Sentenza 18 gennaio 1960; Pres. Lorenzi P., Est. Miani; Taragoni e Girtanner (Avv. DeBenedetti, Del Vecchio) c. Ministero del tesoro, Intendenza finanza di Genova e Bancad'America e d'Italia (Avv. Elena, Grande Stevens)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 10 (1960), pp. 1811/1812-1817/1818Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151723 .
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1811 PARTE PRIMA 1812
e snaturando così profondamente l'istituto fallimentare.
Dì ciò consegue che un'estensione della disposizione ricordata alla materia fallimentare non obbedisce per
nulla ai canoni di ermeneutica e si risolve in un'inammissi
bile e pericolosa trasposizione : del che, come si è detto,
si sono rese conto tanto la giurisprudenza dei giudici di
merito quanto la dottrina fallimentaristica sopra ricordate,
segnalando i gravissimi inconvenienti teorici e pratici della
estensione della citata norma alla materia fallimentare.
Vale aggiungere che il progetto preliminare del libro
delle obbligazioni del 1940, compilato quando ancora
non si era deciso di stralciare dal codice la disciplina del
fallimento, elencava nell'art. 608 (corrispondente al citato
art. 1723 del codice), tra i casi che non importavano l'estin
zione del mandato conferito nell'interesse del mandatario
o di terzi, oltre alla morte e alla sopravvenuta incapacità, anche il fallimento del mandante. Il che sta a significare, da una parte, che il legislatore non ignorava certo l'impos
sibilità di comprendere il fallito tra gli incapaci, onde
aveva ritenuto necessario un esplicito riferimento al fine
di farlo rientrare nella previsione della disposizione ; e
dimostra dall'altra, non essendo stato inserito il richiamo
nel testo legislativo dell'art. 78 legge fall., ove avrebbe
trovato la sua sede appropriata, come debba dedursi che
il legislatore abbia avvertito la estrema illogicità e la grave
pericolosità del principio, e pertanto non lo abbia voluto
introdurre nella legislazione vigente. Deve quindi concludersi su questo punto che la norma
dell'ultima parte del 2° comma del citato art. 1723 non
è riferibile, nè sotto il profilo pratico nè, stante l'evidente
incompatibilità, sotto quello logico al fallimento del man
dante, il che risulta ulteriormente confermato da quanto
si è potuto evincere dai ricordati lavori preparatori. Pertanto nella specie, essendo la rappresentanza cessata
con la dichiarazione di fallimento (20 febbraio 1957),
l'incasso successivamente (28 febbraio 1957) effettuato
dal Binco risulta illegittimo, in quanto legittimato ad
esigere il pagamento era esclusivamente il curatore del
fallimento.
Conseguentemente, dal momento dell'incasso il Banco
è divenuto debitore verso il Fallimento della somma
riscossa.
Per questi motivi, ecc.
I
CORTE D'APPELLO DI GENOVA.
Sentenza 18 gennaio 1960; Pres. Lorenzi P., Est. Miani ;
Taragoni e Cirtaimer (Avv. De Benedetti, Del Vec
chio) c. Ministero del tesoro, Intendenza finanza di
Genova e Banca d'America e d'Italia (Avv. Elena, Gkande Stevens).
Cambio di divisa estera — Pena pecuniaria — Pa
gamento da parte di un coobbligato — EMetti per il trasgressore (E. d. 1. 5 dicembre 1938 n. 1928, norme per la repressione delle violazioni delle leggi tributarie, art. 2, 3, 4, 8).
Il pagamento, da parte di un coobbligato ammesso all'obla
zione, della somma detcrminata dal Ministero del tesoro,
provoca l'estinzione dell'obbligo anche per i trasgressori condannati alla pena pecuniaria. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE.
Sentenza 19 dicembre 1959 ; Pres. Comucci P. P., Est. Portanova ; Ministero tesoro c. Montanari (Avv.
Fttrno), Bernardini (Avv. Albenzio) e Motosi (Avv. Carrozza, Picoardi).
Cambio di divisa estera — Infrazioni valutarie —
Pena pecuniaria — Coobbligati — Conciliazione
amministrativa nei confronti di taluno dei coob ' li<fati — Liberazione degli altri — Inammissi
bilità (R. d. 1. 5 dicembre 1938 n. 1928, art. 2, 3, 4, 8 ; legge 7 gennaio 1929 n. 4, norme generali per la re
pressione delle violazioni delle leggi finanziarie, art.
3, 11).
La conciliazione amministrativa concessa ad un solo dei
trasgressori non ha efficacia liberatoria per gli altri vio latori della norma tributaria, ancorché la violazione sia stata unica per i vari soggetti. (2)
I
La Corte, ecc. — (Omissis). Scendendo all'esame del
merito, si osserva che la principale doglianza degli appel lanti riguarda il mancato accoglimento della loro tesi, secondo la quale, essendo stata la Banca d'America e d'Italia ammessa, ai sensi dell'art. 8 r. decreto legge 5 dicembre 1938 n. 1928, al pagamento di una somma (de terminata in lire 20.000.000), ed essendo pacifico che tale somma era stata pagata, il detto pagamento doveva neces sariamente estinguere, ai sensi del 2° comma del citato
articolo, tutti gli effetti derivanti dalla violazione, non sol tanto nei confronti della Banca, ma anche nei confronti di essi Taragoni e Girtanner, a cui la violazione era ascritta ; cosicché dovevano ritenersi illegittimi tanto il provvedi mento contenuto nel decreto ministeriale impugnato, con cui si infliggeva ad essi Taragoni e Girtanner una pena pecuniaria distinta, escludendo così, implicitamente, che il pagamento da parte della Banca della somma anzidetta
estinguesse nei loro confronti gli effetti derivanti a loro carico dalle violazioni loro ascritte, quanto la pretesa, fatta valere mediante le ingiunzioni fiscali, come sopra loro intimate, di riscuotere la detta pena pecuniaria.
L'appellata sentenza ha respinto la tesi sovraccennata
negandone il presupposto, e cioè l'identità ed unicità della
violazione, e la relativa obbligazione solidale, tra la Banca, il Taragoni e il Girtanner, al pagamento della pena pecu niaria ; al qual riguardo ha osservato che il Ministero del
tesoro, come si desume dalla motivazione del suo decreto, conforme al parere della Commissione consultiva per le infrazioni valutarie, aveva espressamente escluso che le violazioni addebitate al Taragoni e al Girtanner fossero state commesse nell'interesse della Banca d'America e d'Italia ; che, pertanto, il Ministero non aveva ravvisato, nei fatti sottoposti al suo esame, un'unica e identica serie di violazioni di leggi valutarie, tale da dar luogo all'appli cazione di una pena pecuniaria del cui pagamento fosse
corresponsabile, in solido col Taragoni e il Girtanner, la Banca d'America e d'Italia ; ma aveva invece ritenuto, con apprezzamento insindacabile in sede giudiziaria, che il Taragoni e il Girtanner avevano bensì compiuto una serie di violazioni per cui doveva esser loro inflitta una pena pecuniaria ; ma che non sussisteva alcuna solidarietà della Banca per il pagamento di detta pena, perchè non sussi steva in fatto l'ipotesi che avrebbe potuto giustificare tale solidarietà ; e che, d'altra parte, la Banca stessa era dal canto suo incorsa in una distinta e autonoma violazione, diversa da quella commessa dal Taragoni e del Girtanner, per la quale violazione, consistente in un difetto di vigilanza, si sarebbe potuta infliggere alla Banca, che ne era autrice, una distinta pena pecuniaria : in sostituzione della quale, per altro, la si ammetteva mediante una specie di negozio transattivo, al pagamento di una somma, con la corrispet
(1-2) La sentenza riformata dalla Corte fiorentina, Trib. Firenze 2 luglio 1957, leggesi in Foro it., 1958, I, 818, con ampia nota di richiami.
Sulla natura dell'atto con cui il Ministro infligge la pena pecuniaria (e la cui inoppugnabilità è stata dichiarata illegittima da Corte cost. 27 gennaio 1959, n. 1, id., 1959, I, 187), v., da ultimo, Cass. 26 luglio 1900, n. 2160, retro, 1697, con ampia nota di richiami.
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1813 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1814
tiva rinunzia a far valere nei suoi confronti le ragioni del
l'Erario per la supposta violazione sovraccennata ; cosicché, dovendosi escludere che la violazione ascritta alla Banca, i cui effetti venivano estinti con quel pagamento, fosse
quella medesima di cui venivano ritenuti autori il Tara
goni e il Girtanner, gli effetti di quest'ultima non avrebbero
mai potuto rimanere estinti o esclusi dal pagamento che
escludeva o estingueva gli effetti di quella, e solo di quella. Non sembra per altro a questa Corte di poter aderire
al surriferito ragionamento dei primi Giudici, criticato
dagli appellanti con argomentazioni che appaiono fondate.
In primo luogo, deve rilevarsi, a proposito delle ripetute affermazioni contenute nell'appellata sentenza circa la in
sindacabilità dell'apprezzamento dell'organo amministra
tivo, che, se è esatto che l'uso del potere discrezionale, a
questo attribuito dal r. decreto legge 5 dicembre 1938
n. 1928, non può essere sindacato in sede giudiziaria, il suo
provvedimento è tuttavia pienamente sindacabile in questa sede sotto il profilo della legittimità ; quando, come nella
fattispecie, ti assume che, attraverso una inesatta appli cazione delle norme del citato decreto legislativo, esso
abbia leso un diritto soggettivo degli opponenti, col porre a loro carico una obbligazione patrimoniale derivante da
un complesso di violazioni i cui effetti erano per altro
estinti (o potevano, al momento dell'emanazione del de
creto, venire estinti) mediante il pagamento a cui era am
messa la Banca d'America e d'Italia.
Ora, se si esamina il decreto 14 settembre 1956, col
quale il Ministero del tesoro emanava il provvedimento della cui legittimità si discute, deve riconoscersi che non
solo si riscontrano in esso, come ha rilevato l'appellata sentenza, riferimenti inesatti agli articoli del decreto le
gislativo richiamato, ma ne viene fatta, altresì, una ine
satta applicazione, la quale tuttavia non è nel seneo ri
tenuto dal Tribunale, bensì in un senso diverso, e con di
verse conseguenze da quelle tratte dall'appellata sentenza.
Nell'intestazione del decreto in esame, si legge che il
Taragoni e il Girtanner sono incolpati di aver congiunta mente effettuato un illecito commercio di valuta estera, e il Taragoni inoltre di aver agevolato illecite operazioni valutarie di clienti della Banca ; che la Banca d'America
e d'Italia è incolpata non già di aver commesso una qual siasi violazione, bensì « di essere incorsa nella responsabi lità di cui al 1° e 2° comma dell'art. 4 r. decreto legge 5
dicembre 1938 n. 1928, in relazione agli illeciti addebitati
al Taragoni, essendo ipotizzabile che le operazioni da questi
compiute si siano svolte nell'interesse della Banca ». È
quindi evidente che in realtà la Banca d'America e d'Italia
non era « incolpata » di nulla, e che neppure si affacciava
l'ipotesi che essa fosse incorsa in una qualsiasi violazione
delle norme in materia valutaria, nè che potesse esser
considerata alla stregua di quei « trasgressori », ai quali il
Ministro, a norma dell'art. 2 decreto legge citato, ha fa
coltà di infliggere pene pecuniarie, ovvero di coloro, pari menti contemplati in detto articolo, che agevolino il com
pimento delle violazioni o ne ostacolino l'accertamento ; ma che si ipotizzava unicamente, nei suoi confronti, quella
responsabilità solidale per il pagamento della pena pecu niaria inflitta al trasgressore (e cioè, nella fattispecie, al
Taragoni), che è prevista nell'art. 4 detto decreto legge. Va poi sottolineato che tale responsabilità veniva con
templata sotto un duplice profilo, come appare dalle parole «responsabilità di cui al 1° e 2° comma dell'art. 4 », e cioè
che si prospettava l'ipotesi che essa Banca potesse essere
responsabile del pagamento, tanto ai sensi del 1° comma
di detto articolo, come «persona rivestita dall'autorità o
incaricata della direzione e vigilanza », quanto ai sensi del
2° comma, come « ente o società » nel cui interesse sia stato
commesso il fatto costituente la violazione, e che solo a
questo secondo caso si riferiva l'accenno alla possibilità che le operazioni compiute dal Taragoni si fossero svolte
nell'interesse della Banca. Impostato in tal modo (mani festamente erroneo per quanto riguarda il richiamo del 1°
comma dell'art. 4) il tliirna decidendum, il decreto mini
steriale in esame prosegue, nella sua parte motiva, con
l'analisi delle risultanze dell'inchiesta e con l'affermazione
della responsabilità del Taragoni e del Girtanner in ordine
all'illecito traffico di valuta loro ascritto, mentre nei con
fronti della Banca osserva che questa risultava aver avuto
notizia di tali operazioni fin dall'inizio del 1949, e solo nel 1950 aveva risolto il rapporto di impiego col Taragoni ; considera che «le difese addotte dalla Banca risultano
attendibili solo per quanto riguarda la circostanza che l'il lecito traffico posto in essere dai predetti incolpati non è stato realizzato nell'interesse della Banca medesima » ; ritiene di «dover riscontrare nell'operato della Banca gli estremi di un difetto di vigilanza » ; e finalmente, nella
parte dispositiva, infligge la pena pecuniaria al Taragoni e al Girtanner e stabilisce, nei riguardi della Banca, che
questa « ad estinzione di tutti gli effetti derivanti dalla vio lazione specificata nella motivazione del presente decreto
viene ammessa a pagare la somma di lire 20.000.000 ai sensi dell'art. 8 r. decreto legge 5 dicembre 1938 n. 1928 ».
Alla stregua delle quali espressioni, appare del tutto evi dente che, emanando il decreto in esame, il Ministro del
tesoro non intese affatto ccnchiudeie con la Banca, come
affeima l'appellata sentenza, una transazione in ordine ad una responsabilità della Banca stessa per fatti distinti e
autonomi rispetto a quelli addebitati al Taragoni, e che tanto meno ritenne, come sostiene la difesa dell'appellata Amministrazione, che la Banca avesse dolosamente age volato il compimento, o ostacolato l'accertamento, dei fatti ascritti al Taragoni ; ma che, anzi, non fece che seguire quella impostazione (sia pure paizialmente errcnea) che aveva dato fin da principio, come si è dimostrato più sopra, alla questione da decidere : e cioè esaminò dapprima se
potesse affermarsi che sussistesse, per il pagamento della
pena pecuniaria inflitta al Taragoni, una responsabilità solidale della Banca ai sensi del 2° comma dell'art. 4 de creto legge 5 dicembre 1938 ; escluse solo questa respon sabilità ; esaminò poi se potesse affermarsi una responsa bilità della Banca stessa ai sensi del 1° comma del medesimo
articolo, quale « incaricata della vigilanza » e, rilevando
per l'appunto che essa era incorsa «in un difetto di vigi lanza», ritenne che la responsabilità ivi prevista sussi stesse. Deliberando in tal modo, l'organo amministrativo
incorse, senza dubbio, in gravi errori di interpretazione del
1° comma dell'art. 4 citato (errori, d'altronde, già impliciti nel richiamo del detto 1° comma nell'epigrafe del decreto
ministeriale), sia perchè ritenne che l'espressione «persona incaricata della direzione o vigilanza » potesse applicarsi alle persone giuridiche, mentre essa riguarda solo le persone fisiche, sia perchè scese superfluamente ad esaminare se vi fosse stata culpa in vigilando, mentre trattasi di respon sabilità obiettiva ; ma rimane tuttavia certo che, pur at traverso tali errori, volle affermale unicamente che la
Banca era responsabile in solido per il pagamento della
pena pecuniaria inflitta al Taragoni per i fatti attribuitigli, e non considerò minimamente un'autonoma responsabi lità della Banca stessa per fatto proprio. Del che, poi, si ha una riprova nella foimulazione stessa del surriportato dispositivo, in cui è richiamata la «violazione specificata nella motivazione del presente decreto », e cioè quella attribuita al Taragoni (riguardando i fatti specificati in motivazione le violazioni di legge valutarie da questi ccm messe o agevolate), e in cui inoltre si fa espresso richiamo all'art. 8 decreto legge 5 dicembre 1938, il quale contempla l'oblazione unicamente in relazione alla violazione delle norme valutarie di cui all'art. 1 del decreto stesso ; e un'ul teriore riprova si ha ancora nell'avere il provvedimento ministeriale deteiminato la somma da pagarsi dalla Banca sulla base del valore dei titoli e divise oggetto del traffico ascritto al Taragoni e al Girtanner, ai sensi del detto art. 8.
Posto, adunque, che il provvedimento del Ministro del
tesoro, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non fece che affeimare la responsabilità solidale della Banca
d'America e d'Italia per il pagamento della pena pecuniaria relativa alle violazioni commesse dal Taragoni ; e posto,
conseguentemente, che il provvedimento di ammissione
al pagamento della semina di lire 20.000.c00 riguardava
quella violazione, e non già altre, di cui fosse autrice la
Banca ; posto, infine, che non essendo stato nè da questa
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1815 PARTE PRIMA 1816
nè da altri impugnato il detto provvedimento, e non poten dosene dichiarare di ufficio l'illegittimità, ecso deve neces
sariamente rimaner fermo e produrre i propri effetti ; tutto
ciò posto, non rimane che da esaminare se tale ammissione
all'oblazione, seguita dal relativo pagamento, abbia, come
sostengono gli appellanti, estinto la loro obbligazione al
pagamento della pena pecuniaria loro inflitta.
E di tale tesi deve riconoscersi la fondatezza.
Nel sistema delle norme per la repressione delle viola
zioni in materia finanziaria e in materia valutaria, le «pene
pecuniarie » hanno, come è noto, carattere di sanzioni ci
vili ; e quindi sebbene gli istituti, i concetti e persino le
espressioni usate al riguardo dal legislatore appaiano spesso mutuati dalla legge penale, tuttavia la disciplina di dette
pene pecuniarie rimane interamente soggetta ai principi del diritto civile. E così, la norma dell'art. 2 decreto legge 5 dic.embre 1938 n. 1928, la quale stabilisce che il competente Ministro ha facoltà di infliggere ai trasgressori pene pecu
niarie, va intesa nel senso che il fatto della persona fisica, che ha violato le norme valutarie, fa sorgere a suo carico, ex lege, l'obbligazione civile di pagare allo Stato una somma
di denaro, da determinarsi dal Ministro con un suo provve dimento discrezionale entro i limiti stabiliti dal detto
art. 2 ; le norme dell'art. 4, che stabiliscono che persone od
enti che si trovino in determinati rapporti col trasgressore sono tenuti in solido con lui al pagamento della pena pecu niaria inflittagli, significano che dette persone od enti sono
responsabili in solido col trasgressore per l'anzidetta ob
bligazione civile di lui, la quale rimane tuttavia unica ed
inscindibile ; infine, l'art. 8, dando al Ministro facoltà di
ammettere il trasgressore al pagamento di una somma a
titolo di oblazione, e stabilendo che tale pagamento estingue tutti gli effetti derivanti dalla violazione, prevede, per
quanto riguarda la pena pecuniaria, un modo di estinzione
della relativa obbligazione civile del trasgressore : estinta
la quale vien meno, ovviamente, ogni obbligo di coloro che
sono tenuti in solido con lui per detta sua obbligazione. In base a questi concetti, non sembra che debba esser
diversa la soluzione, nel caso in cui il Ministro abbia, appli cando correttamente la legge, ammesso all'oblazione il
trasgressore, con la conseguente estinzione dell'obbliga zione dei coobbligati solidali con costui, e nel caso in cui, come nella fattispecie, il Ministro abbia invece, con una
inesatta applicazione dell'art. 8 sopracitato, ammesso al
l'oblazione il eoobbligato. Anche in questo caso, infatti,
ci si trova pur sempre di fronte ad un'unica obbligazione con più soggetti ; e perciò il Ministro, che abbia, bene o
male, fatto uso della propria facoltà di emettere un prov vedimento in virtù del quale quell'unica obbligazione ri
mane estinta, non può impedire che il provvedimento così
emesso spieghi i propri effetti nei confronti di tutti i soggetti di quell'unica obbligazione, non essendo in sua facoltà di
spezzare quel vincolo di solidarietà, che ò stabilito dalla
legge ; e non essendo d'altra parte giuridicamente possibile che un'unica obbligazione con più soggetti venga estinta
nei confronti di uno di questi senza rimanere estinta anche
nei confronti degli altri : cosicché, ammessa la Banca d'Ame
rica e d'Italia, coobbligata al pagamento della pena pe cuniaria dovuta dai trasgressori, all'oblazione estintiva
dell'obbligazione di pagare la detta pena pecuniaria, auto
maticamente veniva estinta dall'oblazione anche l'obbliga zione dei coobbligati solidali Taragoni e Girtanner, non
potendo la detta obbligazione venir estinta se non nei con
fronti di tutti coloro che ne erano i soggetti. E perciò, limitando gli effetti del proprio provvedimento
alla sola Banca, il Ministro ha indubbiamente leso il diritto
soggettivo di essi Taragoni e Girtanner a giovarsi degli
insopprimibili effetti giuridici del provvedimento steEto, il
quale, estinguendo un'unica obbligazione di cui essi erano
soggetti al pari della Banca, non poteva non estinguerla anche nei loro confronti.
Concludendo, quindi, dovrà riconoscersi la fondatezza
della tesi di essi appellanti, in accoglimento della quale e in
riforma dell'impugnata sentenza, si dovrà dichiarare estinta
la loro obbligazione verso l'Erario per l'avvenuto pagamento della somma stabilita dal Ministero a titolo di oblazione
da parte della coobbligata Banca d'America e d'Italia ; nella quale decisione rimangono assorbite le tesi subordinate
prospettate dagli appellanti stessi circa l'inesistenza delle violazioni loro ascritte e circa la solidarietà dalla Banca d'America e d'Italia nell'obbligazione di pagare la pena
pecuniaria inflittà al Taragoni, nonché tutte le istanze istruttorie relative all'accertamento dei fatti. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
II
La Corte, ecc. — (Omissis). Passando ad esaminare
l'appello nel merito, si osserva che i primi Giudici, con chiara motivazione, hanno ritenuto con la sentenza impu
gnata la fondatezza delle opposizioni proposte dagli odierni
appellanti, in quanto, unica dovendosi ritenere la violazione
dei vari compartecipi alla infrazione valutaria, unica do vesse essere la sanzione ; hanno altresì affermato il principio che la pena pecuniaria inflitta a più trasgressori ad una leg ge finanziaria ha carattere di sanzione civile e, come tale, è soggetta ai principi della solidarietà, nel senso che la estin zione della obbligazione da parte di uno dei trasgressori estingue l'obbligazione anche nei confronti degli altri (art. 3 decreto legge n. 4 del 1929, espressamente richiamato dall'art. 3 legge n. 1928 del 1938, ed art. 11 della citata
legge n. 4 del 1929). Hanno affermato, in sostanza, che, in
applicazione dei suddetti principi, il pagamento della somma stabilita in via di conciliazione amministrativa ai sensi
dell'art. 8 legge del 1938, pagamento eseguito da parte di alcuni dei trasgressori ammessi, aveva determinato la estinzione del debito solidale per pena pecuniaria. Id
particolare hanno precisato che, una sola essendo la pena
pecuniaria indipendentemente dal numero dei soggetti (te nuti in solido al pagamento quali autori materiali, c
preposti ad enti), « la conciliazione, che altro non è che k
determinazione del quantum della pena pecuniaria, nor
poteva non riguardare oggettivamente detta pena, e noi
poteva non costituire la liquidazione di quel debito ch<
sarebbe pur sempre unico, e soggetto al comune princi
pio della solidarietà obbligatoria ».
L'Amministrazione appellante resiste a tali affermazioni
con un duplice ordine di argomentazioni :
a) che nella specie trattavasi di violazioni separate e distinte, facenti capo a due distinti gruppi di prevenuti :
e tale differenziazione si ravvisa nel diverso grado di parte
cipazione alle violazioni accertate, con particolare riguardo al profilo soggettivo ;
b) che, pur volendo ritenere la unicità della violazione, il fatto che il Ministero del tesoro, per un gruppo di trasgres sori, anziché infliggere la pena pecuniaria, aveva consentito
la conciliazione amministrativa, non era di impedimento alla applicazione della pena pecuniaria all'altro gruppo. Ciò perchè, per il peculiare sistema introdotto dalla legge n. 1928 del 1938, la composizione amministrativa, di cui
all'art. 8 della legge, non estinguerebbe, obiettivamente,
l'obbligazione della pena pecuniaria, ma si risolverebbe,
quanto alla solidarietà, « in un modo di svincolare uno dei
debitori dal debito solidale » : e questo sotto il duplice
profilo, sia delle modalità con le quali la conciliazione viene
concessa, sia della operatività, nel caso di specie, delle norme
dettate in tema di svincolo di un coobbligato solidale. La Corte, pur condividendo alcuni dei principi affermati
dalla sentenza impugnata, ritiene, tuttavia, che la legittimità del decreto del Ministero del tesoro non possa nella specie contestarsi, e ciò proprio in virtù delle norme che regolano la disciplina amministrativa nel sistema, indubbiamente
singolare, della repressione dall'illecito valutario di cui
alla legge del 1938, e con particolare riguardo al momento
in cui sorge la solidarietà.
Non ritiene innanzi tutto la Corte di dover accogliere la tesi della Amministrazione laddove questa sostiene
la diversità delle violazioni con riguardo ai due gruppi di trasgressori.
Pur vero che il grado di partecipazione alla infrazione
contestata è diverso rispetto ai due gruppi di trasgressori ed
esatto altresì che il sistema della legge del 1938, nelle sue
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1817 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1818
varie disposizioni, pone l'accento sulla modalità della viola
zione da un lato, e sulla personalità dei trasgressori, dal
l'altro, tutto ciò non toglie che per parlarsi di unicità o plu ralità di violazioni debba tenersi conto della materialità del
fatto, in relazione all'oggetto giuridico tutelato dalla legge, e che si concreta nel divieto dell'uso di valuta estera in
difformità ed in violazione delle norme dettate in materia.
Nel caso in esame non vi ha dubbio che, anche a voler
distinguere i due gruppi di trasgressori, sia all'uno sia
all'altro si addebita, in definitiva, il trasferimento all'estero
di una medesima quantità di valuta.
La legittimità dell'operato del Ministero del tesoro
appare invece evidente solo che si consideri che la
conciliazione amministrativa, concessa tramite la Cassa
di risparmio, al Niccolini (Presidente) ed all'avv. Gobbo
(Vice presidente), non è stata, nè poteva essere, come inesat
tamente hanno ritenuto i primi Giudici, « una speciale forma
di determinazione del quantum della pena pecuniaria », ma la richiesta del pagamento di una somma determinata,
prima della comminazione della pena pecuniaria e in sosti
tuzione della stèssa.
Come si evince chiaramente dalla lettera dell'art. 8
della legge del 1938, posta a disciplina della conciliazione
di cui si discute, il Ministro del tesoro, avuto riguardo alle circostanze in cui è stata commessa la violazione e avuto
riguardo altresì ai precedenti del trasgressore che ne faccia
richiesta e soltanto di questo, « anziché infliggere la pena
pecuniaria », e di conseguenza prima che quest'ultima sia
in concreto determinata ed irrogata, può ammettere il
richiedente al pagamento di una somma che viene stabi
lita nel suo ammontare, con criteri del tutto diversi da quelli che debbono essere tenuti presenti per la irrogazione della
pena. La conciliazione in parola infatti, nei suoi tratti carat
teristici or ora rilevati, opera, si, dopo l'accertamento e la
contestazione della trasgressione, ma prima che la pena
venga inflitta ; la solidarietà è dalla legge del 1938 prevista
per l'obbligazione relativa al pagamento della pena pecu
niaria, che sarà in atto solo se ed in quanto dovuta e deter
minata nel suo ammontare. La conciliazione amministra
tiva, dunque, in quanto concessa al trasgressore che ne ha
fatto richiesta (e sempre che sia riconosciuto meritevole) in un momento anteriore a quello, nel quale la obbligazione al pagamento della pena pecuniaria sorge nella sua obiet
tività giuridica (irrogazione in concreto della stessa), resta
al di fuori del principio della solidarietà, riguardante solo
gli obbligati al pagamento della pena pecuniaria. È da
osservare infatti che l'art. 3 legge n. 4 del 1929 (espressa mente richiamato dall'art. 3 legge n. 1928 del 1938), in ap
plicazione del principio, per cui le trasgressioni finanziarie
non costituenti reato sono sanzionate con la pena penuniaria,
precisa che sono le singole leggi speciali che stabiliscono
quando dalla violazione delle norme in esse contenute
sorge, per il trasgressore, l'obbligo al pagamento di una
somma a titolo di pena pecuniaria. Il successivo art. 11
poi della stessa legge n. 4 del 1929 (richiamato pur esso *
dalla legge del 1938) ricollega espressamente ed unicamente
nell'esistenza di detto obbligo il principio della solidarietà
obbligatoria. Nella specie, poiché la legge del 1938 (che è pur essa una
legge finanziaria fra quelle previste dal citato art. 3) dà
facoltà al Ministero del tesoro, avuto riguardo ai precedenti del trasgressore ed alle circostanze in cui la trasgressione è stata commessa, di esentare quello dei trasgressori che ne
faccia richiesta dalla inflizione della pena pecuniaria e di
ammetterlo, in luogo di questa, al pagamento di una somma, a titolo non più di pena ma di conciliazione, ne deriva che è
del tutto fuor di luogo richiamare le norme della solidarietà
fra il trasgressore ammesso alla conciliazione e quelli alla
conciliazione non ammessi, giacché tra l'uno e gli altri il
vincolo della solidarietà, operante, ripetesi, solo nell'ambito
degli obblighi al pagamento della pena pecuniaria, nel caso
non è mai sorto.
In sostanza, dunque, la conciliazione amministrativa
di cui si tratta, si limita ad estinguere gli effetti derivanti
dalla violazione nei soli confronti del trasgressore ammesso
al particolare beneficio, per il quale soltanto vengono a
cessare tutte le conseguenze connesse con la violazione medesima. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA.
Sentenza 29 gennaio 1960 ; Pres. Mazza P., Est. Palumbo ; Guidi (Avv. Marone, P allottino) c. Condominio Via Crescenzio 10-12 di Roma (Avv. Malintoppi. Morelli,
Moricca) .
Ingiunzione (procedimento per) — Opposizione —
Termine a comparire — induzione a meno della metà- — Provvedimento del presidente del tri bunale — Nullità della citazione — Costituzione
dell'opposto — Sanatoria « ex nunc » (Cod. proc. civ., art. 163 bis, 645).
La costituzione del convenuto, effettuata dopo la scadenza del termine per l'opposizione, sana ex nunc la nullità del
l'atto d'opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale sia
assegnato un termine a comparire inferiore a quello di
midiato previsto dall'art. 645 cod. proc. civ., ancorché
preceduto dal decreto di abbreviazione pronunziato dal
presidente del tribunale, ai sensi dell'art. 163 bis stesso co dice. (1)
(1) In senso conforme App. Milano 18 dicembre 11)56, Foro it., Rep. 1957, voce Ingiunzione, n. 45 ; Cass. 19 gennaio 1956, n. 163, id., Rep. 1956, voce cit., n. 80, sentenza criticata da D'Onofrio, Irriducibilità dei termini di comparizione di cui all'art. 6i5 cod. proc. civ. 1, in Giust. civ., 1956, I, 868 ; contra Trib. Roma 30 maggio 1952, Foro it., Rep. 1952, voce cit., n. 63.
Sulla possibilità di sanatoria dell'atto di citazione nullo, ove il convenuto (o appellato) si costituisca, v. Cass. 6 maggio 1960, n. 1038, retro, 935, con ampia nota di richiami.
* * *
Riteniamo opportuno riprodurre la motivazione della sen tenza della Cassazione 19 gennaio 1956, n. 163, più volte richia mata da quella che s'annota e sopra citata :
« La Corte di appello ritenne che il potere di abbreviazione dei termini di comparizione nelle cause che richiedono pronta spedizione, attribuito al giudice dall'art. 163 bis, 2° comma, cod. proc. civ., sia riferibile, per il suo carattere generico, a tutte le controversie di cognizione, e quindi anche a quelle di opposi zione a decreto ingiuntivo, nonostante che per queste l'art. 645 cod. proc. civ. preveda la riduzione alla metà dei termini ordi nari di comparizione.
« Per tale interpretazione, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo che richiedano « pronta soluzione », secondo la formula dell'art. 163 bis, 2° comma, citato, relativo ai giudizi di cognizione in genere, verrebbe ad essere, in definitiva, ridotto alla quarta parte del termine ordinario. Mentre nei giudizi di
cognizione ordinari l'esigenza di celerità, anche particolarmente grave, non può che giustificare la riduzione alla metà dei termini di comparizione, nei giudizi di opposizione suindicati sarebbe
consentita, oltre quella legislativa, l'ulteriore riduzione. Il pre supposto influente sulla previsione della riduzione legislativa, prova scritta idonea a norma dell'art. 634 cod. proc. civ. e cre dito di cui ai nn. 2 e 3 dell'art. 633, influirebbe indirettamente anche per l'ulteriore riduzione senza nemmeno l'accertamento di una speciale esigenza di celerità rispetto ai procedimenti ordinari di cognizione. Ora, che il potere di abbreviazione abbia una così ampia sfera di applicazione non può giustificarsi affer mando il carattere generico dell'art. 613 bis, 2° comma, citato, il quale invece, riferendosi espressamente « ai termini indicati
dal 1° comma », in tanto potrebbe ritenersi applicabile in quanto si potesse desumerlo dall'art. 645, che disciplina l'opposizione a decreto ingiuntivo. Ma quest'ultimo articolo, se stabilisce in
genere che l'opposizione si svolge secondo le norme del proce dimento ordinario davanti al giudice adito, prescrive contem
poraneamente che i termini di comparizione sono ridotti alla
metà e con ciò, riconoscendo rilievo all'urgenza per un'astratta
ed autonoma riduzione dei termini, esclude eie questi possano essere considerati « termini indicati nel 10 comma » e che un ulte
riore giudizio di urgenza possa essere compiuto in singoli casi
per altra riduzione, con notevole limitazione del diritto di difesa.
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