sentenza 18 luglio 1984, n. 209 (Gazzetta ufficiale 25 luglio 1984, n. 204); Pres. Elia, Rel.Roehrssen; Loreti c. Passalacqua; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Sernicola). Ord.Trib. Roma 15 febbraio 1979 (Gazz. uff. 8 agosto 1979, n. 217)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2415/2416-2417/2418Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178063 .
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2415 PARTE PRIMA 2416
alcune forme di vita associata, governate da esigenze di ordine e
di disciplina rinforzati, possono nella preservazione ad ogni costo di tali esigenze trovare copertura e manifestarsi con particolari intollerabilità.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 49 c.p.mil.pace; dichiara, ex art. 27 1. 11
marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 dello
stesso codice limitatamente all'inciso « e salva la disposizione dell'articolo seguente ».
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 luglio 1984, n. 209
(Gazzetta ufficiale 25 luglio 1984, n. 204); Pres. Elia, Rei.
Roehrssen; Loreti c. Passalacqua; interv. Pres. eons, ministri
(Aw. dello Stato Sernicola). Orci. Trib. Roma 15 febbraio 1979 (Gazz. uff. 8 agosto 1979, n. 217).
Giornalista — Istituto nazionale previdenza giornalisti Giovanni
Amendola — Pensioni, assegni e altre indennità dovute agli assistiti — Pignorabilità per crediti alimentari — Esclusione —
Incostituzionalità (Cost., art. 24, 29; 1. 9 novembre 1955 n.
1122, disposizioni varie per la previdenza e l'assistenza sociale
attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti G.
Amendola, art. 1; d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, t.u. delle
leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione
degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, art. 2).
È illegittimo, per violazione degli art. 24 e 29 Cost., l'art. 1 l. 9
novembre 1955 n. 1122, nella parte in cui non prevede la
pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni, assegni ed
altre indennità dovute dalla Cassa di previdenza dei giornalisti « Giovanni Amendola », negli stessi limiti stabiliti dall'art. 2, n.
1, d.p.r. 180/50. (1)
Diritto. — 1. - La corte è chiamata a decidere se l'art. 1 1. 9
novembre 1955 n. 1122 sia costituzionalmente legittimo, in rela
zione agli art. 3, 24 e 29 Cost., nella parte in cui esclude la
pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni, delle indennità
e degli assegni corrisposti dall'Istituto nazionale di previdenza dei
giornalisti italiani.
2. - La questione è stata già esaminata da questa corte, la
quale con la sent. 18 dicembre 1972, n. 214 (Foro it., 1973, I,
997) ha escluso che l'art. 1 in parola violasse l'art. 3, 1° comma, Cost. Si osservò in tale occasione che non sussistesse analogia fra
la categoria dei giornalisti e le categorie di liberi professionisti alle quali si faceva riferimento nella ordinanza di rimessione e
per le quali le pensioni, assegni ed altre indennità dovute dalle
casse di previdenza sono parzialmente pignorabili.
(1) L'ordinanza di rimessione Trib. Roma 15 febbraio 1979 è massi
mata in Foro it., 1979, J, 2798. Il dubbio d'incompatibilità con l'art. 3 Cost, era già stato respinto
dalla corte — sent. 18 dicembre 1972, n. 214, id., 1973, I, 997, annotata da M.G. Garofalo, in Ciur. costit., 1972, 2297, il quale rimarcava come fosse mancato il pur richiesto confronto rispetto alla
disciplina del pubblico impiego — col dire che la categoria dei
giornalisti non poteva essere assimilata a quelle, libero-professionali, degli avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e geometri, per le cui
pensioni, assegni e indennità era ammessa la parziale pignorabilità anche per crediti di natura fiscale: ciò che rendeva particolarmente impervia la prospettiva di un riesame della questione alla luce di
Corte cost. 105/77, Foro it., 1977, I, 1604, resa in margine agli assegni di
integrazione corrisposti ai notai.
Senonché, l'autorità remittente ha avuto cura di sollevare il dubbio di legittimità anche riguardo agli art. 24 e 29 Cost., sottolineando l'accresciuta tutela che ai crediti alimentari nell'ambito della famiglia (ma una nozione tanto allargata va presa cum grano salis: cfr., sin
d'ora, D. Vincenzi Amato, Gli alimenti, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 4, Torino, 1982, 805, 883) rinviene dalla normativa sul divorzio (cfr., da ultimo, L. Tazza, L'ordine giudiziale di pagamento previsto dall'art. 8, 3" comma, l. 1° dicembre 1970 n.
898, in Rass. dir. civ., 1982, 791, e M. Caputo, Ordine al terzo di
versamento diretto di quota di reddito ex art. 8, 3° comma, l. 1" dicembre 1970 n. 898. Prima introduzione di un giudizio per ordinan
za?, in Giur. it., 1982, IV, 244) e dalla stessa riforma del diritto di
famiglia (v. il quadro d'insieme offerto da G. Gabrielli, L'ordine
giudiziale di pagare a familiari del creditore, in Riv. dir. civ., 1976, I, 445). Tanto è bastato per schiudere ai giudici della Consulta attraver so un'esplicita ed accorta Interessenabwàgung (valutazione comparativa
degli interessi) l'opportunità di ricondurre anche il settore considerato entro le linee maestre dell'art. 2 d.p.r. 180/50.
Senonché nel caso presente viene denunciata anche la violazio ne degli art. 24 e 29 Cost., e ciò impone alla corte di riesaminare la questione medesima alla stregua di questi nuovi parametri.
Sotto questo profilo la questione è fondata.
3. - Il problema che viene sottoposto alla corte consiste nello
stabilire se ed entro quali limiti il diritto dei familiari agli alimenti possa essere fatto valere sugli assegni pensionistici spet tanti ai soggetti obbligati agli alimenti medesimi.
Osserva la corte che il diritto agli alimenti trova indubbiamen
te riconoscimento costituzionale nell'art. 29, 1° comma, Cost.
Non può dubitarsi che dal matrimonio come sorge l'obbligo di
mantenere i figli (art. 30, 1° comma, Cost.) cosi nasce anche
l'obbligo di coloro che al matrimonio hanno dato vita di mante
nersi reciprocamente, cioè l'obbligo di non lasciare prive dei
necessari mezzi di vita le persone legate dai vincoli più stretti
(coniugi, genitori, fratelli).
L'obbligo degli alimenti costituisce, invero, una delle espressio ni più significative, non soltanto sotto l'aspetto economico, del
legame che si pone in essere con il matrimonio: si tratta di uno
degli elementi costitutivi più rilevanti di quella famiglia che l'art. 29 definisce « società naturale fondata sul matrimonio » e che,
per il successivo art. 31, deve essere agevolata con misure
economiche ed altre provvidenze sia nella sua formazione sia
nell'adempimento dei compiti relativi.
Una applicazione di questi concetti, per quel che riguarda i
lavoratori dipendenti, può rinvenirsi nell'art. 36, 1° comma, Cost., il quale nel porre i criteri essenziali per la determinazione della
retribuzione fa esplicito riferimento alle esigenze non soltanto del lavoratore, ma anche della famiglia che egli abbia costituito e
verso la quale ha assunto, fra gli altri, l'obbligo del quale si è
fatto cenno.
Ciò premesso, il diritto agli alimenti incide sulle retribuzioni
nonché sugli assegni, pensioni, indennità spettanti al lavoratore, cioè su tutti gli emolumenti che vengono percepiti da costui
durante il corso del rapporto di lavoro o dopo la sua cessazione e che, a loro volta, trovano fondamento costituzionale nel già citato art. 36, secondo la giurisprudenza di questa corte.
Ne deriva che se la norma costituzionale, come si è detto, vuole che delle esigenze familiari si tenga conto ai fini della determinazione della retribuzione, sarebbe illogico che il lavorato re obbligato agli alimenti possa legalmente sottrarsi a questo suo
obbligo dopo avere fruito o mentre fruisce del trattamento economico corrispondente alla situazione familiare.
D'altronde, escludere ogni possibilità di far valere sugli assegni pensionistici in genere il diritto agli alimenti equivarebbe a
sopprimere questo diritto, lasciando — in violazione dell'art. 29, 1° comma, Cost. — il suo titolare privo delle possibilità di avere un qualche mezzo di sostentamento, mentre, per converso, am metterlo a far valere il diritto sugli assegni del coniuge, del
genitore, del figlio, ecc., significa soltanto limitare i mezzi di cui
dispone quest'ultimo. Peraltro l'entità dell'assegno o pensione goduta dall'obbligato
deve operare sul quantum da accordare all'avente diritto. Ed infatti da un lato la norma generale contenuta nell'art. 438
c.c. stabilisce che gli assegni alimentari devono essere commisura ti anche alle condizioni economiche dell'obbligato e dall'altro tutte le norme che consentono il pignoramento ed il sequestro degli assegni pensionistici pongono un limite massimo commisura to all'ammontare degli assegni stessi.
L'art. -1 1. n. 1122/55 deve pertanto, essere dichiarato costitu zionalmente illegittimo in relazione all'art. 29, 1° comma, Cost., rimanendo assorbita ogni altra questione di legittimità costituzio nale.
Quanto al limite entro il quale assegni ed indennità dell'obbli
gato possano essere assoggettati a pignoramento o sequestro, la
corte ritiene, anche in analogia a quanto affermato con la sent. n.
105 del 1977 (id., 1977, I, 1604), che si debba fare applicazione del disposto dell'art. 2, n. 1, d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180.
Questa norma, infatti, può essere considerata di carattere
generale nella materia non solo perché l'art. 1 di detto decreto la
rende applicabile ad una vasta serie di lavoratori dipendenti, ma
anche perché è stata estesa a numerose altre categorie di soggetti per effetto dei richiami che ad essa ha fatto il legislatore in altre
occasioni (1. 9 febbraio 1963 n. 16: « istituzione della cassa
nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e
periti commerciali »; 1. 3 febbraio 1963 n. 100: « istituzione della
cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori
commercialisti »; 1. 8 gennaio 1952 n. 6: « istituzione della cassa
nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e
procuratori »). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 1 1. 9 novembre 1955 n. 1122 (« diposizioni
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
varie per la previdenza e l'assistenza attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani G. Amendola), nella parte in cui non prevede la pignorabilitaà per crediti alimentari delle
pensioni, assegni e altre indennità dovute dalla cassa di previden za dei giornalisti G. Amendola, negli stessi limiti stabiliti dall'art.
2, n. 1, d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 luglio 1984, n. 194
(Gazzetta ufficiale 18 luglio 1984, n. 197); Pres. Elia, Rei.
Corasaniti; Pitanza c. Barbagallo. Ord. Trib. Catania 25 gen naio 1980 (Gazz. uff. 28 maggio 1980, n. 145).
Famiglia (regime patrimoniale della) — Beni dotali — Poteri
esclusivi di amministrazione in capo al marito — Questione
inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 29; cod. civ., art.
184 [nel testo vigente prima della riforma del 1975]; 1. 19 mag
gio 1975 n. 151, riforma del diritto di famiglia, art. 227).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
184 c.c., testo vigente prima della novella del '75, nella parte in
cui dispone che, ove la moglie conservi la proprietà dei beni
dotali, il marito da solo ne ha l'amministrazione durante il
matrimonio, e dell'art. 227 l. 151/75, nella parte in cui prevede che le doti costituite prima dell'entrata in vigore della legge
siano disciplinate dalle norme previgenti, in riferimento all'art.
29, 2" comma, Cost. (1)
Diritto. — 1. - Ipotizzando il contrasto con l'art. 29, 2° comma,
Cost, dell'art. 184 c.c. nel testo anteriore alla riforma del diritto
di famiglia — disposizione concernente l'amministrazione dei beni
dotali — e dell'art. 227 della novella 19 maggio 1975 n. 151
introduttiva della riforma — disposizione diretta, in riferimento
al divieto di costituire nuovi doti (art. 166 bis del codice
novellato), a sancire l'ultrattività del detto art. 184 stabilendo che
le doti costituite continuino a essere disciplinate dalle norme
anteriori — l'ordinanza di rimessione non revoca in dubbio la
legittimità costituzionale dell'istituto della dote nella sua totalità.
Ciò esime dall'affrontare il più ampio problema se il detto
istituto trovi sostegno necessario (o soltanto premessa storica) in
una concezione della famiglia, e della posizione in questa della
donna, non coerente o addirittura incompatibile col principio di
eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi espresso nel cennato
precetto costituzionale, senza trovare in pari tempo giustificazione in ragioni di garanzia dell'unità familiare.
Ed esime altresì dall'indagine, conducente alla prima, se la
soppressione ad opera della riforma sia dovuta a esigenze di
adeguamento alla Costituzione, o soltanto di ammodernamento,
della disciplina dei rapporti patrimoniali fra coniugi; nonché
dall'indagine, correlata alla prima, se la conservata operatività della disciplina anteriore per i rapporti patrimoniali costituiti
ripeta, o no, idonea giustificazione da effettive esigenze di diritto
transitorio.
2. - Nella valutazione della rilevanza della questione contenuta
in motivazione, e nella formulazione della questione espressa in
dispositivo, l'ordinanza di rimessione prende di mira l'interna
struttura dell'istituto dotale. In particolare essa denuncia la di
stribuzione fra i coniugi dei poteri di amministrazione dei beni
dotali, come stabilita dalla normativa del codice civile non
i(l) iL'ordinanza di rimessione Trib. Catania 25 gennaio 1980 è massi
mata in Foro it., 1980, I, 2359, con nota di richiami.
L'istituto dotale, insalutata vestigia di un tempo che fu (v., per una colorita testimonianza, L. Di Cerbo, Anacronismo dell'istituto
delta dote, in Nuovo diritto, 1983, 14), è tramontato, lasciandosi alle
spalle, a mo' di ' ultimi fuochi ', gli strascichi di una transitoria
ultrattività {sui relativi problemi cfr., in generale, A. Villani, Dote
(regime transitorio), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino,
1982, III, 186). La corte ricorda, in limine, di non essere chiamata a valutare la
compatibilità dell'istituto, nel suo insieme, col principio di eguaglianza tra i coniugi, e neppure se la sua soppressione, con la riforma del '75, abbia rappresentato un necessario adeguamento costituzionale (secondo una traiettoria esplorata di recente, non senza un certo qual disincan
to, da A. 'Iannarelli ed E. Quadri, La rilevanza costituzionale della
famiglia: prospettive comparatistiche, in Dir. famiglia, 1983, 1124). Il dubbio di legittimità investe il solo profilo delia distribuzione — si fa
per dire! — dei poteri di amministrazione (cfr. iM. Finocchiaro,
Illegittimità costituzionale della dote?, nota alla su citata ordinanza di
rimessione, in Giust. civ., 1980, il, 1161), e si arena di fronte alla
constatazione che la pluralità di tecniche con cui propiziare un assetto
più equilibrato è ben dentro la ' provincia
' discrezionale del legislatore.
novellato — art. 184, e, di riflesso, art. 182 — distribuzione suscettiva di apparire, secondo il giudice a quo, gravemente sperequativa in danno della moglie, nonostante il temperamento apprestato dal rimedio della separazione della dote (art. 202 ss.
c.c. non novellato). L'ordinanza postula, in tal modo, un intervento additivo di
questa corte, svolto a sostituire, a quella disposta dalla nor
mativa impugnata, una distribuzione più equa e cosi più confor
me al cennato precetto costituzionale.
3. - Ma la tecnica manipolativa e adeguatrice sollecitata non
appare alla corte sperimentabile nel caso concreto. È ardua,
invero, la pura e semplice estensione (che sembra ipotizzata dall'ordinanza di rimessione) alla dote (particolarmente in riferi
mento all'ipotesi di acquisto da parte del marito della proprietà dei beni dotali, ma anche in riferimento all'ipotesi di conserva
zione della proprietà da parte della moglie) della struttura pro pria di altri regimi patrimoniali (quale quella del fondo patrimo niale, che si adegua in parte qua — art. 168, 3° comma, 180 c.c.
novellato — a quella della comunione legale, istituto certo non
affine alla dote sotto il profilo del regime della proprietà dei beni
che ne sono oggetto). Una siffatta soluzione non si presenta infatti come obbligata,
ben potendo darsene altre (eventualmente differenziate in rela
zione all'ipotesi di modificato assetto dei rapporti personali fra i
coniugi) non contrastanti sotto l'aspetto considerato con il precet to costituzionale in argomento: come quella, ad esempio, di
conferire alla moglie, anche se non attributaria dell'amministra
zione, poteri di opposizione agli atti di amministrazione del marito attributario.
Non essendo configurabile una sola soluzione — e quindi una soluzione obbligata — ma più soluzioni, la sentenza additiva che ne adottasse una invaderebbe un ambito riservato alla discrezio nalità insindacabile del legislatore.
La questione va pertanto dichiarata inammissibile. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale degli art. 184 c.c., nel testo anteriore alla 1. 19 maggio 1975 n. 151, e 227 della detta 1. n. 151 del 1975, sollevata, in riferimento all'art. 29, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Catania con ordinanza 25 gennaio 1980.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 giugno 1984, n. 180 (Gazzetta ufficiale 4 luglio 1984, n. 183); Pres. Elia, Rei. De Stefano; imp. Perini Bembo ed altri; interv. Pres. cons, mini stri (Avv. dello Stato Siconolfi). Ord. Trib. Como 15 aprile 1977 (Gazz. uff. 13 luglio 1977, n. 190); 26 aprile 1977 (id. 20 luglio 1977, n. 198); Trib. Bolzano 1° dicembre 1980 (id. 13 maggio 1981, n. 130); Trib. Como 28 novembre 1980 (id. 12 agosto 1981, n. 221); 5 febbraio 1981 (id. 30 settembre 1981, n. 269); 24 aprile 1981 (id. 18 novembre 1981, n. 318) e 18 dicembre 1981 (id. 3 novembre 1982, n. 303).
Cambio e valuta — Definizione di « residenza all'estero » ai fini
valutari — Mancanza di riferimento alla fattispecie concreta —
Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 35; d.l. 4 marzo 1976 n. 31, disposizioni penali in materia di in
frazioni valutarie, art. 1; 1. 30 aprile 1976 n. 159, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, art. 1; 1. 8 ottobre 1976 n. 689, conversione in legge del d.l. 10 agosto 1976 n. 543, concernente modifica dell'art. 2 1. 30 aprile 1976
n. 159, art. 3; 1. 23 dicembre 1976 n. 863, conversione in legge del d.l. 19 novembre 1976 n. 759, concernente modifica dell'art.
2 1. 30 aprile 1976 n. 159, sostituito dall'art. 3 1. 8 ottobre 1976
n. 689, art. 2). Cambio e valuta — Definizione di « residenza all'estero » ai fini
valutari — Limitazione della previsione al lavoro dipendente od artigianale svolto all'estero — Incostituzionalità (Cost., art.
3, 35; d.l. 6 giugno 1956 in. 476, iart. 1; d.l. 4 marzo 1976 n. 31,
art. 1; 1. 30 aprile 1976 n. 159, art. 2; 1. 8 ottobre 1976 n. 689, art. 2; 1. 23 dicembre 1976 n. 863, art. 2).
Cambio e valuta — Definizione di « residenza all'estero » ai fini
valutari — Limitazione della previsione al lavoro dipendente o artigianale svolto all'estero — Disparità di trattamento ri
spetto ad attività economiche di altra natura — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; d.l. 4 marzo 1976 n.
31, art. 1; 1. 30 aprile 1976 n. 159, art. 3; 1. 8 ottobre 1976 n.
689, art. 2; 1. 23 dicembre 1976 n. 863, art. 2).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, ult. comma, d.l. 4 marzo 1976 n. 31, come modificato dall'art. 1 l.
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