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sentenza 18 febbraio 1984; Giud. Cupido; Argelà e altri (Avv. Trinci) c. Soc. autostrade Ligure -...

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sentenza 18 febbraio 1984; Giud. Cupido; Argelà e altri (Avv. Trinci) c. Soc. autostrade Ligure - Toscana (Avv. Mazzotta) Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 307/308-313/314 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177550 . Accessed: 28/06/2014 13:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 13:26:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 18 febbraio 1984; Giud. Cupido; Argelà e altri (Avv. Trinci) c. Soc. autostrade Ligure -Toscana (Avv. Mazzotta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 307/308-313/314Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177550 .

Accessed: 28/06/2014 13:26

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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PARTE PRIMA

riposo settimanale goduto a bordo o in porti lontani dal luogo di residenza soddisferebbe soltanto le esigenze biofisiche del lavora tore e non certo quelle attinenti alla partecipazione alla vita familiare o alle attività organizzate della collettività.

Insomma, in un equo contemperamento degli interessi e delle

esigenze contrapposte sembra più opportuno un sacrificio consi stente della periodicità pur di salvaguardare la pienezza di

godimento del riposo. Per quanto riguarda il secondo requisito (esigenze che non

venga maturato o eluso il rapporto 6 + 1) la regolamentazione contrattuale è rispettosa della proporzione tra giorni lavorativi e festivi nel computo dei riposi compensativi corrispondenti esatta mente alle giornate festive trascorse a bordo.

Più complesso è il discorso in relazione al principio di ragio nevolezza.

Se si tiene conto delle caratteristiche dell'attività lavorativa svolta dai marittimi si deve concludere che la specialità di essa

(come di tutti i lavori che richiedono da un lato una prolungata assenza dal luogo di residenza, dall'altro una prestazione conti

nuativa) è tale da incidere profondamente e necessariamente sui meccanismi di fruizione del riposo.

In navigazione (ma anche quando la nave è in porto) le parti sociali hanno considerato normale che la prestazione venga effet tuata anche nei giorni festivi: si veda il 1° comma dell'art. 55 c.c.n.l. del 1978 in precedenza riportato nonché l'art. 56 dello stesso contratto che cosi dispone:

« Art. 56 - Giorni festivi nei porti.

1) Ai marittimi, che sono tenuti a prestare la loro opera a bordo della nave in porto con turno di porto o sono tenuti a disposi zione dell'armatore per esigenze di servizio in giorno festivo, saranno riconosciuti tanti giorni di riposi compensativi o pro rata

quanti saranno i giorni di domenica e i giorni di festività

infrasettimanali trascorsi a bordo ».

Anche in relazione a questo grave sacrificio che i marittimi sono tenuti a sopportare deve essere stata, di conseguenza, fissata la durata massima dell'imbarco. Durata che, attualmente (cfr. art. 87 c.c.n.l. 3 luglio 1981) è di cinque mesi prorogabili — con

esclusione delle navi traghetto — di 30 giorni; in precedenza la

durata massima dell'imbarco, risultante dal regolamento sulla

continuità del rapporto, non ha mai superato i sei mesi, almeno

dal 1970 in avanti.

fÈ a questa durata massima che può quindi riferirsi il principio di ragionevolezza anche in relazione agli interessi e alla salute

del lavoratore: il punto di equilibrio tra la tutela di questi fondamentali interessi e le esigenze necessitate dalla natura del

l'attività svolta deve essere quindi individuato in questo termine

massimo di durata stabilito dalle parti sociali anche con riferi

mento al disagio, esplicitamente da esse previsto, derivante dalla

continuità della prestazione anche nei giorni festivi.

Né può invocarsi una asserita assimilabilità della regolamenta zione in esame con quella (disciplinata da atti aventi valore di legge e perciò) dichiarata incostituzionale con le citate sentenze 150/67 e 146/71. In questi casi, infatti, la normativa consentiva « di raggruppare in modo irrazionale ed arbitrario le

giornate di riposo » degli addetti ai pubblici servizi di trasporto; ma in quel caso la disciplina ritenuta illegittima non era affatto

necessitata dalla natura dell'attività svolta che ben poteva essere

organizzata in modo tale da garantire la normale cadenza del

riposo. Nel caso degli addetti alla navigazione invece la disciplina,

come si è visto, non è affatto irrazionale ed arbitraria ma

risponde, oltre che ad esigenze insopprimibili, anche all'interesse del lavoratore.

Le conseguenze di quanto si è esposto sono evidenti: se la

regolamentazione dei riposi settimanali prevista dai contratti col lettivi non è affetta da nullità la fruizione del riposo compensati vo entro il termine dell'imbarco è valida e per la festività lavorata a nessun ulteriore compenso ha diritto il marittimo, indipendentemente dalla soluzione del problema se la retribuzione mensile copra 26 o 30 giornate. Nel primo caso, infatti, il riposo compensativo compensa la giornata festiva lavorata; nel secondo il contratto collettivo abrebbe previsto, come è consentito all'au tonomia collettiva, un ulteriore compenso — per legge non dovuto — per il sacrificio della festività.

Non diversa è la soluzione nel caso di mancato godimento del

riposo compensativo. In questo caso !a clausola contrattuale non

può certo rendere lecito un comportamento che tale non è per la

espressa previsione, addirittura costituzionale, di irrinunziabilità

Il Foro Italiano — 1985.

del riposo settimanale. Ma se, di fatto, tale rinunzia vi sia stata le conseguenze, sul piano risarcitorio, non potranno che essere

quelle contrattualmente previste, cioè il pagamento di una giorna ta di retribuzione (1/26 della retribuzione, come esplicitamente previsto dai contratti collettivi), non diversamente da quanto avviene, per tutti i lavoratori, per le ferie non godute. (Omissis)

PRETURA DI VIAREGGIO; sentenza 18 febbraio 1984; Giud.

Cupido; Argelà e altri (Aw. Trinci) c. Soc. autostrade Li

gure-Toscana (Avv. Mazzotta).

PRETURA DI VIAREGGIO;

Lavoro (rapporto) — Esattori autostradali — Lavoro domenicale

con riposo compensativo — Diritto alla maggiorazione —

Insussistenza (Cost., art. 36; cod. civ., art. 2109; 1. 22 febbraio 1934 n. 370, riposo domenicale e settimanale, art. 1, 3, 5; d.m.

22 giugno 1935, determinazione delle attività alle quali è

applicabile l'art. 5 1. 22 febbraio 1934 n. 370, tab. Ili, nn. 12,

36).

Gli esattori autostradali che eseguono lavoro domenicale ed ai

quali il contratto collettivo di categoria garantisce il riposo com

pensativo in altro giorno della settimana ed assicura un trat

tamento (quanto ai riposi globalmente goduti) più favorevole di

quello previsto per gli altri dipendenti, non hanno diritto ad

alcuna maggiorazione. (1)

(1) La questione riguardante il diritto a maggiorazione retributiva

per il lavoro domenicale degli addetti all'esazione pedaggi autostradali

è stata affrontata e risolta da vari giudici di merito (e consta essere

attualmente all'esame della Corte di cassazione) con esiti prevalente mente conformi a quello fatto proprio dalla sentenza che si riporta.

Più che soffermarsi su una mera elencazione delle decisioni favorevo

li e di quelle contrarie sembra peraltro opportuno rendere edotto il

lettore circa l'itinerario percorso dalla giurisprudenza per affermare (o

negare) il diritto in questione, giacché non sempre all'unicità di

dispositivo concreto corrisponde analoga univocità di presupposti argo

mentativi. Fra le decisioni conformi a quella riportata v., con motivazione

analoga, Pret. Firenze 13 novembre 1982, Foro it., 1983, I, 1969, con

nota di richiami e osservazioni di M. De Luca (menzionata in

motivazione); Pret. Monsummano Terme, giud. Esposito, 25 febbraio

1983, Ferretti, c. S.p.a. Autostrade, inedita. Con diversa motivazione, ma conformi quanto a decisum v. Pret.

Padova, giud. Jauch, 21 marzo 1983, Bedin c. Soc. Autostrade, inedita;

Pret. Cassino, giud. Castaldo, 2 dicembre 1982, Cannavacciuolo c. Soc.

Autostrade, inedita e Pret. Roma, giud. Filadoro, 28 aprile 1983,

Navarra c. Soc. Autostrade, inedita, che collocano la prestazione

lavorativa degli esattori autostradali fra quelle esplicitamente autorizzate

allo svolgimento di lavoro domenicale dai nn. 36 (esattori di imposte) e 12 (addetti assistenza automobilistica) della tab. Ili allegata al d.m.

22 giugno 1935; Pret. Modena, giud. Gragnoli, 1° febbraio 1983,

Boldrini c. Soc. Autostrade, inedita, secondo cui il lavoro domenicale

degli esattori (premessa l'insussistenza di un principio generale che

assuma la rilevanza del riposo coincidente con la domenica) è

sufficientemente remunerato dai maggiori compensi contrattuali; Trib.

Firenze 2 maggio 1983, pres. Palazzolo, est. Massetani, Baldinelli c.

Soc. Autostrade, inedita (resa nello stesso procedimento di cui a Pret.

Firenze 13 novembre 1982, cit.) che ha affrontato il problema sotto il

limitato angolo visuale della congruità del trattamento assegnato ai

turnisti dal contratto collettivo di settore rispetto all'art. 36 Cost. In senso contrario v. invece Pret. Ferrara 30 aprile 1982, giud.

Robustella, Talitri c. Soc. Autostrade, inedita e Trib. Ferrara 12 febbraio 1983, pres. Schiavano, est. Savastano, inedita, di conferma della precedente, che omogeneamente ritengono incalcolabile il lavoro

degli esattori fra le eccezioni al divieto di lavoro domenicale; Pret. Recco 5 gennaio 1984, giud. Saggese, Bregante c. Soc. Autostrade,

inedita, che fa proprio l'orientamento delle sezioni unite circa la

maggior penosità ex se del lavoro domenicale, esplicitamente argomen tata sul presupposto che « si vive in un paese di tradizioni cattoliche secolari, dove la generalità dei cittadini considera la festività della domenica come del tutto particolare » ed esclude che tale « penosità » sia adeguatamente compensata, con un corrispettivo economico, nella contrattazione di settore.

Il Pretore di Viareggio si fa carico di valutare la legittimità dell'assetto contrattuale anche con riferimento ai principi enucleati da Cass., sez. un., 10 novembre 1982, n. 5923, Foro it., 1983, I, 1967, secon do cui il lavoro domenicale, data la sua maggior penosità, sarebbe co munque meritevole di un trattamento più vantaggioso, pur se il lavorato re venga a fruire del riposo in altro giorno della settimana. In senso con forme a quest'ultima decisione considerano necessaria un'indagine del giudice sulla normativa contrattuale collettiva con lo scopo di verificare il trattamento complessivamente assicurato ai turnisti: Cass. 19 maggio 1983, n. 3491, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1651; Pret. Na

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Fatto e svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il

22 dicembre 1982 Giancarlo Argelà, (et coeteri), assumendo: a)

che in qualità di dipendenti Salt con qualifica tutti di esattori ed

i soli Vanni, Baldini e Cascione di addetti alla sala radio,

avevano sempre espletato le loro mansioni con turni di lavoro

avvicendati nella giornata che comprendevano anche attività

lavorative da svolgersi nella giornata di domenica; b) che il

contratto di lavoro che regolava il loro rapporto prevedeva la

possibilità di lavoro nella giornata di domenica nei soli casi

previsti dalla legge; c) che, poiché nel loro caso la legge non

prevedeva possibilità di lavoro domenicale, e non poteva essere

consentita la richiesta di prestare attività lavorativa la domenica;

d) che, essendo stata però tale attività prestata, doveva essere

retribuita con una integrazione pari alla maggiorazione prevista nel contratto per il lavoro straordinario prestato nel giorno di

riposo settimanale o di domenica; e) che, infine, ove volesse

ritenersi che l'art. 7 del contratto fosse da interpretarsi nel senso

di ritenere consentito il lavoro domenicale, tale norma dovrebbe

essere dichiarata nulla ex art. 1418 e 1419 c.c. per cui anche in

questo caso dovrebbe essere corrisposta la maggiorazione sulle

retribuzioni percepite per il lavoro domenicale; /) che, essendo

giuridicamente rilevante, ai fini del compenso, che il giorno di

riposo non cadesse di domenica, cioè in una giornata in cui la

stragrande maggioranza dei lavoratori riposava e godeva di una

serie di benefici che al contrario venivano ad essere preclusi a

chi prestava di domenica la sua opera, chiedevano essere risarciti

per la detta perdita; (omissis)

Motivi della decisione. — (Omissis). In merito alla prima domanda vi è da dire innanzitutto che il lavoro domenicale per i

turnisti dipendenti della Salt è previsto dall'art. 7 del contratto

collettivo attualmente in vigore. Tale norma infatti recita al 2°

comma: « Per i lavoratori per i quali è ammesso, a norma di

legge, il lavoro nel giorno di domenica, il riposo può essere

spostato in altro giorno della settimana, cosicché la domenica

viene ad essere considerata giorno lavorativo, mentre viene ad

essere considerato giorno di riposo settimanale, a tutti gli effetti, il

giorno fissato per il riposo stesso ».

L'orario di lavoro del personale turnista è poi previsto dall'art.

6 dello stesso contratto ove sono indicati i criteri con cui devono

avvicendarsi i turni e l'orario con cui questi devono essere

eseguiti. Il contratto in vigore inter partes non contiene però una

novità in tema di disciplina di turni e di lavoro domenicale.

Esso ha repecito, con alcune modifiche, le disposizioni contenute

in proposito nei precedenti contratti del 1966 e del 1969 nei quali era previsto oltre che il turno anche la effettuazione del lavoro

domenicale.

La previsione contrattuale del lavoro domenicale per il perso nale turnista attesta quindi che le parti stipulanti hanno conside

rato lecito tale tipo di lavoro ed a fronte di esso hanno inteso

non prevedere una maggiorazione retributiva ma il riposo in altro

giorno settimanale ovviamente stimando ugualmente conveniente

per il lavoratore una disciplina in siffatti termini.

E che le parti stipulanti abbiano inteso, con la emanazione del

generale precetto di cui all'art. 7, 2° comma, del contratto,

poli 29 settembre 1983, Lavoro 80, 1984, 541 (che conclude per la legitti mità del lavoro domenicale degli addetti ai pubblici servizi di trasporto in connessione).

Più genericamente nel senso della legittimità del lavoro domenicale con riposo compensativo e dell'assenza di un diritto a maggior compenso, v. Pret. Milano 2 dicembre 1983, Orient, giur. lav., 1984, 462; Pret. Aversa 23 ottobre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 1636 (e in Dir. e giur., 1983, 93, con nota di Romeo).

Sul problema della decorrenza del riposo settimanale, v. Cass. 25

maggio 1983, n. 3629, Giust. civ., 1984, I, 1601, con nota di Papaleoni.

Per l'affermazione secondo cui nessuna norma costituzionale si

presterebbe a rafforzare il diritto alla coincidenza del riposo settimanale con la domenica, v. Corte cost. 15 giugno 1972, n. 105, Foro it., 1972, I, 1912 (e in Dir. lav., 1972, II, 377, con nota di Gessa).

Per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza e per l'illustrazio ne dei termini del contrasto risolto da Cass., sez. un., 5923/82, si rinvia alla cit. nota di De Luca.

Sul problema della retribuzione del lavoro domenicale prestato a bordo della nave con godimento del riposo compensativo (o con

pagamento della corrispondente indennità se il riposo non viene

goduto) cfr. le contrastanti Pret. Venezia 3 luglio 1984 e Pret. Genova 13 giugno 1984 (in questo fascicolo, I, 298, con nota di richiami) che

peraltro pervengono alla stessa conclusione negando che il lavoro

prestato di domenica debba essere retribuito con un compenso ulteriore

rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva.

Il Foro Italiano — 1985.

considerare lecito il lavoro domenicale dei turnisti si evince

anche da due circostanze chiaramente eloquenti in tal senso.

Innanzi tutto una circolare del ministero del lavoro e della

previdenza sociale del giugno 1963 emanata a seguito di specifico

interpello delle varie società concessionarie, espressamente include

fra il lavoro che la legge consente di effettuare di domenica

quello dei turnisti dipendenti dalle società autostradali ed in

particolare degli esattori per cui è giocoforza che le parti

stipulanti abbiano inteso, prevedendo. il lavoro domenicale nel

contratto per turnisti, considerarlo lecito e conforme alla legge.

Inoltre i sindacati di categoria pretendono di inserire, nel

rinnovo contrattuale, proprio la erogazione di un compenso

collegato al lavoro domenicale degli esattori ed è indiscutibile che

a tale rivendicazione non può attribuirsi altro senso se non quello di un miglioramento del trattamento di una categoria di lavorato

ri che, per ragioni organizzative, sono costretti a godere' del

riposo in un giorno diverso della domenica.

Escluso quindi che nello stesso contratto sia prevista la mag

giorazione rivendicata, tesi questa primieramente avanzata dai

ricorrenti, è da esaminare ora se possa essere ritenuta nulla la

normativa contrattuale collettiva che riconosca l'ammissibilità del

lavoro domenicale dei turnisti, per contrasto con la disciplina

generale di tale tipo di lavoro.

È allora il caso di prendere in esame la 1. 22 febbraio 1934 n.

370 sul riposo domenicale e settimanale.

L'art. 1 di tale legge sancisce: « Al personale che presta la sua

opera alle dipendenze altrui è dovuto ogni settimana un riposo di

24 ore consecutive, salvo le eccezioni stabilite dalla presente leg

ge ».

L'art. 3 espressamente recita: «... il riposo di 24 ore consecu

tive deve essere dato la domenica, salvo le eccezioni stabilite

negli articoli seguenti ».

Coerentemente a tali premesse il successivo art. 5 prevede che

il riposo settimanale possa cadere di domenica e possa essere

attuato per turni per una serie di attività specificamente elencate

delle quali è opportuno, per quanto ci riguarda, menzionare il n. 4 ove è fatto riferimento « ad ogni attività per le quali il

funzionamento domenicale corrisponda ad esigenze tecniche od a

ragioni di pubblica utilità. È detto infine al 2° comma che « le attività di cui al presente articolo saranno determinate con

decreto del ministro per le corporazioni, intese le corporazioni

competenti ».

Tale decreto è stato emanato il 22 giugno 1935 e si esplicita in un elenco delle attività consentite di domenica nel quale non vi è

traccia di quella svolta dai turnisti dipendenti dalle società

autostradali. Siffatta omissione, ad avviso dei ricorrenti, non è

casuale perché il decreto, non menzionando fra le attività consen

tite quella in questione, ha inteso escluderla e né può ritenersi

che la figura dell'esattore fosse sconosciuta all'epoca, aggiungono i

ricorrenti, perché erano già allora in esercizio alcuni tronchi

autostradali.

Il problema però va esaminato con una diversa impostazione. Premesso innanzitutto che le attività elencate nel decreto mini

steriale non possono avere carattere tassativo perché, trattandosi

di un decreto di attuazione di una legge, deve necessariamente

contenere, in modo generale ed astratto, tutte le fattispecie cui la

legge fa riferimento, non è corretto ritenere che necessariamente

una attività la quale risponda ai requisiti indicati nella legge e

non enunciata nel decreto debba essere considerata esclusa. I decreti ministeriali attuativi di una legge nella loro formulazio

ne, al pari dei regolamenti di esecuzione, non possono contenere

norme contrarie alle disposizioni di legge in generale.

È un principio positivamente sancito questo nelle disposizioni

preliminari al codice civile (art. 4, 1° comma). E se non possono contrastare con norme di legge non potranno ovviamente contra

stare con quella disposizione di legge dalle quali direttamente

promanano. Orbene il compito del giudice è di accertare se fra il decreto

ministeriale del giugno 1935 e la 1. 370/34 sussista ed in che

misura contrasto.

Si è già detto che l'art. 5, 1° comma, 1. 370/34 indica fra le

attività lecite di domenica quelle fra le quali il funzionamento

domenicale corrisponda ad esigenze tecniche o a ragioni di pub blica utilità. Poiché questo pretore ritiene che l'attività in que stione, come sarà dimostrato, ubbidisca ad esigenze di pubblica

utilità, occorre innanzitutto sviluppare tale affermazione e poi,

precisare la natura giuridica del decreto ministeriale allo scopo di

identificare quali interventi in sede di verifica giudiziale possano

compiersi.

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PARTE PRIMA

Che l'esercizio delle autostrade nella giornata di domenica sod

disfi una esigenza collettiva e di pubblico interesse sembra al

giudicante un dato indiscutibile. L'apertura al pubblico delle au tostrade per l'intero anno ed il pagamento del pedaggio da parte dell'utente ogni volta che di essa faccia uso è certamente una

necessità.

Non vi è chi non veda che la chiusura delle autostrade anche se solo di domenica, verrebbe a privare la rete viaria nazionale delle arterie più importanti, a rendere impraticabile perché affol late l'uso delle strade ordinarie, a dare un ulteriore colpo al funzionamento dei servizi pubblici di trasporto in concessione e a danneggiare il turismo. E senza contare che il codice della strada non contempla la possibilità di sospendere la circolazione di domenica sulle autostrade al solo scopo di consentire il riposo agli esattori.

Parimenti non è concepibile aprire liberamente e gratuitamente le autostrade agli utenti la domenica, per lo stesso scopo, senza causare danni concreti in varie direzioni.

Da una parte le società concessionarie, colpite nell'entrata

economica, inevitabilmente pretenderebbero un ritocco delle ta riffe per gli utenti degli altri giorni e dall'altra si impoverirebbe il bilancio dello Stato dell'incremento percentuale previsto dal d.l. 23 dicembre 1978 n. 813 e dell'importo del 15 % sui pedaggi a titolo di i.v.a.

E bastano allora queste semplici considerazioni per qualificare di pubblica utilità il lavoro domenicale in questione per cui

questo è da ritenersi incluso nel generale criterio indicato dal n. 4 dell'art. 5, 1° comma. Quanto poi alla natura del decreto ministeriale al giudicante pare che la opinione già espressa in

giurisprudenza (Pret. Firenze 15 novembre 1982, Bandinelli ed altri c. Soc. Autostrade, Foro it., 1983, I, 1969) sia pienamente condivisibile. La pregevole analisi svolta dall'estensore della detta decisione è infatti da recepire integralmente soprattutto nel punto in cui, attraverso logici passaggi, giunge a qualificare atto non avente forza di legge un decreto ministeriale di attuazione.

Ed il riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale del 28 dicembre 1968, n. 137 (id., 1969, I, 539) che ha dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 134 Cost, la questione di legittimità costituzionale del r.d. 2657/23 proprio per la sua natura di atto amministrativo nonché la citazione dell'art. 1 disp. prel. c.c. che esclude dalla gerarchica delle fonti ogni atto privo di forza di

legge, ben si attagliano alla fattispecie in esame.

Su tale premessa, allora, il vuoto rilevato nel decreto del 22

giugno 1935 è in sede di verifica giudiziale facilmente colmabile. Se è vero che il d.m. non può contenere contrasti con la legge

che lo prevede e se esso è da qualificare come un atto non avente forza di legge, ne discende, come ovvia conseguenza, che

da una parte l'ipotesi tabellata per la quale non sussistono le

esigenze di cui al n. 4 dell'art. 5, 1" comma, può essere direttamente disapplicata dal giudice perché in contrasto con la norma dell'art. 5, 1° comma, 1. 370/34 ai sensi dell'art. 4, 1°

comma, disp. prel. c.c., dall'altra l'ipotesi non tabellata la quale, invece, ubbidisce alle previsioni dei nn. da 1 a 4 1. 370/34 sarà

parimenti ricompresa dal giudice fra le ipotesi eccettuate, poten dosi verificare il contrasto con l'art. 5 non solo quando si

prevede nella tabella una ipotesi che in concreto è contraria a tale norma di legge, ma anche quando si omette di includere nell'elenco una ipotesi che il precetto legislativo esigeva che fosse inclusa.

Ergo, ubbidendo l'attività domenicale dei turnisti ad esigenze di

pubblica utilità, essa, chiaramente in concreto prevista dall'art. 5, 1° comma, n. 4, 1. 370/34, è lecita.

Di conseguenza la clausola contrattuale che prevede lo svolgi mento di domenica dell'attività dei turnisti è perfettamente legit tima.

La pretesa dei ricorrenti si fonda però anche su altre argomen tazioni. Essi infatti chiedono una integrazione retributiva a titolo risarcitorio per la maggiore penosità del lavoro domenicale anche se compreso in regolari turni periodici.

Non contesta questo pretore che il fruire del riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica può costituire un sacrificio per l'impossibilità di prendere parte a tutte le attività che di solito si

svolgono di domenica, e soprattutto per il disagio, anche a livello

psicologico, che vi è nel lavoro quando viene svolto sapendo che tutti gli altri lavoratori riposano.

Tuttavia non può farsi discendere dalle conseguenze negative suddette e solo per esse il diritto alla pretesa avanzata.

Come è noto né l'art. 36 Cost, né l'art. 2109 c.c. postulano l'esistenza di un diritto per il lavoratore al riposo settimanale

Il Foro Italiano — 1985.

coincidente con la domenica. Tali disposizioni, invece, mirano a

tutelare esigenze di natura fisiologica e cioè garantire al lavorato

re, al fine di consentirgli il recupero delle proprie energie, di

godere di un riposo di 24 ore consecutive dopo sei giorni lavorativi.

!È chiaro allora che, per tale scopo, far coincidere tale giorno con la domenica è un fatto irrilevante e la stessa norma (1. 27

maggio 1949 n. 260, art. 2) che elenca fra i giorni festivi la

domenica non prevede il diritto al godimento del riposo settima

nale nel giorno di domenica.

E tale conclusione trova puntuale conferma in recenti decisioni

giurisprudenziali (Cass. 17 luglio 1981 n. 4660, id., 1982, I, 1671)

ove, affermandosi che « il principio del diritto del lavoratore alla

funzione, ai fini della reintegrazione delle proprie energie fisiche

e psichiche, di un giorno di riposo settimanale, di regola coinci

dente con la domenica..., non esclude la legittimità di una

disciplina contrattuale aziendale contenente turni di lavoro che

prevedono il godimento del riposo dopo sei giorni di lavoro ma

in un giorno diverso dalla domenica, giacché la coincidenza del

riposo settimanale con detto giorno, alla quale fa riferimento

oltre l'art. 2109 c.c. anche la 1. 22 febbraio 1934 n. 370, non è

prevista con carattere di assolutezza ed inderogabilità non solo si

ribadisce la validità di una clausola contrattuale che indica, in

conformità alle eccezioni di cui alla 1. 370/34, in un giorno diverso dalla domenica il riposo, ma si esclude indirettamente che

nessuna maggiorazione è dovuta per il lavoro prestato nella

domenica in regolari turni periodici quando il turno di riposo viene a cadere dopo sei giorni lavorativi.

Non è però da tacere che la Suprema corte a sezioni unite in

una recente sentenza (sez. un. 10 novembre 1982, n. 5923, id., 1983,

I, 1967) ha riconosciuto la retribuibilità del lavoro domenicale a

fronte della sua penosità ma le argomentazioni addotte nella

sostanza non possono essere concretamente utilizzate a sostegno della tesi dei ricorrenti.

Innanzitutto la fattispecie esaminata riflette l'ipotesi nella quale non vi è una retribuzione maggiorata in assenza di riposi compen sativi dopo sei giorni di lavoro cioè una ipotesi diversa da quella che ci riguarda. Inoltre il principio che afferma non contrasta

de plano, come assumono i ricorrenti, con quello che si sostiene.

In realtà nel punto in cui la Suprema corte statuisce che « il

giudice deve specificamente accertare, attraverso l'esame della

disciplina collettiva applicabile, se lo spostamento del giorno di

riposo in un giorno non domenicale, trovi nella determinazione

dell'ammontare complessivo della retribuzione prevista a favore

dei lavoratori una propria ancorché conglobata specifica forma di

remunerazione, il che potrebbe desumersi dalla circostanza stessa

che siffatti turni siano stati contrattualmente concordati e che la

retribuzione per i dipendenti ad essi assoggettati presenti conno

tazioni differenziate rispetto a quella degli altri lavoratori per cui

in tal caso ovviamente non spettano ulteriori maggiorazioni »,

non insegna altro che è il contratto a prevedere le forme di

compenso ma non che il contratto debba necessariamente conte

nere maggiorazioni di retribuzioni.

È in sostanza un riconoscimento dell'autonomia contrattuale a

disciplinare la materia; così spetta ai contraenti valutare in

concreto la maggior penosità del lavoro domenicale, e scegliere il

vantaggio per i dipendenti che sono costretti a lavorare di

domenica.

Orbene nella specie si è in linea con tali insegnamenti.

A parte che i turni degli esattori sono concordati contrattual

mente, in concreto la retribuzione assicurata ai turnisti dal

contratto garantisce per essi un trattamento globalmente più favorevole.

I turnisti, come è emerso nel corso dell'istruttoria, godono all'anno di 122 giorni di riposo a fronte di 112 di cui godono i

non turnisti e poiché il lavoro domenicale cade in ognuno per

ragione di una-due domeniche al mese, il trattamento diviene

differenziato rispetto agli altri dipendenti per il maggior numero

di riposi annuali. Ed è evidentemente questo il vantaggio dei

turnisti che le parti stipulanti hanno ritenuto di scegliere rispetto ai non turnisti.

Che poi, in sede di rinnovo contrattuale, i sindacati di catego ria pretendono una maggiorazione di retribuzione, è una circo

stanza che a nulla rileva. Con tale pretesa intendono ovviamente

portare avanti in modo più concreto il concetto di maggior « penosità » del lavoro domenicale rispetto al lavoro degli altri

giorni. È un loro diritto che possono far valere e che può essere

anche recepito nel nuovo contratto. Non è però certo un argo mento a sostegno della legittimità della pretesa dei ricorrenti.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Anzi i sindacati, muovendosi in una prospettiva di una mo

difica del contratto, danno ulteriore conferma della legittimità della norma contrattuale in vigore, che attribuisce ai turnisti il

solo vantaggio rispetto ai non turnisti di un maggior numero di

riposi settimanali annui.

La domanda quindi deve essere respinta. (Omissis)

I

GIURI DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA PUBBLICITA

RIA; decisione 27 marzo 1984, n. 12; Pres. Borrelli, Est.

Floridia; Soc. Romeo immobiliare (Aw. Fusi) c. Soc. Lloyd it. immobiliare <Avv. Leoni) e altri.

GIURI DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA PUBBLICITA

RIA; decisione 27 marzo 1984, n. 12; Pres. Borrelli, Est.

Concorrenza (disciplina della) — Codice di autodisciplina pubbli citaria — Creazione pubblicitaria — Tutela — Limiti.

Non può tutelarsi l'idea pubblicitaria se priva del minimo di

originalità necessario a configurare un atto di creazione intellet

tuale. (1)

II

GIURI DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA PUBBLICITA RIA; decisione 16 dicembre 1983, n. 49; Pres. Borrelli, Est.

Vanzetti; Gruppo G comunicazione (Avv. Fusi) c. Soc. In

vestimenti immobiliari italiani (Avv. Marchetti) e altri.

Concorrenza (disciplina della) — Codice di autodisciplina pubbli

citaria — Creazione pubblicitaria — Tutela — Estensione.

La tutela della creazione pubblicitaria non è limitata alla sua

rappresentazione formale e si estende alla stessa idea creati

va. (2)

(1, 2) Le decisioni in epigrafe vertono sul problema della protezione dell" idea '

pubblicitaria dagli immancabili imitatori. È indubbio che in

un mercato dove la lotta concorrenziale si svolge soprattutto sul piano della pubblicità commerciale, esiste una sentita esigenza, da parte degli operatori del settore, nonché delle imprese che a questi affidano la loro

propaganda, di tutela della differenziazione anche nel settore lato sensu

promozionale. A tali nuove istanze, le corti hanno risposto negando ogni possibilità

di ima tutela ' forte ' della creazione pubblicitaria. Si è esclusa la sua

protezione sotto il profilo del diritto d'autore (tra le più recenti v. Trib. Milano 3 novembre 1980, Foro it., Rep. 1983, voce Concorrenza

(disciplina), n. 61; 1° marzo 1979, id., Rep. 1981, voce Diritti

d'autore, 32), anche se alcune pronunce si mostrano inclini a

distinguere la trovata pubblicitaria, di per sé non proteggibile, dalla

rappresentazione « dell'idea stessa nel suo contenuto, la quale è invece

oggetto di tutela » (cosi Trib. Milano 1° marzo 1979, cit., e Cass. 23

gennaio 1969, n. 175, id., Rep. 1969, voce cit., n. 28; per la tutela

dell'opera fotografica v., da ultimo, Cass. 26 marzo 1984, n. 1988, id., 1984, I, 940, con nota di Pardolesi). In dottrina, dove il nostro

problema è stato affrontato soprattutto in relazione alla protezione di

slogans, si mostrano decisamente contrari all'applicazione della discipli na del diritto d'autore, Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni

immateriali3, Milano, 1960, 709 e Gugliemetti, Gli slogans e la loro

tutela, in Dir. autore, 1964, 289; più * possibilisti

' P. Greco e

Vercellone, I diritti sulle opere d'ingegno, in Trattato, diretto da

Vassalli, Torino, 1974, 42; v. anche Floridia, Imitazione servile ed

appropriazione di idea pubblicitaria, in Mon. trib., 1970, 58, 62, che

auspica, de iure condendo, « la previsione legislativa di una tutela dell'autore di idee pubblicitarie ».

È comune opinione, tuttavia, che la creazione pubblicitaria o, meglio, la sua rappresentazione (grafica, sonora, ecc.) possa trovare una

(limitata) tutela in altre norme di legge, precisamente in quelle che

disciplinano la concorrenza sleale. La condotta dell'imitatore, si affer

ma, viola l'art. 2598, n. 1, c.c. A parere di alcune pronunce, essa costituirebbe un'imitazione servile (cfr. App. Torino 9 gennaio 1973, Giur. dir. ind., 1973, 266, e, in dottrina, La Villa, Note minime sulla costruzione giurisprudenziale dello slogan pubblicitario, in Riv. dir.

ind., 1971, II, 6, 8); altre sentenze, invece, richiamandosi alla parte finale della citata norma, censurano quel comportamento perché con trastante con il divieto di compiere « con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente » (Trib. Torino 8 marzo 1982, Giur. dir. ind., 1982, 406; Trib. Milano 21 aprile 1975, id., 1975, 972; in dottrina, Ghidini, La concorrenza e i consorzi, in Trattato, diretto da Galgano, Padova, 1981, 165 ss.). Richiamano la disposizione contenuta nell'art. 2598 n. 1, senza alcuna distinzione tra le due fattispecie: Cass. 28 maggio 1980, n. 3501, Foro it., Rep. 1980, voce Concorrenza (disciplina), n. 203 e 17

giugno 1971, n. 1842, id., 1971, I, 2214; Trib. Milano 3 novembre

1980, cit.; Pret. Monza 14 ottobre 1974, Giur. dir. ind., 1974, 1245; in

Il Foro Italiano — 1985.

I

Con istanza in data 2 marzo 1984 la s.r.l. Romeo immobiliare

con sede in Napoli, ha chiesto l'intervento del giuri nei confronti

della s.r.l. Lloyd italiano immobiliare, della Editrice Edime e della s.p.a. Società pubblicità editoriale in relazione agli annunci

apparsi — fra l'altro — su « Il Mattino » del 12 febbraio 1984. Assume la società istante che tali annunci siano costruiti esat tamente nello stesso modo e secondo lo stesso schema di quelli già da essi adottati e quindi siano pubblicati in violazione dell'art. 13 c.a.p. Ad illustrazione dell'istanza si premette che la soc. Romeo, operando nel campo della intermediazione immobi liare ed avvalendosi delle inserzioni sui giornali per pubblicizzare le sue offerte, aveva avvertito la necessità di differenziare tali inserzioni da quelle delle imprese concorrenti per incrementare l'im

patto pubblicitario. Per conseguire tale risultato nel 1983 si rivolse ad un'agenzia pubblicitaria la quale propose di pubblicare le inserzioni in un modo che, pur ispirandosi agli schemi tradizionali, si caratterizza sul piano creativo perché avviene all'interno di uno spazio che reca in « testa » il marchio e il nome della società Romeo ed è circoscritto lateralmente da una cornice formulata da un suggerirsi dei marchi della stessa società; inoltre gli inserti, in

luogo di essere raggruppati per argomenti, sono raggruppati per località. Anche gli annunci della Llody sono inseriti nello stesso modo e come tali sono da considerare in violazione dell'art. 13

c.a.p., sicché la soc. istante conclude chiedendo l'ordine di cessa zione e la pubblicazione della sentenza.

La Lloyd ha fatto pervenire delle note in data 13 marzo 1984 con le quali contesta la competenza del giuri a dirimere la cóntroverisa e il potere di tale organo di pronunciare vali damente nei propri riguardi, dato che la soc. resistente non è iscritta ad alcun ente componente l'istituto di autodisciplina né ad alcuna associazione aderente a quest'ultimo.

Peraltro la soc. Llody diffida il giuri dall'emettere qualsivoglia pronuncia la quale avrebbe solo l'effetto di aggravare la respon sabilità della Romeo e si duole che sia stato dato corso alla

procedura senza aver previamente verificato la sussistenza dei

presupposti processuali. (Omissis) Viene in primo luogo all'esame del giurì il problema della

verifica della soggezione della soc. Lloyd alle regole sostanziali e

procedimentali che caratterizzano il sistema dell'autodisciplina pubblicitaria. Tale soggezione fu decisamente negata nella lettera

dottrina, Casanova, Impresa e azienda, in Trattato, diretto da Vassal li, Torino, 1974, 640; Floridia, cit., 62 (cfr. anche App. Roma 21 gennaio 1980, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 99, che ha applicato, nella specie, il divieto generale di cui al n. 3 dell'art. 2598). A conti fatti, la soluzione giurisprudenziale fornisce una protezione assai scarsa alla creazione pubblicitaria. Più spesso che no, infatti, le citate pronunce hanno fatto seguire, ad affermazioni astratte di tutela, decisioni di sostanziale diniego, per l'impossibilità di confondere campagne pubblicitarie che, pur contenendo un'idea di fondo comune, si riferivano a marchi differenti (v., ad es., Cass. 1842/71; un po' più ' largheggiante

' pare invece Cass. 3501/80). Inoltre, la disciplina della

concorrenza sleale non può trovare applicazione in mancanza di un rapporto concorrenziale tra i prodotti, e il tentativo di superare l'ostacolo, richiamando l'art. 2043 c.c. (La Villa, cit., 15 ss.), non ha ricevuto alcun avallo giurisprudenziale: almeno una pronuncia (Trib. Milano 3 novembre 1980, cit.) nega, anzi, esplicitamente, la configura bilità di una protezione in termini di illecito aquiliano.

Molto più incisiva è la disciplina del c.a.p., che, con formula ampia, reprime « qualsiasi imitazione pubblicitaria servile, anche se relativa a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confusione con altra

pubblicità » (art. 13: tra le più recenti decisioni che l'hanno applicato v. 16 dicembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 261; 3 aprile 1982, ibid., n. 283; 30 marzo 1982, ibid., n. 290; 2 novembre 1981, ibid., n. 58). Si prescinde espressamente da ogni rapporto concorrenziale, e la possibilità di confusione è vista piuttosto quale aggravante, non come requisito indispensabile per la tutela dell'idea pubblicitaria. In applica zione di tali principi, si è censurato il claim di un ciclomotore (« Garelli è... »), che si ispirava palesemente alla pubblicità di un noto aperitivo (« Martini è ... »).

La decisione 49/83, qui riportata, afferma inoltre che la disciplina del c.a.p. conferisce alla creazione pubblicitaria una tutela più forte di quella prevista dalle norme che regolano il diritto d'autore. Oggetto di tale tutela è infatti la stessa idea pubblicitaria; non è quindi la singola estrinsecazione della '

trovata '

pubblicitaria ad essere protetta, ma la ' trovata

' stessa, contro ogni possibile rappresentazione di terzi. Per

l'operatività della tutela sarà però necessaria l'esistenza di « uno sforzo creativo apprezzabile », sia pure inteso come contenuto « minimo di originalità » (cosi la decisione 12/84, in epigrafe). Per una vasta rassegna delle numerose decisioni del giuri in materia v., oltre alle

pronunce citata supra, Fusi e Testa, L'autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983, 182 ss.

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