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sentenza 18 ottobre 1984; Giud. De Nicolais; Menna (Avv. Arcella) c. Di Lorenzo ed altri (Avv.Vitiello, Valentino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2451/2452-2453/2454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178027 .
Accessed: 25/06/2014 05:32
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2451 PARTE PRIMA 2452
porto in cui normalmente si verifica un perverso gioco delle parti come magistralmente fu mostrato in uno splendido film della
Cavani, « Il portiere di notte »); ed ancora meno si giustifica (se non con banali motivi d'indole commerciale) lo sproporzionato
spazio concesso alle scene non strettamente funzionali nell'eco
nomia dell'opera ed esclusivamente destinate a solleticare le
curiosità più pruriginose del pubblico. E dispiace che a ciò si sia
indotto un artista, Samperi, al quale va attribuito in misura
prevalente il film (come cosoggettista, cosceneggiatore e regista) e
che altre volte ha mostrato una raffinata capacità di esprimere delicate situazioni psicologiche.
Ma, chiarito quanto innanzi, si pone il problema giuridico dei
rapporti che intercorrono fra soggetto e sceneggiatura di un film,
onde accertare se ed in quale misura siano fondate le lamentele
del Di Luzio. Orbene, secondo una ragionevole interpretazione
letterale, mentre il soggetto dell'opera cinematografica è l'idea
fondamentale del film (solitamente condensata in poche pagine), la sceneggiatura è la trama esplicativa di tale idea, sotto il profilo scenico e, soprattutto, dialogico. È evidente che deve esserci un
rapporto fra i due elementi, nel senso che la seconda rappresenta 10 sviluppo compiuto dal primo; ma trattasi di elementi a cui,
normativamente, viene attribuita pari dignità, se è vero che sia
l'autore del soggetto, che quello della sceneggiatura sono conside
rati ambedue coautori dell'opera cinematografica (insieme all'auto
re delle musiche ed al regista: art. 44 1. 633/41). Ma come, nella
pratica, il regista è andato assumendo una posizione di preminen
za, al punto da venir considerato il vero autore del film, cosi lo
sceneggiatore — anche sul piano del compenso economico —
sembra privilegiato sul soggettista, dandosi così prevalenza all'e
lemento esplicativo-narrativo su quello ideativo-oreaitivo. Il fe
nomeno, difficilmente spiegabile sul piano logico, si giustifica
col fatto che, in genere, le sceneggiature si allontanano e, talora,
stravolgono il soggetto originario. Ciò non toglie tuttavia che il
soggettista ha diritto, se ne ricorrono gli estremi, alla tutela di
cui all'art. 20, cioè ad « opporsi a qualsiasi deformazione, mutila
zione od altra modificazione e ad ogni atto a danno dell'ope
ra... che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua
reputazione ». Nella specie, essendo pacifico che il Di Luzio sia
stato coautore del soggetto (e, probabilmente, quello di maggior
peso, atteso che si ignora il contributo di Riccardo Ghione,
rimasto contumace, mentre a Samperi è ragionevole imputare —
come sceneggiatore e regista — l'impulso più rilevante a staccarsi
dal soggetto), non rileva che costui non avesse svolto tale attività
in precedenza perché il concetto di reputazione, come giustamen
te osserva il ricorrente, non deve essere determinato solo con
riferimento dell'attività pregressa dell'autore, ma anche in relazio
ne alle prospettive future che l'opera (modificata senza il suo
consenso) avrebbe potuto aprire, determinando una diversa e più
favorevole valutazione nell'ambito delle persone a cui era diretta.
Inoltre, è appena il. caso di ricordare che il pregiudizio può
riferirsi non solo alla reputazione (cioè al giudizio che altri
danno, sul piano estetico ed ideologico, del valore dell'autore
attraverso la valutazione dell'opera: cfr. Pret. Roma 31 maggio
1970, Foro it., Rep. 1971, voce Diritti d'autore, n. 39), ma anche
all'onore, cioè al sentimento personale della propria capacità
creativa in rapporto ad1 un determinato prodotto dell'ingegno.
Ora, siccome nel caso di specie la sceneggiatura ed il film si
sono discostati dal soggetto e l'opera che ne è derivata ha
riscosso caustici e negativi giudizi da parte della critica, ben può 11 Di Luzio dolersi di una realizzazione alla quale è rimasto
estraneo. Ma, detto questo, non è agevole individuare il tipo di
provvedimento idoneo a soddisfare le esigenze d'una tutela pre
ventiva, anche perché il film sembra avere pressoché esaurito le
sue capacità di diffusione (ed infatti a Roma non viene più
proiettato). Certo non può disporsi il sequestro, impedito dal
chiaro disposto dell'art. 161, 2° comma, 1. 633/41 che lo consente,
in caso di opere dovute a più autori, solo quando la violazione
sia imputabile a tutti i coautori od in casi di particolare gravità;
e sembra singolare che, malgrado il giudicante abbia chiaramente
espresso nella discussione orale tale considerazione, il ricorrente
riproponga la domanda in via principale, nelle note. Ma neppure
può disporsi l'eliminazione di alcune scene e, precisamente le
quattro indicate dal Di Luzio, perché: la prima (la modella
Klizia nuda fra i vestiti della sfilata) è la continuazione del gioco
provocatorio a cui Emilio l'aveva precedentemente costretta; la
seconda e la terza (la masturbazione allo spettatore sconosciuto
nel cinema e la sodomizzazione pretesa da Patrizia dal suo boy
friend) rientrano nel rapporto sadomasochista e voyeuristico stabi
litosi fra i due protagonisti; infine la scena della consumazione
Il Foro Italiano — 1985.
del rapporto incestuoso dà il senso, per quanto si è già detto,
dell'intera vicenda. Con questo non vuol dirsi che si tratta di
scene d'i alto valore estetico; il film, sinceramente, non è bello,
proprio perché non ha saputo tradurre in immagini le primitive
intenzioni, ma è pur tuttavia un'opera che ha la sua compattezza e coesione, nel cui ambito quelle scene trovano la loro giustifica
zione, indipendentemente dall'intrinseco pregio artistico. D'altro
canto, l'eliminazione di alcuni fotogrammi non sarebbe sufficiente
da sé a ripristinare l'originario soggetto. Ambedue le richieste, quindi, del Di Luzio non possono
trovare ingresso. Ma l'ampiezza dei poteri discrezionali attribuiti
al pretore nella procedura de qua consente, senza incorrere in
peccato di ultrapetizione, di applicare l'art. 169 1. 633/41, consi
derando l'interesse del ricorrente a mantenere un suo inserimento
nell'opera pur distinguendo il suo contributo dal prodotto finale.
Talora, in situazioni analoghe, si è disposto che la dizione « soggetto di... » venisse sostituita con l'altra « da un'idea ...» o « da un soggetto ... »; ma questa soluzione, che in astratto po trebbe applicarsi al caso di specie è inattuabile dal mo
mento che i coautori del soggetto sono tre e quindi la
limitazione coinvolgerebbe gli altri due che non l'hanno chiesta.
Eppertanto, l'unica strada percorribile appare l'ordine alle società
produttrici di pubblicizzare, su alcuni giornali significativi, una
comunicazione dalla quale risulta che il Pretore di Roma, in sede di procedura d'urgenza, ha riconosciuto la lesione al diritto
morale d'autore di Massimo Di Luzio, coautore del soggetto da
cui è stato tratto il film « Fotografando Patrizia », in quanto la
sceneggiatura ha modificato in misura rilevante l'impostazione fondamentale del soggetto.
PRETURA DI NAPOLI; PRETURA DI NAPOLI; sentenza 18 ottobre 1984; Giud. De
Nicolais; Menna (Avv. Arcella) c. Di Lorenzo ed altri (Avv.
Vitiello, Valentino).
Nuova opera e danno temuto (denunzia di) — Legittimazione attiva — Conduttore — Esclusione (Cod. civ., art. 1172).
La legittimazione a proporre la denunzia di danno temuto è
soltanto del proprietario, del titolare di altro diritto reale di
godimento e del possessore, con conseguente esclusione dei
soggetti che della cosa hanno la semplice detenzione e, tra
questi, del conduttore. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 5 marzo 1984 Menna Carmela, premesso di essere conduttrice dell'appar tamento sito in Napoli, corso Vittorio Emanuele 754 2° piano int. 14 di proprietà di Andolfi Carmela, sottostante il quartiere di
proprietà di Di Lorenzo Francesco e occupato da Graccio
(1) La decisione s'inserisce nel tradizionale orientamento giurispru denziale che nega al detentore la legittimazione ex art. 1172 c.c., argomentando dall'inconciliabilità della nozione di possesso, ex art. 1140 c.c., con la posizione di chi esercita sulla cosa un potere alieno nomine (in modo esplicito, oltre le decisioni citate in motivazione, Cass. 9 luglio 1955, n. 2325, Foro it., Rep. 1955, voce Nuova opera, n. 1; Trib. Tempio 20 marzo 1956, id., 1957, I, 310, con osservazioni di A. Tabet; Trib. Roma 23 settembre 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 15; Pret. Taranto 1° marzo 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 51. Contra, in posizione isolata, Pret. Frattamaggiore 2 dicembre 1949, id., Rep. 1951, voce cit., n. 8). In dottrina, la soluzione affermativa è stata sostenuta, per tempo, da D'Onofrio, Commento al nuovo codice di procedura civile, Padova, 1941, II, 203, nota 1086, il quale argomenta dall'art. 1585 c.c., che riconosce al conduttore la facoltà di agire in nome proprio per respingere le altrui molestie di fatto e da Visco, Le case in locazione nel diritto vigente, Milano, 1952, 200. Contra, decisamen te, Coniglio, Sulla proponibilità della denunzia di nuova opera da parte del conduttore, in Giur. Cass, civ., 1949, II, 253; De Martino, Della proprietà, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1955, 613; Montel, Il possesso, in Trattato diretto da
Vassalli, Torino, 1956, 409; Sacco, Possesso, denuncia di nuova opera e danno temuto, Milano, 1960, 149; Andrioli, Commento, Napoli, 1964, IV4, 224 (modificando l'opinione espressa nelle prece denti edizioni). È stato tuttavia talvolta precisato che il conduttore
può agire ex art. 1172 a tutela delle cose di sua proprietà immesse in
quelle tenute in locazione (in tal senso, Trib. Trani 16 aprile 1954, Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 7). Nella causa decisa dal pretore partenopeo, la prospettazione di quest'ultimo profilo non è valsa ad evitare l'inammissibilità della domanda anche perché intervenuta quan do ormai erano esaurite le possibilità di manifestazione dell'elasticità del materiale di causa ammesse dalla legge.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Raffaele; che da alcuni mesi acque provenienti dal bagno del
terzo piano avevano invaso il solaio di copertura del proprio vano cucina; che vani erano risultati gli inviti ad eliminare le
lamentate infiltrazioni nonché la diffida in data 13 dicembre 1983
del comune di Napoli agli occupanti i due quartieri ad eseguire le opere di assicurazione del solaio; di subire, infine, gravi danni
con aggravamento del pericolo di crollo dello stesso; ciò pre
messo, chiedeva che con l'ausilio di un consulente tecnico di
ufficio venissero determinati i lavori da eseguire per la elimina
zione degli inconvenienti, con l'accertamento della spesa necessa
ria e ideila quota dovuta da ciascuna parte, riserva di risarcimento
danni e vittoria di spese. (Omissis) Motivi della decisione. — L'eccezione pregiudiziale sollevata
dal resistente Di Lorenzo, attinente al difetto di legittimazione attiva della ricorrente, merita accoglimento perché fondata. L'art.
1172 c.c., invero, a differenza del codice del 1865, consente la
esperibilità dell'azione di denunzia di danno temuto al proprieta
rio, al titolare di altro diritto reale di godimento e al possessore, vale a dire agli stessi soggetti cui spetta la denunzia di nuova
opera (art. 1171 c.c.), specificamente indicati; ne consegue che la
titolarità dell'azione è negata a tutti coloro che hanno la sem
plice detenzione, come il sequestratario, il depositario, il condutto
re, ecc. Quando la legge ha voluto concedere a costoro una
determinata azione, lo ha espressamente dichiarato; cosi, per es.
l'art. 1168 c.c., dopo aver previsto la reperibilità dell'azione di
reintegra in favore del possessore (1° comma), recita testual
mente: «l'azione è concessa altresì a chi ha fa detenzione della
cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di
ospitalità » (2° comma). D'altra parte è pacifico che le azioni di
nunziazione, avendo per oggetto della tutela esclusivamente il pos sesso, la proprietà o altro diritto reale di godimento sulla cosa, han
no carattere reale e non possono pertanto essere esperite per la
tutela di interessi legittimi ovvero di diritti di natura personale (v. Cass. 6 febbraio 1978, n. 532, Foro it., Rep. 1978, voce Nuova opera, n. 1); che il conduttore non può ricorrere all'azione di cui all'art. 1172 c.c. allorché il danno minacciato non si rife
risce ad oggetti immessi nell'immobile, di cui egli abbia la
proprietà o il possesso, ma si risolve prevalentemente in una restrizione del godimento dell'immobile locato (v. Cass. 9 aprile 1949, n. 857, id., Rep. 1949, voce cit., n. 9).
Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si osserva che la Menna, avendo agito nella dichiarata qualità di locataria dell'im mobile di proprietà della Andolfi al solo scopo di rimuovere delle limitazioni alfa relativa detenzione esercitata non poteva servitisi della denunzia di danno temuto e avrebbe dovuto ricorrere, attesa l'urgenza e il pericolo prospettati, all'azione di cui all'art. 700 c.p.c., a nulla rilevando fa precisazione — fatta dal procu ratore soltanto in sede di comparsa conclusionale — di agire quale proprietaria dell'arredamento, dell'attintatura e della contro soffittatura in parato, che si rivela come espediente pretestuoso e tardivo. (Omissis)
PRETURA DI MONZA; PRETURA DI MONZA; ordinanza 26 luglio 1984; Giud. Pe
trangelo; Soc. Simmenthal (Avv. Vanzetti, Testori), c. Soc.
Star (Avv. Sena, Prisco).
Concorrenza (disciplina della) — Prodotti alimentari di gusti differenti — Pericolo di confusione tra prodotti — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2598).
Concorrenza (disciplina della) — Pericolo di confusione tra
prodotti — Elementi di giudizio (Cod. civ., art. 2598).
Non sussiste perìcolo di confusione tra prodotti del settore
alimentare appartenenti ad uno stesso tipo (nella specie prodot ti spalmatili su fette biscottate) quando, pur nella similarità delle rispettive confezioni, tali prodotti abbiano gusti differenti (nella specie si è esclusa la confondibilità tra «Spunti» nelle
versioni alla carne e al salmone, e « Tarti » nelle versioni al
prosciutto cotto ed al salmone affumicato). (1)
(1-2) Sulla prima massima non constano precedenti in termini. Il decisuin poggia sulla convinzione che il consumatore scelga ex ante (cioè, prima di venire materialmente in contatto con il bene) sia il tipo di prodotto (alimentare) da acquistare sia il suo gusto. Ma, attenzione: per questa via, si finisce eoa l'escludere non solo e non tanto il pericolo di confusione tra prodotti di gusti differenti ma, soprattutto — e sia pur implicitamente — l'esistenza dello stesso rapporto di concorrenza, inteso con accezione notevolmente restrittiva.
Il Foro Italiano — 1985.
Il giudizio di confondibilità tra prodotti contrassegnati da marchi
differenti va emesso sulla base di un raffronto comparativo che
investa l'insieme degli elementi che compongono il singolo
prodotto (quali, ad es., la sua natura, le caratteristiche della
confezione, l'etichetta, ecc.) confrontato con quello concorrente, in relazione all'impressione che, dopo esame non dettagliato e
condotto « a prima vista », risulterebbe ad un individuo dotato
di accortezza media. (2)
Quanto alla seconda massima, è affermazione giurisprudenziale ricor rente che il giudizio di confondibilità tra prodotti deve investire dapprima, in via differenziata e successiva, le singole caratteristiche dei beni (c.d. giudizio analitico), per poi procedere all'esame unitario dell'insieme dei loro elementi costitutivi (c.d. giudizio sintetico). A
pronunce che affermano la necessità di un rapporto non alternativo, ma complementare, tra i due giudizi — Trib. Milano 7 febbraio 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Concorrenza (disciplina della), n. 105 e Trib.
Roma 20 maggio 1980, ibid., n. 101 — si contrappone, però, la
giurisprudenza dominante, che costantemente ribadisce, in caso di esiti
contrastanti, la prevalenza dell'esame sintetico su quello analitico, giustificandola con il rilievo che il consumatore non è solito indugiare in minuziose verifiche (App. Roma 21 marzo 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 58; 14 dicembre 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 109; App. Milano 1° aprile 1980, ibid., n. 97; Trib. Parma 17 maggio 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 92; Trib. Milano 4 marzo 1982, ibid., n. 87; Trib. Modena 14 aprile 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n.
158). Prospettiva, quest'ultima, fatta propria dal provvedimento in
epigrafe, che ha altresì ritenuto scarsamente affidabile il c.d. esame analitico.
Altre sentenze di merito, portando tale orientamento alle sue
conseguenze estreme, elidono in toto il giudizio analitico, mirando direttamente agli esiti del giudizio sintetico: così Trib. Venezia 27 settembre 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 75; Trib. Milano 16 aprile 1981, ibid., n. 88; Trib. Lecco 23 dicembre 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 172; Trib. Foggia 21 novembre 1977, ibid., n. 73; Trib. Modena 30 giugno 1976, ibid., n. 103. Non mancano, però, critiche verso tale modo di operare la valutazione di confondibilità: l'anonimo annotatore di Trib. Roma 20 maggio 1980, cit., Giur. dir. ind., 1980, 445, 447-8, lo ritiene scorretto e pericoloso perché « finisce... col
legittimare un esame « a colpo d'occhio » che lascia le parti esposte alla
pura intuizione del giudice ed in buona sostanza sottrae [quest'ultimo] ... dall'obbligo della motivazione », suggerendo, come correttivo, sia un
rapporto complementare tra esame analitico ed esame sintetico, sia
l'opportunità, sulla scorta dell'esperienza tedesca e nordamericana, di un diffuso ricorso allo strumento dell'indagine demoscopica.
Va rimarcato, in proposito, che gli esiti del giudizio analitico non mancano di rivestire importanza, via via crescente, quanto più la clientela dei potenziali acquirenti sia professionale. In altri termini: se, in generale, per prodotti di largo consumo (e di basso prezzo), la possibilità di incorrere in confusione è maggiore, per la rapidità con cui si procede all'atto d'acquisto e per la sommarietà dei raffronti compiuti tra i vari prodotti, diverso è il procedimento di scelta adottato da una clientela composta di esperti o, per usare la definizione invalsa in giurisprudenza, di acquirenti « qualificati ». In questo secon do caso il pericolo di confusione è ridotto perché il compratore, accurato nota differenze anche minute e relative a dettagli (da ultimo, si veda App. Torino 28 marzo 1984, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 83: si trattava, nella specie, di un prodotto di avanzata tecnologia). La distinzione, che non sfugge alla giurisprudenza, spiega la massima secondo cui il pericolo di confusione va accertato in relazione al pubblico dei potenziali consumatori del bene: per tutta
conseguenza, in presenza di prodotti molto simili tra loro, ma contrassegnati da differenti marchi, si tende ad escluderne la confondi bilità quando destinati ad una clientela particolarmente qualificata (cfr. Cass. 9 novembre 1983, n. 6625, ibid., n. 82, resa in tema di confondibilità tra generatori di calore, e App. Bologna 18 novembre 1977, id., Rep. 1980, voce cit., n. 136, riguardante componenti di apparecchiature complesse venduti a tecnici), mentre se ne riconosce la sussistenza a fronte di una clientela composta da '
profani '
(cfr. Trib. Milano 4 marzo 1982, cit., e 16 aprile 1981, id., Rep. 1984, voce cit., n. 84; in dottrina cfr. Di Cataldo, L'imitazione servile, Milano, 1979, 204 ss.).
Tra i due estremi, una fascia di « discrezionalità » in cui la decisione circa la ' fetta ' di pubblico cui il prodotto è concretamente destinato comporta, a seconda dei casi, l'espandersi o il contrarsi del campo dell'illecito concorrenziale. Un evidente esempio delle operazioni di politica del diritto (di concorrenza) così consentite è fornito dalle numerose sentenze rese in tema di pezzi di ricambio per auto: tra le
ultime, Cass. 15 novembre 1982, n. 6099, Foro it., 1983, I, 2514, con nota di R. Pardolesi.
In proposito vanno anche ricordate Trib. Torino 16 giugno 1978, Giur. dir. ind., 1978, 1197, per cui gli acquirenti di prodotti «rigene ratori » di capelli non sono i parrucchieri, bensì i loro clienti, e Trib. Lodi 17 settembre 1973, id., 1973, 1035, che, in un giudizio di confondibilità tra giocattoli, ha sostenuto la necessità di far riferimento alla capacità di distinguere dei bambini e non dei genitori (queste due ultime pronunce sono citate anche da G. Ghidini, La concorrenza
sleale2, Torino, 1982, 127, 132, cui si rinvia per ulteriori indicazioni di
dottrina).
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