sentenza 17 luglio 1998, n. 272 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 22 luglio 1998, n. 29);Pres. Granata, Est. Vari; Proc. reg. Corte conti Sicilia c. Lupo; Proc. reg. Corte conti Puglia c.De Feo e altri. Ord. Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 5 luglio 1996 e sez. giur. reg. Puglia 20giugno 1996 (G.U., 1 a s.s., n. 42 del 1996 e n. 16 del 1997)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1407/1408-1411/1412Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193456 .
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1407 PARTE PRIMA 1408
In realtà, questa differenza di rito non è la sola, perché dal
confronto tra gli art. 190 e 190 bis con l'art. 275 del codice
di rito risulta che nelle cause collegiali la richiesta di discussione
orale deve essere riproposta «al presidente del tribunale alla sca
denza del termine per il deposito delle memorie di replica», con
una duplicazione che è assente nel processo davanti al giudice monocratico.
Ciò che rileva in questa sede in modo particolare, peraltro, è che la lamentata diversità, pur determinando alcune perplessi tà evidenziate dalla dottrina, non è arbitraria. Il legislatore, stante
la diversità tra i due organi dello stesso ufficio, ben poteva mo
dellare il rito secondo un trattamento differenziato; cosa che
realmente ha fatto in una maniera che, non potendo definirsi
irragionevole, non assurge al livello di violazione dell'invocato
principio costituzionale di eguaglianza. 4. - Parimenti deve negarsi che sussista alcuna violazione del
l'ulteriore parametro di cui all'art. 24 Cost.
In proposito occorre ribadire che, pur essendo indubbio il
carattere di inviolabilità del diritto di difesa nell'ambito di qual siasi procedimento giurisdizionale (v. sentenza n. 212 del 1997,
ibid., 2325), costituisce costante orientamento di questa corte
quello per cui tale diritto può diversamente atteggiarsi nell'am
bito dei diversi procedimenti; ciò che conta in modo essenziale
è che «non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni» (v. sentenze n. 220 del 1994, id., 1995, I, 37; n. 119 del 1995, ibid.,
1401, e ordinanza n. 388 del 1996, id., Rep. 1997, voce Esecu
zione in genere, n. 20). Con particolare riguardo all'art. 190 bis oggi impugnato, i
principi ora richiamati impongono di verificare se il rapporto tra le difese scritte e quelle orali nel processo davanti al giudice unico sia tale da frustrare l'effettività del contraddittorio.
Sulla base di queste premesse risulta chiaro che porre un'al
ternativa tra difesa scritta e discussione orale nel processo civile
non può determinare alcuna lesione di un adeguato contraddit
torio, anche perché le parti permangono su di un piano di pari tà. Né può dirsi che l'art. 24 Cost, sia vulnerato per il fatto
che una sola delle parti, chiedendo la discussione orale, preclu da all'altra il diritto alle memorie di replica. Tale richiesta, in
fatti, non esclude comunque la possibilità per entrambe le parti di esporre integralmente e in condizioni di parità le proprie tesi
difensive, nell'immediatezza derivante dalla presenza dei con
traddittori innanzi al giudice. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 190 bis c.p.c. sollevata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dal giudice istrut
tore del Tribunale di Milano con l'ordinanza di cui in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 17 luglio 1998, n. 272
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 22 luglio 1998, n. 29); Pres. Granata, Est. Vari; Proc. reg. Corte conti Sicilia c.
Lupo; Proc. reg. Corte conti Puglia c. De Feo e altri. Ord.
Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 5 luglio 1996 e sez. giur.
reg. Puglia 20 giugno 1996 (G.U., la s.s., n. 42 del 1996
e n. 16 del 1997).
Responsabilità contabile e amministrativa — Sequestro conser
vativo — Presidente della sezione giurisdizionale regionale —
Competenza — Questione manifestamente infondata di costi
tuzionalità (Cost., art. 3, 97, 108; d.l. 15 novembre 1993 n.
453, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 5; 1. 14 gennaio 1994 n. 19, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 novembre 1993 n. 453).
Responsabilità contabile e amministrativa — Sequestro conser
vativo — Presidente della sezione giurisdizionale regionale —
Designazione del giudice della sezione per l'assunzione dei prov vedimenti conseguenti — Mancanza di criteri predeterminati — Questione infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 25; d.l. 15 novembre 1993 n. 453, art. 5; 1. 14 gennaio 1994 n. 19).
Il Foro Italiano — 1999.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 5, 3° comma, d.l. 15 novembre 1993 n. 453,
convertito, con modificazioni, in I. 14 gennaio 1994 n. 19,
nella parte in cui prevede che il presidente della sezione giuris
dizionale della Corte dei conti, anziché designare senz'altro
il giudice per la trattazione della domanda di sequestro con
servativo proposta dal procuratore regionale, dispone egli stesso
il sequestro, contestualmente designando il giudice per l'as
sunzione dei provvedimenti conseguenti, in riferimento agli art. 3, 97 e 108 Cost. (1)
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 5, 3° comma, d.l. 15 no
vembre 1993 n. 453, convertito, con modificazioni, in l. 14
gennaio 1994 n. 19, nella parte in cui non prevede che la
designazione del giudice competente a confermare o meno il
decreto di sequestro conservativo, emesso dal presidente della
sezione giurisdizionale della Corte dei conti su domanda del
procuratore regionale, avvenga sulla scorta di criteri obiettivi
e predeterminati, in riferimento all'art. 25, 1 " comma, Cost. (2)
(1-2) La Corte costituzionale si pronunzia sul tema della precostitu zione del giudice naturale, con riferimento all'ordinamento della Corte dei conti ed in particolare alle funzioni e ai poteri del presidente di sezione giurisdizionale in ordine alla domanda di sequestro conservati vo proposta dal procuratore regionale.
Il giudizio trae origine da due diverse ordinanze di rimessione, en trambe incentrate sulla legittimità costituzionale dell'art. 5, 3° comma, 1. 19/94.
La prima ipotizzava l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui, prevedendo che il presidente della sezione, dopo aver autorizzato il sequestro richiesto dal procuratore regionale, designa un giudice della sezione per la conferma o meno del sequestro, comporterebbe, da una
parte, una irrazionale frantumazione del procedimento (che non si rin
viene, infatti, nel processo civile) e, dall'altra parte, determinerebbe nel
giudice designato un deficit di serenità nel momento in cui questi, pro nunciandosi sulla conferma o meno del sequestro, esprime comunque una valutazione sull'operato del presidente della sezione cui egli appar tiene. Il tutto, con una supposta violazione, per un verso, dell'art. 97 Cost, e, per l'altro, degli art. 3 e 108 Cost.
Con riferimento all'art. 97 Cost., la corte conferma però la sua giuris prudenza (aperta da Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, Foro it., 1982, I, 1497, con nota di Pizzorusso, Tanto rumore per nulla, ed in seguito sempre ribadita, sino alle recenti Corte cost., ord. 10 gennaio 1997, n. 7, id., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 360, e ord. 18 aprile 1997, n. 103, ibid., voce Tribunale per i minorenni, n. 27), per cui la disposizione in questione disciplina gli uffici giudiziari per quanto attiene agli aspetti strettamente amministrativi e non anche all'organiz zazione della funzione giurisdizionale. Con riferimento, poi, agli art. 3 e 108 Cost., nega che la soggezione a poteri organizzativi del presi dente della sezione giurisdizionale valga di per sé a menomare l'indi
pendenza del giudice designato. Da notare che, al riguardo, la sentenza, attenendosi strettamente alla
prospettazione del giudice a quo, non tocca in alcun modo il problema della «serenità» del presidente della sezione, in quanto investito della
duplice funzione di autorizzare il sequestro e di designare, fra i giudici della sezione che egli presiede, quello che deciderà sulla conferma.
La seconda ordinanza prospettava la questione di costituzionalità del medesimo articolo sotto il profilo della garanzia di precostituzione del
giudice naturale, recata dall'art. 25 Cost, e dunque non sul piano dei
rapporti interni tra uffici, ma su quello dei diritti dei cittadini, stante la mancata predeterminazione ex lege di obiettivi criteri di designazione.
In tal senso, il rimettente si riallacciava alla giurisprudenza della stes sa Corte costituzionale, la quale ha da tempo affermato che il principio della precostituzione del giudice non è compatibile con la discrezionali tà nella sua designazione (Corte cost. 7 luglio 1962, n. 88, id., 1962, I, 1217), poiché altrimenti verrebbe revocata in dubbio l'indipendenza e l'obiettività del giudicante (Corte cost. 23 maggio 1985, n. 156, id., 1985, I, 2853, e Cons. Stato, 1985, II, 1253, con nota di Mazziotti di Celso, Garanzia del giudice naturale precostituito per legge e indi
pendenza nei giudizi delle giurisdizioni speciali). La prospettazione è, però, rigettata dalla corte sotto un duplice pro
filo. Anzitutto, essa rileva che proprio le sentenze da ultimo citate di
stinguono tra precostituzione del giudice come ufficio e precostituzione come persona fisica, dichiarando incostituzionali le norme che consenti vano la concreta assegnazione di una causa ad un giudice diverso da
quello competente per legge (sent. 88/62, cit.), ma non quelle sulla con creta composizione fisica dei collegi giudicanti (sent. 156/85, cit.; la
fattispecie era quella di normativa che mutava il limite di età per la
permanenza in servizio dei magistrati delle commissioni tributarie). In secondo luogo, essa nega che l'esigenza costituzionale possa essere tute lata solo mediante un «sistema tabellare», recante la predeterminazione dei criteri di assegnazione degli affari ai diversi giudici (su cui v. Rom
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Entrambe le ordinanze in epigrafe dubitano,
sotto diversi profili e con riferimento a differenti parametri, della legittimità costituzionale dell'art. 5, 3° comma, d.l. 15
novembre 1993 n. 453 (disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazio
ni, nella 1. 14 gennaio 1994 n. 19. Tale disposizione affida al
presidente della sezione giurisdizionale regionale della Corte dei
conti la competenza a disporre, con proprio decreto motivato,
sulla domanda di sequestro conservativo proposta dal procura
tore regionale ed a fissare contestualmente (secondo quanto sta
bilisce la lett. a della medesima norma) l'udienza di comparizio
ne innanzi al giudice designato, al quale spetta, con propria
ordinanza, la conferma, la modifica o la revoca dei provvedi menti cautelari adottati.
2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni tra loro connesse,
vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
3. - La prima delle ordinanze denuncia la disposizione stessa
nella parte in cui stabilisce che il presidente della sezione, anzi
ché limitarsi a designare il giudice al quale è affidata la tratta
zione del procedimento, disponga egli stesso il sequestro. La devoluzione dell'ulteriore fase della trattazione del giudi
zio cautelare ad un giudice diverso ne comporterebbe — secon
do il giudice a quo — «una irrazionale frantumazione», in ra
gione dell'attribuzione del provvedimento conclusivo ad un or
gano che, se pur libero da formali rapporti di subordinazione
gerarchica con il presidente, si trova a doverne riesaminare ed
eventualmente censurare l'operato. Di qui il denunciato contrasto della norma «con i principi
di logicità, buon andamento e indipendenza del giudice», sanci
ti negli art. 3, 97 e 108 Cost.
3.1. - La questione è manifestamente infondata.
Del tutto impropriamente appare, anzitutto, richiamato il pa
rametro dell'art. 97 Cost., relativamente ad una questione con
cernente l'esercizio della funzione giurisdizionale, avuto riguar
do ai provvedimenti che, nel contesto di tale esercizio, possono
e devono essere adottati.
Alla luce della costante giurisprudenza di questa corte, il ca
none del buon andamento investe, infatti, l'amministrazione della
giustizia unicamente per ciò che attiene all'ordinamento degli
uffici giudiziari ed al loro funzionamento sotto l'aspetto ammi
nistrativo, ma non si estende all'esercizio della funzione giuris
dizionale (cfr., da ultimo, ordinanza n. 103 del 1997, Foro it.,
Rep. 1997, voce Tribunale per i minorenni, n. 27).
Quanto agli altri due parametri invocati, e cioè gli art. 3 e
108 Cost., l'ordinanza prospetta, in sostanza, un rischio di con
dizionamento psicologico, e quindi di compromissione dell'im
parzialità, che il giudice designato per la conferma, modifica
o revoca del provvedimento potrebbe subire per il fatto di esse
re chiamato a pronunciarsi su un decreto assunto dal presidente
della sezione presso la quale egli è incardinato.
Osserva, in proposito, la corte che, in realtà, la soggezione
agli accennati poteri presidenziali di organizzazione e distribu
zione degli affari giurisdizionali non rappresenta altro che la
boli, Attività tabellare del Consiglio superiore della magistratura e indi
pendenza interna del giudice, in Caravita (a cura di), Magistratura, Csm e principi costituzionali, Roma-Bari, 1994, 99). In proposito, v.
Corte cost. 23 dicembre 1998, n. 419, Foro it., 1999, I, 760, con nota
di richiami, la quale ha dichiarato infondata la questione di costituzio
nalità dell'art. 33, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che
non rientrano tra le regole attinenti alla capacità del giudice (la cui
inosservanza è sanzionata con la nullità assoluta) quelle relative all'as
segnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari. L'attribuzione
dei poteri organizzativi al presidente della sezione giurisdizionale trova,
infatti, la sua ragion d'essere nella necessità dell'esplicazione di una
funzione, che può ben essere disciplinata, a legislazione vigente, con
criteri predeterminati, dei quali è possibile, perciò, verificare ex post l'osservanza.
Nel medesimo senso, relativamente alla «organizzazione gerarchica delle preture», la corte si era d'altronde già espressa in passato, sottoli
neando che l'attribuzione di potere al superiore «deve necessariamente
intendersi disposta nei limiti delle norme costituzionali e pertanto tali
funzioni devono intendersi preordinate e devono essere svolte esclusiva
mente per obiettive ed imprescindibili esigenze di servizio, al solo scopo di rendere possibile il funzionamento della pretura ed agevolare l'effi
cienza di questa» (Corte cost. 18 luglio 1973, n. 143, id., 1973, I, 2644,
con nota di Pizzorusso, e Giur. it., 1974, I, 1, 282, con nota di An
nunziata). [G. Vetritto]
Il Foro Italiano — 1999.
normale condizione di ogni apparato giurisdizionale, tale da non
poter apportare di per sé turbamento al libero esercizio della
funzione, in presenza dei mezzi di tutela previsti dalla legge a
garanzia dell'indipendenza del giudice, in attuazione proprio del
l'art. 108, 2° comma, Cost., invocato come parametro di giudi zio dall'ordinanza di rimessione.
Ad escludere il supposto condizionamento psicologico sta, in
primo luogo, la circostanza che, tra il presidente ed i magistrati
assegnati alla sezione, non intercorre alcun rapporto di dipen denza gerarchica, nell'ambito di un ordinamento caratterizzato
da diversità di funzioni e tale da riservare al primo soltanto
compiti di organizzazione e direzione, strumentali all'esercizio
della funzione giudicante, la quale è affidata paritariamente ai
componenti del collegio (o, nella specie, al giudice singolo).
Inoltre, né la nomina, né le promozioni, né la stessa assegna zione delle funzioni dipendono da provvedimenti di competenza del presidente, spettando essi ad organi diversi ed essendo rego
lati da meccanismi volti a garantire obiettività di determinazioni.
Deve, infine, considerarsi che il presidente della sezione giuris
dizionale, il quale emette il decreto motivato di sequestro, ed
il giudice da lui designato per gli ulteriori adempimenti inter
vengono in due diversi momenti del procedimento e sulla base
di diverse valutazioni, in quanto, in effetti, il giudice designato, a differenza del presidente, provvede dopo aver sentito le parti.
4. - I dubbi di legittimità costituzionale prospettati con la
seconda ordinanza investono la medesima disposizione, con par
ticolare riguardo alla sua lett. a), nella parte in cui non prevede che la designazione del giudice, al quale è demandato il riesame
del decreto presidenziale di sequestro conservativo, venga effet
tuata dal presidente della sezione giurisdizionale regionale della
Corte dei conti sulla base di criteri oggettivi e predeterminati. Secondo il rimettente il carattere assolutamente discrezionale
ed insindacabile del potere presidenziale non sarebbe compati
bile con l'esigenza di obiettiva precostituzione del giudice, di
sattendendo, così, il principio di cui all'art. 25, 1° comma, Cost.
4.1. - La questione non è fondata, nei sensi di cui si dirà.
Questa corte, già da tempo, ha avuto occasione di affermare
che la finalità perseguita dall'art. 25, 1° comma, Cost., nell'e
nunciare il principio del giudice naturale precostituito per legge,
è quella di assicurare l'assoluta imparzialità degli organi giudi
ziari, sottraendo la loro competenza ad ogni possibilità di arbi
trio (sentenza n. 127 del 1979, id., Rep. 1980, voce Istruzione
penale, n. 62, e da ultimo sentenza n. 460 del 1994, id., Rep.
1995, voce Tribunale militare, n. 7). Il dettato costituzionale, significativamente collocato, come
ricorda anche il giudice a quo, nella parte della Costituzione
concernente «i diritti e i doveri dei cittadini», è volto a garanti
re «la certezza del cittadino di veder tutelati i propri diritti e
interessi da un organo già preventivamente stabilito dall'ordina
mento e indipendente da ogni influenza esterna» (sentenza n.
156 del 1985, id., 1985, I, 2853), proprio perché istituito sulla
base di criteri generali fissati in anticipo dalla legge, e non già
in vista di singole controversie.
4.2. - Il rimettente, muovendo dall'assunto che il rispetto del
principio costituzionale postuli un rapporto giudice-causa, del
quale sarebbe vano prefissare uno solo dei termini ove l'altro,
il giudice, possa poi essere soggetto, di volta in volta, a modifi
che, pone una questione che attiene ai criteri di individuazione
della persona chiamata a svolgere la funzione dopo l'insorgenza
della regiudicanda, in tal guisa evocando una delle due prospet
tive (giudice come ufficio e giudice come persona) che la giuris
prudenza costituzionale ha avuto modo di considerare, con rife
rimento — occorre precisare — alle diverse fattispecie su cui
di volta in volta è stata chiamata a pronunciarsi, e non in ragio
ne di incertezze interpretative sulla portata del principio, o di
letture limitative dello stesso come sembra, invece, assumere l'or
dinanza.
In relazione al secondo dei menzionati profili la corte, dopo
aver rilevato l'inconciliabilità, in linea generale, fra precostitu
zione del giudice e discrezionalità nella sua concreta designazio
ne (sentenza n. 88 del 1962, id., 1962, I, 1217), ha avuto in
prosieguo occasione di soffermarsi specificamente sul tema del
la discrezionalità spettante ai capi degli uffici per l'assegnazione
degli affari, precisando che il relativo potere deve essere rivolto
unicamente al soddisfacimento di obiettive ed imprescindibili
esigenze di servizio, allo scopo di rendere possibile il funziona
mento dell'ufficio e di agevolarne l'efficienza, restando, invece,
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1411 PARTE PRIMA 1412
esclusa qualsiasi diversa finalità (sentenze nn. 143 e 144 del 1973,
id., 1973, I, 2644; ordinanza n. 93 del 1988, id., 1990, I, 2434). 4.3. - Quanto agli assetti che, sul piano ordinamentale, pos
sono essere apprestati al fine di dare concretezza ed effettività
ai richiamati principi, la corte è dell'avviso che, una volta esclu
so che la nozione di giudice naturale si cristallizzi nella determi
nazione legislativa di una competenza generale (v. sentenza n.
42 del 1996, id., 1997, I, 1670), il problema sia pur sempre
quello di contemperare obiettività ed imparzialità con continui
tà e prontezza delle funzioni. Fra le possibili soluzioni di un
siffatto problema, il rimettente richiama la disciplina vigente
per i giudici ordinari, che prevede l'applicazione del c.d. siste
ma delle tabelle e, più recentemente, a seguito di specifica di
sposizione legislativa, l'indicazione da parte del Consiglio supe riore della magistratura, in via generale, dei criteri obiettivi sia
per l'assegnazione degli affari penali (art. 7 ter della legge sul
l'ordinamento giudiziario aggiunto dall'art. 4 d.p.r. n. 449 del
1988), sia per l'applicazione dei magistrati (art. 1 1. 16 ottobre
1991 n. 321 di modifica dell'art. 110 della medesima legge sul
l'ordinamento giudiziario). Ma la sopra ricordata regolamentazione, paradigmaticamente
evocata dal giudice a quo, non vale, tuttavia, a dar fondamento
alla richiesta di declaratoria di incostituzionalità, nei termini in
cui la stessa risulta qui sollecitata.
Nessun dubbio sussiste, invero, sull'importanza delle garan zie dell'indipendenza e terzietà della funzione anche per la ma
gistratura della Corte dei conti, alla stregua della previsione del
l'art. 108 Cost., tant'è che per essa risulta istituito (art. 10 1.
13 aprile 1988 n. 117) un consiglio di presidenza al quale sono
affidate le deliberazioni sulle assunzioni, assegnazioni di sedi
e di funzioni, trasferimenti e promozioni e su ogni altro provve dimento riguardante lo stato giuridico dei magistrati. Ciò non
significa, tuttavia, che le esigenze rappresentate dall'ordinanza
portino ad una dichiarazione di incostituzionalità della disposi zione censurata, potendosi, infatti, la soluzione della prospetta ta questione, far discendere, senza eccessive difficoltà e in ma
niera piana, dalla stessa ratio del principio dell'art. 25, 1° com
ma, Cost, e dai valori che esso tende a tutelare. Invero, la
connessione fra imparzialità e precostituzione che si ricava da
detto principio, nell'escludere, come già detto, che i poteri or
ganizzativi dei capi degli uffici possano essere svolti in modo
assolutamente libero o addirittura arbitrario, consente di ritene
re che l'esplicitazione di criteri per l'assegnazione degli affari, in quanto espressivi di un'esigenza costituzionale, che opera in
tutti i settori della giurisdizione, possa aver luogo proprio nel
l'ambito di detti poteri discrezionali, quale manifestazione ed
esercizio dei medesimi, senza necessità né di una specifica previ sione legislativa né, tantomeno, di un intervento additivo di que sta corte. In tal senso, come la stessa ordinanza ricorda, depone anche la prassi ael Consiglio superiore della magistratura che,
per gli affari civili, in assenza di norme analoghe a quelle della
materia penale, richiede comunque che i capi degli uffici diano, in sede di proposte tabellari, indicazioni «sui criteri obiettivi
e predeterminati» seguiti per le assegnazioni. Ferma dunque la
facoltà del legislatore, ove lo ritenga, di intervenire per discipli nare la materia, la questione è da ritenere, perciò, non fondata,
potendo pervenirsi già ora, nell'ordinamento vigente per la Corte
dei conti, alla formulazione di criteri per l'assegnazione degli affari attraverso l'esercizio dei poteri spettanti ai capi degli uf
fici, secondo modalità che non spetta a questa corte indicare, se non nel senso che esse siano tali da garantire, comunque, la verifica ex post della loro osservanza.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara:
— la manifesta infondatezza della questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 5, 3° comma, d.l. 15 novembre 1993 n.
453 (disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della
Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella 1. 14 gen naio 1994 n. 19, sollevata, in riferimento agli art. 3, 97 e 108
Cost., con la prima delle ordinanze in epigrafe, dalla sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana; — non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale del predetto art. 5, 3° comma, lett.
a), sollevata, in riferimento all'art. 25, 1° comma, Cost., con
la seconda delle ordinanze in epigrafe, dalla sezione giurisdizio nale della Corte dei conti per la regione Puglia.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 aprile 1998, n. 140
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 aprile 1998, n. 17); Pres. Granata, Est. Neppi Modona; M.P.; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Pret. Latina 31 gennaio 1997 (G.U., la s.s., n. 28 del 1997).
Ingiuria e diffamazione — Provocazione — Oltraggio — Inap
plicabilità — Questione infondata di costituzionalità nei sensi
di cui in motivazione (Cost., art. 3; cod. pen., art. 341, 599;
d.leg.lgt. 14 settembre 1944 n. 288, provvedimenti relativi al
la riforma della legislazione penale, art. 4).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 599, 2° comma, c.p. — che
esclude la punibilità di chi abbia commesso il delitto di ingiu ria o diffamazione nello stato d'ira determinato dal fatto in
giusto altrui e subito dopo di esso — nella parte in cui non
prevede che tale causa di giustificazione possa essere applica ta al delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1) Assimilabilità della reazione legittima alla provocazione con rife rimento al delitto di oltraggio.
I. - Con la sentenza in epigrafe (anche in Guida al dir., 1998, fase.
18, 67, con nota di G. Amato, e Cass, pen., 1998, 1565, con nota di R. Bartoli), la Corte costituzionale individua, in maniera forse defi
nitiva, l'esatto ambito di applicazione della scriminante della reazione
legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale prevista dall'art. 4
d.leg.lgt. 14 settembre 1944 n. 288 e ne chiarisce i rapporti con la «omo
loga» causa di giustificazione della provocazione invocabile, ex art. 599
c.p., unicamente per i reati di ingiuria e diffamazione (in tema, Palaz
zo, Oltraggio, scriminante degli atti arbitrari, aggravante di cui all'art.
16, n. 10, c.p., attenuante della provocazione, in Giur. it., 1971, II, 341). Rigettando interpretativamente la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 599, 2° comma, c.p., la Consulta ha, invero, prodotto un effetto fortemente espansivo della disposizione dell'art. 4 cit., rece
pendo una recente opzione interpretativa della Corte di cassazione e
sancendo, in maniera chiara, che la scriminante della reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale è invocabile non soltanto nelle
ipotesi di atti illegittimi, ma anche nei casi in cui l'atto avverso il quale reagire, pur formalmente legittimo, sia stato compiuto con modalità
scorrette, offensive e sconvenienti (in tal senso, recentemente, Cass. 10
aprile 1996, Pacifici, Foro it., Rep. 1997, voce Oltraggio, n. 29, e, per esteso, Giust. pen., 1997, II, 406).
La corte, insomma, accede apertamente ad un'interpretazione della scriminante de qua quanto più ossequiosa delle ragioni storico-politiche sottese alla sua reintroduzione nell'ordinamento, dopo che il regime fa scista ne aveva decretata la espunzione. Giova sul punto ricordare che la reazione legittima ad atti arbitrari, già presente nel codice Zanardelli del 1889 (art. 192 e 199), fu abolita da quello del 1930 perché la si ritenne comunque riassumibile nell'istituto generale della legittima dife sa (così, Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1962, V, 399, in sintonia con la relazione ministeriale al codice Rocco, ove si afferma: «è perfettamente logico e giuridico che, come contro gli abusi del cittadino che violi gli altrui diritti si ricorra alla tutela offerta dalla
legge, lo stesso abbia a farsi contro gli abusi dei pubblici funzionari, e che i presupposti di fatto e di diritto che possono consentire la legitti mità della sostituzione dell'attività privata all'attività pubblica per la difesa del diritto minacciato dall'altrui arbitrio, sono identici in entrambi i casi») o perché, più verosimilmente, la si considerò in contrasto con i principi che avrebbero dovuto disciplinare, in quell'epoca, i rapporti Stato-cittadino (propendono per tale ricostruzione politico-giuridica, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1997, I, 303).
I limiti della tutela del cittadino dinanzi all'atto arbitrario del pubbli co ufficiale sono stati fino ad oggi vivamente discussi in considerazione della oggettiva difficoltà, palesata dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, di definire, con sufficiente univocità di vedute, l'atto al quale potere reagire legittimamente (sul «disorientamento» della giurisprudenza, oscillante tra ampliamenti e restringimenti del campo di applicazione della scriminante de qua, Morselli, La reazione agli atti arbitrari del
pubblico ufficiale, Messina, 1966, 27). Più in particolare, le ondivaghe pronunce della Suprema corte sono
apparse condizionate, oltre che dalla matrice spiccatamente ideologica dell'istituto della reazione legittima, dalla incertezza nella definizione del requisito dell'arbitrarietà, sul quale, non a caso, oggi la Consulta sofferma la propria attenzione.
II «travaglio» giurisprudenziale, peraltro ripercorso — seppur per grandi linee — nella motivazione della sentenza in epigrafe, ha dato vita a tre filoni interpretativi.
II. - L'orientamento più «rigorista», e fino ad oggi nettamente preva lente, ha subordinato l'applicabilità della scriminante alla presenza di
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