre una specifica motivazione sulla quantità della pena inflitta, allorché questa sia stata mante nuta in misura vicina al limite minimo edittale (Cass. 21 gen naio 1963, Cecchini, Mass. pen., 1963, 611 ; 14 maggio 1962, Ossino, Foro it., Rep. 1962, voce cit., n. 17 ; 6 febbraio 1962, Barra, ibid., n. 25; 19 maggio 1961. lezzi, id., Rep. 1961, voce
cit,, n. 28).
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115 PARTE SECONDA 116
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo.
— Ciampini Nando fu Giuseppe di anni 26 da Roma, denunciato con
rapporto 13 marzo 1962 della tenenza dei carabinieri
di Roma-Prati, in stato di arresto, quale reo confesso, in sede di spontanea costituzione, di avere mortalmente
attinto con un colpo esploso accidentalmente dalla sua
pistola un giovane ladro da lui colto nell'atto di impos sessarsi di una radio portatile, sottraendola da un'auto
in sosta, veniva rinviato col rito direttissimo al giudizio della Corte di assise di Roma per rispondere dei se
guenti reati :
a) del delitto di cui all'art. 584 cod. pen., perchè, avendo sorpreso Moscucci Rossano nell'atto di asportare una radio a transistor dall'autovettura Alfa-Romeo « Giu
lietta », targata Roma 446330 di proprietà di Morosi
Giuseppina e Leucadito Tommaso, in sosta su piazza
Navona, lo inseguiva esplodendogli contro, allo scopo di
(2) Secondo Cass. 30 maggio 1962, Santonico, Foro it., Rep. 1962, voce Pena, n. 27, nel fissare la pena base, il giudice deve
prescindere dalla considerazione di quelle situazioni che, essendo considerate dalla legge come circostanze attenuanti o aggravanti, importano successivamente una diminuzione o un aumento di
pena, altrimenti finirebbe per far valere due volte lo stesso ele
mento nel calcolo complessivo della sanzione. Nello stesso senso, è stato ritenuto che non è censurabile il diniego delle attenuanti
generiche, se le identiche circostanze dedotte a sostegno della richiesta di tali attenuanti siano già state valutate al fine della determinazione della pena base (Cass. 16 marzo 1960, Seme
raro, id., Rep. 1961, voce Circostanze di reato, nn. 130, 131 ; 14 ottobre 1960, Fasce, ibid., n. 136 ; 16 marzo 1960, Laera, ibid., n. 154). In tema di rapporto fra misura della pena ed attenuanti
generiche, è stato ritenuto che non sussiste inconciliabilità fra il diniego delle attenuanti generiche e l'applicazione della pena in misura mite (Cass. 7 dicembre 1959, Panfili, id., Rep. 1960, voce cit., n. 147 ; 22 maggio 1959, Fassino, ibid., n. 142 ; 14 novembre 1958, Mandato, id., Rep. 1959, voce cit., n. 150) ; che vi è compatibilità fra la riduzione della pena operata dal giu dice d'appello in base ai criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. e il diniego delle attenuanti generiche da parte dello stesso giu dice (Cass. 7 dicembre 1959, Di Bitonto, id., Rep. 1960, voce
cit., n. 148 ; 19 gennaio 1959, Giardino, id., Rep. 1959, voce cit., n. 155) ; che non vi è contraddizione fra l'aumento di pena in
appello e la conferma della sentenza impugnata in ordine alla concessione delle attenuanti generiche (Cass. 28 giugno 1958, Pascale, ibid., n. 139). Secondo una giurisprudenza costante, la concessione delle attenuanti generiche non comporta come necessaria conseguenza che la pena base debba essere determi nata nel minimo edittale (Cass. 15 febbraio 1963, Vezzosi, Mass.
pen., 1963, 699 ; 21 novembre 1962, Parisi, ibid., 639 ; 2 febbraio
1962, Seccatore, Foro it., Rep. 1962, voce Pena, n. 23 ; 22 gen naio 1959, D'A versano, id., Rep. 1959, voce Circostanze di reato, n. 168 ; 23 ottobre 1958, Turconi, ibid., n. 144 ; 22 aprile 1958, Varisco, ibid., n. 135).
Sulle ipotesi in cui vi è contraddizione fra la concessione delle attenuanti generiche e la determinazione della pena base nel massimo edittale, cons. Cass. 18 maggio 1962, Verardo, id., Rep. 1962, voce Pena, n. 26 ; 27 novembre 1961, Meloni, ibid., n. 20 ; 24 ottobre 1961, Napoletano, ibid., n. 21 ; 7 dicem bre 1960, Colloca, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 27, 27 bis. Se condo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, ai fini della motivazione circa il diniego o la concessione delle attenuanti
generiche, è sufficiente che il giudice prenda in esame quello fra gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen., che ritiene preva lente ai fini dell'applicabilità o meno del detto beneficio (Cass. 27 novembre 1962, Serra, Mass. -pen., 1963, 671 ; 13 luglio 1960, Pidoni, Foro it., Rep. 1961, voce Circostanze di reato, n. 133 ; 13 aprile 1960, Scagliotti, id., Rep. 1960, voce cit., n. 132 ; 9 novembre 1959, De Martino, ibid., n. 135 ; 23 marzo 1959, Dioni, ibid., n. 131). Da Cass. 17 gennaio 1959, Masin, id., Rep. 1959, voce cit., n. 154, è stato ritenuto che il giudice deve dare
congrua giustificazione del non uso del potere discrezionale ai fini della concessione delle attenuanti generiche, quando l'impu tato abbia chiesto il detto beneficio in base a specifiche consi derazioni.
In dottrina, cons, in generale : Malinverni, Circostanze di reato, voce delV Enciclopedia del diritto, 1960, VII, pag. 66 ; Santoro, Circostanze del reato (diritto penale comune), voce del Novissimo digesto it., 1957, III, pag. 264 ; E. Battaglini, Osser vazioni sulle circostanze attenuanti generiche, in Giur. it., 1947, II, 161 ; Bettiol, Attenuanti generiche e art. 133 cod. pen., id., 1946, II, 39.
ferirlo per fermarlo, più colpi di pistola, l'ultimo dei quali 10 raggiungeva al viso, cagionandone la morte ;
b) del reato di cui all'art. 703 cod. pen. per avere
esploso più colpi di pistola in luogo abitato nelle circo
stanze indicate nel capo precedente. In Roma I'll marzo
1962.
All'orale dibattimento l'imputato si discolpava in con
formità della versione resa ai verbalizzanti ed al p. m., che già nei risultati delle indagini di polizia giudiziaria aveva trovato puntuale riscontro, ribadendo l'assunto
della esplosione accidentale del colpo mortale e così espo neva l'immediato antecedente del fatto e la dinamica
dell'accaduto.
Nel primo pomeriggio del 12 marzo 1962 mentre at
tendeva al consueto lavoro di cogestore del ristorante
« Tre scalini », sito in piazza Navona e di proprietà della
madre era stato avvertito da un conducente di un auto
pulman turistico che alcuni giovinastri avevano tentato
di forzare un'auto Giulietta Alfa-Romeo parcheggiata da
vanti all'esercizio da un avventore intento a consumare
11 pasto. Poiché da più giorni, a causa dell'assenza per malattia del guardia macchine, i furti di oggetti custoditi
nell'interno delle auto lasciate in sosta dai clienti del lo
cale si erano ripetuti con insolita frequenza suscitando la
legittima protesta dei derubati, che pregiudicavano l'av
viamento dell'azienda familiare, egli si era affrettato a
spiare attraverso le tende della vetrata del ristorante e,
pur avendo notato l'aggirarsi ed il sospetto confabulare
di tre giovani in prossimità di una macchina in sosta sul
lato opposto della strada, non si era attardato a osser
vare le mosse ed aveva ripreso il suo lavoro. Senonchè,
dopo qualche minuto, era tornato al suo posto di osserva zione ed aveva notato che uno dei tre giovinastri aveva
aperto lo sportello dell'auto e stava impossessandosi di
una radio a transistor. Allora era immediatamente ac
corso fuori del locale, gridando : « fermo, fermo » e nello
stesso tempo aveva estratto la pistola che portava in
filata alla cinta dei pantaloni per difesa personale, es
sendo egli abitualmente incaricato di procedere alla chiu
sura del locale ed al trasporto dell'incasso a tarda ora della
notte. Il ladro, sorpreso dal grido di allarme, si era dato
alla fuga, dirigendosi verso via Santa Agnese in Agone, ed egli non potendolo raggiungere, per indurlo a fermarsi
aveva esploso un colpo di pistola in aria a scopo intimi
datorio ed aveva preso ad inseguirlo. Giunto all'angolo della suddetta strada aveva visto che un passante aveva tentato di fermare il fuggitivo, allargando le braccia, e
costui, dopo avergli scagliato contro l'oggetto rubato, 10 aveva scansato, proseguendo nella fuga. Allora egli, sempre a fine intimidatorio, aveva esploso un secondo
colpo in aria, mentre il ladro girava l'angolo della strada, imboccando via S. Maria dell'Anima. Giunto anch'egli all'incrocio aveva visto che l'inseguito proseguiva nella
fuga precipitosa guadagnando terreno e allora aveva
esploso un terzo colpo di pistola, sempre con la canna ri volta in aria e subito dopo aveva notato che il ladro si era fermato di scatto, come per affrontarlo. Anche egli allora si era arrestato, rimanendo con la pistola in pugno di fronte all'inseguito, che, per nulla intimorito, gli si era fatto contro con le mani protese, gridando : « perchè hai sparato » ! Al che egli aveva risposto : « fermati, non ti muovere ». Ma il giovane aveva replicato : « perchè mi hai sparato » e nel pronunziare tali parole, lo aveva af ferrato per il bavero della giacca, tirandolo a sè con vio lenza fino a strappargli due bottoni della camicia, egli allora a sua volta, sempre tenendo in pugno la pistola con 11 dito infilato nel grilletto, allargando le braccia le aveva
protese per afferrare l'avversario per il bavero dell'im
permeabile, ma nel fare ciò dall'arma era partito un colpo che aveva attinto l'antagonista alla fronte dal basso verso
l'alto, uccidendolo sull'istante. Egli allora si era chinato
per soccorrerlo, ma, avendo constatato l'effetto fatale del suo atto inconscio, aveva esortato gli accorsi ad av vertire chi di dovere e si era allontanato per consegnarsi alla giustizia.
Nel corso della istruttoria dibattimentale venivano
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117 GIURISPRUDENZA PENALE
escussi tutti i prossimi congiunti della vittima che, dopo essersi costituiti parte civile nella fase degli atti preli minari al giudizio, avevano rilasciato formale dichiara zione di revoca della costituzione per integrale risarci mento del danno, e tutti i testi indicati dall'accusa e dalla difesa e veniva disposta ed eseguita una ispezione dei
luoghi per puntualizzare le modalità del fatto mercè la riassunzione in loco dei testi già escussi per una migliore intelligenza delle rispettive deposizioni ed un più sicuro controllo dell'attendibilità del relativo contenuto.
Quindi all'udienza del 22 maggio 1962 la corte di
assise pronunciava sentenza con la quale, attesa inte
gralmente la versione di discolpa, sorretta da univoci e
convergenti elementi di prova generica e confortata dalle risultanze della prova testimoniale, dichiarava l'imputato
colpevole di omicidio colposo, così modificato il capo a
della rubrica, nonché della contravvenzione ascrittagli alla lettera b e, in concorso dell'attenuante di cui all'art.
62, n. 6, cod. pen. limitatamente al primo reato, lo condan
vava alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione
e lire 30 mila di ammenda, al pagamento delle spese
processuali e di custodia preventiva ed alla interdizione
dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Avverso la sentenza hanno proposto ritualmente ap
pello il p. m. ed il difensore dell'imputato. Successivamente il p. m. ha dichiarato di rinunziare
alle proposta impugnazione e a sostegno dell'appello difensivo sono stati dedotti in termini i seguenti motivi :
1) la corte avrebbe determinato la pena in misura
eccessiva, partendo dal massimo edittale, in relazione
alla gravità della colpa e del danno cagionato, nonché
alla modalità del fatto, senza tener conto del movente
dell'azione, suscettibile di favorevole apprezzamento sia
sul piano morale sia giuridico, sia della circostanza di
notevole rilievo che il colpo letale era stato esploso nel
corso di un istintivo e necessitato gesto di difesa del
prevenuto ;
2) la corte non avrebbe dovuto negare la conces
sione delle attenuanti generiche, tenendo presente soprat tutto la incensuratezza, la condotta sociale e familiare
anteatta e infine il comportamento processuale dell'im
putato, che non solo si costituì spontaneamente all'auto
rità di polizia, ma riferì l'accaduto con singolare since
rità. (Omissis) Motivi della decisione. — Il p. m. ha validamente
espresso rinuncia alla proposta impugnazione, di cui,
pertanto, va dichiarata la inammissibilità.
Preliminarmente, deve farsi luogo anche alla decla
ratoria di improcedibilità dell'azione penale limitata
mente alla contravvenzione ascritta all'imputato alla
lettera b della rubrica, trattandosi di reato estinto a
seguito dell'amnistia concessa con l'ultimo provvedimento di clemenza senza esclusioni di carattere soggettivo.
Quanto al residuo delitto l'appello è manifestamente
fondato e merita pieno accoglimento. È appena il caso di premettere che, essendosi il p. m.
acquietato, con l'espressa rinuncia, alla degradazione della rubrica, per la manifesta carenza di validi motivi
di impugnazione, ed essendo rimasto unico appellante
l'imputato, il thema decidendum in questa sede si riduce
all'accertamento della fondatezza delle doglianze rela
tive alla denunciata eccessività della pena irrogata ed
alla denegata concessione delle attenuanti generiche, che sono gli unici due punti della decisione del primo
giudice investiti di gravame, essendo interdetta a questo
giudice ogni altra indagine esorbitante dall'àmbito dei
motivi d'impugnazione, che segnano i limiti del giudizio di secondo grado, per la preclusione derivante dall'effetto
parzialmente devolutivo dell'appello, in virtù del quale i punti della decisione che non formano oggetto di spe cifica censura acquistano autorità di giudicato e quindi assumono il carattere della immutabilità.
È quindi in forza del principio dispositivo del ne eat
index ultra petita partium, che è appunto quello che
domina il procedimento di impugnazione nel nostro
sistema e di cui sono specifica applicazione le regole del
tantum devolutum quantum appellatimi e del divieto della
reformatio in peius, quando appellante è solo l'imputato, die in questa sede non si può procedere ad una rivaluta zione del fatto, dato clie i motivi di gravame concernono
la sola pena e la indagine diretta all'accertamento degli elementi prevalenti atti a caratterizzare la personalità del reo e la entità quantitativa del fatto delittuoso, che
forma oggetto specifico del giudizio demandato a questa corte, va condotta alla stregua delle modalità tutte, subiettive ed obiettive, della fattispecie concreta, così come sono state ricostruite nella sentenza impugnata.
Ciò premesso, va posto in rilievo che sono dati di fatto ormai definitivamente e immutabilmente acquisiti al processo che la vittima fu colta in flagrante furto commesso mediante effrazione sull'automobile di un av ventore dell'esercizio del Ciampini e anziché ottempe rare alla ingiunzione di fermo rivoltagli dall'imputato si diede alla fuga senza abbandonare la refurtiva ; che il Ciampini aveva chiesto e ottenuto l'autorizzazione di porto di armi al fine di difesa personale nell'esercizio della sua attività commerciale, comportante il rischio del trasporto di grosse somme di denaro a notte inoltrata, e durante l'inseguimento, a solo scopo intimidatorio,
egli esplose quattro colpi di pistola in aria, di cui almeno due dopo che l'inseguito si era disfatto dell'oggetto aspor tato adoperandolo come proiettile contro un passante che
aveva tentato di sbarrargli la strada ; che, per nulla intimidito dalle esplosioni, il Moscucci desistette dalla
fuga precipitosa soltanto allorché si avvide di non poter
sfuggire alla cattura, e all'ammonizione di restare im
mobile, spavaldamente reagì con l'affrontare minaccio samente l'inseguitore, che era rimasto interdetto ad osservare le mosse con la pistola in pugno, senza togliere il dito poggiato sul grilletto, afferrandolo per il petto e tirandolo a sé con uno strattone fino a strappargli due bottoni della camicia ; che infine il colpo mortale esplose in modo del tutto accidentale nell'attimo in cui il Ciam
pini, con le braccia protese per difendersi dall'improvviso attacco, a sua volta aveva afferrato l'avversario per il bavero dell'impermeabile, sollevando inavvertitamente l'arma impugnata.
È sulla scorta dei su esposti dati di fatto chiaramente
emersi da univoci e convergenti elementi di prova gene rica e specifica che il primo giudice, giustamente esclusa la volontarietà dello sparo e ritenuto che l'evento mortale era stato materialmente cagionato dal comportamento
colposo del Ciampini, determinò la pena (che per la ipotesi delittuosa ravvisata spazia da un minimo di sei mesi ad un massimo di cinque anni) nella misura massima
consentita e giustificò l'adeguatezza della insuperabile
quantità di pena irrogata col semplice e apodittico richia mo della modalità del fatto, nonché dell'estrema gravità della colpa e del danno cagionato.
Orbene, a prescindere dal rilievo suggerito dalla ricono
sciuta esigenza di una motivazione più congrua quando l'uso del potere discrezionale di cui è investito il giudice nella determinazione della pena si estrinseca nell'applica zione del massimo edittale, nonostante l'ampia latitudine dei limiti fissati dal legislatore, già di chiara evidenza è
l'errore di diritto in cui è incorso il primo giudice, met
tendo in conto di coefficiente della maggiore entità del fatto-reato la gravità del danno cagionato, con mani festo riferimento alla morte della vittima, senza consi
derare che tale evento condiziona la esistenza del reato attribuito al Ciampini e ne costituisce un elemento tipico. Essendo stato, perciò, esso considerato già in sede nor
mativa e assunto dal legislatore a fondamento della
determinazione della sanzione in astratto, nel minimo
e nel massimo, non può giocare nella valutazione della
gravità del fatto ai fini della commisurazione della pena in concreto, poiché è presupposto essenziale di ogni
ipotesi di omicidio colposo.
Ma, oltre e più che per avere dato rilievo ad un ele
mento privo di valore, la decisione del primo giudice,
per quanto attiene all'applicazione della pena, si appa lesa viziata da manifesto errore logico giuridico per aver
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119 PARTE SECONDA 120
trascurato di prendere in adeguata considerazione la con
dotta della vittima e per non aver tenuto affatto conto
del secondo criterio orientativo fissato dal legislatore nell'art. 133 cod. pen. per il buon uso del potere discre
zionale affidato al giudice nella irrogazione della pena. È appena il caso di avvertire clie nei reati colposi è
al grado di colpa dell'agente clie bisogna prevalente mente aver riguardo per stabilire la gravità del reato, ed è sufficiente ammettere il concorso della persona offesa
nella produzione dell'evento per escludere che si versi
nella ipotesi di culpa lata,.
Ora la validità dei suesposti criteri è tanto più ope rante nel caso di spècie, in quanto è fuori discussione
cbe fu la condotta illecita della vittima a dare causa al
fatto, da cui scaturirono l'azione e l'evento colposi, e
soprattutto fu il comportamento spavaldo del Moscucci,
imprevedibile e gravemente imprudente, a determinare
la situazione in cui si verificò la fortuita esplosione del
colpo mortale.
Infatti, è proprio dalle modalità del fatto nella fase
culminante richiamata dal primo giudice, a giustificazione della quantità di pena irrogata, che si evince come la
presa di contatto fra i due avversari sia da ascriversi
alla iniziativa della vittima ; per cui, senza la mossa
repentina con la quale il Moscucci attirò a sè il Ciampini, non si sarebbe avuto il gesto istintivo ed automatico di
difesa che quest'ultimo fece nel sentirsi afferrato e che
provocò il luttuoso evento.
Nè vale eccepire che la temeraria e violenta reazione
della vittima sia da ricollegare al rabbioso ed ostinato
inseguimento, di cui era stata fatta oggetto ad opera del Ciampini, perchè, a prescindere dal rilievo decisivo
che l'azione del soggetto attivo del reato fu a sua volta
conseguenza dell'attività illecita della persona offesa, la condotta del prevenuto, ove si consideri che la repen tina ed inattesa reazione del Moscucci e la rapidissima
sequenza dei successivi accadimenti non dettero al Ciam
pini la possibilità di orientarsi con tempestive decisioni
in ordine alla opportunità o di disfarsi dell'arma o di
tenerla in posizione di minore pericolosità, non assurge ad un grado di colpa tale da meritare la sanzione del
massimo edittale, in ispecie, poi, se alla valutazione della
gravità del reato si procede, come si esige dalla legge, anche alla luce delle circostanze che attengono alla perso nalità dell'imputato.
È innegabile infatti che tutte le suddette circostanze
nel caso di specie giocano a favore dell'imputato sia per la
sua incensuratezza sia per la sua condotta antecedente
e susseguente al reato e soprattutto per il motivo a delin
quere. Se è pur vero, infatti, che l'azione del Ciampini ten
deva ad eliminare una situazione di fatto ritenuta pre
giudizievole all'interesse dell'azienda familiare, in quanto era diretta a catturare uno degli autori dei numerosi
furti commessi in danno degli avventori del suo esercizio,
ciò, tuttavia, non può sminuire la rilevanza etico-sociale
della di lui condotta pur sempre obiettivamente con
forme ai principi e agli interessi dell'ordinamento giuri dico sociale. È sufficiente al riguardo considerare che
l'art. 242 del nostro codice di rito autorizza qualsiasi cittadino a procedere all'arresto in flagranza del respon sabile di reato perseguibile di ufficio e per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo
a tre anni.
E l'intendimento lodevole e socialmente apprezzabile
dell'imputato nel caso di specie appare ancora più meri
tevole di favorevole considerazione ai fini della deter
minazione della pena, se si ha riguardo alla ben diversa
natura dei motivi che sono all'origine di quei delitti
colposi contro la vita e la incolumità individuale, che
con tanto dolorosa ed allarmante frequenza si commet
tono alla guida di automobili nel corso della circolazione
stradale e che sono puniti, in concreto, con pene che solo
raramente si discostano, e non di molto, dai minimi
edittali.
È per le suesposte considerazioni che in rapporto
.sia al grado eli colpa addebitabile al Ciampini, sia alle
altre circostanze sopra richiamate si stima determinare
la pena base in anni tre di reclusione ; e cioè in misura
di poco superiore a quella intermedia tra minimo e mas
simo. Tale pena per effetto dell'attenuante della inte
grale riparazione del danno, già concessa dal primo giu dice con riduzione di un terzo, discende ad anni due di
reclusione.
Quanto al merito del secondo motivo di impugnazione — a prescindere dalla sintomaticità del rilievo che nella
motivazione della sentenza impugnata non una parola è stata spesa- a giustificazione del diniego delle invocate
attenuanti generiche, nè al difetto di esplicita motiva
zione può supplire la irrogazione del massimo della pena
edittale, in quanto l'applicazione delle attenuanti gene riche non è in alcun modo condizionata dalla entità
della pena base fissata per il reato, avendo funzione
analoga a quella delle altre circostanze attenuanti comuni,
per cui a maggior ragione la concessione del beneficio
de quo non trova ostacoli di sorta allorché sia irrogata, come nella fattispecie, una pena intermedia —
per con
vincersi della fondatezza della censura è sufficiente richia
mare tutte le circostanze già considerate in sede di deter
minazione della pena, che limitano in favore del preve nuto ed in particolare la incensuratezza, l'età giovanile e tutte le altre condizioni di vita individuale e familiare, che qualificano la personalità del Ciampini ; il di lui con
tegno processuale, caratterizzato peculiarmente dalla costi
tuzione spontanea seguita da una confessione così scrupo losamente sincera da rivelare anche circostanze pregiu dizievoli ai propri interessi difensivi ; infine il fatto
illecito della persona offesa costituente un contributo
causale alla verificazione dell'evento e la spinta psicolo
gica all'azione d'intensità e di natura tali da avvicinarsi
in notevole misura al traguardo dell'attenuante comune
prevista dal'art. 62, n. 1, cod. penale. Sono tutte circostanze, che specie se considerate nel
loro organico complesso assumono siffatta rilevanza da
caratterizzare il reato commesso dal Ciampini in modo
tale da superare la preclusione di una duplice valutazione
e da indurre all'applicazione delle reclamate attenuanti
con una diminuzione di pena nella massima misura con
sentita dalla legge, per cui la pena di due anni di reclu
sione discende ulteriormente ad anni uno e mesi quattro. E poiché la pena medesima è stata interamente scontata
per effetto della detenzione preventiva, va ordinata la
scarcerazione del Ciampini, se non detenuto per altra
causa.
Per questi motivi, ecc.
Rivista di Giurisprudenza Penale
Impugnazioni in materia penale — Appello del
p. m. — Effetto estensivo — Esclusione (Cod.
proc. pen., art. 203, 517). Dibattimento penale — Verbale redatto dal <)iudice
— Nullità — Elietti sui verbali successivi e sulla
sentenza (Cod. proc. pen., art. 156, 189, 492). Stato di necessità — Applicabilità al reato conti
nualo — Condizioni (Cod. pen., art. 54, 81). Stato di necessiti» Inevitabilità del pericolo —
Nozione — Fattispecie (Cod. pen., art. 54). Stato di necessità — Errore sulla scriminante —
Insussistenza (Cod. pen., art. 54, 59). Associazione per delinquere — Prova — Estremi
(Cod. pen., art. 416).
Qualora il p. m. abbia proposto appello solo nei con fronti di alcuni coimputati, deducendo la nullità della sentenza di primo grado, non deve disporsi -la citazione del coimputato non appellante, verso il quale il p. m. non ha proposto gravame. (1)
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