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sentenza 17 maggio 1983; Giud. De Cristofaro; Francesconi (Avv. Sabatini) c. Soc. Creazioni il Ponte...

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sentenza 17 maggio 1983; Giud. De Cristofaro; Francesconi (Avv. Sabatini) c. Soc. Creazioni il Ponte Vecchio (Avv. Petrocelli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 1753/1754-1777/1778 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177121 . Accessed: 28/06/2014 08:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.191 on Sat, 28 Jun 2014 08:20:38 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 17 maggio 1983; Giud. De Cristofaro; Francesconi (Avv. Sabatini) c. Soc. Creazioni il Ponte Vecchio (Avv. Petrocelli)

sentenza 17 maggio 1983; Giud. De Cristofaro; Francesconi (Avv. Sabatini) c. Soc. Creazioni ilPonte Vecchio (Avv. Petrocelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 1753/1754-1777/1778Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177121 .

Accessed: 28/06/2014 08:20

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Condivide il tribunale il principio testé esposto. Ed invero

è proprio nel negozio che dà vita al rapporto di conto cor

rente bancario che si rinviene il fondamento della immediata

operatività dell'accredito. Tale negozio comporta, per consoli

data prassi bancaria rilevante ai sensi dell'art. 1374 c. c., e

salvo patto contrario, l'obbligo della banca di accettare ed inclu

dere nel conto tutti i bonifici e le rimesse disposti da terzi (si veda l'attuale edizione delle norme bancarie uniformi, art. 4 del

testo relativo ai conti correnti di corrispondenza), ed a tale obbligo non può non corrispondere una preventiva e generica autorizza

zione del correntista a compiere le future operazioni occorrenti

per l'attuazione del rapporto con immediata incidenza nel pa trimonio del correntista stesso.

Resta per questa via superata la difficoltà derivante dal prin

cipio secondo cui nessuno può compiere atti con rilevanza ester

na, incidenti nella sfera giuridica altrui, senza esservi abilitato

dalla legge o dall'interessato, poiché la menzionata autorizzazio

ne dà fondamento e giustificazione all'atto della banca.

Decisivo argomento a conferma dell'esposta costruzione va rav

visato nella norma (art. 1852 c.c.) che attribuisce al correntista

il diritto di disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti

a suo favore. Siffatta disposizione assegna all'accreditamento la

funzione di determinare la modificazione giuridica del rapporto intercorrente tra banca e cliente rendendo immediatamente dispo nibile la somma sin dal momento della sua annotazione in conto.

11 principio esposto va applicato al caso di specie.

I contratti di conto corrente stipulati dalla soc. Termisol con

il Banco di Roma non contengono pattuizioni contrarie alla ri

cordata prassi concernente l'obbligo di accredito delle rimesse

di terzi, ed è lecito presumere che l'attuazione dei rapporti abbia

registrato in via normale l'annotazione di tale tipo di partite in

tutto il periodo di vigenza.

All'applicazione del principio stesso consegue ineluttabilmente

l'inefficacia della dichiarazione di storno del bonifico, pervenuta,

ripetesi, in data successiva a quella dell'annotazione in conto del

bonifico stesso.

Non giova, peraltro, all'attrice il richiamo alla revocabilità del

mandato, poiché tale facoltà trova limite nell'avvenuta esecuzione

del mandato stesso, e non può revocarsi in dubbio che con l'ac

credito l'incarico assunto dal Banco di Roma in base alla con

venzione di corrispondenza vigente tra i due istituti venne ese

guito. Né può portare a diversa conclusione l'assunto che del

l'esecuzione dell'incarico si giovò il convenuto senza che fosse

realizzato alcun interesse della mandante.

Si osservi, da un lato, che il Banco di Roma ha esercitato un

diritto attribuitogli dalla norma di cui all'art. 1853 c.c. (oltre che

da espressa previsione contrattuale), portando le somme bonifi

cate ad estinzione di suoi crediti evidenziati dai saldi passivi dei

conti intrattenuti dalla Termisol, e dall'altro che l'interesse sot

teso dalla causa tipica del negozio stipulato si è realizzato con

il puntuale adempimento dell'ordine di bonifico.

Del pari irrilevante si appalesa il riferimento alla manifesta

zione di volontà contraria all'accreditamento del bonifico fatta

pervenire dalla Termisol al Banco di Roma in epoca successiva

all'accredito stesso. Tale dichiarazione, infatti, appare inidonea a

modificare gli effetti conseguiti all'operazione sulla base della

preventiva autorizzazione contenuta nel negozio di conto cor

rente e delle norme poste dal citato art. 1853 c.c. nonché dalle

clausole contrattuali relative ai diritti della banca.

Inconferente, infine, appare il richiamo al principio enunciato

dalla Suprema corte nella sentenza 22 settembre 1979, n. 4889

(id., Rep. 1979, voce Indebito, n. 3), poiché nel caso di specie

non è dimostrata l'esistenza del presupposto per l'esperimento dell'azione di ripetizione di indebito. Il rapporto, invero, trovò

causa nella citata convenzione di corrispondenza all'epoca vigen

te tra le parti e non può essere attribuita efficacia di rendere

privo di causa l'incarico affidato dall'attrice al convenuto alla ri

chiesta di riaccredito inoltrata dalla Banca agricola milanese al

l'attrice in data 14 dicembre 1977, poiché il rapporto tra questi

istituti non ha avuto giuridica rilevanza nel distinto rapporto

intercorso tra le parti in causa.

Per le statuizioni che precedono rimane assorbito l'esame delle

argomentazioni svolte dall'attrice sul presupposto che la somma

in contesto siasi venuta a trovare nella disponibilità del convenuto

a titolo di semplice deposito, essendo esclusa la sussistenza di

detto presupposto dall'accertata vigenza dei conti correnti.

Si devono, in conclusione, rigettare le domande attoree; in

accoglimento della riconvenzionale, va dichiarato l'obbligo del

l'attrice di riaccreditare contabilmente in favore del convenuto

la somma di lire 38.647.943 con valuta 29 novembre 1977. (Omissis).

I

PRETURA DI VIAREGGIO; sentenza 17 maggio 1983; Giud. De Cristofaro; Francesconi (Aw. Sabatini) c. Soc. Creazioni il Ponte Vecchio (Avv. Petrocelli).

PRETURA DI VIAREGGIO;

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Periodi in feriori a quindici giorni — Maturazione del trattamento (Cod.

civ., art. 2120; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disciplina del tratta mento di fine rapporto e norme in materia pensionistica, art. 1).

Lavoro (rapporto) -r- Trattamento di fine rapporto — Regime transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti —

Computo nella base di calcolo dell'ultima quota proporzional mente al periodo dell'ultimo reinserimento alla cessazione del

rapporto (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 5).

Il diritto al trattamento di fine rapporto matura anche in rela zione alle frazioni di mese inferiori a quindici giorni. (1)

Gli aumenti di contingenza maturati dal 1° febbraio 1977 al 31

maggio 1982 e non ancora reinseriti nella base di calcolo del

trattamento di fine rapporto non vanno corrisposti come ero

gazione aggiuntiva rispetto al trattamento maturato, bensì de vono essere computati nella retribuzione base per il calcolo

della quota dell'ultimo anno in proporzione al periodo che va dall'ultimo reinserimento alla cessazione del rapporto. (2)

II

PRETURA DI ROMA; sentenza 7 marzo 1983; Giud. Macioce; Marino (Avv. Giuffrida) c. Soc. Stildomus (Avv. Tessarolo).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Regime transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti —

Corresponsione aggiuntiva — Questione infondata di costitu zionalità (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 5).

Gli aumenti di contingenza maturati dal 1° febbraio 1977 al 31

maggio 1982 e non ancora reinseriti nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto devono essere corrisposti come

una erogazione a sé stante — costituzionalmente legittima — da

sommarsi at trattamento maturato. (3)

III

PRETURA DI PARMA; sentenza 18 febbraio 1983; Giud. M.

De Luca; Bagatti (Avv. Petronio) c. Soc. Rossi (Avv. Artoni).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Incre

mento annuale delle quote maturate negli anni precedenti —

Tasso fisso dell'I,5 per cento — Proporzionamento alle frazioni

di anno (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 1). Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Regime

transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti —

Corresponsione aggiuntiva « una tantum » — Proporzionamento alla durata del rapporto nell'ultimo anno (L. 29 maggio 1982

n. 297, art. 5).

il tasso di incremento annuale delle quote maturate del tratta

mento di fine rapporto — pari all'I,5 per cento in misura fis sa — deve essere proporzionato alle frazioni di anno. (4)

Gli aumenti di contingenza maturati dal 1" febbraio 1977 al 31

maggio 1982 e non ancora reinseriti nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto devono essere corrisposti come una

erogazione aggiuntiva una tantum da sommarsi al trattamento

maturato, ma il loro importo deve essere proporzionato alla

durata del rapporto nell'ultimo anno. (5)

(1-11) I. - Le sentenze in epigrafe affrontano alcuni problemi in

terpretativi della nuova disciplina del trattamento di fine rapporto, sulla quale sono già apparsi numerosi contributi in dottrina (Ghera G. Santoro Passarelli, Il nuovo trattamento di fine lavoro, Milano, 1982; G. Santoro Passarelli, Prime considerazioni della disciplina del trattamento di fine rapporto, in Rass. giur. Enel, 1982, 289; Fila

doro, Il trattamento di fine rapporto, in Lavoro e prev. oggi, 1982, 1580; Vallebona, Il trattamento di fine rapporto per i lavoratori, in Giust. civ., 1982, III, 373; Zangari, Trattamento di fine rapporto e cenni sulla riforma pensionistica, in Lavoro e prev. oggi, 1982, 1787; Meucci, Le anticipazioni sulla liquidazione, in Giust. civ., 1982, lì, 474; Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1981-1982, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1982, 529; Montemarano, Il tratta mento di fine rapporto, Roma, 1982; De Luca Tamaio, Il tratta mento di fine rapporto, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1982, 429; Garilli, Prime riflessioni sulla riforma dell'indennità di anzianità, in Riv. giur. lav., 1982, I, 333; D'Avossa, Il trattamento di fine rapporto, in Lavoro 80, 1983, 10; Francesckelli-De Luca-Tamaio Napoli-Di Vezza-Garilli-Romei, Le liquidazioni: i problemi inter

pretativi della legge 297, in Contrattazione, n. 5 del 1982; Camerota,

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1755 PARTE PRIMA 1756

IV

PRETURA DI VERONA; sentenza 9 febbraio 1983; Giud. A.

Conte; Begali (Aw. De Grandis) c. Soc. Bozzola (Avv. To

SELLO).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Regime transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti —

Corresponsione aggiuntiva — Reiterabilità in caso di succes

sive cessazioni di distinti rapporti — Limite massimo pari al

pregiudizio subito dal lavoratore per effetto della « sterilizza

zione» nel vecchio e nuovo regime — Questione infondata di

costituzionalità (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 5).

Gli aumenti di contingenza maturati dal 7° febbraio 1977 al 31

maggio 198.2 e non ancora reinseriti nella base di calcolo del

trattamento di fine rapporto devono essere corrisposti come

una erogazione a sé stante da sommarsi al trattamento matu

rato, ma l'ammontare di tale erogazione, che spetta anche ai

lavoratori assunti dopo il 31 maggio 1982 e che deve essere

ripetuta alla cessazione di ciascun rapporto fino al 31 dicembre

1985, non dovrà in alcun caso superare l'importo delle somme

non corrisposte al lavoratore per effetto delle sterilizzazioni

previste per l'indennità di anzianità dalla l. n. 91 del 1977 e

per il trattamento di fine rapporto dalla norma transitoria del

l'art. 5, 20 comma, l. n. 297 del 1982; la disposizione dell'art.

5, 3" comma, l. n. 297 del 1982 cosi interpretata non viola alcuna

norma costituzionale. (6)

V

PRETURA DI PAVIA; sentenza 22 gennaio 1983; Giud. L. De

Angelis; Rizzi (Avv. Ferrario) c. Soc. Repetto e Fontanella

(Avv. Vitali).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Regime transitorio — Aumenti di contingenza scattati dal 1° febbraio 1977 al 31 maggio 1982 — Immediato e totale inserimento nel la base di calcolo — Ulteriore corresponsione aggiuntiva —

Spettanza (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 5).

Gli aumenti di contingenza maturati dal 1" febbraio 1977 al 31

maggio 1982 entrano a far parte tutti insieme ed immediatamen te della base di calcolo del trattamento di fine rapporto, alle cui quote annue si aggiunge fino al 1986 come erogazione au

tonoma, a fine di indennizzo per i soli lavoratori già in servizio al 31 maggio 1982, una somma man mano crescente secondo la gradualità prevista dal 2° comma dell'art. 5 l. n. 297 del 1982, da corrispondersi subito nella misura massima in caso di cessa zione del rapporto prima del 1986. (7)

Cosi cambiano le liquidazioni, Milano, 1982; Ghera, Sulla disciplina del trattamento di fine rapporto di lavoro, in Industria e sindacato, nn. 28-29 del 1982; E. Lucifredi, Rapporto di lavoro e indennità di anzianità, in Riv. dir. civ., 1982, 637; Cessari, Ascesa e declino di un istituto, in Riv. it. dir. lav., 1982, lì, 427; P. Fanfani, La nuova disciplina del trattamento di fine rapporto (primi approcci alta 1. 29 maggio 1982 n. 279), in Mass. giur. lav., 1982, 748).

II. - Il primo problema riguarda il tasso di rivalutazione fisso del l'1,5 per cento, discutendosi della sua proporzionabilità o meno alla durata del rapporto nell'anno. La sentenza del Pret. Milano e Pret. Parma 18 febbraio 1983 hanno dato risposta affermativa, se guendo l'opinione espressa da Filadoro <op. cit., 1590) e da D'Avossa (op. cit., 25), ed avversata, invece, da Montemarano (op. cit., 33-34), Franceschelli (op. cit., 9) e Napoli (op. cit., 28). Tra gli argomenti utilizzati dalle due sentenze si segnalano sia quello '(Pret. Mi lano) secondo cui i tassi annuali sono di per sé proporzionabili a periodi più 'brevi in virtù del principio generale sancito per i frutti e gli interessi (art. 821 e 1284 c. c.), sia quello (Pret. Parma) secondo cui il mancato proporzionamento condurrebbe ad un ingiustificato privilegio per i rapporti cessati nei primi mesi dell'anno.

In senso conforme alle sentenze ricordate cfr. Pret. Pavia 24 mag gio 1983, giud. L. De Angelis, Spazzini c. Ditta Noli (inedita) e Pret. Torino, giud. Peyron, 9 giugno 1983, Odin c. Soc. Euro Salm (che sarà riportata in un prossimo fascicolo), nonché, con ulteriori ar gomentazioni di raccordo sistematico rispetto alla ratio della riva lutazione delle quote annue di trattamento, il commento di Val lebona, Tre decisioni sul trattamento di fine rapporto: la riva lutazione delle quote e la « corresponsione aggiuntiva » nel regime transitorio, in corso di pubblicazione in Giust. civ., 1983, n. 5.

III. - La seconda questione riguarda la maturazione del diritto al trattamento di fine rapporto per le frazioni di mese inferiori ai quindici giorni, che è stata esclusa da 'Pret. ÉParma 22 dicembre 1982, anno tata criticamente da Vallebona, Prime questioni sul trattamento di fine rapporto: le frazioni di mese ed il regime transitorio, in Giust. civ., 1983, I, 663, secondo il quale la norma di favore che equipara a mese intero le frazioni eguali o superiori a quindici giorni non elimina l'incidenza della retribuzione delle frazioni inferiori, che

VI

PRETURA DI PARMA; sentenza 22 dicembre 1982; Giud. M. De Luca; Tarasconi (Avv. Petronio) c. Soc. Pergemine (Aw. Artoni).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Frazioni di mese inferiori a quindici giorni — Spettanza — Esclusione

(Cod. civ., art. 2120; 1. 29 maggio 1982 n. 297, art. 1). Lavoro (rapporto) — Indennità — Trattamento di fine rapporto

— Regime transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti — Corresponsione aggiuntiva — Rapporto cessato nel giugno J982 — Esclusione (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 5).

Il diritto al trattamento di fine rapporto non matura in relazione alle frazioni di mese inferiori a quindici giorni. (8)

La corresponsione aggiuntiva degli aumenti di contingenza matu rati dal 1" febbraio 1977 al 31 maggio 1982 e non ancora rein seriti nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto non spetta ai lavoratori che non abbiano ancora maturato quo te del nuovo trattamento pur essendo il loro rapporto cessato

dopo il 31 maggio 1982. (9)

rimangono soggette alla regola generale del computo di tutte le som me nella base di calcolo. Questi argomenti sono stati ripresi da Pret. Viareggio 17 maggio 1983.

Anche Filadoro, op. cit., 1585, afferma che non avrebbe alcun senso arrotondare in difetto le frazioni di mese inferiori a quindici giorni, ma, poi, ritiene incomprensibile anche l'arrotondamento per eccesso delle frazioni almeno pari a quindici giorni. Sulla stessa linea Alleva, op. cit., 534-535, che tenta di spiegare la norma limitandone la portata ai soli istituti indiretti, i cui ratei da includere nella base di calcolo sarebbero pertanto computabili solo per mesi interi.

Conforme all'orientamento di 'Pret. Parma è, invece, D'Avossa, op. cit., 22.

IV. - L'ultimo e pili delicato problema affrontato dalle sentenze in epigrafe riguarda il regime transitorio e, in particolare, la inter pretazione delle disposizioni dei comma 2° e 3° dell'art. 5.

In proposito circolano le tesi più disparate, non solo in giurispru denza, come testimoniato dalle riportate sentenze, ma anche in dottrina.

Il significato del 2° comma nel senso di una sterilizzazione decre scente della base di calcolo è apparso chiaro a tutti gli interpreti ad eccezione della sentenza di Pavia, che sostiene, all'opposto, trattarsi di una deroga non peggiorativa, bensì migliorativa rispetto al regime ordinario previsto dall'art. 2120, 2° comma, nuovo testo. Questa isolata posizione costituisce l'estremo tentativo di spiegare la ben più controversa disposizione del successivo comma 3" dell'art. 5.

In proposito la prima questione riguarda l'individuazione dei desti natari della norma che, secondo alcuni, sarebbero solo i lavoratori già in servizio al momento dell'entrata in vigore della nuova legge (Ghera-Santoro Passarelli, op. cit., 82-83; De Luca Tamajo, op. cit., 447; Pret. Pavia 22 gennaio 1983; iPret. Roma 7 marzo 1983), mentre altri ritengono applicabile la norma anche ai lavoratori assunti successivamente {Montemarano, op. cit., 81-82; Alleva, op. cit., 541; Vallebona, Prime questioni, cit., 666; Pret. Parma 18 febbraio 1983; IPret. Verona 9 febbraio 1983; iPret. Viareggio 17 maggio 1983, Pret. Torino 9 giugno 1983; D'Avossa, op. cit., 320; Di Vezza, op. cit., 36).

La questione non è di poco conto, in quanto involge l'accertamento della effettiva ratio della disposizione, come risulta dal fatto che i sostenitori della tesi più restrittiva la motivano sulla scorta dei lavori parlamentari, assegnando al 2° e 3° comma dell'art. 5 una complessiva funzione « recuperatoria » rispetto ai pregiudizi subiti dal lavoratore in precedenza, mentre dall'altro lato si sostiene sia la incoerenza della tesi del « recupero » in un regime di calcolo ormai completamente sganciato dall'« ultima retribuzione », sia la inammissibilità di una tesi che condurrebbe ad escludere l'applicabilità dell'intero art. 5 ai lavoratori assunti dopo il 31 maggio 1982.

Altra importante questione concerne direttamente il significato della disposizione del 3° comma, da un lato affermandosi, anche in base alla lettera della legge, che tratterebbesi di una erogazione aggiuntiva ed esterna rispetto al trattamento calcolato secondo i criteri, anche transitori, fissati dal legislatore (Napoli, op. cit., 31; Di Vezza, op. cit., 39; De Luca Tamajo, op. cit., 447; Alleva, op. cit., 1541; Montemarano, op. cit., 83; Ghera-Santoro Passarelli, op. cit., 83; Zangari, op. cit., 1824; Vallebona, Il trattamento, cit., 385 e Prime questioni, cit., 666; nonché tutte le sentenze sopra riportate eccetto Pret. Milano) e dall'altro lato ritenendosi, invece, che l'importo di cui al 3° comma andrebbe inserito nella base di calcolo della quota dell'ultimo anno proporzionalmente al periodo di lavoro che va dal l'ultimo reinserimento fino alla cessazione del rapporto (Pret. Milano 14 dicembre 1982; Pret. Viareggio 17 maggio 1983), oppure addirit tura inciderebbe retroattivamente sul calcolo di tutte le quote dal 1° giugno 1982 in poi (D'Avossa, op. cit., 34; Pret. Torino 9 giugno 1983).

Nell'ambito della prima tesi si delineano diverse posizioni, da quella che afferma la incostituzionalità della norma per violazione del principio di eguaglianza (Vallebona, Prime questioni, cit., 665 666; Zangari, op. cit., 1824) a quella, già ricordata, che tenta di salvare la norma capovolgendo il significato del precedente 2° comma

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

VII

PRETURA DI MILANO; sentenza 20 dicembre 1982; Giud.

Robustella; Sala (Avv. Tensini) c. Soc. Verein Aristea (Avv.

Franci).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Incremen

to annuale delle quote maturate negli anni precedenti — Tasso

fisso dell'I,5 per cento — Proporzionamento alle frazioni di

anno (L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 1).

Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Regime transitorio — Aumenti di contingenza non ancora reinseriti — Computo nella base di calcolo proporzionalmente al periodo dall'ultimo reinserimento alla cessazione del rapporto (L. 29

maggio 1982 n. 297, art. 5).

11 tasso di incremento annuale delle quote maturate del tratta

mento di fine rapporto — pari all'I,5 % in misura fissa — deve

essere proporzionato alle frazioni di anno. (10) Gli aumenti di contingenza maturati dal 1° febbraio 1977 al 31

maggio 1982 e non ancora reinseriti nella base di calcolo del

trattamento di fine rapporto non vanno corrisposti come una

erogazione aggiuntiva rispetto al trattamento maturato, bensì

devono essere computati nella retribuzione base per il calcolo

della quota dell'ultimo anno in proporzione al periodo che va

dall'ultimo reinserimento alla cessazione del rapporto. ( 11)

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Nel merito, mentre non

v'è contestazione sulle altre voci che compongono la somma do

mandata dall'attore, la tesi sostenuta da parte convenuta, pur non

potendo essere condivisa integralmente, è quella che più si avvi

cina alla soluzione corretta.

L'art. 1 1. 29 maggio 1982 n. 297, che sostituisce l'art. 2120 c.c.

e detta le regole per il calcolo del nuovo trattamento di fine

rapporto, contiene al termine del 1° comma una norma che me

rita per prima un esame critico approfondito. Dopo aver stabi

lito che il trattamento di fine rapporto è composto dalla somma

degli importi della retribuzione di ciascun anno di servizio di

visi per 13,5, la norma recita; « la quota è proporzionalmente

ridotta per frazioni di anno, computandosi come mese intero le

frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni ». Come altri

ha giustamente osservato, la prima proposizione è, nella migliore

delle ipotesi, superflua. In realtà, poiché nel 1° comma si parla

di retribuzione « dovuta » per l'anno e il 4° comma, che detta

norme per la rivalutazione, fa riferimento alla scadenza del 31

dicembre di ogni anno, si potrebbe supporre che la componente

del trattamento per una frazione di anno di servizio debba essere

ottenuta calcolando prima l'importo che sarebbe spettato al lavo

ratore come retribuzione per un anno intero, dividendo questo

importo per 13,5 e poi proporzionando il quoziente alla minor

durata effettiva del rapporto; ad esempio, dividendo ancora per

12 e moltiplicando per il numero dei mesi di lavoro. Senonché,

per frazioni di anno comprese nella parte iniziale di un anno

solare sarebbe praticamente impossibile calcolare la retribuzione

che sarebbe effettivamente dovuta per l'intero anno, non essendo

prevedibili le variazioni in aumento.

Il calcolo sarebbe possibile per le frazioni di anno che arrivano

fino al termine dell'anno solare, ma in questo caso, come nel

caso in cui si estrapolasse, da una frazione iniziale, una retribu

zione annua teorica, il risultato dell'operazione sarebbe identico

a quello che si ottiene semplicemente dividendo per 13,5 l'im

porto della retribuzione percepita in concreto (o « dovuta » non

solo in caso di inadempimento del datore di lavoro, ma anche

per quegli accessori, come le mensilità aggiuntive, che non ven

gono liquidate mese per mese) per il più breve periodo di servizio.

Resta comunque l'affermazione di principio, della quale con

(Pret. Pavia 22 gennaio 1983) a quelle, infine, che potrebbero essere

definite « correttive », affermandosi, ad esempio, che l'importo ag

giuntivo dovrebbe essere proporzionato alla durata del rapporto nel

l'ultimo anno (cosi Pret. Parma 18 febbraio 1983) oppure che tale

importo dovrebbe essere contenuto entro il limite del pregiudizio effet

tivamente subito dal lavoratore per effetto della vecchia e nuova

sterilizzazione della base di calcolo (cosf la sentenza di Verona).

Quest'ultima tesi introduce l'ultima questione, relativa alla reite

rabilità o meno della corresponsione aggiuntiva in caso di cessazione

di più rapporti nel periodo transitorio da parte del medesimo lavora

tore. La "risposta affermativa è stata sostenuta da Alleva, op. cit.,

541, nonché da (Pret. Verona, ma col limite indicato; la risposta ne

gativa da De Luca Tamajo, op. cit., 447; Vallebona, Prime questioni,

cit., 666; Di Vezza, op. cit., 39-40.

verrà ricordarsi per una corretta interpretazione delle norms tran

sitorie. La seconda proposizione presa in esame prevede un ab

buono per il lavoratore che abbia lavorato per un periodo di

almeno quindici giorni in un mese, ma non per questo impone di escludere dal computo le « frazioni di anno » inferiori a quin dici giorni.

In altre simili previsioni, frequenti nella contrattazione col

lettiva, l'esclusione è esplicita (« non si tiene conto delle fra

zioni di mese inferiori a quindici giorni ») oppure si ricava dal

proporzionamento degli istituti ai « mesi » e dalla equiparazione a un mese delle frazioni pari o superiori a quindici giorni; il

che esclude implicitamente dal computo le frazioni inferiori, che

non sono equiparate a un mese. Nulla di ciò è dato leggere nella

norma in esame, la quale pertanto impone la computabilità, ai

fini del trattamento di fine rapporto, anche della retribuzione

dovuta per una sola giornata di lavoro. In forza della disposi zione transitoria di cui al 1° comma dell'art. 5 della 1. n. 297,

all'attore, che ha lavorato negli ultimi diciannove giorni del mese

di maggio 1982 e i primi quattro giorni del mese di giugno, spetta

dunque un'indennità di fine rapporto rappresentata dalla somma

dell'indennità di anzianità calcolata secondo la disciplina pre

cedente, come se il rapporto fosse cessato il 31 maggio, più l'in

dennità di fine rapporto secondo la nuova normativa per gli altri

quattro giorni di durata del rapporto, posteriori a quella data. Ma

i successivi due comma, dettando ulteriori norme transitorie, im

pediscono che questa parte « nuova » della liquidazione sia cal

colata semplicemente dividendo per 13,5 la retribuzione percepita

(o dovuta) per quei quattro giorni. Infatti il 2° comma stabilisce

che i punti di contingenza maturati fra la precedente e l'ultima

modifica legislativa, e cioè fra il 1° febbraio 1977 e il 31 maggio

1982, a suo tempo « congelati » ovvero non computabili ai fini

del calcolo dell'indennità di anzianità, siano recuperati, sempre

ai fini del calcolo della nuova indennità di fine rapporto e in tem

poranea deroga al nuovo testo dell'art. 2120 c.c., in ragione di

zero punti per tutto il 1982, 25 punti dal 1° gennaio 1983 e fino

al 30 giugno, ancora 25 punti, per un totale di 50, dal 1° luglio

1983 e fino al 31 dicembre e cosi via di 25 in 25 punti per seme

stre fine al 1° gennaio 1986 incluso; tutto ciò per i lavoratori il

cui rapporto si dovesse protrarre fino ad oltre il 31 dicembre

1985.

Invece per i lavoratori, il cui rapporto dovesse terminare en

tro quest'ultima data, e quindi anche per l'attore, il 3° comma, con

una deroga alla deroga, dispone che il recupero di tutti i (175)

punti di contingenza precedentemente congelati deve avvenire al

momento della cessazione del rapporto, « in aggiunta » al tratta

mento che sarebbe loro spettato tenendo conto dello scagliona mento di cui sopra. La formulazione di quest'ultima norma è sta

ta oggetto di diffuse e ben giustificate critiche. In effetti, una sua

interpretazione letterale, quale è quella proposta dall'attore con

il sostegno del conteggio per lui predisposto da un'organizzazione

sindacale, porta a soluzioni aberranti e paradossali, che è bene

mettere in evidenza con qualche esempio. Un'anomalia è già di

per sé evidente nel caso dedotto in giudizio: avendo lavorato

poco più di venti giorni, secondo l'interpretazione letterale della

norma transitoria l'attore verrebbe a ottenere circa lire 400.000

in più di quanto gli spetterebbe se la legge sul nuovo trattamento

di fine rapporto fosse pienamente operante. Un altro risultato

evidentemente aberrante si ottiene paragonando l'indennità di

fine rapporto spettante, sempre secondo l'interpretazione letterale, a un lavoratore che abbia terminato il suo rapporto il 31 dicem

bre 1982, con quella spettante ad un suo collega che, avendo ini

ziato lo stesso giorno, abbia proseguito nel rapporto fino al 31

gennaio 1983. Per semplificare il calcolo, conviene adottare dei

parametri arbitrari: si faccia uguale a 1.000 la retribuzione men

sile « sterilizzata » dei punti di contingenza a suo tempo conge

lati; uguale a 5 ogni punto di contingenza; si ipotizzi che ad ogni

trimestre, dopo quello comprendente i mesi di maggio, giugno e

luglio 1982, siano maturati 10 punti di contingenza i quali, se

condo la nuova normativa, sono da computare immediatamente

nel trattamento di fine rapporto. Si avrà dunque che il primo

lavoratore, al 31 dicembre 1982, ha diritto a un'indennità uguale

a (7.000 di retribuzione base, più 10 punti di contingenza maturati

ad agosto e pari a 50 per ciascun mese fino ad ottobre, più altri

dieci punti maturati a novembre, per un totale di 20, pari a 100,

per novembre e dicembre, il totale diviso 13,5) 544; con l'ag

giunta « secca » dei 175 punti congelati, pari a 875, si arriva a

1.419. Il secondo lavoratore, al 31 gennaio 1983, ha diritto a un

trattamento di fine rapporto formato dalla retribuzione per otto

mesi, comprendente i 10 punti maturati ad agosto per tre mesi,

gli ulteriori dieci (10) punti maturati a novembre e sommati ai

precedenti di nuovo per tre mesi ed ancora i 25 punti precedente

mente congelati e computabili a partire dal 1° gennaio 1983, ai

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1759 PARTE PRIMA 1760

sensi del 2° comma dell'art. 5, per il solo mese di gennaio, il

tutto diviso per 13,5 = 635; con l'aggiunta secca dei 150 punti non ancora recuperati si arriva a 1.385; la differenza in più per la rivalutazione al 31 gennaio di quanto maturato al 31 dicem

bre precedente (art. 2120 nuovo testo, 4° comma) è trascurabile.

Il risultato è paradossale e inaccettabile: chi ha lavorato un mese

in pili ha diritto ad un trattamento di fine rapporto inferiore a

quello cui ha diritto chi ha lavorato un mese in meno. Il para dosso non è eliminato dal fatto che la differenza a danno del

lavoratore con un rapporto di maggior durata si riduca fino a

scomparire nel giro di un paio di semestri, man mano cioè che

aumentano i punti di contingenza recuperati e direttamente com

putabili nella retribuzione annuale ai fini della liquidazione, e

corrispondentemente diminuiscono quelli da « aggiungere » per ché non ancora recuperati. Peraltro, se si ritiene, come sembra

giusto, ad evitare ancor più clamorose disparità di trattamento,

che il sistema di calcolo, di scaglionamento e di recupero antici

pato dettato per il periodo transitorio si applica non solo ai rap

porti di lavoro in corso al momento dell'entrata in vigore della

legge, ma altresì a tutti i rapporti che vengono a termine entro

il 31 dicembre 1985, ancorché iniziati dopo il 31 maggio 1982, è

facile accertare che per tutto il periodo si verificherebbero casi

di lavoratori che, avendo lavorato ad esempio per un periodo

qualunque in un semestre, avrebbero diritto ad un trattamento

di fine rapporto uguale nel semestre successivo.

Le situazioni esemplificate sono chiaramente contrarie non solo

alla logica e al buon senso, ma anche, specificamente, ai principi costituzionali di uguaglianza e di equa retribuzione del lavoro.

A questo punto è il caso di osservare che nella relazione parla mentare all'emendamento, che è poi divenuto la norma di legge in esame, si legge: « ... gli aumenti dell'indennità di contingenza

(ancora congelata) ... per i lavoratori che cessano il loro rap

porto di lavoro dall'entrata in vigore della legge fino all'anno

1986 ... siano computati per intero, in aggiunta alla quota rela

tiva all'anno di cessazione del rapporto di lavoro ». Non può non

stupire che l'enunciazione preparatoria « siano computati » si sia

tradotta, nel testo di legge, nell'altra: « sono corrisposti », giac ché fra le due espressioni è agevole ravvisare una non trascurabile

differenza di significato. Qualunque possa essere il motivo di

questa difformità, sembra doversi escludere che l'intenzione del

legislatore sia stata quella di attribuire, ai lavoratori che cessano

il lavoro entro il 31 dicembre 1985, un premio o gratifica una

tantum di valore corrispondente a quello dei punti di contingen za congelati e non (ancora) recuperati, da aggiungersi puramente e semplicemente al trattamento di fine rapporto calcolato secon

do la normativa transitoria di cui all'art. 5, T comma. All'atto

pratico, mentre quest'ultima norma rispondeva all'esigenza di

graduare nell'arco di oltre tre anni l'aumento del costo del lavoro

che sarebbe derivato dal recupero dei punti di contingenza con

gelati agli effetti della liquidazione, con l'emendamento in que stione si intendeva evitare che gli stessi punti apparissero, in

tutto o in parte, irrimediabilmente perduti per quei lavoratori i

cui rapporti dovessero venire a termine prima che il recupero

graduale fosse stato completato, e di consentire anche a questi lavoratori di attingere, ancorché in misura poco più che simbo

lica, al serbatoio dei punti non ancora recuperati, con riferimen

to al periodo finale del rapporto, computandoli in qualche modo

ad integrazione del trattamento previsto per la fase transitoria,

pur senza stravolgere l'adottato criterio di gradualità. Ma compu

tarli, o corrisponderli, in che modo? Soccorre qui il criterio si

stematico, in particolare alla luce dell'avvertenza testuale che i

due comma dell'art. 5 in esame rappresentano una deroga « par ziale » al nuovo testo dell'art. 2120 c.c. Deve allora ritenersi

aderente al sistema della nuova normativa, sottinteso, implicito

(minus dixit quam voluit) che l'importo pari al valore dei punti non ancora recuperati secondo lo scaglionamento di cui al 2°

comma dell'art. 5 dev'essere corrisposto secondo le modalità sta

bilite dal 1° comma dell'art. 2120 c.c., nuovo testo e secondo i

principi ivi enunciati, e cioè mediante la divisione per 13,5 ed

il proporzionamento al periodo di lavoro (al massimo un seme

stre) per il quale è necessaria l'integrazione. Solo in questo modo

è possibile utilizzare in qualunque momento tutti i punti di con

tingenza congelati, in deroga ancora una volta parziale (una de

roga per cosi dire di secondo grado) alla norma sul recupero

graduale, e nel contempo mantenere un'accettabile proporziona lità della liquidazione alla durata del rapporto, non solo fra il

periodo transitorio e quello di piena applicazione della legge, ma anche all'interno dello stesso periodo transitorio e di uno

stesso semestre. Conseguentemente l'attore, oltre alla retribuzio

ne e agli altri accessori sui quali non v'è controversia fra le parti, oltre all'indennità di anzianità maturata al 31 maggio 1982 ed il

cui importo, esattamente calcolato dall'organizzazione sindacale

cui egli si è rivolto, è parimenti pacifico, ha diritto, a titolo di

trattamento di fine rapporto, ad una somma pari alla retribuzione « sterilizzata » per quattro giorni, divisa per 13,5 ed aumentata

dei 4/30 dell'importo dei punti di contingenza non recuperati, che sono a quella data la totalità (lire 418.075), diviso anche

questo per 13,5. In totale, la società convenuta dev'essere con

dannata, per i vari titoli, al pagamento della somma di lire 734.213, che dev'essere rivalutata secondo l'indice di legge; sulla somma ri valutata sono dovuti gli interessi legali dalla data di cessazione del

rapporto. (Omissis)

II

Motivi di diritto. — Ritiene il pretore che l'art. 5, 3° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297 non possa essere interpretato altro che

nel modo suggerito dalla parte ricorrente e cioè nell'unico senso risultante da lettera e ratio della norma e, si badi bene, conforme a principi di equità.

La limpidezza cristallina (una tantum) della espressione lette

rale contenuta nel 3° comma è tale, in primo luogo, da far rite

nere vere e proprie forzature quelle interpretazioni che, con

scoperte manipolazioni, eludono disinvoltamente il significato «... proprio delle parole secondo la connessione di esse...»

(art. 12, 1° comma, preleggi) e pervengono alla sostanziale riscrit

tura del testo.

Di contro, l'espressione contenuta nel comma in discorso (« in

caso di risoluzione del rapporto di lavoro anteriormente all'anno

1986, gli aumenti della indennità di contingenza ... maturati a

partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982 e non an

cora computati a norma del comma precedente, sono corrisposti in aggiunta al trattamento di fine rapporto maturato »), potrà magari aprire il varco a questioni interpretative in relazione alla sfera dei beneficiari ed al numero delle attribuzioni, ma certamen te non avrebbe dovuto consigliare l'opzione interpretativa affac

ciata dalla odierna resistente e sostenuta da un precedente del

Pretore di Milano.

Con l'art. 5 in oggetto il frettoloso legislatore della 297 intese

venire incontro alla domanda (« ... popolare ») sottesa alla ri

chiesta referendaria contro la quale la legge stessa fu eretta, e

cioè alla richiesta di veder cancellata la c.d. « sterilizzazione »

dalla indennità di anzianità dei punti di contingenza maturati

dopo il 1° febbraio 1977.

Tecnicamente la questione del «recupero» dei punti maturati

e non computati si poneva come tipica situazione transitoria: da

un lato, coerentemente, si era conservata a ciascun lavoratore in

servizio al 1° giugno 1982 la indennità di anzianità (« sterilizza

ta ») maturata secondo il vecchio testo dell'art. 2120 c.c. (cfr., art. 5, 1° comma); dall'altro, per il futuro, si era introdotta la

nuova — radicalmente nuova — disciplina posta dal monumen tale (ed « antiostruzionistico ») art. 1 della legge.

« In mezzo » stava dunque la questione del recupero sulla cui

definizione tecnica pesava non poco la questione del costo per le

aziende della operazione stessa.

E poiché alla pressione aziendale, tendente a ridurre il « co sto », non si poteva certo rispondere incidendo sul quantum dei

punti da recuperare (i 175 punti a lire 2389 ciascuno) — in tal

guisa rischiando di vedersi accertare la permanenza della richie sta referendaria — si decise di agire nell'unico modo possibile e cioè nel senso di diluire i tempi di recupero dei punti, preveden do sette scaglioni di inglobamento retributivo da 25 punti cia

scuno e a far tempo dal 1° gennaio 1983.

Con tale sistema — appunto previsto dal 2° comma dell'art. 5 — si realizzava per le aziende un doppio «risparmio»: da un lato si scaglionava nel tempo l'onere di inglobamento, consen

tendo altresì di lucrare tra effettivo deprezzamento della moneta

e minori indici di rivalutazione previsti dal 4° comma dell'art. 2120 c.c. novellato, e dall'altro si consentiva anche un «rispar mio » in numerario, atteso che i punti via via inglobati nella re

tribuzione annua venivano a subire la falcidia del divisore « 13,5» — di cui al 1° comma, art. 2120 — esattamente come

qualsiasi altro elemento retributivo.

Tale opzione, quella cioè di corrispondere bensì' i vari punti ma rendendoli omogenei, ai fini liquidatorii, a tutti gli elementi retributivi maturati in costanza di rapporto, era peraltro neces sitata dalla definitiva abrogazione (quindi de futuro) del vecchio sistema di computo del trattamento di fine rapporto: deciso, in

fatti, di corrispondere anno per anno 50 punti della contingenza

«congelata», questa attribuzione poteva certamente rappresen tare una deroga al principio della computabilità dei soli elementi « corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro » in atto (ed infatti il 2° comma dell'art. 5 espressamente premette di essere una

deroga parziale al 2° e 3° comma dell'art. 2120 c.c. nuovo testo),

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ma non poteva certamente costituire una deroga alle nuove tec

niche di valorizzazione degli elementi retributivi introdotte dai

comma 1°, 4° e 5° dello stesso art. 2120 c.c., non esistendo altro

che tali tecniche a regolare la formazione e la conservazione

della quota liquidatoria annua spettante a ciascun dipendente.

Ma, nell'atto stesso in cui cosi' veniva risolto il problema — tec

nico come economico — del « recupero » dei punti in questione, si poneva l'altrettanto seria questione delle modalità di recupero

per i casi nei quali il rapporto di lavoro fosse venuto a cessare

prima del compimento del piano di recupero.

Ebbene, la scelta legislativa sottesa al 3° comma dell'art. 5 in

discorso è assai chiara: una volta deciso di restituire ai lavoratori

ciò che un tempo era stato loro tolto (o ... « congelato »), non si

poteva certo portare la scelta compromissoria testé descritta — quella appunto di diluire nel tempo il recupero di tali som

me — al punto di espropriare i lavoratori di tutto o parte le

somme stesse nei casi' in cui il lavoratore avesse avuto la ventura

di cessare il rapporto prima del compimento del lungo termine

previsto nell'anzidetto programma di recupero. Se diversamente avesse deciso, il legislatore avrebbe dettato

una norma palesemente incostituzionale, sembrando inammissi

bile ed odiosa discriminazione quella che condiziona l'ara o il

solo quantum del pagamento di una somma che si ritiene dovuta

al fatto — casuale quanto inconferente — della permanenza di

un rapporto di lavoro in atto che è del tutto estraneo alle ra

gioni politiche che fecero ritenere dovuta la somma stessa.

In questo quadro, incostituzionale sarebbe semmai la tesi so

stenuta dalla resistente (quella di riproporzionare i punti dovuti

ai mesi di soggiorno del lavoratore nel periodo di « riparto ») e non già quella che il legislatore ha limpidamente espresso nella

norma in esame.

E del resto, se si vuole esaminare in concreto il preteso « plusva lore » lucrato da chi abbia cessato dal servizio prima del 1° gen naio 1983 rispetto a chi ilo abbia a fare dopo il 1° gennaio 1986 (e si prendono in esame solo le situazioni « estreme »), la pochezza del « lucro » si commenta da sola: cessazione al 1° gennaio 1986:

175 punti x lire 2.389 = lire 418.075; cessazione al termine del

riparto: punti 175 x lire 2.389 x 12: 13,5 = lire 371.622 (oltre al

recupero della svalutazione come imposto dall'art. 2120, 3° com

ma, c.c.). E se non è certo la pochezza della differenza pecuniaria a poter

fondare alcun sospetto di incostituzionalità della interpretazione

qui affermata, tanto meno tale incostituzionalità sarebbe ricon

nettibile al fatto che, per la parte dei punti non (ancora) inglo bati e quindi da corrispondere in aggiunta al trattamento liqui datorio (come recita appunto il 3° comma in esame), non è pos sibile la « falcidia » parziale derivante dall'operare del divisore « 13,5 » sui punti invece inglobati.

Invero, una volta deciso, perché conforme a giustizia sostan

ziale oltre che alla scelta « politica » ripristinatoria operata, che

il controvalore dei punti debba essere restituito al dipendente cessato prima del periodo di «recupero», non ha senso comune

pretendere di assoggettare tali punti residui al regime di inglo bamento retributivo proprio della nuova disciplina. Tale sistema — quello delineato dai comma da 1" a 5° del nuovo art. 2120 c.c. —

invero ha modo di funzionare in relazione al permanere del rap

porto di lavoro ed al maturare de die in diem delle varie compo nenti retributive; ed a tale sistema ha fatto sostanziale omaggio — salva la deroga scrupolosa al principio di corrispettività poc'anzi cennata — lo stesso legislatore nel regolare l'inglobamento dei

punti maturati ai fini del computo liquidatorio. Ma questo stesso

legislatore ha d'altro canto consegnato in cifra intera nelle mani

del lavoratore il controvalore dei punti non compresi nel piano di « recupero » nel momento in cui — cessato il rapporto — ve

niva meno ogni possibilità, per i punti avvenire, di effettuare

inglobamento alcuno e tampoco di effettuarlo secondo le tecni

che ed i parametri introdotti per l'avvenire con il nuovo art.

2120 c.c. (Omissis)

III

Motivi della decisione. — Ritiene il pretore che non sia fon

data la domanda proposta dall'attore Tullio Bagatti, il quale, — in dipendenza della dedotta cessazione alla data del 29 giu

gno 1982 del rapporto di lavoro iniziato il 29 ottobre 1969 —,

pretende dalla convenuta ex datrice di lavoro s.r.l. Rossi Alberto

fu Archimede — « in aggiunta » alla indennità di anzianità ed

al trattamento di fine rapporto già percepiti — la corresponsione

integrale — anziché proporzionale alla durata del rapporto suc

cessiva alla data (1° giugno 1982) di entrata in vigore della 1.

29 maggio 1982 n. 297 (recente la disciplina del trattamento di

fine rapporto e norme in materia pensionistica) — degli « au

menti della indennità di contingenza... maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982 » (ai sensi dell'art. 5, 3° comma, 1. n. 297 del 1982).

Invero la domanda dell'attore pare fondata ove si consideri,

isolatamente, il tenore letterale della disposizione invocata (art. 5, 3° comma, 1. n. 297/82), che, per il caso di «risoluzione del

rapporto di lavoro anteriormente all'anno 1986 », prevede, in via transitoria, che i pretesi aumenti della indennità di contingen za — «...maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31

maggio 1982 e non ancora computati a norma del comma prece dente » nella « retribuzione annua utile » ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto — debbano essere corrisposti « in

aggiunta al trattamento di fine rapporto maturato » e, perciò, come un valore unitario ed a sé stante rispetto al trattamento

medesimo.

A conclusioni opposte conduce, invece, la disposizione mede

sima ove sia inquadrata nel « sistema » della legge, e sia interpre tata (ai sensi dell'art. 12 preleggi) « in connessione » con la di

sciplina «a regime » (art. 1 1. n. 297/82) e si tenga conto della sua ratio.

Infatti la disposizione in esame deroga espressamente alla ri chiamata norma — anch'essa « transitoria » — del 2° comma dello stesso art. 5, che prevede, invece, il « recupero graduale » — nel

periodo compreso, appunto, tra il 1° gennaio 1983 ed il 1° gen naio 1986 — degli « aumenti della indennità di contingenza » in

questione, che erano stati « sterilizzati », ai fini del calcolo della

indennità di anzianità, dagli art. lei bis 1. 31 marzo 1977 n. 91

di conversione, con modifiche, del d.l. n. 12 del 1° febbraio pre cedente (sulla cui legittimità costituzionale — rebus sic stantibus —

vedi Corte cost. 30 luglio 1980 n. 142, Foro it., 1980, I, 2641).

A sua volta, la previsione normativa, ora esaminata, del « re

cupero graduale » degli aumenti della indennità di contingenza in questione deroga espressamente, sia pure in via transitoria, alla

norma generale «a regime» (art. 2120, 2° comma, c.c,, sub art. 1 1. n. 297 del 1982), che — abrogando « sostanzialmente » (e non già solo « formalmente » o « apparentemente ») i citati art.

1 e 1 bis 1. n. 91/77 ed eludendone cosi il referendum abrogativo

(vedi Cass., ufficio centrale per il referendum, ord. 3 giugno 1982,

id.. 1982, I, 1545; vedi, altresì, sulle « condizioni » per non dar

corso al referendum a seguito di ius superveniens, Corte cost. 17

maggio 1978, n. 68, id., 1978, I, 1340) — comprende la inden

nità di contingenza — senza peraltro escluderne gli « aumenti »

sterilizzati dalle disposizioni abrogate — nell'ampia nozione della

« retribuzione annua utile », posta a base del calcolo delle

quote annuali di accantonamento, che — sommate tra loro e ri

valutate in base al previsto meccanismo di indicizzazione — con

corrono a formare (ai sensi dei comma 1°, 4° e 5" dello stesso

art. 2120 c.c. novellato) il trattamento di fine rapporto, istituito

dalla 1. n. 297 del 1982, in sostituzione della indennità di anzia

nità (prevista -dagli art. 2120 e 2121 c.c. nel testo originario, come

modificato dai citati art. 1 e 1 bis 1. n. 91/77).

Ora — per il caso di rapporto di lavoro che si protragga per una « frazione » soltanto dell'ultimo (o dell'unico) anno di ac

cantonamento, la disciplina generale « a regime » (art. 2120, 1°

comma, c.c. novellato) prevede che debba essere « proporzional mente ridotta » la quota di accantonamento annuale, che — a

norma della stessa disciplina « a regime » (2° comma dell'art.

2120 c.c. novellato) — comprende anche l'intera indennità di

contingenza. Alla stessa conclusione deve pervenirsi, ad avviso del pretore,

anche con riferimento alla esaminata « disciplina transitoria » — in materia di « computo » della indennità di contingenza nel

trattamento di fine rapporto — in quanto la disciplina stessa

non deroga alla « riduzione proporzionale » — quale è prevista dalla disciplina « a regime », né laddove prevede il « recupero

graduale» (art. 5, 2° comma, 1. n. 297/82) degli «aumenti della

indennità di contingenza maturati a partire dal 1° febbraio 1977

c fino al 31 maggio 1982 », né laddove prevede (3° comma dello

stesso art. 5) il « recupero anticipato » degli « aumenti » mede

simi, non ancora « recuperati gradualmente », in favore dei lavo

ratori cessati dal servizio anteriormente alla data (1° gennaio

1986) di completamento del « recupero graduale ».

Pertanto la « riduzione proporzionale » — quale è prevista dalla ricordata disciplina « a regime » — va applicata anche al

« recupero anticipato » degli « aumenti della indennità di contin

genza » — che forma oggetto della presente controversia — nella

ipotesi, che ricorre nella specie, di risoluzione del rapporto di

lavoro nel corso dell'anno.

La soluzione proposta — che si fonda sulla interpretazione

sistematica della disposizione invocata (art. 5, 3° comma, 1. n.

297/82) — è confortata, altresì, dalla ratio del « recupero anti

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1763 PARTE PRIMA

cipato » degli « aumenti della indennità di contingenza » in que stione.

Il « recupero anticipato », infatti, è volto a compensare il pre

giudizio che — per la impossibilità di completare il recupero « graduale » dei medesimi « aumenti della indennità di contin

genza » — subirebbero, altrimenti, i lavoratori cessati dal servi

zio anteriormente al 1° gennaio 1986, all'uopo parificandone il

trattamento a quello previsto per i lavoratori rimasti in servizio

fino a tale data.

E, quindi, il recupero — sia « graduale » che « anticipato » —

degli « aumenti della indennità di contingenza, maturati a par tire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 marzo 1982», ne comporta, in entrambi i casi, la « riduzione proporzionale » in ipotesi di

risoluzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno.

Non pare, invece, fondatamente sostenibile che la ratio del l'esaminato « recupero anticipato » debba essere identificata nel l'intento di compensare i lavoratori del diverso pregiudizio, da

essi subito in dipendenza della « sterilizzazione della contingen za » (di cui ai citati art. lei bis 1. n. 91/77).

Invero — non avendo modificato il pregresso regime della indennità di anzianità (art. 5, 1° comma) — la 1. n. 297/82 sem bra avere lasciato definitivamente a carico dei lavoratori il pre giudizio determinato, sulla misura di tale indennità, dalla « steri lizzazione della contingenza».

Tuttavia, ancorché si volesse ammettere la previsione di un

compenso per tale pregiudizio, esso andrebbe identificato nel « recupero graduale » degli « aumenti della indennità di contin

genza » in questione, mentre il loro « recupero anticipato » sem bra invece rispondere alla diversa, specifica ratio, sopra precisata.

Ne consegue che beneficiari del « recupero anticipato » — come di quello « graduale » — della « contingenza sterilizzata » pos sono essere — contrariamente a quanto sembra ritenere la scarsa dottrina in materia — anche lavoratori assunti successivamente alla data (1° giugno 1982) di entrata in vigore della 1. n. 297.

E, quindi, la soluzione disattesa potrebbe dar luogo all'incon

veniente della ingiustificata locupletazione per quei lavoratori

che — durante il «periodo transitorio» (1° giugno 1982 - 31

dicembre 1985) e, addirittura, nel corso dello stesso anno —

risolvessero, in tempi successivi, più rapporti di lavoro, lucrando

cosi, per più volte, il « recupero anticipato » dei medesimi « au

menti della indennità di contingenza».

Infine la soluzione disattesa, frustrando l'intento perequativo del 3° comma dell'art. 5 1. n. 297/82 (posto in evidenza dalla re

lazione della commissione lavoro della Camera dei deputati, che

ha introdotto tale disposizione nel disegno di legge governativo

già approvato dal Senato), darebbe luogo ad una ingiustificata

disparità di trattamento, nel caso di risoluzione del rapporto di

lavoro nel corso dell'anno, tra prestatori ancora in servizio alla

data del 1° gennaio 1986 — che subirebbero la « riduzione pro

porzionale » anche degli « aumenti della indennità di contingen za maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982 » e già « recuperati gradualmente » — e lavoratori cessati

dal servizio anteriormente a tale data, che non subirebbero, inve

ce, tale « riduzione proporzionale ». Le considerazioni fin qui esposte portano alla conclusione che,

nella specie, il convenuto datore di lavoro abbia legittimamente commisurato — alla durata del dedotto rapporto di lavoro suc

cessiva alla entrata in vigore della 1. n. 297/82 — gli « aumenti della indennità di contingenza maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982 », « aumenti » che ha corrisposto all'attuale attore « in aggiunta » alla indennità di anzianità, ma

turata alla data del 31 maggio 1982, ed al trattamento di fine

rapporto, relativo al successivo periodo del rapporto.

Ritiene, inoltre, il pretore che non sia fondata neanche l'altra

domanda proposta dall'attore, il quale — pur essendosi il de

dotto rapporto di lavoro protratto per una « frazione di anno »

successivamente alla entrata in vigore della 1. n. 297/82 — pre tende, tuttavia, che sia integralmente applicato il « tasso in mi sura fissa » all'I,5 % per la rivalutazione della indennità di an

zianità, che gli sarebbe spettata alla data (1° giugno 1982) di

entrata in vigore della 1. n. 297 del 1982.

Invero, l'art. 2120, 4° comma, c.c. novellato sancisce che il trattamento di fine rapporto, « con esclusione della quota matu rata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicem bre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dal

l'I,5 % in misura fissa e dal 75 % dell'aumento dell'indice di

prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato

dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente». Inoltre il 5° comma dello stesso art. 2120 sancisce testualmente:

« Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l'incremento dell'indice

ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di

lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente...». Il meccanismo di rivalutazione, quale è previsto dalla esa

minata disciplina « a regime », viene esteso — dalla disciplina «transitoria» (art. 5, 1. n. 297/82) — alla indennità di anzianità, « che sarebbe spettata ai singoli prestatori all'atto della entrata

in vigore della... legge» (1° comma), con la precisazione che

« per l'anno 1982 l'incremento dell'indice dei prezzi al consumo

per le famiglie di operai e di impiegati del mese di dicembre è

quello risultante rispetto all'indice del mese di maggio » (8°

comma). Ora il «tasso di rivalutazione» dell'I,5% — che la legge

espressamente qualifica « in misura fissa » per contrapporlo con

cettualmente all'altro tasso commisurato al variabile aumento

della inflazione — persegue l'obiettivo economico di attenuare

lo scarto che. con un aumento dell'inflazione superiore al 6 % su

base annua, sussiste tra il tasso di inflazione — risultante dagli indici ISTAT — ed il previsto tasso variabile di rivalutazione —

commisurato al 75 % del tasso di inflazione — dando luogo cosi'

ad un complesso meccanismo di rivalutazione, che tanto piti ga rantisce il valore reale delle quote accantonate di retribuzione —■ che il prestatore matura anno per anno ma è legalmente obbli

gato a risparmiare ed a prestare al proprio datore di lavoro (vedi, sul punto, la relazione della commissione lavoro del Senato) —

auanto più la inflazione si contrae (vedi, sul punto, la relazione

della commissione lavoro della Camera dei deputati). L'evidenziato obiettivo economico è all'evidenza incompatibile

con la pretesa dell'attore di applicare integralmente il tasso di

rivalutazione « in misura fissa » anche nella ipotesi, che ricorre

nella specie, di rapporto di lavoro che si protragga per « frazio

ne di anno ».

Aderendo alla impostazione dell'attore, infatti, .l'attitudine del

tasso « in misura fissa » ad attenuare lo scarto tra il tasso di in

flazione ed il previsto tasso variabile di rivalutazione, sarebbe,

non solo in funzione dell'andamento della inflazione, ma, irra

gionevolmente, sarebbe anche inversamente proporzionale rispet

to alla durata del rapporto di lavoro nell'anno della sua risolu

zione (con la conseguenza — all'evidenza paradossale — che. per

esempio, il solo tasso fisso di rivalutazione sarebbe pari a! 18 %

su base annua, nel caso di rapporto di lavoro durato un solo

mese nell'anno della sua risoluzione). Del resto il 4° comma dell'art. 2120 c.c. novellato — nel disci

plinare il meccanismo di rivalutazione in esame — fa espresso

riferimento all'anno di calendario (da dicembre di ciascun anno

a dicembre dell'anno successivo) ai fini del calcolo del previsto

tasso variabile di rivalutazione.

E, ad avviso del pretore, il riferimento all'anno deve ritenersi

implicito nella contestuale previsione del tasso di rivalutazione « in misura fissa ».

Non rileva, in contrario, la circostanza che — per ipotesi di

rapporto di lavoro protrattasi per « frazioni di anno » — né la

«disciplina a regime» (art. 2120, 5° comma, c.c, novellato) né la

disciplina « transitoria » (art. 5, 8° comma, 1. n. 297/82) detta — sul tasso di rivalutazione « in misura fissa » — norme analo

ghe a quelle previste per il tasso «variabile».

Infatti la inidoneità dell'evidenziato silenzio del legislatore a

confortare la tesi dell'attore risulta chiara ove si consideri che, solo per il tasso « variabile » di rivalutazione, si presentava la

necessità di precisare i mesi dell'anno ai quali, nelle varie ipo tesi disciplinate, occorre far riferimento al fine di valutare « l'in

cremento dell'indice ISTAT ».

Peraltro, contrariamente all'avviso dell'attore, l'esaminato mec

canismo di rivalutazione — ancorché non garantisca integralmen te il valore reale delle quote annuali di accantonamento in caso

di svalutazione superiore al 6 % — non viola, tuttavia, né il prin

cipio di uguaglianza e di « ragionevolezza » (art. 3 Cost.), né il

principio di « proporzionalità » della retribuzione (art. 36 Cost.).

Trattasi, infatti, di una scelta « mediatoria » del legislatore — giustificata da ragioni di compatibilità economica (come risulta

dagli atti preparatori della legge) — scelta che non solo non

stabilisce ingiustificate disparità di trattamento né appare in con

trasto con il principio della « ragionevolezza » (quale è stato ela

borato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale) ma, da

sola, è anche inidonea ad escludere la « proporzionalità » tra le « quote accantonate » di retribuzione ed il lavoro prestato anno

per anno (vedi, per un caso analogo, Corte cost. 30 luglio 1980, n. 142, .cit., in tema di «sterilizzazione della contingenza» ai fini del calcolo della indennità di anzianità).

Le considerazioni suesposte portano alla conclusione che il convenuto datore di lavoro abbia legittimamente commisurato — alla durata del dedotto rapporto successiva alla data (1° giu gno 1982) di entrata in vigore della 1. n. 297 — il « tasso di riva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

lutazione in misura fissa », che ha applicato alla indennità di

anzianità, maturata — alla stessa data — dall'attuale attore.

(Omissis)

IV

Motivi della decisione. — Ritiene il pretore che il ricorso me

riti accoglimento. L'art. 1 1. 31 marzo 1977 n. 91, innovando la precedente di

sciplina contenuta nell'art. 2121 c.c., che per l'appunto sostituì, introdusse un meccanismo di deindicizzazione dell'indennità di

anzianità, con lo stabilire l'esclusione dall'ultima retribuzione

da porsi a base del calcolo di tutti gli scatti di contingenza ma

turati successivamente alla data del 31 gennaio 1977. Con 1. 29

maggio 1982 n. 297, si è proceduto ad una complessiva riforma

dell'istituto, i cui tratti salienti, per quel che qui interessa, pos sono cosi' riassumersi: modificazione della struttura dell'indennità

di anzianità; il nuovo « trattamento di fine rapporto » non è più calcolato moltiplicando l'ultima retribuzione (o una parte di es

sa) per gli anni di servizio, bensì' accantonando una quota della

retribuzione dovuta in ciascun anno, che viene poi rivalutata

secondo un meccanismo di indicizzazione (comma 1°, 4° e 5° del

nuovo art. 2120 c.c., introdotto dall'art. 1, 1° comma, 1. cit.). Gli elementi della retribuzione utile ai fini degli accantona

menti risultano specificati dal 2° comma del nuovo art. 2120 c.c.:

« tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in

natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a ti

tolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a

titolo di rimborso spese».

Tale previsione si completa tuttavia con il disposto di cui

al successivo art. 5, 2° comma, 1. 297/82 — disposizioni transi

torie — il quale « a parziale deroga » (cosi si apre il comma

in esame) della disciplina ora esposta precisa che gli aumenti

dell'indennità di contingenza maturati dal 1° febbraio 1977 (da

ta del « congelamento » disposto dalla 1. 91/77, cui si è fatto

cenno) al 31 maggio 1982 (giorno precedente all'entrata in vi

gore della legge in esame), non rientrano a far parte in blocco

ed immediatamente della retribuzione utile ai fini dell'accanto

namento annuale (come sarebbe avvenuto secondo la previsione del 2° comma del nuovo art. 2120 c.c., in mancanza della dispo sizione transitoria in esame), ma secondo un piano di reinseri

mento graduale, con scadenze semestrali per gruppi di venticin

que punti ciascuna volta, a partire dal 1° gennaio 1983.

11 totale reinserimento dei 175 punti maturati nel periodo in

questione si avrà, pertanto, soltanto a partire dal 1° gennaio 1986. Il 1° comma dello stesso art. 5 chiarisce che il nuovo trat

tamento di fine rapporto concerne soltanto le anzianità maturate

dall'entrata in vigore della legge, la quale non ha, pertanto, ef

fetto retroattivo.

Le anzianità maturate sino al 31 maggio 1982 continuano ad

essere calcolate secondo la previgente disciplina; il relativo im

porto viene man mano rivalutato con lo stesso indice previsto

per i nuovi accantonamenti e « si cumula a tutti gli effetti » con

essi. Tale essendo, nelle parti qui interessanti, l'impianto strut

turale della nuova legge si può ora passare ad esporre la dispo

sizione contenuta nel 3° comma dell'art. 5, la cui applicazione è stata richiesta in questo giudizio, dibattendosene tra le parti

sia l'interpretazione, sia la conformità ai principi costituzionali

(art. 3). Il comma recita: « in caso di risoluzione del rapporto di lavoro anteriormente all'anno 1986, gli aumenti dell'indennità

di contingenza o di emolumenti di analoga natura maturati a

partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982, e non

ancora computati a norma del comma precedente, sono corrispo

sti in aggiunta al trattamento di fine rapporto». La società con

venuta non spende invero eccessive parole a sostegno della sua

posizione, esposta nella precedente parte narrativa; non pare

dubbio, tuttavia, che la norma in esame susciti a prima lettura

più di una perplessità, come evidenziato in tutta la letteratura

che sinora si è occupata dell'argomento, con soluzioni diverse,

ma concordando se non altro nella previsione di un contenzioso

di grande portata destinato a scaturire dalla norma, stanti an

che le prime divergenti interpretazioni datene dalle contrapposte

organizzazioni sindacali, ed auspicandosi pertanto dai più un

intervento chiarificatore della Corte costituzionale o del legisla

tore stesso. Non risultano peraltro al momento precedenti giu

risprudenziali pubblicati. Le perplessità cui si è fatto cenno de

rivano dalle situazioni giuridiche che scaturirebbero da una in

terpretazione letterale della norma: ogniqualvolta un lavoratore

cessi dal rapporto di lavoro tra il 1° giugno 1982 e il 31 dicembre

1985 gli sarà corrisposto, in aggiunta al trattamento di fine rap

porto (eventualmente cumulativo di quello maturato sotto il vi

gore delle leggi precedenti alla 1. 297/82), il valore dei punti

Il Foro 'Italiano — 1985 — Parte 7-113.

di contingenza non ancora reinseriti nel TFR stesso a norma del precedente 2° comma. Ciò è apparso ai più inaccettabile ed

ingiusto nei confronti dei lavoratori che, continuando con un unico rapporto oltre la fatidica data del 31 dicembre 1985, non

godrebbero di analogo trattamento.

La dottrina non ha dovuto faticare troppo nella ricerca degli

esempi. Si è cosi' prospettato il caso limite del lavoratore che

cessando e reiniziando continuamente rapporti di lavoro della

durata di 15 giorni ciascuno verrebbe a godere nel solo 1983, di un emolumento complessivo pari a lire 7.525.350 in aggiunta al TFR maturato; o l'altro del lavoratore che avendo lavorato

solo 15 giorni riceverebbe a tale titolo la stessa somma di un

collega dimessosi alla stessa data e con pluriennale anzianità; e, su questi due filoni, gli esempi potrebbero moltiplicarsi.

Tralasciando le opinioni, che pur non sono mancate, le quali, scavalcando con argomentazioni varie le disfunzioni evidenziate

con gli esempi fatti, hanno ritenuto di dover comunque attribuire

la prevalenza all'interpretazione strettamente letterale della nor

ma, gli sforzi degli interpreti, tesi a ricondurre sui binari di ra

gionevolezza la previsione del comma in esame, possono sostan

zialmente ricondursi a due linee di pensiero:

1) L'emolumento previsto dal 3° comma dell'art. 5 costituisce

una integrazione del TFR, e deve pertanto essere sistematica

mente interpretato nelle linee portanti della nuova disciplina. Tra queste la principale è quella della proporzionalità del TFR

al periodo lavorato; ne consegue che anche la corresponsione in oggetto deve in qualche modo essere ancorata a un criterio

di proporzionalità temporale con la durata del rapporto di la

voro. In concreto si hanno più soluzioni; la prevalente (som

mariamente fatta propria anche dalla società convenuta) è quella di fare riferimento alla frazione di anno lavorato nell'anno di

cessazione del rapporto di lavoro.

2) L'emolumento non costituisce una vera e propria integra

zione del TFR, ma piuttosto una indennità risarcitoria, una

sorta di una tantum che il legislatore (e qui il discorso si ricol

lega necessariamente al retroterra sociale e politico in cui ma

turò la nuova legge, e alla nota vicenda referendaria) ha rite

nuto di introdurre a fronte della situazione deteriore determina

tasi dapprima con l'esclusione dell'indennità di contingenza dalla

base di calcolo dell'indennità di anzianità (1. 91/77), e poi con

il solo graduale reinserimento del corrispondente importo nella

base di computo dei nuovi accantonamenti (2° comma dell'art. 5

1. 297/82), per coloro i quali, cessando dal rapporto di lavoro

anteriormente alla data di completamento del previsto graduale

riassorbimento, più ne sarebbero apparsi penalizzati.

Ne consegue la non ulteriore frazionabilità di tale importo,

stante la sua natura « risarcitoria ».

Le soluzioni concrete anche qui divergono; ma la linea preva

lente può dirsi quella che ritiene l'emolumento dovuto per una

sola volta nell'arco di tutto il periodo e soltanto per quei lavora

tori il cui rapporto sia iniziato sotto il vigore della precedente

1. 91/77. Ritiene il pretore che né l'una né l'altra tesi possano essere

integralmente accolte. Una corretta soluzione del problema po

stula la seguente necessaria premessa; se è vero che nell'inter

pretazione della norma non ci si deve arrestare all'espressione

letterale del testo, affiancandosi al canone di interpretazione let

terale gli altri di interpretazione logica e sistematica, e altresì

vero che non è lecito all'interprete, e in particolare al giudice,

sovrapporre le proprie valutazioni a quelle del legislatore. L'in

terpretazione può bene, e anzi deve, essere logica e sistematica

ma, dato atto della difficoltà insita nel porre una esatta linea

di confine, bisogna affermare che il testo della norma rimane

pur sempre un dato primario di riferimento imprescindibile, la

cui dilatazione non è più lecita ove venga a rappresentare un

vero e proprio snaturamento della portata della norma stessa,

una aggiunta di proposizioni non contenute e non previste o,

per contro, una totale cancellazione di proposizioni espresse.

Ciò, a maggior ragione, a fronte di un testo lineare e chiaro

quale è, conviene sottolinearlo fin d'ora, quello in esame. Di ciò

sembrano, ove più ove meno, peraltro, essersi resi conto gli in

terpreti di cui sopra si è per cenni richiamato il pensiero, la

sciando, nel quadro delle interpretazioni offerte trapelare il di

sagio, insito in ogni operazione di ermeneutica che, travalicando

i detti limiti, trasmodi nella attuazione di vere e proprie modi

ficazioni, aggiunte o interpolazioni, del dato normativo.

Le perplessità che possono nutrirsi a fronte delle possibili

implicazioni che dalla applicazione di una norma si prevede pos

sano derivare, o rilevano giuridicamente sotto il profilo del con

trasto con un precetto di rango . costituzionale, allora la strada

da seguire è quella della relativa questione, o non rilevano, e

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1767 PARTE PRIMA 1768

allora, compiutane l'interpretazione nei confini di cui sopra, non si può che darne applicazione.

Ciò premesso, ai fini dell'interpretazione che ci si accinge a

fare, appare opportuno esplicitare i seguenti punti, in riferimen to al sopra evidenziato impianto normativo di cui alla 1. 297/82:

1) nulla è innovato dalla legge in esame per quanto riguarda, da un lato, i rapporti esauriti sotto la previgente disciplina le

gislativa, dall'altro quelle parti dei rapporti che, pur non es sendo esauriti alla data di entrata in vigore dalla nuova legge, collocandosi, per cosi dire, « a cavallo » della stessa, continuano ad essere regolati, in relazione a tutto il periodo svoltosi sino al 31 maggio 1982, dalla precedente normativa.

La nuova legge, come si è osservato, assicura « il pieno rispet to dei regimi succedutisi nel tempo ».

2) Ciò anche perché tutti i rapporti svolgentisi a partire dal 1° giugno 1982, integralmente nel caso di rapporti di lavoro co stituiti ex novo da tale data, relativamente a quella parte del

rapporto che, pur essendo antecedentemente costituito, continua oltre il 31 maggio 1982, ricadono appieno sotto la disciplina della nuova legge, ivi compreso il regime « transitorio », di cui al 2° comma dell'art. 5.

3) Ne deriva che il sistema normativo approntato dal nuovo art. 2120, 1°, 2°, 3° e 4° comma, c.c. e dall'art. 5 1. 297/82, 1° e 2" comma, in relazione alla previgente normativa, avrebbe co

stituito, di per sé, un sistema perfetto, in grado di assicurare, a

parità di qualità, di quantità e di collocazione temporale della

prestazione lavorativa, il medesimo trattamento retributivo do vuto a titolo di indennità di anzianità e/o di TFR. Per cui, a stretto rigore, ove il comma 3° dell'art. 5 non fosse esistito, nes suno avrebbe avuto ragione di lamentarsi, dato che. lo si ripete, tutti i rapporti esauriti entro il (o nella parte protrattasi sino al) 31 maggio 1982, sarebbero stati regolati dalla 1. 91/77; tutti i rapporti iniziati (o protrattisi) dal 1° giugno 1982 sarebbero ricaduti nella previsione della nuova 1. 297/82: a parità di la

voro, parità di trattamento, con buona pace per tutti.

4) Il legislatore, tuttavia, non ha ritenuto di arrestare la pro pria opera innovatrice al comma 2° dell'art. 5, ma ha sentito la inderogabile necessità di introdurre un'ulteriore previsione del tenore del comma 3° dello stesso articolo, la cui portata letterale si è già avuto modo di evidenziare.

Non è assolutamente possibile intendere la ratio di tale norma

prescindendo dal momento storico, dal frangente politico-sociale in cui l'emanazione della nuova legge si colloca. La vicenda re ferendaria, il successo della raccolta delle firme per indizione del referendum popolare per l'abrogazione degli art. i e 1 bis d. 1. 12/77, le previsioni che davano per spacciate tali norme

per il caso di effettuazione del referendum stesso, il disperato tentativo di fermare la macchina referendaria con l'emanazione di una nuova legge di portata realmente innovativa rispetto alla precedente disciplina, sono vicende troppo note per meritare

più di un cenno.

Se la 1. 297/82 fosse maturata al di fuori di tale quadro, frutto di una spontanea iniziativa del governo o del parlamento, il comma 3° dell'art. 5 non sarebbe esistito, poiché, sotto un profilo strettamente giuridico, conviene ripeterlo, non ne esisteva neces sità alcuna.

Ciò tuttavia non fu, e la promulgazione della nuova legge maturò in un clima caratterizzato, da un lato, dall'esigenza di aggiornare il nuovo testo in un lasso di tempo via via più ristretto, oltre il quale non sarebbe stato più possibile arrestare il referen dum, dall'altro, dalla necessità di offrire all'interprete, Corte di cassazione, ufficio centrale per il referendum, un testo realmente innovativo, consono alla richiesta espressa da centinaia di mi gliaia di cittadini con la firma apposta in calce alla richiesta di referendum abrogativo.

5) Conviene a questo punto riportare il testo della relazione dell'on. Cristofori relativa alla norma in esame: « (...) il se condo punto fondamentale del provvedimento, come ho già ac cennato, riguarda il recupero dei punti di contingenza pregressi. La commissione lavoro ha ritenuto all'unanimità di accogliere con il parere favorevole del governo le osservazioni che ho avuto occasione di illustrare nella mia relazione introduttiva (...) al Senato. In sostanza, il meccanismo proposto dal governo aveva una profonda carenza, riguardante i lavoratori che cessano dal loro rapporto di lavoro, dall'entrata in vigore della legge fino all'anno 1986. Costoro, in effetti, nel dispositivo trasmessoci dal Senato non avrebbero potuto recuperare gli scatti previsti, la sciando sopravvenire in tutto o in parte fino al 31 dicembre 1985 gli effetti delle norme abrogate. Tale meccanismo, oltre che ad una ingiustificata ed incomprensibile penalizzazione per una par te dei lavoratori, avrebbe determinato trattamenti differenziati non in rapporto all'anzianità, ma alla base del calcolo delle

rispettive indennità di fine lavoro. Inoltre tali lavoratori avreb

bero subito addirittura un peggioramento rispetto alla legislazione

precedentemente in vigore ».

La commissione lavoro ha pertanto emendato il testo, pre vedendo che gli aumenti dell'indennità di contingenza per i so

pra citati lavoratori siano computati per intero, in aggiunta alla

quota relativa all'anno di cessazione del rapporto di lavoro.

La relazione continua con un'analisi dei costi derivanti dall'in

novazione, affermandoli esplicitamente comunque di gran lunga minori a quelli ipotizzabili per l'ipotesi di successo dell'inizia

tiva referendaria. Bisogna ora trarre le conseguenze della pre messa e dai punti sopra evidenziati.

La prima è che, per dirla con un autore, « il processo inne

scato sfuggi di mano all'inesperto apprendista stregone». Ed invero, a ben guardare, dalla riportata relazione introdut

tiva, emerge il seguente errore di fondo: ritenere che, in asso

luto, i lavoratori che sarebbero cessati dal rapporto anteriormen

te al 1° gennaio 1986, avrebbero riportato dalla disciplina con

figurata dall'impianto strutturale della nuova legge nella sua formulazione originaria, mancante della previsione del comma 3° dell'art. 5 (lo si ripete: permanere degli effetti della normativa

precedente sino alla data di entrata in vigore della legge in esa

me; reintroduzione degli scatti di contingenza « congelati » non

immediata e globale, ma per gradi, nella base di computo del

nuovo TFR), un « danno », per cosi' dire, o comunque un trat

tamento deteriore, rispetto a coloro che, nel vigore della nuova

legge, avrebbero attinto, nel perdurare del rapporto, la fatidica

soglia del 1° gennaio 1986.

Ciò è, a stretta logica, sbagliato, poiché, nel nuovo assetto

normativo, cosi come nessuna norma restituisce a nessun lavo

ratore il valore, sull'indennità di anzianità, dei punti di contin

genza esclusi dal calcolo in base alla 1. 91/77, cosi nessuna

norma attribuisce a nessun lavoratore il diritto a vedersi imme

diatamente reinseriti tali valori nella base del computo del nuovo

TFR.

Ciò in forza del 1° comma dell'art. 5 da un lato, e del com

binato disposto del comma 2° del nuovo art. 2120 c.c., e del

comma 2° dell'art. 5 1. 297/82, dall'altro. Che continuasse nel

rapporto oltre il 31 dicembre 1985, o che lo interrompesse prima, sia che tale rapporto fosse iniziato prima del 31 maggio 1982, sia dopo, ciascun lavoratore, in assenza della disposizione del

comma 3° dell'art. 5 avrebbe avuto in proporzione il suo, in

relazione al suo lavoro.

Ma tant'è, equivocando sul concetto di « recupero », che re

cupero in realtà non è, perché i punti congelati fino al 31 maggio 1982, in relazione al periodo di vigenza della 1. 91/77, restano

congelati per tutti, e quelli esclusi (in quanto solo gradualmente riassorbiti nel nuovo TFR) sarebbero rimasti esclusi per tutti, il legislatore ha introdotto il comma 3° dell'art. 5. Il movente

psicologico di tale norma appare chiaro. Con la spada di Damocle del referendum sospesa sul capo senza troppo sottilizzare, do

vendo affrontare il successivo giudizio sulla portata realmente

innovativa della nuova normativa rispetto alla precedente, tale

da bloccare il referendum, o meno, ha evidentemente ritenuto

che, mentre per i rapporti che sarebbero continuati oltre il 31

dicembre 1985 la nuova legge, anche senza il 3° comma dell'art.

5, sarebbe stata sufficiente, dato che, bene o male, prima o poi, costoro avrebbero ad un certo punto goduto di un TFR com

prensivo dei punti « congelati », più arduo sarebbe stato supe rare il giudizio rispetto all'ipotesi di coloro il cui rapporto sa

rebbe terminato prima di tale data.

Di qui la necessità di un qualcosa che « riparasse » in qualche modo a tale situazione, di qui il comma 3" dell'art. 5 1. 297/82.

Proposizioni conclusive, sulla scorta di tutto quanto precede sono le seguenti:

1) L'elargizione prevista dal comma 3° dell'art. 5 non rappre senta un'integrazione del TFR, che costituisce di per sé un in

sieme completo e perfetto prima e al di fuori della previsione in esame, ma un'elargizione a titolo risarcitorio che il legislatore ha ritenuto di introdurre sulla scorta del malcontento sociale de

terminatosi a seguito del « congelamento » dei punti di contin

genza introdotto dalla 1. 91/77, e di quello ulteriore preve dibile a fronte del mancato reinserimento immediato e totale di

tale valore del nuovo TFR.

Si può affermare che la previsione del comma in esame rap presenta il riconoscimento legislativo dell'iniquità insita nella

previsione della 1. 91/77, non immediatamente e completamente corretta dalle nuove previsioni della 1. 297/82, stante il disposto di cui al comma 2° dell'art. 5.

2) Trattandosi di elargizione « risarcitoria », fuori luogo ap

pare ogni interpretazione volta ad introdurre un frazionamento

della stessa in rapporto alla durata del rapporto di lavoro. Tale

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

frazionamento non è stato né espresso né voluto dalla legge, ed ogni operazione ermeneutica in tal senso si traduce in una

vera e propria forzatura del dettato legislativo, non consentita

né lecita all'interprete, a fronte di un testo assolutamente chiaro

nel senso contrario, nonché pienamente in linea con l'analisi

dei lavori preparatori. 3) Per lo stesso motivo, a fronte del chiaro disposto della nor

ma, e della sua ratio risarcitoria, erroneo e non consentito appa re ogni tentativo di limitarne la portata ai soli rapporti in corso

all'entrata in vigore della 1. 297/82, o comunque di affermarne

l'applicabilità per una sola volta nel corso del periodo tra il

1" giugno 1982 e il 31 dicembre 1985. Esclusi i rapporti risolti

entro la prima data, e quindi esauriti; esclusi i rapporti, in qual siasi data iniziati, che vadano a cessare oltre la seconda, per un

espressa previsione normativa; la norma troverà applicazione per tutti gli altri, in qualsiasi data iniziati, purché risolti prima del

1° gennaio 1986 e anche se afferenti più di una volta allo stesso

lavoratore.

4) Avendo tratto ad un accadimento oggettivo, cessazione

del rapporto di lavoro entro una tale data; avendo tratto a un

criterio « risarcitorio » che, pur non costituendo, lo si ripete, trattamento integrativo del TFR, ha riferimento, per differenza,

ad una fattispecie di progressivo reinserimento (e non « recu

pero ») dei punti di contingenza «congelati», la norma, pur di

scutibile sotto il profilo dell'opportunità e della esaustività, si

sottrae a censure di costituzionalità.

11 legislatore ha preso atto della inopportunità e della « in

giustizia » insite nella normativa vigente, e l'ha modificata; ma,

modificandola, non ha ritenuto di procedere ad un'innovazione

immediatamente rinnovatrice sul punto controverso, immedia

tamente reintroducendo in blocco il valore di tutti i punti, sino

ad allora esclusi, nella base di computo del nuovo TFR; in un

apprezzamento che ben attiene alla sua valutazione politica, ha

ritenuto che i rapporti che si protraggano sino alla data del

completo reinserimento dei punti, e che quindi da tale data di

tale completo reinserimento godono, fossero, per questo fatto, « indennizzati » del trattamento deteriore precedentemente subito;

un emolumento ulteriore ha invece ritenuto necessario per quei

rapporti che dovessero cessare prima del 31 dicembre 1985, e

la previsione, oltre che incensurabile attinendo ad una valuta

zione squisitamente politica del problema, appare non contra

stante con alcun precetto costituzionale ove si consideri che il

dato di riferimento — cessazione del rapporto di lavoro in co

stanza di un trattamento di fine rapporto deteriore rispetto a

quello destinato a operare in futuro — appare come un dato

della realtà oggettiva suscettibile di verificarsi in un numero

indefinito di casi uguali, rispetto ai quali opererà, nel mondo

delle relazioni giuridiche, determinando un trattamento unifor

me per tutti i casi uguali; mentre meramente eventuale e non

suscettibile di porre in essere un trattamento differenziato costi

tuzionalmente rilevante, appare la successiva instaurazione di un

nuovo rapporto di lavoro il quale, se nuovamente risolto prima

del 31 dicembre 1985, ricadrà di nuovo nella normativa in esame,

se protraentesi oltre tale data, seguirà la normale sorte di tutti

gli altri. Anche l'entità del trattamento, progressivamente minore

ed espresso per differenza con il valore dei punti dai quali si é

nel frattempo potuto godere, stante il progressivo reinserimento,

appare sorretto da una non logica non arbitraria; costituendo

inoltre un qualcosa « in più » rispetto ai trattamenti per inden

nità di anzianità e TFR uguali per tutti a parità di lavoro

prestato, si sottrae a censure di incostituzionalità laddove fissa

forfettariamente un tetto massimo insuperabile valido per tutti

i lavoratori per i quali venga a realizzarsi l'accadimento oggettivo

della cessazione del rapporto di lavoro entro la data indicata

(v. il successivo punto 5, per quanto concerne il valore di « tetto

massimo » dell'importo stabilito).

5) Un unico limite, ma importantissimo, appare insito nella

previsione normativa e mentre da un lato, pur se non espresso,

discende automaticamente dalla ricostruzione che se ne è fatta e

dai principi generali in materia, senza costituire una forzatura

del dato testuale, dall'altro consente di porre rimedio a quelle

distorsioni e forzature cui sopra si è fatto cenno, e che tante

perplessità hanno suscitato sulla portata della norma stessa. Si

tratta di ciò, che se il carattere dell'emolumento è « risarcitorio »,

appare evidente che in nessun caso esso potrà essere superiore

al « danno » e, più esattamente al trattamento deteriore subito

dal lavoratore per effetto della normativa introdotta dalla legge

91/77, nel caso e per la parte di rapporto svoltosi sotto il vigore

di tale legge; per effetto del regime transitorio di recupero della

contingenza bloccata introdotto dal comma 2° dell'art. 5 1. 297/82

nel caso e/o per la parte di rapporto svoltosi sotto il vigore di

tale regime transitorio; ed applicandosi evidentemente tali criteri

a ciascun rapporto singolarmente considerato, e del quale si deb

ba erogare il TFR, eventualmente cumulato all'indennità di an

zianità, se iniziato prima del 1° giugno 1982.

Appare cosi evidente che se il rapporto in questione sarà du

rato 15 giorni, tutti collocantisi sotto la nuova disciplina, l'im

porto dovuto si calcolerà, nel limite del tetto del valore dei

punti di contingenza non ancora reinseriti, effettuando la diffe

renza tra quanto il lavoratore avrebbe percepito a seguito del

l'immediata reintroduzione di tutti i punti di contingenza per il

calcolo del TFR, e quanto in effetti percepito a seguito del re

gime transitorio di cui al comma 2° dell'art. 5 della legge. Similmente, nel caso di rapporto « a cavallo » dell'entrata in

vigore della legge, l'importo dovuto, sempre nel limite suddetto, si calcolerà aggiungendo alla somma dovuta, calcolata proceden dosi come appena affermato, per la parte di rapporto svoltosi

sotto il vigore della 1. 297/82, quella ottenuta, per la parte di

rapporto precedente, sottraendo all'importo dell'indennità di an

zianità che si sarebbe percepita ove la 1. 91/77 non fosse stata

promulgata, a quello effettivamente per tale titolo percepito. Tale interpretazione appare rispettosa del testo della legge e

consona al suo spirito, ed evita ogni ingiusto arricchimento, cosi

come quelle ingiustificate locupletazioni che sopra si sono eviden

ziate, reintroducendo, nei limiti dell'importo massimo fissato dal

legislatore, un criterio di proporzionalità, o più esattamente di

corrispondenza, nel margine del « tetto » prestabilito, tra il trat

tamento deteriore in concreto sofferto per le note disposizioni di legge, e l'importo risarcitorio, non arbitrario, ma insito nella

stessa previsione legislativa. In quanto tale, la soluzione offerta appare anche idonea a rea

lizzare un equo contemperamento degli opposti interessi, allonta

nando lo spettro gravante sulla parte datoriale di continue elar

gizioni di un importo sempre pari al massimo previsto, anche a

fronte di prestazioni durate pochi giorni. Tornando al caso in esame, mentre la censura di costituziona

lità appare manifestamente infondata, per tutti i motivi svolti e

in particolare per quelli di cui al punto 4 che precede, il ricorso

deve essere accolto in quanto, alla luce dei rilievi di cui al punto

5, la differenza tra quanto il Begali avrebbe ricevuto per inden

nità di anzianità e per TFR, ove la 1. 91/77 non avesse bloc

cato la contingenza e ove la 1. 297/82 avesse immediatamente

reintrodotto i punti bloccati, e quanto in effetti ricevuto, essendo

il suo rapporto iniziato il 12 aprile 1980 e terminato il 30

giugno 1982, sarebbe stato sicuramente superiore alla richiesta

somma di lire 415.288, pari al valore dei 175 punti bloccati e

non ancora reintrodotti.

Su tale somma dovranno essere corrisposti la rivalutazione, e

gli interessi inizialmente sul capitale e poi sul capitale man mano

rivalutato, entrambi a far data dal giorno della maturazione del

diritto (30 giugno 1982) secondo le previsioni degli art. 429, 3°

comma, c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c. (Omissis)

V

Motivi della decisione. — Il giudizio sulla formulazione della

1. 29 maggio 1982 n. 297 è generalmente critico negli scritti dei

primi commentatori di essa, e si accompagna esplicitamente o

implicitamente ad una maggioritaria censura ai suoi contenuti.

Del resto non poteva essere diversamente, se si pensa alle

condizioni storiche in cui il testo è stato formulato, modificato

ed approvato, e ai gravi problemi che doveva risolvere: si agiva in un quadro generale assai diffìcile e instabile, bisognava far

fronte all'emergenza politica del referendum, si doveva rifor

mare un istituto ormai in crisi e nel pieno del dibattito sulla

struttura del salario.

Ciò nonostante il pretore ritiene che la norma che qui inte

ressa non presenti delle sfasature formali di rilievo. Come si

vedrà in seguito, invece, la mediazione tecnica e politica ha

inciso sulla formulazione di norme legate ad essa, costringendo

l'interprete ad un notevole sforzo per ricostruire il sistema in

termini di razionalità.

Orbene, è un fatto che con la 1. 297 si è modificato sensibil

mente il regime della indennità di anzianità, introducendo, ac

canto ad elementi di continuità con il precedente, forse trascu

rati nel dibattito dottrinale che si è avuto finora, aspetti di no

vità incontestabili. Basti pensare allo sganciamento dell'istituto

dall'ultimo compenso ed alla connessione con la retribuzione

annua utile percepita: il che ha importato un più puntuale le

game di esso con la storia retributiva del lavoratore e, in so

stanza, un ridimensionamento quantitativo complessivo. È ovvio che si doveva disciplinare il passato e ciò tenendo

conto da un lato dell'esigenza di recupero dei punti di contin

genza sterilizzati dalla 1. 91/77 — esigenza avvertita da più parti

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1771 PARTE 'PRIMA 1772

e che era alla base dell'iniziativa referendario di Democrazia

Proletaria — dall'altro dei problemi del costo del lavoro e del

l'inflazione.

Ecco quindi che si è prevista una disciplina transitoria (art. 5), fondata su due idee chiave: una, che fino al giorno di entrata

in vigore della 1. 297 l'indennità di anzianità si continuava a

computare con i vecchi criteri degli art. 2120 e 2121, e quindi con contingenza congelata al 31 gennaio in forza della 1. 91/77, l'altra che i punti sterilizzati si sarebbero recuperati gradualmente, e questo attraverso un meccanismo in conclusione sfavorevole

per i lavoratori. E cioè aggiungendo a tappe semestrali l'equi valente economico dei punti alla retribuzione annua utile pre vista dal nuovo sistema: il che comporta che i punti stessi non

concorrono a determinare l'ultima retribuzione da moltiplicarsi in ragione degli anni di servizio, come prevedeva il vecchio si

stema, ma a formare soltanto l'importo di un singolo anno. Ed è

questo notevole sacrificio degli interessi della maggior parte dei

dipendenti che deve essere tenuto ben presente ai fini di spiegare

l'aspetto della disciplina che qui interessa, che si potrebbe defi

nire due volte: l'una, perché riguarda lavoratori già in forza

al momento di entrata in vigore della nuova legge, l'altra, perché

prevede il caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della

entrata in vigore del recupero previsto dalla disciplina (uni)

transitoria.

Bene, la normativa che più puntualmente riguarda l'ipotesi di

specie, è cosi testualmente dettata dall'art. 5, 3° comma: « In

caso di risoluzione del rapporto di lavoro anteriormente all'anno

1986, gli aumenti dell'indennità di contingenza o di emolumenti

di analoga natura maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e

fino al 31 maggio 1982 e non ancora computati a norma del

trattamento precedente, sono corrisposti in aggiunta al tratta

mento di fine rapporto maturato ».

Considerata isolatamente la norma è sufficientemente chiara

nel senso del pieno riconoscimento dell'intero equivalente eco

nomico dei 175 punti predetti; si parla, infatti, di aumenti di

contingenza da corrispondersi in aggiunta al trattamento maturato.

Ma è ancor più nitida se la si legge in rapporto con quella

precedente (v., però, posted) e cioè nel senso che con essa il

legislatore ha voluto ovviare all'impossibilità di funzionamento

del recupero graduale previsto dal 2° comma dell'art. 5 per cessazione del rapporto. E ciò assicurando in ogni caso al pre statore l'equivalente dei punti congelati, a ristoro forfettizzato

e generalizzato — e, ripetesi, nettamente parziale — del pregiu dizio subito per effetto della 1. 91/77. In altri termini, nel con

flitto tra le istanze dei lavoratori per un recupero il più possibile

completo degli effetti della sterilizzazione della contingenza già

prodottisi — istanze che trovavano un forte punto d'appoggio nelle preoccupazioni connesse all'iniziativa referendaria — e le

esigenze contrarie dei datori di lavoro, l'equilibrio si è raggiunto attraverso il riconoscimento una tantum e in ogni caso del valore

dei punti.

L'interpretazione qui fornita sul comma 3° dell'art. 5 trova

del resto autorevole riscontro nello scritto di uno dei tre com

ponenti della commissione che provvide alla stesura dei testi

preparatori della legge; per quel che qui interessa, comunque, solo in sede parlamentare fu aggiunto il comma in questione, inesistente nelle precedenti formulazioni.

E appunto in tale saggio è posta in rilievo la natura di re stituzione una tantum dei punti non assorbiti e la loro con

seguenziale irriducibilità pro quota in casi di rapporti cessati

a metà anno ovvero sorti da meno di un anno.

Certo questi ultimi aspetti rappresentano degli inconvenienti del sistema, tipici, però, di tutti gli interventi generalizzati e

forfettizzati, i quali proprio per essere tali non possono tener

conto di tutta la casistica inerente ad essi.

In presenza, però, di una cosi' puntuale testualità della legge, essi non possono aver valore interpretativo, ma eventualmente

porre problemi di costituzionalità nelle sedi in cui i problemi stessi siano rilevanti per la decisione.

Circa laltro inconveniente, paventato dalla difesa della conve

nuta e da alcuni autori, e cioè l'eventualità per i lavoratori i cui

rapporti cessino più volte tra il 1° giugno 1982 e il 31 dicembre

1985, di percepire più volte la somma in questione, trattasi di un falso problema: il recupero dei punti di contingenza conge lati è infatti previsto dalla disciplina transitoria della 1. 297 e

pertanto non attiene ai rapporti stipulati successivamente al l'entrata in vigore della legge stessa, soggetti alla normativa «a regime».

La tesi qui proposta potrebbe piuttosto essere infirmata da con siderazioni testuali e sostanziali derivanti dalla completa lettura dei comma 2° e 3° dell'art. 5. Ed infatti si potrebbe dire

che il recupero graduale dei punti va fatto computandoli « nella

retribuzione annua utile » (2° comma), con la conseguenziale

soggezione di essi al divisore 13,5 e con l'ulteriore conseguenza, di insopportabile (ai fini ricostruttivi del sistema) irrazionalità

della incidenza negativa dell'anzianità sul trattamento di fine

rapporto: con il trascorrere degli anni aumenterebbero i punti

recuperati a tappe, soggetti alla decurtazione derivante dall'ap

plicabilità del divisore predetto a scapito degli altri « corrisposti in aggiunta », come tali non intascati dalla decurtazione stessa.

Potrebbe allora ribaltarsi l'interpretazione, e ritenere che è la

testualità del 3° comma ad essere imprecisa e che pertanto la

norma va letta come quella precedente. L'obiezione è seria, ma non insuperabile; tutt'altro. È già suf

ficiente a scolorirla il rilievo che essa porta ad una irrazionalità

altrettanto inaccettabile; e cioè alla pratica irrisorietà della fun

zione risarcitoria del recupero: meno di 4.500 lire al semestre

e poco più di 30.000 alla fine del 1986! E non a caso, da parte

imprenditoriale (v. circolare 81 del 12 luglio 1982 dell'associa

zione degli industriali di Pavia), si è cercato di conferire cre

dibilità alla tesi, moltiplicando gli importi per i mesi di servizio

avutisi nell'anno (cosi Pret. Milano 14 dicembre 1982, Sala e

s.r.l. Verein Aristea, inedita), e quindi attraverso un'operazione che però non trova assolutamente legittimazione nella lettera

della legge e nel sistema di essa.

Va poi sottolineato che mentre la struttura testuale del 3°

comma è cosi puntuale da non aprire spiragli alla interpretazione qui criticata, quella del 2° comma offre il destro ad un'esegesi razionalizzatrice. La chiave è fornita dall'aggettivo « utile » ag giunto a « retribuzione annua », che può (e deve) essere letto nel senso di « interamente computabile », al netto cioè di de curtazioni di sorta.

La retribuzione utile è cosi rappresentata dalle somme corri

sposte dal gennaio 1983 in dipendenza del rapporto di lavoro, a titoli non occasionali, ecc., divisa per 13,5, con l'aggiunta dei

punti di contingenza gradualmente recuperati, non sottoposti al

divisore.

La gradualità viene meno con il cessare del rapporto di lavoro, essendo cosi assicurato al prestatore in ogni caso il ristoro (par ziale) di un danno che ha comunque subito.

È ovvio poi — per chiudere ogni spazio a critiche di asiste maticità dell'impostazione — che la diversa formulazione della norma in termini di gradualità <2° comma) e di immediatezza

(3° comma), si giustifica in considerazione del parzialmente di verso modo di operare del trattamento di fine rapporto durante e al termine della relazione d'opera: basti pensare, ad esempio, all'aspetto della c. d. anticipazione, che, durante il periodo gen naio 83-dicembre 85, terrà conto solo dei punti recuperati gra dualmente.

Detto ciò, è poi facile replicare ad alcune prospettazioni di fensive della resistente.

Quella secondo cui l'art. 5 prevederebbe una sorta di « periodo bianco» tra il 1° giugno e il 31 dicembre 1982, è contraddetta oltre che da palese disparità di trattamento, dalla lettera della

legge, che genericamente si indirizza ai rapporti risolti prima del 1986, ma soprattutto dalla ratio, che, si è visto, è nel senso di assicurare ai lavoratori in ogni caso un risarcimento del danno.

L'altra, per la quale bisognerebbe comunque dividere l'importo corrispondente al valore dei punti per il divisore 13,5, oltre che debole sul piano testuale, è infirmata dalle precedenti conside razioni sulla scarsa credibilità di un'impostazione sostanzialmente azzerante il recupero.

Passando infine alla quantificazione dell'importo dovuto, il

pretore ritiene che ad essa debba giungersi moltiplicando i 175

punti maturati tra il 1° febbraio 1977 e il 31 maggio 1982 per lire 2389 corrispondenti al valore del punto di contingenza unificato: lire 418.075.

La difesa della convenuta ha sostenuto invece che, per gli operai, l'importo ammonterebbe a lire 405.990, ma non ne ha

spiegato le ragioni. In particolare, nulla ha allegato in merito all'eventuale ricor

renza dei presupposti di fatto dell'applicazione del 4° comma dell'art. 5, né tanto meno ha fornito prova dei presupposti stessi. Il decidente non può quindi che ricorrere alla norma generale di cui al 3° comma e appunto quantificare il dovuto come sopra.

In conclusione, la domanda va accolta. (Omissis)

VI

M>otivi della decisione. — Ritiene il pretore che non sia fon data la domanda dell'attore Mino Tarasconi, diretta ad ottenere dalla convenuta ex datrice di lavoro s.p.a. Pergemine, in dipen

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

denza della dedotta cessazione del rapporto di lavoro inter partes alla data dell'I 1 giugno 1982, la corresponsione degli «aumenti

della indennità di contingenza... maturati a partire dal 1° feb

braio 1977 e fino al 31 maggio 1982» (ai sensi dell'art. 5, 3°

comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297, recante la disciplina del trat

tamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica). Invero la disposizione invocata, per il caso di « risoluzione

del rapporto di lavoro anteriormente all'anno 1986 », prevede — con « norma transitoria » — il diritto agli « aumenti della

indennità di contingenza », pretesi dall'attore nel presente giu

dizio, « in aggiunta al trattamento di fine rapporto maturato ».

Ora la disposizione in esame deroga alla norma — anch'essa

transitoria — del 2° comma dello stesso art. 5, che prevede,

invece, il « recupero graduale » — nel periodo compreso, appunto, tra il 1° gennaio 1983 e il 1° gennaio 1986 — degli aumenti della

indennità di contingenza in questione, che erano stati « steriliz

zati », al fine del calcolo della indennità di anzianità, dagli art. 1

e 1 bis d. 1. 1° febbraio 1977 n. 12, convertito, con modificazioni, nella 1. 31 marzo 1977 n. 91 (sulla cui legittimità costituzionale, vedi Corte cost. 30 luglio 1980, n. 142, Foro it., 1980, I, 2641).

A sua volta, la previsione normativa del « recupero graduale », ora esaminata, deroga espressamente, sia pure in via transitoria, alle «norme di regime» del 2° e 3° comma dell'art. 2120 c. c.

(sub art. 1 1. n. 297 del 1982), che — abrogando « sostanzial

mente » (e non soltanto « formalmente » o « apparentemente ») i citati art. 1 e 1 bis d. 1. n. 12 convertito nella 1. n. 91 del 1977

(vedi Cass., ufficio centrale per il referendum, ordinanza 3 giugno

1982, id., 1982, I, 1545) — comprende la indennità di contin

genza — senza peraltro escluderne gli aumenti « sterilizzati »

dalle disposizioni abrogate — nella retribuzione posta a base

del calcolo delle quote di accantonamento annuali, che, rivalu

tate secondo il previsto meccanismo di indicizzazione, concorrono

a formare il trattamento di fine rapporto, istituito dalla legge medesima, in sostituzione della indennità di anzianità (quale è

prevista dagli art. 2120 e 2121 c. c. nel testo originario, modifi

cato dagli art. lei bis d. 1. n. 12 convertito nella 1. n. 91/77). Sulla base della esaminata disciplina legislativa della soggetta

materia, ritiene il pretore che gli « aumenti della indennità di

contingenza », pretesi dall'attore nel presente giudizio, possano essere corrisposti soltanto « in aggiunta » al trattamento di fine

rapporto e che, di conseguenza, non spettino al lavoratore, che

non abbia maturato il diritto a tale trattamento.

Induce, innanzitutto, alla conclusione proposta il tenore lette

rale dell'esaminato 3° comma dell'art. 5 1. n. 297 del 1982, che — prevedendo espressamente la corresponsione « in aggiunta al

trattamento di fine rapporto » degli aumenti della indennità di

contingenza « sterilizzati » (e — per il periodo successivo al

31 dicembre 1982 — non ancora recuperati, ai sensi del 2° com

ma dello stesso art. 5) — implicitamente identifica la fatti

specie costitutiva del diritto agli « aumenti » in questione nella

.« risoluzione del rapporto di lavoro anteriormente all'anno 1986 »

con diritto al trattamento di fine rapporto. La proposta interpretazione letterale è confermata, ad avviso

del pretore, dalla interpretazione sistematica della disposizione in esame.

Questa, infatti, deroga alla nozione « legale » (di cui al 2" e

3° comma dell'art. 2120 c. c. novellato) della retribuzione, che va

posta a base del calcolo del trattamento di fine rapporto. Ora tanto l'astratta previsione — quanto la concreta appli

cazione — dei criteri di calcolo del trattamento in questione,

suppone, all'evidenza, la maturazione del diritto al trattamento

medesimo.

La soluzione proposta pare, infine, confortata dalla relazione

della commissione lavoro della Camera dei deputati (che ha in

trodotto, nel disegno di legge governativo già approvato dal

Senato, l'emendamento che sarebbe poi diventato l'esaminato

3° comma dell'art. 5 1. n. 297/82), laddove si legge testual

mente: « La commissione lavoro ha pertanto emendato il testo,

prevedendo che gli aumenti della indennità di contingenza » in

questione — per i « lavoratori che cessano il loro rapporto di

lavoro dall'entrata in vigore della legge fino all'anno 1986 » —

« siano computati per intero, in aggiunta alla quota relativa al

l'anno di cessazione del rapporto di lavoro ».

Applicando i suesposti principi al caso di specie, ritiene il

pretore che, alla data di cessazione del dedotto rapporto di

lavoro, l'attore non avesse ancora maturato il diritto al tratta

mento di fine rapporto e che, di conseguenza, non avesse diritto

neanche agli «aumenti della indennità di contingenza», pretesa

nel presente giudizio.

Invero, alla data (11 giugno 1982) di cessazione del dedotto

rapporto di lavoro, non erano ancora decorsi, dalla entrata in

vigore della 1. n. 297 del 1982 (1° giugno 1982), neanche quindici

giorni, che, ad avviso del pretore, costituiscono il periodo di

servizio minimo per acquisire il diritto al trattamento di fine

rapporto. Infatti il 1° comma dell'art. 2120 c. c. (sub art. 1 1. n. 297/82)

sancisce testualmente: « In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore ha diritto al trattamento di

fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun

anno di servizio una quota pari, e comunque non superiore, al

l'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso diviso per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di

anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni ».

Ora, dopo aver delineato la « struttura » del nuovo « tratta

mento » (quale sommatoria di quote accantonate della retribu

zione dovuta per ciascun anno), tale disposizione, nel prevedere la riduzione proporzionale delle singole quote di accantonamento

per i periodi di servizio inferiori all'anno, sembra identificarne

la « frazione minima » — per acquisire il diritto alla corrispon dente frazione minima {che, di conseguenza, non può essere in

feriore ad un dodicesimo) della quota annuale — nel « mese

intero », al quale, peraltro, espressamente equipara « le frazioni

di mese uguali o superiori a quindici giorni».

La soluzione proposta non pare incompatibile con il principio di « proporzionalità » della retribuzione (di cui all'art. 36 Cost.), che non impone di « escludere a priori che la previsione di un

periodo minimo di servizio » — ai fini della maturazione del

diritto a quote del trattamento di fine rapporto — « possa ap

parire ragionevolmente giustificata » (siccome testualmente rite

nuto — sia pure con riferimento all'indennità di anzianità — da

Corte cost. 28 dicembre 1971, n. 204, id., 1972, I, 303; ma, sem

pre con riferimento a tale indennità, lo stesso principio pare

affermato, quantomeno implicitamente, dalla costante giurispru denza della Corte costituzionale; vedi, per tutte: sent. 22 di

cembre 1980, n. 189, id., 1981, I, 308; 30 luglio 1980, n. 142,

cit.; 28 luglio 1976, n. 205, id., 1976, I, 2064; 27 dicembre 1973, n. 188 e 27 marzo 1974, n. 85, id., 1974, I, 303 e 1286 e giu

risprudenza ivi citata).

Peraltro, ad avviso del pretore, gli « aumenti della indennità

di contingenza », che l'attore pretende nel presente giudizio, non

gli possono essere corrisposti « in aggiunta » alla indennità di

anzianità, maturata, alla data dell'entrata in vigore della 1. n. 297

del 1982, «secondo la disciplina vigente sino a tale momento».

Infatti — ai sensi della « norma transitoria » (che regola il

passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina legislativa in ma

teria) del 1° comma dello stesso art. 5 della legge citata — tale

indennità di anzianità « si cumula », bensì, « a tutti gli effetti »

(e, in particolare, agli effetti della « rivalutazione », che è pre vista dalle norme, espressamente richiamate, del 4° e 5° comma

dell'art. 2120 novellato c. c.), al trattamento di fine rapporto, ma, ad avviso del pretore, non può essere assimilata — in difetto di

espressa previsione — a tale trattamento al fine (tra l'altro) della

corresponsione degli « aumenti della indennità di contingenza »

in questione, che sono, appunto, previsti — dalla loro disciplina

specifica (e, cioè, dal più volte citato 3° comma dell'art. 5) —

quale elemento « aggiuntivo » del trattamento medesimo. (Omissis)

VII

Motivi della decisione. — Come è già stato messo sufficiente

mente in luce dalla dottrina che ha incominciato a fornire le

prime letture ragionate della 1. 29 maggio 1982 n. 297, l'analisi

ermeneutica della stessa è particolarmente ardua, e si scontra

con un testo letterale impreciso tecnicamente, approssimativo nella forma, e spesso lacunoso nella sostanza dei fenomeni giu ridici che intende disciplinare.

Questa breve premessa vale, in particolare, per i problemi che

costituiscono l'oggetto del presente giudizio; come si vedrà, per

poterli adeguatamente superare, si dovrà fare uso razionale di

tutti i canoni interpretativi (quello letterale, logico, sistematico,

ecc.) ammissibili nell'analisi di fonti normative.

La prima domanda formulata dal ricorrente nel presente giu dizio concerne l'interpretazione dell'art. 1 1. 297/82, 4° comma,

che cosi recita: « Il trattamento di cui al precedente 1° com

ma, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incremen

tato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'ap

plicazione di un tasso costituito dall'1,5 % in misura fissa e dal

75 % dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le fa

miglie di operai e impiegati, accertato dall'ISTAT rispetto al mese

di dicembre dell'anno precedente »; la domanda stessa è relativa

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1775 PARTE PRIMA 1776

al come deve essere applicato il tasso fisso dell'I,5% nel caso

(non previsto espressamente) di frazioni di anno.

La tesi del ricorrente è che, poiché ci si riferisce a un tasso

che va applicato in «misura fissa», e poiché di esso non se ne

parla al successivo 5J comma dell'art. 1 (dove, invece, si pre vede l'ipotesi specifica di frazione di anno, in relazione alla ri

valutazione, in base agli indici ISTAT, della quota accantonata in

virtù del 1° comma) allora si deve dedurre che esso va appli cato sempre e comunque nella misura dell'I,5 %. Tale tesi non

convince e, pertanto, non può essere accolta.

Bisogna subito premettere che con la 1. 297/82 si è modificato

radicalmente il sistema di determinazione di ciò che è dovuto al

lavoratore all'atto della cessazione del rapporto di lavoro: si è,

infatti, passati dall'indennità di anzianità, calcolata sulla base

dell'ultima retribuzione moltiplicata per il numero di anni di

servizio, alla forma dell'accantonamento di una quota, calcolata

sulla retribuzione percepita nell'anno di lavoro e divisa per 13,5, che va sommata alle quote che si maturano negli anni successivi, fino alla cessazione del rapporto di lavoro. Si è, inoltre, stabilito

che ogni anno la quota accantonata debba essere aumentata con

un incremento dell'I,5 % e con il 75 % dell'aumento dell'indice

dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati ac

certato dallTSTAT.

Si deve subito osservare che la caratteristica di quest'ultimo elemento di incremento è data dalla variabilità (quanto meno

presumibile) per cui esso non può essere determinato, e quindi

previsto, in modo aprioristico e preciso. Per questo il legislatore ha previsto un « meccanismo » di applicazione, che di volta in

volta fornisce l'elemento di calcolo. Ciò, del resto, è dettato dalla

stessa ratio che ne giustifica la presenza, e cioè quella di essere

un fattore teso, elasticamente, a combattere il fenomeno della

svalutazione delle quote, di anno in anno, accantonate.

Ben diversa è la natura del fattore di incremento dell'1,5 %.

Esso, in buona sostanza, è un interesse che si aggiunge all'ad dendo del fattore di svalutazione, per determinare il complessivo indice di incremento della quota accantonata.

Per questo è stato previsto in misura fissa, perché non soggetto a variabili, come l'indice di svalutazione.

Quindi la « misura fissa » di cui parla il 4° comma non è

relativa al tempo di maturazione, ma è riferita alla misura del

coefficiente, come tasso che deve essere tenuto presente di anno

in anno.

Tutto ciò non contraddice, evidentemente, un'applicazione pro

porzionale ai mesi dell'anno utili ai fini del calcolo della quota di accantonamento, né si pone in contrasto con il 5° comma, art. 1, 1. cit., che, a proposito delle frazioni di anno, si riferisce

solo al tasso di svalutazione.

Invero, si deve ritenere che il citato 5° comma sia stato pre visto per soddisfare solo l'esigenza di disciplinare una delle pos sibili eventualità che si possono determinare, e che pertanto non

sia ostativo all'interprete per ritenere che anche l'interesse del

l'I,5% sia in stretta dipendenza e proporzionale alle frazioni che

si debbono tenere presenti al momento del calcolo.

Infatti, appare irrazionale e contraddittorio ritenere che, se il legislatore ha voluto realizzare un meccanismo che di anno in anno rivaluta e incrementa la quota accantonata, e se il prin

cipio ispiratore è quello per cui il massimo per anno è dato dalla

somma dell'I,5 % più il 75 % dell'incremento dell'indice dei

prezzi dal 1° gennaio al 31 dicembre, se il periodo utile è in

feriore all'anno, per il secondo di questi elementi di calcolo il

periodo utile si riduce a quello effettivo, mentre ciò non dovrebbe avvenire per il primo elemento di calcolo.

Una simile interpretazione contrasta anche con quelli che sono

i principi generali.

Infatti, se, come detto, si considera che questo tasso di in

cremento dell'1,5 % è in realtà un interesse legale limitato ex lege, allora non resta che fare riferimento a quella consolidata giu risprudenza, sorta in tema di art. 821 e 1284 c. c., secondo cui « in tema di maturazione degli interessi, il periodo normale preso a base per il calcolo di essi è il giorno ... Pertanto, poiché l'art. 1284 stabilisce che il saggio degli interessi legali è il 5 % in

ragione di anno, ove occorra determinare l'importo degli inte ressi stessi per un periodo inferiore all'anno, bisogna dividere

l'importo degli interessi annuali per il numero dei giorni che

compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei

giorni da considerare» (Cass. 27 gennaio 1964, n. 191, Foro it.,

Rep. 1964, voce Interessi, n. 4). Pertanto con gli opportuni adeguamenti che derivano dalla

struttura generale della 1. 297/82, si deve ritenere che il tasso fisso dell'I,5 % ex 4° comma, art. 1, nella sua massima espres sione sia riferibile solo all'anno intero, mentre per le frazioni

di anno debba essere diviso per 12 e moltiplicato per il numero

dei mesi maturati al momento della cessazione del rapporto, oppure, in relazione ai rapporti di lavoro nuovi, debba essere

proporzionato al periodo che va dal momento in cui lo stesso

è sorto fino al dicembre successivo.

Pertanto, riferendosi al caso di specie, poiché oggetto del cal

colo è pacificamente l'indennità di anzianità maturata al 31 mag gio 1982, è corretto il calcolo della convenuta che ha diviso 1,5

per 12-e lo ha moltiplicato per un mese (il ricorrente ha cessato il

rapporto il 22 giugno 1982).

Solo per completezza è da dire che non può essere accolta la tesi prospettata dalla società convenuta secondo cui, a rigor di

termini, l'incremento dell'I,5 sorge solo nel caso che si raggiunga il 31 dicembre di ogni anno; in realtà, proprio le considerazioni dianzi esposte portano a escludere una tale ipotesi, e ciò non solo dal punto di vista teorico ma anche dal punto di vista applica tivo, dal momento che l'interpretazione che si è scelta porta a risolvere agevolmente i problemi concreti che, in tema, si po trebbero porre.

Il secondo problema che deve essere affrontato è quello con cernente l'interpretazione del 3° comma dell'art. 5 1. 297/82 che

prevede: « in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro an teriormente all'anno 1986 gli aumenti dell'indennità di contingen za o di emolumenti di analoga natura maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982 e non ancora computati a norma del comma precedente, sono corrisposti in aggiunta al trattamento di fine rapporto maturato».

Secondo il ricorrente merita di essere accolta l'interpretazione letterale di questa norma, per cui il valore dei punti maturati do vrebbe essere corrisposto tout court al lavoratore all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, senza ulteriori calcoli o ridu zioni. Ciò perché, come si è visto, il 3° comma dice espressamen te: «... gli aumenti di contingenza ... sono corrisposti in aggiun ta al trattamento di fine rapporto maturato».

Ritiene questo giudicante che per una corretta impostazione del problema si debbano necessariamente operare delle premesse.

Come si è già detto, la 1. 297/82 modifica la struttura e le mo dalità di calcolo del quid dovuto al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e probabilmente anche la na tura del trattamento (si è, infatti, di fronte a un risparmio forzato a cui è sottoposto il lavoratore).

In particolare, anno per anno, si accantonano le varie quote di trattamento di fine rapporto, calcolate in base alla somma delle retribuzioni annuali divise per il coefficiente di 13,5 (cfr. art. 1 1. 297/82). Come è ovvio, nella retribuzione mensile utile che si tiene presente ai fini del calcolo sono ricomprese tanto la retri buzione base quanto l'indennità di contingenza.

Ma, come è noto, la 1. 91/77 aveva stabilito che nel calcolo di

quella che fino al 31 maggio 1982 si chiamava indennità di an zianità non si doveva tener conto dei punti di contingenza ma turati dopo il 1° febbraio 1977; successivamente la 1. 297/82, nata espressamente per evitare il referendum richiesto per l'abro

gazione della 1. 91/77, fu promulgata al fine del recupero dei

punti di contingenza persi dal 1° febbraio 1977 al 31 maggio 1982

(quando entrò in vigore) nella determinazione del trattamento di fine rapporto.

Per tale intento, i principi base posti dalla 1. 297/82 sono i

seguenti:

1) Innanzitutto, l'indennità di anzianità maturata al 31 maggio 1982 si continuerà a calcolare secondo le leggi precedenti (cfr. art. 5 cit., r comma), e quindi i punti di contingenza relativi al periodo 1° febbraio 1977 - 31 maggio 1982 sono irrimediabilmen te persi dai lavoratori. Quindi, per il calcolo dell'indennità di

anzianità, la contingenza utile sarà quella maturata prima del 1° febbraio 1977;

2) dopo il 1986 si terranno presenti, nel calcolo del trattamento di fine rapporto, tutti i punti di contingenza maturati, senza li mitazioni.

Si noti bene, e questo è importante per la comprensione di quanto si dirà in seguito, che la contingenza utile non è più quella di un mese (come si aveva nel sistema di calcolo dell'in dennità di anzianità), ma quella che in tutti i mesi dell'anno vie ne percepita nelle varie retribuzioni mensili e che unita alle altre voci retributive (utili ai sensi dell'art. 1 1. 297/82), dovrà poi essere divisa per 13,5, per la determinazione della quota da accantonare nell'anno;

3) si è poi prevista una disciplina transitoria al fine del recu

pero graduale dei punti di contingenza maturati fra il 1° feb braio 1977 e il 31 maggio 1982 da reinserire nella contingenza, già utile per il calcolo della quota annuale di accantonamento; questo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

è quanto prevede il 2° comma dell'art. 5 1. cit., che appunto pre vede uno scadenzario.

Evidentemente, i punti che gradualmente vengono reinseriti, non costituiscono un valore a sé stante, da calcolare in quanto tale e in aggiunta alla quota annuale di trattamento di fine rap

porto, ma qualcosa di omogeneo ai punti di contingenza che già

seguono il regime ordinario previsto dall'art. 1 1. 297/82.

Così, per esempio, 25 punti saranno reinseriti a partire dal 1°

gennaio 1983.

Non si deve ritenere che se un lavoratore cessa dal servizio in

data successiva al 1° gennaio 1983 dovrà sommare nel conto to

tale del trattamento di fine rapporto il valore di questi punti 25

punti (25 x lire 2.389), ma viceversa, dovrà sommare questi ul

timi a quelli calcolati normalmente (e cioè quelli maturati prima del 1° febbraio 1977 e dopo il 31 maggio 1982). Cosi fatto, tutti

i punti di contingenza utili seguiranno lo stesso regime, e cioè, insieme alle altre voci, saranno sommati per tutti i mesi di la

voro e poi divisi per 13,5. In altre parole, per la determinazione della quota annuale si

terrà conto, mese per mese, anche dei punti di contingenza sbloc

cati.

Quanto detto aiuta, da un certo punto di vista sistematico, a

comprendere il disposto del 3° comma dell'art. 5 cit.

Infatti, se il progressivo reinserimento dei punti sbloccati

ex comma 2° non è avvenuto completamente perché il lavora

tore cessa il servizio prima dell'anno 1986, allora il legislatore ha previsto che i punti residui saranno aggiunti tutti insieme

al trattamento.

Ciò vuol dire che la differenza residua dei punti, che unitaria

mente si riferisce a un solo mese, verrà moltiplicata per i mesi

relativi al periodo che va dall'ultimo reinserimento alla data di

cessazione del rapporto di lavoro, e divisa poi per 13,5. La ratio di tale norma la si può spiegare considerando, da un

lato, che in questo modo si è cercato di evitare la disparità di

trattamento fra i lavoratori che hanno risolto il rapporto di la

voro prima dell'anno 1986 e che quindi non avrebbero benefi

ciato per intero del reinserimento dei punti di contingenza ma

turati fra il 1° febbraio 1977 e il 31 maggio 1982, e quelli che risol

veranno il rapporto successivamente al 1° maggio 1986, e dal

l'altro considerando che si deve garantire omogeneità di tratta

mento a elementi identici (i punti di contingenza) da un punto di vista giuridico.

Quindi i punti di contingenza ex art. 5 1. cit., 3° comma,

dovranno seguire l'ordinario regime di tutte le voci ex art. 1 1.

297/82, e cioè essere moltiplicati per il numero delle retribuzioni

e divisi per 13,5. Non si disconosce che la tesi contraria del ricorrente potrebbe

avere un certo conforto dal dato puramente letterale del 3°

comma cit. (« gli aumenti di contingenza ... sono corrisposti in

aggiunta al trattamento di fine rapporto »), ma ciò, a parere di

questo giudicante, nasce solo dalla approssimativa cura del le

gislatore nella formulazione della norma, che peraltro, in questo

modo, resterebbe completamente staccata dal resto della legge e

in particolare dal 1° e 2° comma dell'art. 5, non avrebbe una

spiegazione razionale appagante, e si presterebbe a ragionevoli

perplessità dal punto di vista della sua legittimità costituzionale.

Pertanto, avendo la convenuta interpretato il 3" comma del

l'art. 5 1. 297/82 nel senso sopradetto, anche questa domanda del

ricorrente va respinta. (Omissis)

PRETURA DI PERUGIA; decreto 21 dicembre 1982; Giud.

Giordano; Soc. Ellepi (Avv. Lupoi, Prelati) c. Cassa di ri

sparmio di Perugia, Deutsche Bank, Ditta G. Calvelli Auto.

PRETURA DI PERUGIA;

Provvedimenti d'urgenza — Vendita internazionale — Pagamen to del prezzo mediante apertura di credito documentario con

fermato — Ordine alla banca emittente ed alla banca confer-;

mante di non pagare — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ.,

art. 1530; cod. proc. civ., art. 700; 1. 21 giugno 1971 n. 804,

ratifica ed esecuzione della convenzione concernente la compe

tenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia

civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 set

tembre 1968: convenzione, art. 24).

Quando il prezzo, in una compravendita internazionale, sia pa

gabile mediante apertura di credito documentario confermato,

il pretore del luogo di apertura del credito, ove ricorrano i pre

supposti per la concessione di un provvedimento urgente (nella

specie, il fondato timore di una truffa ai danni del compratore,

l'irregolarità formale di un documento e l'urgenza di evitare

la vendita di beni immobili per far fronte agli impegni assunti

verso le banche), può ordinare in via provvisoria alla• banca

confermante di non effettuare alcun pagamento ed alla banca

emittente di non consentire che il proprio conto corrente inter

bancario con la banca confermante sia addebitato dell'importo

corrispondente al credito documentario e di non compiere le

altre operazioni necessarie per dare esecuzione all'incarico ri

cevuto dall'ordinante. (1)

(1) Per la miglior comprensione del provvedimento in epigrafe è

opportuno esporre brevemente il contenuto del ricorso a seguito del

quale è stato emanato. Il ricorrente esponeva di aver acquistato dalla ditta « G. Calvelli Auto » di Ludwigsburg otto automobili Golf diesel, pagabili, mediante apertura di credito documentario, sessanta giorni dopo la partenza della merce, previa presentazione della fattura ori

ginale con tre copie, del certificato di assicurazione all risks e della lettera di vettura. Il credito, aperto dalla Cassa di risparmio di Perugia, veniva confermato dalla Deutsche Bank di Ludwigsburg.

I documenti presentati in un primo momento venivano contestati

perché non conformi a quanto richiesto: venditore risultava la ditta « G. Calvelli Automobile » con sede in Pfaffenbofen-Weilel, cui era

intestata la lettera di vettura. L'esibizione di una nuova documenta

zione, apparentemente regolare, non fugava il sospetto di una frode

posta in essere ai danni del compratore. In particolare, risultavano identici il carico e l'automezzo di cui alla documentazione preceden temente esibita. Inoltre, il carico, benché fossero trascorsi oltre qua ranta giorni dalla data di spedizione, non era ancora arrivato ed il

trasportatore non aveva voluto fornire spiegazioni in merito; la com

pagnia assicuratrice aveva dichiarato che la polizza esibita era « non

legale » e che non l'avrebbe onorata, precisando comunque che l'assi

curato aveva dichiarato che la merce era giunta a destinazione.

Mentre la Deutsche Bank dichiarava la propria intenzione a pagare alla scadenza, la Cassa di risparmio di Perugia dava atto della non conformità e trasmetteva la contestazione alla Deutsche Bank. Onde

evitare che la frode ai suoi danni fosse portata a compimento, essendo

il credito irrevocabile, il ricorrente chiedeva ed otteneve il provve dimento in epigrafe, perché il pagamento del credito documentario

fosse sospeso fino all'accertamento dell'inadempienza del beneficiario.

II ricorso alla tutela urgente ex art. 700 c. p. c. si va affermando nel

la pratica come strumento idoneo a bloccare il pagamento dei crediti

documentari, di regola irrevocabili, quando si ha ragione di temere, nonostante la regolarità formale della documentazione esibita, l'ina

dempienza del beneficiario, che potrebbe creare grossi problemi al

compratore-ordinante, tenuto comunque a far fronte ai propri impegni nei confronti della banca che ha aperto il credito.

Per un provvedimento analogo a quello sopra riportato, in un caso

sostanzialmente simile, v. Pret. Milano 1° ottobre 1980, Foro it., Rep.

1982, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 158; cfr. pure, sempre in tema

di credito documentario, Pret. S. Miniato 18 luglio 1980, ibid., n. 157

{i due provvedimenti sono riportati in Banca, borsa, ecc., 1982, III,

180, con annotazione di Grippo). Un provvedimento urgente, che ordini alla banca emittente di non

pagare, può però essere utilmente concesso solo finché non sia avve

nuto alcun pagamento a favore del beneficiario, non anche dopo che

la banca confermante gli abbia legittimamente scontato il credito: in

tal senso si è espresso Trib. Bologna 15 maggio 1981, id., Rep. 1981,

voce cit., n. 219, e in Banca, borsa, ecc., 1981, M, 170, con nota di

Valignani, L'intervento del giudice nei crediti documentari e nelle

garanzie internazionali. Sui presupposti per la concessione di un provvedimento urgente ex

art. 700 nei rapporti commerciali internazionali, in tema, però, di ga

ranzia bancaria a prima richiesta, cfr. inoltre Pret. Reggio Emilia 10

ottobre 1978, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 43 e in Foro pad., 1979,

I, 244, con nota di Rubino-Sammartano, Provvedimenti d'urgenza nei

rapporti internazionali, che ha ritenuto sufficiente la prevedibile dif

ficoltà di un'azione all'estero per la ripetizione delle somme che sa

rebbero indebitamente pagate; Pret. Padova 12 dicembre 1977, Foro

it., Rep. 1982, voce cit., n. 156; Pret. Milano 17 novembre 1980 e

6 luglio 1981, ibid., nn. 159, 160 (i tre ultimi provvedimenti sono ri

prodotti, assieme ad altre decisioni in tema di contratto autonomo di

garanzia non emesse in sede di urgenza, in Banca, borsa, ecc., 1982,

II, 178, con la citata annotazione di Grippo). È stato escluso, invece, che il credito del beneficiario possa formare

oggetto di sequestro giudiziario (Trib. Bolzano 31 marzo 1958, Foro

it., Rep. 1959, voce Banca, n. 44) o conservativo (App. Milano 13

aprile 1960, id., Rep. 1960, voce cit., n. 45, confermata da Cass. 8 ago

sto 1962, n. 2458, id., 1963, I, 306, che motivano, però, non per la

inidoneità del mezzo, ma per il fatto che l'obbligo assunto dalla

banca confermante, per la sua astrattezza, non può essere paralizzato

per le contestazioni derivanti dal rapporto causale; un sequestro con

servativo era stato eseguito in epoca più recente, ma illegittima

mente, perché nel frattempo il beneficiario aveva trasferito il credito

ad una banca del proprio paese: le pronunce cui ha dato origine que

sta vicenda processuale, Trib. Bari 29 novembre 1976 e App. Bari 2

febbraio 1978, sono inedite; ne riferisce, però, Spano, Crediti docu

mentari e sequestro conservativo, in Banche e banchieri, 1980, 511 ss.).

La condanna per truffa del beneficiario libera, comunque, sia l'or

dinante sia la banca emittente dagli obblighi derivanti dall'apertura

di credito documentario, costituendo la giusta causa che consente di

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