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sentenza 18 ottobre 1996, n. 340 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 23 ottobre 1996, n. 43);Pres. Ferri, Est. Onida; Staffler (Avv. Costa); interv. Pres. giunta prov. Bolzano (Avv. Riz,Panunzio). Ord. Trib. Bolzano 29 settembre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 7 del 1996)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2409/2410-2413/2414Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191663 .
Accessed: 25/06/2014 00:13
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pera pubblica prosegua e pervenga alla irreversibile destinazione dopo la scadenza dei termini fissati dalla dichiarazione di pubblica utilità e
per l'occupazione legittima. A ben vedere la sentenza n. 369 del 1996 anticipa le conclusioni alle
quali pervengo, ma non si preoccupa di fissare in che modo le stesse
possano essere rese compatibili. Nella motivazione, infatti, da un lato
non si esclude, in linea di principio, «un intervento normativo ragione volmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere
così incorporato nell'opera pubblica», anche se richiama ipotesi norma
tive di limitazione della responsabilità di assai modesto rilievo e talora
non pertinenti; dall'altro lato, però, sottolineando che, in questo caso, si tratta di obbligazione ex delieto, si assume che «la parificazione del
quantum risarcitorio alla misura dell'indennità si prospetta come un
di più che sbilancia eccessivamente il contemperamento tra i contrappo sti interessi, pubblico e privato, in accessivo favore del primo» (21).
È facile prevedere che il prossimo dibattito si svolgerà sulla misura
di questo «di più». Basterà il valore offerto, in via transattiva, dall'am
ministrazione senza la decurtazione del quaranta per cento prevista per il caso di mancata accettazione dell'offerta, o sarà necessario un incre
mento ulteriore, come ritiene il legislatore dell'ultima finanziaria (art. 3, comma 65, 1. 23 dicembre 1996 n. 662)? e quale sarà la misura «ra
gionevole» di tale incremento?, e sarà altresì ragionevole equiparare il caso dell'espropriazione illegittima per ragioni formali (di regola, per il mancato rispetto della sequenza temporale voluta dalla legge) a quella della mancanza o della illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità? (22)
La sentenza della corte apre il campo a dubbi che meritavano d'esse
re risolti in maniera definitiva e l'approccio empirico da me suggerito avrebbe potuto essere, ieri, o potrebbe rappresentare, domani, un'utile
premessa, forse più solida di quella che viene fuori dalla decisione della
corte. La quale finisce col proporre un'ipotesi di mediazione tra gli ideali protagonisti del conflitto, quasi l'invito a una soluzione «concer
tata». Molto vi sarebbe da dire su questo modo di fare diritto, che
è un arrendersi di fronte al carattere avalutativo delle scienze sociali
di weberiana memoria. Gli esiti ultimi sono nel riconoscimento che le
norme «valgono» non perché sono giuste, ma perché sono poste all'esi
to di un giusto procedimento; ed è, probabilmente, quanto le attuali
democrazie riescono ad esprimere (23) e quanto la stessa corte in questo
campo finisce con l'avvertire, atteggiandosi a mò di garahte supremo di «quel» procedimento.
Giovanni Verde
to e nel senso della corte, si veda Cass. 3 maggio 1991, n. 4848, id., 1992, I, 2791, con note di R. Caso e di G. Costantino, dove si pervie ne alla conclusione obbligata (ma che l'osservatore esterno stenterebbe a comprendere) secondo cui la realizzazione dell'opera rende inutiliter datum il successivo decreto di esporprio, pur se adottato entro l'arco di validità temporale della dichiarazione di pubblica utilità.
(21) In questo modo la corte finisce con lo «spiazzare» il giurista rigoroso, per il quale se c'è illecito deve esservi pieno ristoro e non è giustificabile in via di principio un risarcimento dimezzato (ed infatti
autori, quali Pugliese, op. cit., in Giornale dir. ammiri., 1996, 221 e 224 e Benini, op. cit., in Foro it., 1996, I, 1824 s., che pure partono da punti di vista opposti, concludono nel senso che il risarcimento, se ha da esservi, deve essere pieno; posizione, questa, confermata da De Marzo, Occupazione appropriatila atto secondo: adesso tocca al
legislatore?, ibid., 3588, in un commento «a caldo» alla sentenza che
qui si annota). (22) Alcuni di questi dubbi sono già stati prospettati da De Marzo,
op. cit., in Foro it., 1996, I, 3588 e 3591, il quale giustamente sottoli nea come sia illogico fissare un termine (quello del 30 settembre 1996) per le occupazioni illegittime a risarcimento dimezzato (o quasi) che non è collegato ad alcuna previsione di coordinamento fra il procedi mento di occupazione e quello di espropriazione. Con i dutti fioccano le ordinanze che propongono alla corte la questione di costituzionalità:
v., ad es., App. Torino 24 gennaio 1997; Trib. Lecce 19 febbraio 1997;
App. Trento 7 gennaio 1997 e 18 febbraio 1997 (sono quelle che ci è capitato di leggere, ma è probabile che l'elenco si sia ancora allungato).
(23) I riferimenti sono alle note tesi di Kelsen, Luhmann e tra noi
riprese e ancora di recente riproposte da Bobbio.
Il Foro Italiano — 1997.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 ottobre 1996, n. 340
{Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 ottobre 1996, n. 43); Pres. Ferri, Est. Ontda; Staffler (Avv. Costa); interv. Pres.
giunta prov. Bolzano (Avv. Riz, Panunzio). Orci. Trib. Bol
zano 29 settembre 1995 (G.U., la s.s., n. 7 del 1996).
Trentino-Alto Adige — Provincia di Bolzano — Masi chiusi — Indennità di esproprio — Versamento alla massa eredita
ria — Omessa previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3; d. pres. giunta prov. Bolzano 28 dicembre 1978 n. 32, testo
unificato delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiu
si, art. 29; 1. prov. Bolzano 26 marzo 1982 n. 10, modifica
del testo unificato delle leggi provinciali sull'ordinamento dei
masi chiusi, della legge provinciale sull'assistenza creditizia
per assuntori di masi chiusi e della legge provinciale sull'am
ministrazione dei beni di uso civico, art. 1).
È incostituzionale l'art. 29 d. pres. giunta prov. Bolzano 28
dicembre 1978 n. 32, come modificato dalla I. prov. Bolzano
26 marzo 1982 n. 10, nella parte in cui non prevede l'obbligo di versamento alla massa ereditaria, per la divisione suppleto ria anche dell'eccedenza rispetto al prezzo di assunzione, del
valore conseguito dall'assuntore a titolo di indennità di espro
priazione per pubblica utilità intervenuta entro dieci anni dal
l'apertura della successione, con le stesse modalità e gli stessi
limiti stabiliti per il caso di alienazione del maso. (1)
Diritto. — 1. - La questione, sollevata in riferimento all'art.
3 Cost., investe gli art. 29 e 29 a) del testo unificato delle leggi
provinciali della provincia di Bolzano sull'ordinamento dei ma
si chiusi, in quanto non prevedono l'applicazione dell'istituto
della divisione suppletoria anche nel caso di espropriazione per
pubblica utilità del maso entro il decennio dall'assunzione. Ma
in sostanza la censura, che denuncia una omissione, e quindi
postula una pronuncia additiva, va riferita all'art. 29, che disci
plina l'ipotesi principale e originaria dell'alienazione del maso
o di parti del medesimo, mentre il successivo art. 29 a) si limita
a contemplare l'ipotesi particolare dell'esecuzione forzata.
2. - L'eccezione di inammissibilità per irrilevanza proposta dalla parte privata regolarmente costituita non può essere accolta.
La valutazione della rilevanza della questione, secondo la co
stante giurisprudenza di questa corte, spetta in via principale al giudice a quo, e può essere disattesa solo se palesemente in
congrua o contraddetta dagli atti.
Ora, nel giudizio a quo il rimettente ha respinto l'eccezione
della parte, fondata sull'asserita non configurabilità nella specie
(1) La Corte costituzionale rileva come la funzione oggettiva del ma so nell'ambito della famiglia viene meno (e con essa la ragione della
particolare tutela) per effetto del trasferimento della proprietà dei fondi fuori dall'ambito dei parenti in linea retta dell'assuntore, anche se a
seguito di espropriazione per pubblica utilità, per cui deve valere anche in questo caso l'istituto della divisione suppletoria allorché l'indennità di esproprio faccia conseguire all'assuntore somme eccedenti il valore di assunzione del maso.
In motivazione la corte si richiama ai principi già espressi nella sent. 5 maggio 1988, n. 505, Foro it., 1990 I, 2454, con nota di richiami, con cui è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 30 1. prov. Bolza no 29 marzo 1954 n. 1, nella parte di cui non prevedeva per l'assuntore di un maso chiuso a seguito di trasferimento coattivo, l'obbligo di ver
sare alla massa ereditaria l'eccedenza del ricavo della vendita o del va
lore di assegnazione relativamente al prezzo di assunzione, previa dedu
zione delle eventuali spese sostenute. Sulla determinazione del valore del maso chiuso, ai fini tributari,
v. Cass. 27 gennaio 1993, n. 1013, id., 1993, I, 749, con nota di richia
mi, la quale ha affermato che il valore di un maso chiuso (sito nella
provincia di Bolzano) caduto in successione è determinato — ai fini
della relativa imposta — con riguardo al suo valore venale, senza che
possa avere rilievo il minor prezzo stabilito ai fini della sua «assunzio
ne» ai sensi dell'art. 25 d.pres. giunta prov. Bolzano 32/78.
Sull'ordinamento dei masi chiusi, v., pure, Cass. 11 luglio 1994, n.
6532, id., 1995, I, 183, con nota di richiami, secondo la quale il giudice ordinario cui, ai fini della disapplicazione in via incidentale dell'atto
amministrativo, è consentito sindacarne tutti i possibili vizi compreso
quello di eccesso di potere, non può riesaminare e censurare, siccome
rientrante tra le valutazioni di merito della pubblica amministrazione, il giudizio espresso dalla commissione masale locale sulla idoneità del
l'azienda da costituire in «maso chiuso» a produrre reddito sufficiente
per il mantenimento di almeno cinque persone. In dottrina, v. Gabrielli, Maso chiuso, voce del Digesto civ., 1994,
Torino, XI, 205.
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PARTE PRIMA 2412
di una assunzione del maso, acquistato a titolo oneroso dal con
venuto, e ha ritenuto la questione rilevante, con motivazione
che non appare prima facie implausibile. 3. - Nel merito, la questione è fondata.
L'istituto della divisione «suppletoria», intesa a ricondurre
alla massa ereditaria l'eccedenza del prezzo di cessione del ma
so rispetto al valore di assunzione, commisurato al reddito e
dunque istituzionalmente assai inferiore al primo, era in origine
previsto dal legislatore provinciale solo con riferimento all'ipo tesi dell'alienazione volontaria del bene nel decennio dall'assun
zione ovvero, se l'assuntore era minorenne, dal raggiungimento da parte di questi della maggiore età (art. 29, 1° comma, del
testo unificato, nella formulazione anteriore alle modifiche ap
portate con 1. prov. n. 10 del 1982). Anche se in tale configurazione originaria l'istituto si presta
va ad essere inteso in una logica di tipo sanzionatorio, come
strumento cioè diretto a colpire l'assuntore che prima del termi
ne decennale previsto si liberasse del maso realizzandone il va
lore di mercato, una siffatta logica non appare più esclusiva
né dominante, ma anzi è largamente soppiantata da criteri di
carattere oggettivo (legati alla funzione del maso chiuso e ad
esigenze di ripristino dell'equità distributiva fra i coeredi allor
ché tale funzione venga meno) a seguito dell'intervento del legis latore provinciale del 1982.
Con la riforma recata dalla 1. prov. n. 10 del 1982, da un
lato si introdusse nel testo unificato l'art. 29 a, col quale espli citamente si estendeva l'obbligo di divisione suppletoria al caso
di vendita o di assegnazione in esecuzione forzata del maso,
sempre entro il termine del decennio, stabilendo che l'assuntore
è tenuto a versare alla massa ereditaria l'eccedenza del ricavo
della vendita o del valore di assegnazone sul prezzo di assunzio
ne (limitando però alla somma residua spettante al debitore ese
cutato la facoltà dei coeredi di esercitare il proprio diritto sul
ricavato dell'esecuzione forzata: art. 29 a, 2° comma). Dall'al
tro lato, venne riformulato l'art. 29 del testo unificato, soppri mendo l'accenno alla volontarietà dell'alienazione come presup
posto per l'insorgere dell'obbligo di divisione suppletoria (1°
comma, primo periodo), e per altro verso stabilendo sia che
la cessione del maso a parenti in linea diretta non si considera
a questi fini come alienazione (1° comma, secondo periodo), sia che all'obbligo di divisione suppletoria possono essere sot
tratte le somme reinvestite dall'assuntore, entro due anni, per
l'acquisto di un nuovo maso o per l'ampliamento o il migliora mento del maso (5° comma: tale regola è estesa esplicitamente al caso della vendita o assegnazione forzata dall'art. 29 a, 2°
comma). La nuova disciplina appare più chiaramente ispirata alle esi
genze di garantire la funzione oggettiva del maso nell'ambito della famiglia (attraverso la norma di favore per la cessione a parenti in linea diretta), e di collegare alla permanenza di
tale funzione (anche attraverso la sostituzione di altri fondi a
quelli trasferiti) il mantenimento del vantaggio patrimoniale di scendente all'assuntore dal criterio di calcolo del valore di as sunzione commisurato al reddito — evidentemente inteso a sal
vaguardare l'unità del maso stesso — e la conseguente disugua glianza che si produce a carico dei coeredi diversi dall'assuntore.
Ora, quando quella funzione oggettiva venga meno, per ef fetto del trasferimento della proprietà dei fondi fuori dall'ambi to dei parenti in linea diretta dell'assuntore, vuoi a seguito di
vendita, volontaria o forzata, vuoi a seguito di espropriazione per pubblica utilità (e a tal proposito si può anche ricordare la norma che prevede l'esproprio integrale del maso, a richiesta del proprietario, qualora, a seguito della espropriazione parzia le progettata, vengano a mancare le caratteristiche oggettive che consentono di attribuire all'azienda la qualifica di maso chiuso: art. 15 t.u.), viene meno la fondamentale ragione giustificatrice della disparità fra coeredi, e non può dunque non riespandersi l'esigenza di un loro eguale trattamento.
4. - Non è mancato invero chi, a seguito dell'accennata rifor ma legislativa, e in particolare della soppressione dell'avverbio «volontariamente» nel 1° comma dell'art. 29, ha ritenuto che
l'obbligo di divisione suppletoria sorga ormai ogni volta che, entro il decennio dall'assunzione, il maso venga trasferito in tutto o in parte ricavandosene un corrispettivo, e dunque anche nel caso di espropriazione (a parte il caso della vendita o asse
gnazione nel procedimento di esecuzione forzata, espressamente regolato dall'art. 29 a). E tuttavia questa possibilità interpreta
II Foro Italiano — 1997.
tiva, ignorata dal giudice a quo, si scontra con la difficoltà di
estendere ad un'ipotesi non prevista espressamente una discipli na che costituisce pur sempre una eccezione alla più ampia ec
cezione, rispetto alle regole generali, rappresentata dalla disci
plina sulla divisione ereditaria del patrimonio di cui faccia parte un maso chiuso. Conviene dunque attenersi all'interpretazione fatta propria dal giudice rimettente, del resto non messa in di
scussione in alcun modo, nel presente giudizio, dalle parti costi
tuite o intervenute.
Così interpretata, la norma denunciata appare però in con
trasto con il principio costituzionale di eguaglianza. Una disci
plina che escluda l'obbligo di divisione suppletoria nel caso di
espropriazione per pubblica utilità, la quale faccia conseguire
all'assuntore, attraverso l'indennità, somme eccedenti il valore
di assunzione del maso (non reinvestite nel medesimo o in un'a
zienda che ne perpetui la funzione), non appare infatti sorretta
da ragioni giustificatrici della disparità di trattamento fra erede
assuntore del maso e altri coeredi.
Non si tratta, come è ovvio, di disconoscere le caratteristiche
tutte particolari dell'istituto tradizionale del maso chiuso, come
sopravvive da noi nella legislazione della provincia autonoma
di Bolzano, caratteristiche che già questa corte individuò in «quel le dell'indivisibilità del fondo, della sua connessione con la com
pagine familiare e dell'"assunzione" di esso fondo come "ma
so chiuso" da parte di un unico soggetto, cui un sistema parti colare — anche relativo al procedimento di assegnazione e di
determinazione del valore del fondo nel caso di pluralità di ere
di — permette di perpetuare e garantire nel maso stesso il perse
guimento delle finalità economiche e sociali proprie dell'istitu
to» (sentenza n. 4 del 1956, Foro it., 1956, I, 1068); né si deve
ignorare che l'istituto «non può qualificarsi né rivivere se non
con le caratteristiche sue proprie derivanti dalla tradizione e dal
diritto vigente» prima del suo disconoscimento legale, nell'ordi
namento italiano, avvenuto con l'estensione all'Alto Adige del
la legislazione nazionale (ibid.). Ma si tratta solo di seguire il
criterio per cui deroghe all'eguaglianza davanti alla legge nella
disciplina di posizioni costituzionalmente garantite, pur intro
dotte nell'esplicazione di un'autonomia legislativa connotata da
particolare specialità, come è quella della provincia di Bolzano, in tanto possono giustificarsi sul piano costituzionale, in quan to trovino fondamento nella ratio della speciale regolamenta zione in questione: mentre al di fuori di questi limiti torna a
dominare l'esigenza di parità. 5. - In questo senso del resto è la ratio decidendi della senten
za n. 505 del 1988 (id., 1990, I, 2454), la quale, riferendosi alla disicplina anteriore alla riforma del 1982, riconobbe che la «logica sanzionatoria» con cui si spiegava l'esclusione della
pretesa dei coeredi nell'ipotesi di trasferimento coattivo del ma
so, «almeno nel caso di vendita o assegnazione forzata per de biti [. . .] non è più integrata in una giustificazione sostanziale che valga a legittimare la disparità di trattamento dei coeredi», onde «si propaga anche al caso di vendita o assegnazione forza ta l'esigenza di equità che impone all'assuntore l'obbligazione restitutoria verso i coeredi»: così pervenendo a dichiarare l'ille
gittimità costituzionale della norma allora impugnata nella par te in cui non prevedeva l'applicazione della divisione suppleto ria «in caso di trasferimento coattivo del maso chiuso, in un
procedimento di esecuzione forzata instaurato entro il termine ivi contemplato», senza peraltro alcun riferimento alle cause del debito e dell'esecuzione forzata.
L'espropriazione per pubblica utilità costituisce certo un'ipo tesi di trasferimento della proprietà in sé diversa da quella della vendita o dell'assegnazione a seguito di esecuzione forzata: ma non vi è differenza apprezzabile fra le due ipotesi (e fra queste e l'ipotesi della vendita volontaria) sotto il profilo, che qui vie ne in considerazione, dell'oggettivo venir meno della funzione del maso e della sua permanenza nell'ambito della famiglia. An che in questo caso, dunque, devono riespandersi le esigenze di
ripristino dell'eguale trattamento, che stanno alla base dell'isti tuto della divisione suppletoria.
6. - Né vale richiamarsi al principio, proprio del diritto delle divisioni ereditarie, per cui non rileva, ai fini di rimettere in discussione la divisione, l'eventualità che alcuno dei beni ogget to ella medesima abbia acquistato maggior valore per fatti suc cessivi. Nella specie, infatti, la differenza fra il valore di realiz zo del bene (attraverso il conseguimento del suo prezzo o del l'indennizzo di espropriazione) e quello di assunzione non fa
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
capo, in linea di principio, ad eventi sopravvenuti all'assunzio
ne del maso, ma alla istituzionale divaricazione fra il valore
di mercato del bene e il criterio legale di computo del valore
di assunzione, collegato al reddito: ed è dunque una differenza
non eventuale, ma presupposta e voluta dalla legge, al fine di
rendere possibile il mantenimento dell'unità del maso, e dunque di assicurarne la funzione. Venuta meno quest'ultima, o co
munque realizzato il maggior valore di mercato del bene, viene
meno anche la ragione per la quale il legislatore ha imposto tale divaricazione.
Né, infine, può aver rilievo il fatto che l'indennizzo di espro
prio sia inferiore al valore venale del bene. Infatti l'obbligo di
versamento alla massa ereditaria, per la divisione suppletoria,
riguarda soltanto l'eccedenza, quale che sia, della somma con
seguita rispetto al valore di assunzione, e che non venga reinve
stita entro il biennio per l'ampliamento o il miglioramento del
maso o per l'acquisto di un nuovo maso.
È poi problema interpretativo, che non deve essere risolto
in questa sede, quello di stabilire i criteri di determinazione del
l'eccedenza nel caso di esporpriazione parziale del maso, che
incida sul valore della parte residua dello stesso.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 29 del «testo unificato delle leggi
provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi» approvato con de
creto del presidente della giunta provinciale di Bolzano del 28
dicembre 1978 n. 32, come modificato dalla 1. prov. 26 marzo 1982 n. 10 (modifica del testo unificato delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi, della legge provinciale sull'as
sistenza creditizia per assuntori di masi chiusi e della legge pro vinciale sull'amministrazione dei beni di uso civico), nella parte in cui non prevede l'obbligo di versamento alla massa eredita
ria, per la divisione suppletoria, anche dell'eccedenza, rispetto al prezzo di assunzione, del valore conseguito dall'assuntore a
titolo di indennità di espropriazione per pubblica utilità interve
nuta entro dieci anni dall'apertura della successione, con le stesse
modalità e gli stessi limiti stabiliti per il caso di alienazione del maso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 luglio
1997, ri. 6507; Pres. Corda, Est. Pignataro, P.M. Amican
te (conci, conf.); Impresa Icor costruzioni (Avv. Mancini) c. Adamo ed altri (Aw. Piccione). Dichiara inammissibile
ricorso avverso Trib. Roma 30 gennaio 1995.
CORTE DI CASSAZIONE;
Arbitrato e compromesso — Arbitri rituali — Compenso —
Liquidazione del presidente del tribunale — Ricorso in Cas
sazione — Inammissibilità (Cost., art. Ill; cod. proc. civ.,
art. 814).
È inammissibile il ricorso in Cassazione con il quale si deduce
l'eccessività del compenso liquidato agli arbitri rituali nell'im
pugnata ordinanza del presidente del tribunale. (1)
(1) Ricollegandosi l'impugnabilità in Cassazione dell'ordinanza pre sidenziale, prevista dall'art. 814 c.p.c. (su cui, da ultimo, Cass. 16 mag
gio 1997, n. 4347, Foro it., 1997, I, 1747, con nota redazionale), al
l'art. Ill Cost, il relativo ricorso, come dichiarato dalla sentenza in
rassegna, è esperibile solo per i vizi deducibili in base alla ricordata
norma costituzionale, vizi che, dopo la richiamata Cass. 16 maggio 1992, n. 5888, id., 1992, I, 1737 con osservazioni critiche di C. M. Barone,
possono riguardare la motivazione (risultante dal testo del provvedi mento impugnato) sotto i profili della inesistenza, della contraddittorie
tà o della mera apparenza, con conseguente esclusione degli ulteriori
riflessi della insufficienza e/o della irrazionalità motivazionali. Ciò po
sto, e ricordato che, come pure ribadito dalla riportata pronuncia (in linea non solo con la citata Cass. 6 settembre 1996, n. 8139, id., Rep.
1996, voce Arbitrato, n. 94, ma anche con la precedente Cass. 5 marzo
1991, n. 2318, id., 1991, I, 1109, con nota di richiami), il potere attri
buito al presidente del tribunale dal 2° comma del ripetuto art. 814
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 20 settembre
1994 diretto al presidente del Tribunale di Roma, Vincenzo Ada
mo, Luigi Fenu, Eugenio Rossi, Paolo Vaiano, Paolo Carbone
e Liliana De Luca Carboni (i primi cinque nella qualità di com ponenti del collegio arbitrale costituitosi il 17 febbraio 1994 per la risoluzione della controversia insorta tra l'impresa Icor co
struzioni s.r.l. ed il comune di Montevarchi e la sesta quale
segretaria del collegio stesso) chiedevano la determinazione, ai
sensi dell'art. 814, 2° comma c.p.c., degli onorari spettanti agli arbitri e del compenso dovuto alla segretaria.
I ricorrenti precisavano che il valore della controversia risolta
con il lodo sottoscritto il 29 luglio 1994 superava i cinque mi
liardi di lire. L'impresa Icor costruzioni si costituiva davanti al presidente
del tribunale e faceva presente che il procedimento arbitrale si
era concluso con la dichiarazione di improponibilità della do
manda (per il mancato rispetto del termine di proposizione del
la stessa) senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria e
l'esame nel merito delle trentatré domande formulate da essa
impresa agli arbitri.
Con ordinanza depositata il 30 gennaio 1995 il presidente del
tribunale, tenuto conto del valore della controversia (lire
5.685.350.185) e dell'impegno qualitativo e quantitativo profu so dal collegio arbitrale, liquidava la somma complessiva di lire
208.000.000 a favore dei ricorrenti, ponendone il pagamento — in solido — a carico delle parti del giudizio arbitrale.
Contro tale provvedimento l'impresa Icor costruzioni s.r.l.
ha proposto ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, basato su
un solo motivo, al quale gli arbitri e la segretaria sopra indicati
hanno resistito con unico controricorso. Le parti hanno deposi tato memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Con l'unico motivo di ricorso la società Icor costruzioni denunzia violazione del
l'art. 814, 2° comma, c.p.c. nonché illogicità, incongruenza e
travisamento dei fatti in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. La ricorrente lamenta l'eccessività del compenso di lire
208.000.000 complessivamente liquidato a favore degli arbitri
(e della segretaria), deducendo — per un verso — «la manifesta
ed intuitiva sproporzione tra detta somma» e la modesta attivi
tà svolta dagli arbitri per pervenire, senza svolgimento di attivi
tà istruttoria, alla pronuncia di improponibilità della domanda
per il ritenuto difetto di un presupposto processuale e — per altro verso — la palese ingiustizia ed arbitrarietà del provvedi mento impugnato in rapporto ad altri analoghi provvedimenti adottati dallo stesso presidente del Tribunale di Roma, ed in
particolare a quello in data 23 dicembre 1994 prodotto in que sta sede, con il quale il compenso agli arbitri era stato liquidato in cinquecento milioni di lire per una controversia di valore molto
superiore (lire 27.000.000.000) e la cui soluzione aveva compor tato la risoluzione di complesse questioni.
II ricorso è inammissibile. (Omissis) Con il ricorso per cassazione proposto ai sensi del citato art.
Ill Cost, si possono denunziare soltanto violazioni di legge, con riferimento sia alla legge regolatrice del rapporto sostanzia
le controverso, sia alla legge regolatrice del processo; pertanto, l'inosservanza da parte del giudice civile dell'obbligò della mo
ha natura discrezionale nel senso che lo stesso presidente è libero di
scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di
valutazione più adeguati all'oggetto della controversia, alla natura e
alla entità dei compiti affidati agli arbitri, utilizzando, eventualmente, come punto di riferimento, le tariffe di determinate professioni, in un
contesto ricollegabile all'art. 2233 c.c., è il caso di aggiungere che, al
lorquando si lamenta l'eccessività del compenso liquidato agli arbitri ovvero si critica l'adeguatezza dello stesso compenso rispetto all'opera svolta da costoro, si investono, come avvertito anche nella specie, giu dizi di fatto incensurabili in sede di legittimità.
Nelle battute finali della motivazione, la corte si occupa pure del
valore della controversia che, secondo la pronuncia in rassegna, «costi
tuisce il principale parametro di calcolo considerato anche dalla tariffa, tabella D, degli onorari in materia stragiudiziale per gli avvocati, ap
provata con d.m. 5 ottobre 1994 n. 585». In tal modo, la prima sezione
civile si ricollega, forse inconsapevolmente, alla sua precedente sent.
25 novembre 1993, n. 11664, id., 1994, I, 652, con nota di richiami, soffermatasi anch'essa sul valore della controversia (nell'occasione iden
tificato con l'entità delle richieste formulate in sede arbitrale e non con
la somma nella medesima sede ottenuta dalla parte vincitrice) come pos sibile punto di riferimento per il calcolo dell'onorario spettante agli arbitri rituali.
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