sentenza 17 ottobre 1996; Giud. Dies; imp. ConederaSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 219/220-223/224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192352 .
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PARTE SECONDA
me nella specie, il proprio incarico nulla può autonomamente
indicare o introdurre). E proprio la fattispecie in esame manife
sta come infondata debba essere considerata la protesta che il
criterio interpretativo proposto (la sussumibilità della constata
zione della mancata richiesta di riti alternativi pur in situazioni
di evidenza probatoria tra i criteri indicati dal capoverso del
l'art. 133 c.p.) comprimerebbe il diritto di difesa. Qui, ciò che fin dall'inizio era in atti tale è rimasto: il giudizio odierno ha necessariamente l'identico contenuto probatorio che avrebbe avu
to il giudizio concludente un rito alternativo. In realtà, ancora
una volta sembra utilizzarsi il concetto di diritto di difesa come
schermo per la tutela di interessi che concretamente non ap
paiono riconducibili alla previsione costituzionale. (Omissis)
PRETURA DI TOLMEZZO; sentenza 17 ottobre 1996; Giud.
Dies; imp. Conedera.
PRETURA DI TOLMEZZO;
Ingiuria e diffamazione — Offese in scritti e discorsi pronun ciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative — Causa
di non punibilità — Estremi (Cod. pen., art. 598). Ingiuria e diffamazione — Provocazione — Causa di non puni
bilità — Esclusione — Fattipecie (Cod. pen., art. 599).
L'art. 598 c.p. impone che le offese attengano all'oggetto della
causa; il che significa che deve sussistere un nesso logico tra
tali offese e l'oggetto della causa, e non semplicemente tra
quest'ultimo e lo scritto difensivo globalmente considerato. (1)
(1) Nello stesso senso, v. Cass. 26 novembre 1986, Proc. rep. Peru
gia, Foro it., Rep. 1987, voce Ingiuria, n. 55, secondo cui «il nesso occorrente ai fini dell'applicazione dell'immunità di cui all'art. 598 c.p. deve intercorrere non già tra gli scritti o discorsi e l'oggetto della causa, bensì tra questo oggetto e le offese eventualmente contenute in quegli scritti o discorsi; pertanto il giudice deve prendere in esame specifica mente e separatamente le espressioni offensive per stabilire se concerna no l'oggetto del procedimento (e in tale caso rientrino nell'ambito di
applicazione dell'esimente) o siano del tutto estranee all'oggetto del giu dizio (nella specie, la Suprema corte ha annullato la decisione con la
quale i giudici di appello avevano concesso l'esimente accordando esclu sivo rilievo alla relazione esistente tra la sentenza di condanna e i moti vi di appello, con i quali l'imputato ne assumeva l'ingiustizia, senza accertare se vi fosse relazione tra le offese in essi contenute e l'oggetto della causa)».
Quanto al requisito della pertinenza delle offese all'oggetto del pro cesso, v., in giurisprudenza, Cass. 27 ottobre 1988, Fecchio, id., Rep. 1989, voce cit., n. 27, secondo cui «per l'applicabilità della scriminante
prevista dall'art. 598 c.p. le offese devono concernere l'oggetto della causa in modo diretto e non mediato e devono, quindi, concretizzarsi in riferimento ai fatti che hanno dato luogo alla controversia (. . .)», e 12 febbraio 1987, D'Apice, id., Rep. 1988, voce cit., n. 40, ad avviso della quale la c.d. concernenza «(. . .) può consistere in qualsiasi colle
gamento logico, anche indipendentemente dalla necessità o dall'utilità delle difese ai fini dell'esercizio del relativo diritto; ne consegue che
rimangono pur sempre punibili quelle espressioni ingiuriose o diffama torie che non si trovino in rapporto con l'oggetto della causa, cioè, che siano estranee o esorbitanti rispetto ad esso».
In dottrina, v. Mantovani, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro la persona, 291, il quale fa notare che «il presente requisito viene inteso
estensivamente, ritenendosi sufficiente che tra le offese e l'oggetto del
procedimento intercorra un nesso logico qualsiasi, onde esso non ricor re nei soli casi di offese del tutto estranee a tale oggetto, cioè occasio
II Foro Italiano — 1998.
Quanto alla causa speciale di non colpevolezza della c.d. provo
cazione di cui all'art. 599, 2° comma, c.p., si deve escludere
che la comparsa di costituzione redatta da un avvocato nel
l'ambito di un procedimento civile di divorzio possa costitui re un fatto ingiusto, inteso come atto che, per la contrarietà
alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di su
scitare un giustificato turbamento dell'animo dell'agente; inol
tre, sebbene la locuzione verbale «subito dopo» debba essere
interpretata in relazione a ciascuna fattispecie, con la conse
guenza che, nel caso della diffamazione, è naturale che tra
scorra un certo lasso di tempo, occorre pur sempre un preciso nesso eziologico fra fatto ingiusto e reazione e che la reazione
sia immediata, almeno nel senso che l'inizio di essa segua
senza interruzione, pur se il processo esecutivo si svolga poi attraverso una serie più o meno complessa di atti (fattispecie concernente l'invio di una lettera indirizzata al presidente del
tribunale e contenente, oltre alla richiesta di revoca del prov vedimento di affidamento della figlia alla madre, anche ap prezzamenti denigratori nei confronti dell'ex moglie e del suo
legale). (2)
(Omissis). Il fatto risulta alla stregua degli elementi probatori
sopra riportati accertato in termini di assoluta certezza, non
essendo infatti contestato, nella sua materialità, dalla stessa di
fesa. L'imputato Gianni Conedera nel corso della procedura di
nali (costituendo il processo la mera occasione per estrinsecare proposi ti di denigrazione, scherno, vendetta, rancore personale, derisione di
imperfezioni fisiche, disgrazie personali o familiari, ecc.)»; nonché Vil
la, I delitti contro l'onore, 122, secondo cui «è da escludere la non
punibilità di ingiurie o diffamazioni estranee alla causa, come quelle che non si riferiscono a fatti da cui è scaturita la controversia o che
non si inseriscono nell'attualità della discussione relativa alla difesa del le rispettive posizioni (. . .). La difesa offensiva, se così si può dire, deve essere diretta a confutare l'altrui pretesa giuridica e non a colpire la personalità morale della controparte». Quanto alla natura giuridica della causa di non punibilità prevista dall'art. 598 c.p., la tesi più diffu sa in dottrina colloca tale ipotesi nel novero delle c.d. cause di non
punibilità in senso stretto, intendendo con tale espressione riferirsi alle
cause personali di esenzione da pena introdotte per ragioni di opportu nità politico-criminale e associate ad un fatto che è e resta tipico, anti
giuridico e colpevole; in tal senso, cfr. Mantovani, cit., 290, il quale, nell'asserire che non si tratta di scriminante corrispondente allo schema dell'esercizio di un diritto, ma di mera esimente (la c.d. immunità giu diziale), fa leva sulla perdurante illiceità extrapenale del fatto immune: «un fatto lecito, rispondente all'esercizio di un diritto, non può essere sanzionato né con provvedimenti disciplinari, né con la soppressione o cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, né tanto meno con l'assegnazione all'offeso di una somma a titolo di risarcimen to del danno non patrimoniale, che è la tipica sanzione civile del reato
(. . .)»; e, più diffusamente, Spasasi, Diffamazione e ingiuria (dir. pen.), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1964, XII, 493, il quale sot
tolinea, tra l'altro, che «se la norma in esame disciplinasse un'ipotesi di esercizio del diritto di accusa o di difesa, sia pure nel senso ampio di diritto alla libertà della discussione giudiziaria, non si comprendereb be la sua autonoma ragion d'essere». Da ciò deriva che, se l'ipotesi regolata dall'art. 598 c.p. non integra gli estremi di una causa di giusti ficazione modellata sullo schema del diritto di difesa ex art. 24, 2°
comma, Cost., essa deve giocoforza coprire uno spazio residuale rispet to a quello occupato dalla scriminante suddetta: così, mentre il diritto di difesa soggiace al triplice limite della verità oggettiva dei fatti offen sivi riferiti, della necessità o utilità difensiva della loro allegazione e della continenza formale delle espressioni utilizzate, l'esimente sussidia ria e complementare prevista dall'art. 598 c.p. è logicamente destinata a operare, per esclusione, quando manchino uno o più dei requisiti suddetti e siano, per converso, presenti i particolari limiti di ordine
oggettivo e soggettivo legalmente richiesti per la sua applicazione (in dottrina, v., ancora, Mantovani, cit., 289, e Gaito, Ambito applicati vo e natura giuridica dell'«immunità giudiziale», in Arch, pen., 1968, II, 110; in giurisprudenza, non richiede il rispetto del limite della verità, Cass. 12 luglio 1974, n. 2083, Foro it., 1975, I, 120, e 17 gennaio 1978, n. 215, id., 1978, I, 600; sull'esimente de qua, v., da ultimo, Carpeg
giani, L'immunità giudiziale: diritto di difendere o licenza di offende re?, in Critica pen., 1991, fase. 3, 63).
(2) La giurisprudenza ha in più di un'occasione escluso che l'atto di esercizio di un diritto o di una facoltà legittima possa costituire in
giusto fatto provocatorio in grado di determinare la non punibilità del la successiva reazione offensiva: cfr. Cass. 1° marzo 1990, Bonoldi,
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GIURISPRUDENZA PENALE
divorzio con la propria moglie Sandra Beacco, spedì in data
15 luglio 1994 una lettera da lui sottoscritta al presidente del
Tribunale di Tolmezzo, dott. Vittorio De Liddo e a questi indi
rizzata, contenente pesanti apprezzamenti ed affermazioni nei
confronti della propria moglie e del suo legale, aw. Silvio Boer
chia. Copia della medesima lettera venne inviata anche allo stu
dio dell'avv. Silvio Beorchia con le seguenti aggiunte a matita
rispettivamente all'inizio ed in calce alla missiva: «A gentile vi sura del diretto interessato» e «Mi denunci pure, casomai ci
vedremo in pretura!!! Salutoni». La lettera in questione venne
aperta dalla stessa Beacco, che è anche segretaria presso lo stu
dio legale Beorchia e che ha riconosciuto la firma del suo ex
marito (cfr. relativo esame). Il presidente del tribunale convocò
personalmente il Conodera avanti a sé e questi, in data 17 ago
sto 1994, confermò di essere l'autore della lettera, di averne
inviata una copia all'avv. Beorchia e al proprio difensore aw.
Maurizio Conti, il quale gli fece immediatamente pervenire la
propria rinunzia al mandato, ed insistette affinché la lettera in
questione venisse inserita nel fascicolo della causa di divorzio
nonostante l'avvertimento delle «possibili conseguenze».
Non emergendo alcun elemento probatorio a discarico, i fatti
possono ritenersi accertati così come sopra esposti.
Tali essendo gli estremi del fatto accertato, può ritenersi com
Foro it., Rep. 1991, voce Ingiuria, n. 42, secondo cui «ai fini dell'ap
plicabilità dell'esimente della provocazione prevista dall'art. 599, 2° com
ma, c.p. (per i reati di ingiuria e di diffamazione), sotto nessun profilo, e quindi nemmeno putativamente, può ritenersi fatto ingiusto l'eserci
zio di un diritto, quale è quello di ottenere il rilascio di un appartamen to dall'inquilino»; 17 ottobre 1986, De Santis, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 61, per la quale «in tema di ingiurie, non riveste il carattere
della provocazione, valutabile come esimente, la minaccia della vittima
del reato di sporgere querela per le offese ricevute», e 7 marzo 1975,
Minetti, id., 1976, II, 383, la quale ha escluso che la mancata adesione
ad uno sciopero proclamato per un licenziamento dovuto a motivi sin
dacali possa integrare gli estremi del fatto ingiusto ai sensi della norma
in questione. Per una precisazione del significato da attribuire all'estre
mo dell'ingiustizia, v. Cass. 23 marzo 1994, Iacona, Riv. peri., 1995,
60, e Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 34, secondo cui «in tema di
ingiuria, l'esimente della provocazione di cui all'art. 599, 2° comma,
c.p., si configura in presenza di un comportamento contrario alle nor
me giuridiche ovvero all'insieme delle regole sociali vigenti in un conte
sto di civile convivenza (. . .)». Di diversa opinione, Marini, Delitti
contro la persona, Torino, 1995, 242, il quale ritiene che «il fatto ingiu sto è tale quando se ne accerti il contrasto con una regola riportabile
all'ordinamento giuridico, in uno qualsiasi dei suoi settori (civile, pena
le, ecc.) e non semplicemente, come anche si dice, con una regola sociale».
Quanto al requisito della c.d. «subitaneità» della reazione iraconda,
la giurisprudenza pare attestarsi su posizioni più restrittive rispetto agli
orientamenti emersi in dottrina: v. Cass. 3 maggio 1994, Devetak, Riv.
pen., 1995, 459, e Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 35, la quale asseri
sce che l'esimente de qua «opera solo se la reazione si sia manifestata
nello stato d'ira immediatamente seguito al fatto ingiusto altrui, a nulla
rilevando la mancanza, in quel momento, di disponibilità dello stru
mento attraverso il quale si sarebbe dovuta attuare la reazione (fattispe
cie nella quale lo scritto costituente reazione era intervenuto due mesi
dopo quello diffamatorio; la Suprema corte, escludendo il ricorrere del
la provocazione, ha ritenuto irrilevante che esso fosse apparso a tale
distanza di tempo dal fatto lesivo in quanto pubblicato su rivista bime
strale)», e 4 maggio 1993, Stirpe, Riv. pen., 1994, 294, e Foro it., Rep.
1994, voce Circostanze di reato, n. 22, la quale sostiene che «a diffe
renza dell'esimente della provocazione, prevista dall'art. 599, 2° com
ma, c.p., per l'attenuante di cui all'art. 62, n. 2, c.p., non è richiesto
che la reazione iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto (. . .),
riferendosi testualmente a uno "stato", cioè a una situazione psichica
che ben può perdurare nel tempo (. . .), per esplodere infine, e a di
stanza di tempo, per un episodio trascurabile in sé, ma che scatena
la condotta reattiva fino a quel punto contenuta».
La dottrina, sia pure con diversità di accenti, è propensa ad adottare
soluzioni meno rigorose nel chiarire la portata da assegnare al requisito
dell'«immediatezza»: per tutti, v. Mantovani, cit., 290, ad avviso del
quale «tale requisito (. . .) va inteso non nel senso assoluto di "imme
diatamente dopo" la commissione del fatto ingiusto, ma nel senso rela
tivo di "subito dopo" l'appresa notizia di tale fatto o la insorta possi
bilità pratica della reazione ingiuriosa o diffamatoria, rischiando altri
menti l'art. 599 di restare inapplicato».
Il Foro Italiano — 1998.
provata l'integrazione di entrambi i reati ascritti, sussistendone
tutti gli estremi sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Non
vi è dubbio infatti che l'imputato abbia volontariamente e co
scientemente offeso l'onore ed il decoro delle persone offese
Sandra Beacco e Silvio Beorchia, inviando la lettera agli atti
oltre che al presidente del Tribunale di Tolmezzo, anche al
l'avv. Silvio Beorchia e all'aw. Maurizio Conti, venendo per
tanto ad integrare sia il reato p. e p. dall'art. 594 c.p. sia
il reato p. e p. dall'art. 595 c.p. Infatti, secondo l'insegnamen
to della Cassazione, «nell'ipotesi di diffamazione a mezzo di
lettera indirizzata a più persone, concorre il reato di ingiuria,
qualora la missiva venga inviata anche alla parte offesa» (Cass.
6 ottobre 1983, n. 2498). Riguardo all'elemento materiale, la
cui sussistenza la difesa ha tentato di contestare con riferimen
to al contesto in cui la lettera è stata scritta e al livello cultura
le dell'imputato, si deve osservare che, sebbene sia esatto che
la natura offensiva dell'espressione usata debba essere valutata
in relazione al contesto e alle persone coinvolte sicché una
medesima espressione può risultare o meno offensiva a secon
da dei casi, tuttavia sussistono delle espressioni intrinsecamente
ed obiettivamente lesive dell'onore alla stregua delle norme so
ciali di civiltà al momento imperanti. Nel caso di specie non
può dubitarsi che espressione del tipo «nemmeno i peggiori
bastardi e figli di puttana nati sui più squallidi marciapiedi . . .», «. . . una forma di ricatto degna della peggiore feccia . . .»,
«questi sono mostri del presente e fantasmi del passato», rife
rite nella lettera in questione all'aw. Silvio Beorchia, appar
tengano a questa seconda categoria. Ugualmente lesive dell'o
nore di Sandra Beacco devono considerarsi le espressioni riferi
te all'«andirivieni continuo di uomini dietro la sua porta
nell'intento di raggiungere la camera da letto» e alla presenza
di «amanti di passaggio». Quanto al reato di diffamazione,
esso appare integrato in virtù dell'invio della lettera in questio
ne al presidente del Tribunale di Tolmezzo e all'aw. Maurizio
Conti, all'epoca difensore dell'imputato, nonché della richiesta
di inserire la lettera nel fascicolo della causa di divorzio, con
conseguente diffusione del contenuto ad una cerchia piuttosto
vasta di persone, quali il personale di cancelleria dell'ufficio
giudiziario, legali delle parti, ecc. Nessun dubbio può neppure sussistere in ordine all'elemento
psicologico del reato. Nel caso di specie anzi appare evidente
la sussistenza di un vera e propria volontà di ingiurare e diffa
mare, pur non necessaria per l'integrazione delle fattispecie
penali de quibus per le quali è sufficiente un dolo generico.
Tale volontà emerge in modo certo dalle aggiunte a matita
operate dall'imputato alla missiva inviata all'aw. Silvio
Beorchia.
La difesa, mirabilmente orchestrata, sotto il profilo tecnico,
ha invocato, nell'ordine, la causa di non punibilità di cui al
l'art. 598 c.p., la causa speciale di non colpevolezza della c.d.
provocazione di cui all'art. 599, 2° comma, c.p. e la causa im
peditiva della pena della c.d. reciprocità di cui all'art. 599, 1°
comma, c.p. Ma si tratta tutti di istituti che non possono trova
re applicazione al caso di specie.
Quanto alla prima difesa sebbene si deve ritenere che lo
scritto in questione possa effettivamente essere qualificato co
me «scritto difensivo» a norma dell'art. 598 c.p., perché il
Conedera rivolge al presidente del tribunale anche delle richie
ste inerenti all'oggetto della causa, e, precisamente, la revoca
del prowedimento di affidamento della figlia alla madre, tut
tavia tale qualificazione deve essere limitata alla sola parte
dell'atto contenente tali richieste. Si deve infatti osservare che
l'art. 598 c.p. impone che le offese attengano all'oggetto della
causa; il ché significa che deve sussistere un nesso logico tra
tali offese e l'oggetto della causa, e non semplicemente tra
quest'ultimo e lo scritto difensivo globalmente considerato;
in tal caso infatti «le offese risultano estranee ed esorbitanti
rispetto all'oggetto della causa» (cfr. espressamente Cass. 22
aprile 1987, n. 5070; 1° dicembre 1988, n. 11745). Non solo ma la giurisprudenza di legittimità ha pure precisato che tale
nesso deve sussistere «in modo diretto, e non mediato ed
opinabile» (Cass. 6 febbraio 1987, n. 1368; 24 giugno 1972, n. 350).
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PARTE SECONDA
Quanto alla seconda difesa mancano i presupposti della c.d.
provocazione e, in particolare, i requisiti della ingiustizia del
fatto altrui e della immediatezza della reazione. Sotto il primo
profilo si può ammettere che la lettera de qua costituisca rea
zione alla comparsa di costituzione dell'avv. Beorchia dd. 22
giugno 1993, ma si deve escludere che detta comparsa possa costituire un fatto ingiusto, inteso come atto che per la contra
rietà alle norme del vivere civile abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento dell'animo dell'agente. Al contrario, si tratta di un atto difensivo, perfino doveroso
nei rapporti con la cliente, improntato a correttezza e lealtà
processuale, privo di qualsiasi gratuita offesa nei confronti del
Conedera che possa ingenerare quello stato d'ira che costitui
sce l'essenza dell'esimente invocata. Né, come sostenuto dalla
difesa, le parole usate dall'aw. Silvio Boerchia potevano essere
interpretate in modo diverso dall'imputato, fondando la sussi
stenza di un fatto ingiusto solo putativo, pure rilevante a nor
ma dell'art. 599 c.p. Invero, l'espressioni usate non possono lasciare dubbio alcuno che l'avv. Boerchia intendeva semplice mente difendere nel miglior modo possibile, come era, si ripe
te, suo precipuo dovere, la propria cliente, e la scomposta reazione del Conedera appare ricollegabile a tale difesa tout
court, comprensibile sul piano umano venendo ad incidere di
rettamente nei suoi rapporti con la figlia, ma non giustificabile sul piano penale. V'è da chiedersi cosa avrebbe dovuto fare
l'avv. Beorchia se non richiedere l'affidamento della figlia alla
madre?
Sotto il secondo profilo manca il requisito della immediatez
za tra offesa ricevuta e reazione, richiesto dall'art. 599, 2°
comma, c.p. a differenza dell'omologa figura della provoca zione quale circostanza attenuante ex art. 62, n. 2, c.p. Infatti,
sebbene la locuzione verbale «subito dopo» debba essere inter
pretata in relazione a ciascuna fattispecie, con la conseguenza
che, nel caso della diffamazione è naturale che trascorra un
certo lasso di tempo, tuttavia occorre pur sempre un preciso nesso eziologico tra fatto ingiusto e reazione (Cass. 18 giugno
1996, n. 6116; 14 giugno 1994, n. 6874) e che la reazione
sia immediata almeno nel senso che l'inizio di essa segua senza
interruzione, pur se il processo esecutivo si svolga poi attraver
so una serie più o meno complessa di atti. Nel caso di specie la lettera è stata inviata dall'imputato il 15 luglio 1994, mentre
l'atto di costituzione e risposta era del 22 giugno per l'udienza
del 29 giugno. Si deve pertanto riferire la reazione non ad
uno stato d'ira, bensì ad un sentimento diverso, quale l'odio
o il rancore a lungo covato, che esclude l'applicazione dell'esi
mente in parola.
Quanto alla terza difesa, si deve in prima battuta osservare
che la c.d. reciprocità di cui all'art. 599, 1° comma c.p. può trovare applicazione, per espressa limitazione di legge, solo in
caso di ingiuria e non per il reato di diffamazione. Nel caso
di specie i presupposti di legge richiesti comunque difettano, non essendo ravvisabili neppure negli scritti difensivi successivi
firmati dall'aw. Beorchia delle offese contro il Conedera penal mente perseguibili. È ben vero che nel ricorso di data 26 aprile 1996 il livello della contesa tra i due coniugi cresce di tono,
adombrandosi, sia pure in termini velati, degli approcci sessuali
da parte del Conedera nei confronti della figlia, ma ancora una
volta tali affermazioni sono state compiute dall'aw. Silvio Beor
chia nell'ambito del mandato difensivo ricevuto e, si deve rite
nere, sulla base di fatti riferitigli dalla cliente. Del resto, lo scam
bio di reciproche accuse infamanti è purtroppo prassi costante
nelle procedure di separazione e di divorzio tra coniugi, troppo
spesso intenti a strumentalizzare i figli ai danni dell'altro coniu
ge piuttosto che a pensare al benessere morale dei figli medesi
mi, bisognosi in ogni caso di un ambiente familiare privo di un livello così alto di conflittualità. Ma certamente non si può ascrivere la responsabilità di simili comportamenti ai difensori
delle parti. In ogni caso, non ritiene questo pretore che potreb be esercitare il potere discrezionale previsto dall'art. 594, 1°
comma, c.p. a favore del Conedera, in ragione della pervicacia ed insistenza dal medesimo dimostrata nell'esecuzione dell'azio
ne criminosa.
Il Foro Italiano — 1998.
Si deve pertanto condannare l'imputato per entrambi i reati
ascritti, riuniti nel vincolo della continuazione, dovendosi rite
nere commessi in esecuzione di un medesimo disegno crimino
so, attese le modalità spazio temporali dei medesimi.
Circa la determinazione della pena, valutati i criteri tutti di
cui all'art. 133 c.p., concesse le attenuanti generiche, giustifica te dalla sostanziale incensuratezza dell'imputato, stimasi equa la pena di lire 600.000 di multa (pena base per il reato p. e
p. dall'art. 595 c.p., che si considera più grave lire 750.000 di
multa, diminuita a lire 500.000 per la concessione delle atte
nuanti generiche ed aumentata per la continuazione nella misu
ra indicata), oltre al pagamento delle spese processuali. La pena che si sarebbe irrogata al reato satellite in assenza della conti
nuazione è di lire 300.000 di multa.
Trattandosi di pena pecuniaria non particolarmente gravosa non risponde all'interesse dell'imputato medesimo la concessio
ne della sospensione condizionale della pena. Alla condanna segue l'obbligo dell'imputato al risarcimento
dei danni, di natura morale, in favore della parte civile conse
guenti ai reati. In via equitativa tali danni vanno liquidati nella complessiva somma di lire 4.000.000, oltre gli interessi
legali dal 15 luglio 1994 al saldo. Al riguardo, va osservato
che, come bene ha sottolineato la difesa, le offese rivolte al
l'avv. Silvio Beorchia, sia pure assai pesanti e volgari in sé
considerate, non sono state in realtà in grado di scalfire la
considerazione e la stima di cui gode nella comunità un pro fessionista come l'avv. Silvio Beorchia (presidente del locale
ordine degli avvocati e dei procuratori legali), da sempre ap
prezzato per le sue doti umane e professionali. Si devono per tanto escludere danni di natura patrimoniale e si devono limi
tare i danni morali nella misura sopra indicata. Alla parte civile va pure riconosciuto il rimborso delle spese, liquidate come da dispositivo.
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