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sentenza 18 novembre 2002; Giud. Amisano; Mannarino (Avv. M. e A.G. Lana, Melillo) c. Min. sanità

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sentenza 18 novembre 2002; Giud. Amisano; Mannarino (Avv. M. e A.G. Lana, Melillo) c. Min. sanità Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1283/1284-1285/1286 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198292 . Accessed: 25/06/2014 02:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.205 on Wed, 25 Jun 2014 02:44:59 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 18 novembre 2002; Giud. Amisano; Mannarino (Avv. M. e A.G. Lana, Melillo) c. Min.sanitàSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1283/1284-1285/1286Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198292 .

Accessed: 25/06/2014 02:44

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PARTE PRIMA 1284

TRIBUNALE DI GENOVA; sentenza 18 novembre 2002; Giud. Amisano; Mannarino (Avv. M. e A.G. Lana, Melillo) c. Min. sanità.

TRIBUNALE DI GENOVA;

Prescrizione e decadenza — Risarcimento del danno da con

tagio post-trasfusionale — Prescrizione — Decorrenza

(Cod. civ., art. 2043, 2935; 1. 25 febbraio 1992 n. 210, inden nizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e

somministrazione di emoderivati).

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno

per contagio post-trasfusionale decorre dal momento in cui il

danneggiato, usando la normale diligenza, avrebbe potuto avere piena conoscenza del meccanismo causale scatenante

l'infezione e non dal momento in cui questi ne ha in concreto

avuto conoscenza ad esito del procedimento per il riconosci

mento dell'indennizzo di cui alla l. 210/92. (1)

Fatto e svolgimento del processo. — Con atto di citazione

ritualmente notificato, Mannarino Luigi conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Genova il ministero della sanità, chie

dendone la condanna al risarcimento dei danni da esso attore

subiti. Esponeva il Mannarino che era stato sottoposto fin dalla pri

ma infanzia a terapia emotrasfusionale, in quanto affetto da

morbo di Cooley; che in data 21 aprile 1989 veniva ricoverato

presso la sezione malattie infettive della III clinica pediatrica di

Torino con diagnosi di «epatite in talassemico» e risultava Hcv

positivo dal gennaio 1990; che in data 9 marzo 1995 inoltrava al

ministero della sanità la domanda tesa ad ottenere l'indennizzo

ex 1. 210/92 ed in data 3 marzo 1997 gli veniva comunicato che

la commissione ospedaliera aveva ritenuto la sussistenza del

nesso causale tra la trasfusione e l'infermità epatopatia Hcv cor

relata.

Lamentava la violazione dell'obbligo di farmacovigilanza da

parte del ministero della sanità ed agiva in giudizio per ottenere

il risarcimento di tutti i danni, compreso quello morale, configu randosi la fattispecie criminosa di lesioni personali gravissime e

permanenti. Si costituiva il convenuto, eccependo la prescrizione e conte

stando le pretese attoree.

In data 18 giugno 2002, sulle conclusioni di cui in epigrafe, la

causa veniva trattenuta in decisione.

Motivi della decisione. — Premesso che il Mannarino si

duole di essere vittima del reato di lesioni e che tali lesioni pos sono essere qualificate come colpose (art. 590 c.p. e non come

erroneamente richiamato art. 582 e 583 c.p.), in relazione alla

(1) In senso contrario, cfr. Trib. Roma 8 gennaio 2003, Foro it., 2003, I, 622, con nota di richiami, che ha ritenuto che la prescrizione decorre dal momento in cui il danneggiato riceve notizia da parte delle commissioni mediche ospedaliere di cui alla 1. 210/92 della certifica zione relativa all'esistenza del nesso causale tra la trasfusione ed il

contagio, escludendo la rilevanza di una preventiva conoscenza di aver contratto l'infezione all'esito di accertamenti laboratoristici.

La decisione in epigrafe richiama invece espressamente Cass. 12

agosto 1995, n. 8845, id., Rep. 1995, voce Prescrizione e decadenza, n. 29, secondo cui «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta al

l'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile». In giurisprudenza, per il costante insegnamento secondo cui l'ignoran

za di fatto della titolarità del diritto non impedisce in genere la decorrenza del termine di prescrizione, cfr. Cass. II dicembre 2001, n. 15622, id..

Rep. 2001, voce cit., n. 15, secondo la cui massima ufficiale «l'impossi bilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non

comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, come quelli che trovino la loro causa nell'ignoranza, da parte del titolare, dell'evento generatore del suo diritto e nel ritardo con cui egli proceda ad accertarlo»; nonché, negli stessi termini, tra le più recenti, cfr. Cass. 9

maggio 2000, n. 5913, ibid., n. 42; 3 maggio 1999, n. 4389, id., 2000, I, 3306; 25 novembre 1997, n. 11809, id.. Rep. 1997, voce Successione e

reditaria, n. 76; 18 settembre 1997, n. 9291, ibid., voce Prescrizione e decadenza, n. 14, che fa salva l'ipotesi di dolo del debitore ai sensi del l'art. 2941, n. 8, c.c.; Corte conti, sez. giur. reg. Lombardia, 8 maggio 1995, n. 399, id., Rep. 1996, voce Pensione, n. 812; da ultimo, in argo mento, cfr. Trib. Termini Imerese, ord. 9 dicembre 2002, id., 2003,1, 924.

Il Foro Italiano — 2003.

durata del termine di prescrizione, sostiene l'attore che per ef

fetto dell'art. 2947 c.c. il termine è decennale, essendo configu rabili nel comportamento del ministero della sanità i reati di

omicidio e epidemia colposa. Si deve, per contro, rilevare che trattasi di reati ontologica

mente diversi e non unificati dal vincolo della continuazione

con quello di cui all'art. 590 c.p., non applicandosi l'istituto

dell'art. 81 c.p. alle fattispecie colpose. Al riguardo, la ratio dell'art. 2947 c.c. è quella di impedire

diversi termini prescrizionali all'azione civile nei casi in cui il processo penale consenta un accertamento dei fatti idoneo ad

attuare i vincoli di cui agli art. 651 ss. c.p.p. Nel caso di specie, è evidente che eventuali sentenze di con

danna o di assoluzione per le ipotesi criminose richiamate non

fornirebbero elementi vincolanti per l'accoglimento della do

manda in relazione al reato di cui si lamenta il Mannarino, né

dimostrerebbero la sua sussistenza.

In particolare, per il reato di cui all'art. 589 c.p. (omicidio

colposo riguardante altre vittime del sangue infetto), l'odierno

attore non è persona offesa e non avrebbe neppure titolo per co

stituirsi parte civile. Per contro, il reato di cui agli art. 438 e 452

c.p. (epidemia colposa per la diffusione del sangue infetto), per il quale tale legittimazione non può contestarsi, non concerne la

tutela dell'incolumità individuale: si tratta di un reato di peri colo per la cui sussistenza non si richiede il verificarsi della

morte (che è prevista come circostanza aggravante) o della le

sione personale delle vittime.

Anche in questo caso, quindi, il processo penale non avrebbe

ad oggetto l'accertamento dell'evento costituito dall'invalidità

del Mannarino, per cui oggi si chiede il risarcimento.

Pertanto, l'unico riferimento possibile a norma dell'art. 2947

c.c. è il reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 c.p. e, quindi, il termine prescrizionale è di cinque anni.

A norma dell'art. 2935 c.c. la prescrizione comincia a decor

rere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Nella fattispecie il Mannarino ha avuto piena conoscenza del

proprio danno nel gennaio 1990, quando, successivamente ad

un'epatite diagnosticata nell'aprile 1989, veniva accertato che

era Hcv positivo. Secondo la condivisibile giurisprudenza della Corte di cassa

zione richiamata dall'attore (Cass. 8845/95, Foro it., Rep. 1995, voce Prescrizione e decadenza, n. 29), il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a de

correre non dal momento in cui il fatto del terzo determina la

modificazione che produce il danno all'altrui diritto, ma dal

momento in cui la produzione del danno si manifesta all'ester

no, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile.

E pertanto corretto far decorrere il termine non dal giorno in

cui la trasfusione lesiva è avvenuta, ma da quello del pieno ac

certamento delle conseguenze e cioè dal gennaio 1990.

Secondo l'attore, però, occorre far riferimento al momento in

cui il Mannarino ha avuto conoscenza della rapportabilità cau

sale alle trasfusioni e somministrazioni di emoderivati contami

nati e pertanto solo dopo il responso della commissione medica

ospedaliera di Genova del 3 marzo 1997.

In realtà, per far valere il diritto era sufficiente che il Manna

rino fosse in grado di azionare la propria pretesa verso il mini

stero della sanità ed in tale ambito l'esistenza della procedura

prevista per il riconoscimento dell'indennizzo di cui alla 1.

210/92 non costituiva causa ostativa all'esercizio del diritto.

Pertanto, le risultanze di tale procedura —

priva di effetti co

stitutivi in ordine al diritto al risarcimento del danno alla salute — sono meramente indicative della conoscenza della situazione

legittimante la citazione del danneggiante, ma non impediscono, ove ne ricorrano i presupposti, di ritenere una diversa data del

decorso della prescrizione. Nella fattispecie, vi è la prova scritta di tale conoscenza risa

lente al 9 marzo 1995 (data in cui è stata formulata la richiesta

di indennizzo), poiché con la richiesta veniva esplicitato che il

Mannarino risultava danneggiato da epatite post-trasfusionale. Pare, però, chiaro che già nel gennaio 1990, usando la nor

male diligenza il Mannarino avrebbe potuto avere piena perce zione del meccanismo causale scatenante la sua patologia.

Si osserva, infatti, come sostenuto dallo stesso attore, che sin

dagli anni settanta nei convegni e congressi nazionali e interna

zionali si denunciava la capacità del sangue e degli emoderivati

di veicolare virus.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Tale consapevolezza a maggior ragione era possibile nel 1990

ed era facilmente acquisibile anche da chi, pur non svolgendo attività medica, era affetto da una grave patologia in relazione

alla quale era normale assumere informazioni sull'eziologia. Si aggiunga ancora che il Mannarino veniva abitualmente

sottoposto a trasfusioni e, pertanto, è pressoché certo che già al

momento dell'insorgere dell'epatite fosse ragionevole la ricol

legabilità al sangue infetto.

Pertanto, la prescrizione decorre dal gennaio 1990 e quindi il

diritto era già prescritto nell'aprile 2001, quando è stato posto in

essere il primo atto interruttivo, essendo decorsi più di cinque anni.

Per completezza, si osserva che la prescrizione opererebbe

ugualmente anche se si facesse riferimento al termine decenna

le.

La domanda deve, pertanto, essere respinta per intervenuta

prescrizione.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 30 agosto 2002; Giud. Pin

to; Savoi c. Bettacchi e altra.

TRIBUNALE DI ROMA;

Intervento in causa e litisconsorzio — Intervento volontario — Poteri processuali — Limiti — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 268).

Ai sensi dell'art. 268, 2° comma, c.p.c. i poteri processuali del

l'interveniente volontario subiscono gli stessi limiti e le stesse

preclusioni delle parti originarie con la conseguenza che non

potranno essere proposte domande che la fase avanzata del

procedimento non consente alle altre parti (nella specie, è

stata dichiarata inammissibile la domanda dell'Inps di rim

borso dell'indennità di malattia nei confronti del danneg

giarne e dell'impresa assicuratrice r.c.a. in quanto proposta oltre la fase di trattazione). (1)

(1) I. - La pronuncia in epigrafe si colloca nel panorama giurispru denziale in tema di preclusioni nell'attività processuale del terzo che

interviene nel processo, ed in particolare nell'attività di colui che

spontaneamente fa ingresso nel processo facendo valere contro una

delle parti, proponendo una domanda nuova, un diritto autonomo e di

pendente dal titolo dedotto nel giudizio in corso (c.d. intervento litis

consortile). In considerazione di un sinistro stradale, l'Inps era intervenuta vo

lontariamente nel processo instaurato dal danneggiato al fine di ottene re la rifusione dell'indennità di malattia che aveva corrisposto al pro prio assicurato, attore del procedimento in corso.

Anche se nelle motivazioni della decisione non si dà atto di quando l'intervento dell'Inps sia stato spiegato, sì evince comunque che l'in

gresso del terzo sia avvenuto oltre la prima udienza di trattazione, che è destinata alla determinazione del thema decidendum e rappresenta l'u nico momento utile per le parti originarie del processo per modificare o

mutare le proprie domande, oltre il quale non è più possibile ampliare

l'oggetto della contesa.

Distinguendo, in conformità di quanto strutturalmente e letteralmente

la norma dell'art. 268 c.p.c. recita, il tribunale ha dichiarato che l'inter

vento dell'Inps era ammissibile (e perché spiegato prima della precisa zione delle conclusioni e perché connesso per il titolo dedotto in giudi zio dalle parti originarie), ma non lo era la domanda proposta in quanto avente ad oggetto una pretesa che, seppur connessa, introduceva nel

processo un oggetto d'indagine nuovo che lo stato del procedimento non permetteva più.

Il Tribunale di Roma, sebbene fornisca un'interpretazione dell'art.

268 c.p.c. corretta in confronto al dato letterale della norma, nella so

stanza nega al terzo la possibilità di svolgere un ruolo attivo in un pro cesso tra altre parti.

II. - La giurisprudenza in tema di intervento in causa e poteri proces suali non è molto nutrita, ma analogamente a quella riportata, sebbene

coordinando diversamente le due disposizioni dell'art. 268 c.p.c., tende

ad assimilare se non confondere l'ammissibilità dell'intervento (sia

Il Foro Italiano — 2003.

Svolgimento del processo e motivi della decisione. — (Omis

sis). Per quanto attiene all'intervento dell'Inps si osserva quanto

segue. Ad avviso di questo giudice deve distinguersi tra l'intervento,

vale a dire l'ingresso nel processo di altro soggetto diverso dalle

parti originarie, che, a norma dell'art. 268 c.p.c. è possibile fino

all'udienza di precisazione delle conclusioni, e le attività pro cessuali che possono essere compiute dall'interveniente, dalla

proposizione delle domande alla formulazione di mezzi istrutto

ri, ecc., che non possono non risentire del sistema delle preclu sioni.

Principio generale nel nostro ordinamento è che qualunque

soggetto che intervenga nel processo in corso, accetti il processo in statu et terminis. Anzitutto il contumace, ma poi ogni altro

soggetto, non rispondendo ad alcuna logica o razionalità la pos sibilità di far regredire il processo ovvero di ampliare il thema

decidendum ovvero il thema probandum ad libitum di quella

parte che anziché costituirsi in giudizio tempestivamente ovvero

principale che Iitisconsortile) con i poteri processuali concessi alla

parte, con la conseguenza di far dipendere l'ingresso nel processo del terzo dal tipo di poteri processuali che può esercitare.

Secondo alcune pronunce di merito (v. Trib. Lodi 8 novembre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 35; Trib. Milano 29 ottobre 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 39; Trib. Monza 12 settembre 1998, ibid., n. 40; Trib. Roma 17 febbraio 1998, ibid., n. 41, e Giust. civ., 1999,1, 3471, con nota di G. Verde, Le rica dute del sistema delle preclusioni sull'intervento volontario), l'unico intervento ammissibile che il terzo può spiegare tardivamente, ossia

dopo la prima udienza di trattazione, è quello adesivo dipendente; mentre secondo altre, che argomentano dall'art. 419 c.p.c., relativo al

processo del lavoro, l'ammissibilità dell'intervento, sia esso volontario sia esso Iitisconsortile, dipende dal termine previsto per la costituzione del convenuto (v. Trib. Torino 7 giugno 2000, Foro it., Rep. 2001, voce

cit., n. 37). Per la Cassazione, invece (v. Cass. 14 maggio 1999, n. 4771, id.,

Rep. 1999, voce cit., n. 26), le preclusioni di cui all'art. 268 c.p.c. non si estendono all'attività assertiva difensiva dell'interventore non ope rando per questi il divieto di proporre domande nuove.

Per l'inammissibilità dell'intervento oltre la prima udienza di tratta zione nel processo del lavoro, v. Cass. 26 novembre 1998, n. 12021, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 175; 15 novembre

1991, n. 12248, id., 1992,1, 389, con nota di G. Costantino. Per l'ammissibilità dell'intervento davanti al giudice di pace, v.

Giud. pace S. Anastasia 13 febbraio 1999, id., Rep. 1999, voce Inter vento in causa e litisconsorzio, n. 42, e Giur. merito, 1999, 755).

III. - Il problema di fondo che riguarda i poteri processuali del terzo sia esso interveniente principale che Iitisconsortile, come è stato sopra accennato, dipende dal coordinamento delle due disposizioni di cui si

compone l'art. 268 c.p.c., in quanto il 1° comma ammette che il terzo

possa intervenire nel processo fino all'udienza di precisazione delle

conclusioni, mentre il 2° comma ne limita i poteri processuali negli stessi termini in cui il codice li preclude alle parti orginarie.

Il dibattito dottrinario sulla questione è nutrito e non si riscontrano orientamenti uniformi, che, seppur analogamente alla decisione ripor tata, ammettano l'ammissibilità dell'intervento, relegano la proponibi lità di domande nuove da parte dell'interventore al sistema delle pre clusioni previsto per le parti originarie:

— da un lato, vi è chi afferma che l'attività assertiva dell'interven tore sia preclusa a seguito della chiusura dell'udienza ex art. 183 c.p.c. ovvero dopo la scadenza dei termini ex art. 184 c.p.c. (A. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 259);

— dall'altro, chi relega la proponibilità delle domande, analoga mente a quanto previsto dall'art. 419 c.p.c., ai termini fissati dall'art. 166 c.p.c. (C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Torino,

1998, II, 124 ss.; G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cogni zione, Milano, 1996, 93 ss.);

— dall'altro lato ancora, chi ammette che le preclusioni ineriscano soltanto all'attività istruttoria e non a quella assertiva delle parti (M.

Zoppellari, Le nuove preclusioni e l'intervento in causa, in Riv. trim,

dir. e proc. civ., 1992, 875); — e chi nega, analogamente a Cass. 4771/99, cit., che per il terzo

interveniente operino le preclusioni previste per le altre parti, potendo

proporre domande fino alla precisazione delle conclusioni (F.P. Luiso, in Commentario alla riforma del processo civile a cura di Consolo

Luiso-Sassani, Milano, 1996, 227). Cfr., inoltre, L. Cavallini. I poteri dell'inter\>entore principale nei

processo di cognizione, Padova, 1998, il quale propone un'interpreta zione correttiva dell'art. 268 riguardo all'ipotesi d'intervento princi

pale. Il dibattito attualmente è ancora aperto, ed appare auspicabile un in

tervento delle sezioni unite per la risoluzione della questione. [N. An

dreoni]

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