sentenza 18 settembre 1998; Pres. Pitruzzella, Est. CascinoSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 3653/3654-3657/3658Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192759 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
civile dei magistrati, prevede meccanismi del tutto simili di spo stamento della competenza territoriale nel processo penale tanto
nell'ipotesi in cui il magistrato sia soggetto passivo dell'azione pe nale quanto in quella in cui egli assuma la veste di parte lesa dal
reato.
Ma utili argomenti possono trarsi anche dalla sentenza della Cor
te costituzionale n. 51 del 9-12 marzo 1998, che ha dichiarato inam
missibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli art. da 18 a 36 c.p.c., sollevate dai giudici rimet
tenti, per contrasto con gli art. 3, 24, 25 e 101 Cost., nella parte in cui il sistema di determinazione della competenza territoriale
configurato da quegli articoli non prevede uno spostamento della
competenza per territorio secondo principi predeterminati quali
quelli previsti, per il processo penale, dall'art. 11 c.p.p.: a) nel
caso in cui un magistrato sia attore o convenuto in un procedi mento civile; ti) ovvero, in linea subordinata, limitatamente al caso
in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rilevanza pe nale debba essere incidentalmente accertata; c) ovvero, in via ul
teriormente subordinata, nei procedimenti civili per diffamazio
ne a mezzo stampa in cui sia applicabile la sanzione di cui all'art.
12 legge sulla stampa (ordinanza di remissione della Corte d'ap
pello di Roma 18 dicembre 1996) ovvero ancora ai giudizi civili
nei quali sia attore o convenuto un magistrato e che abbiano ad
oggetto una domanda di risarcimento dei danni derivanti da un
reato, di cui il magistrato, parte del giudizio civile, si assume es
sere l'autore ovvero la persona offesa o il danneggiato (ordinan za del Tribunale di Roma 11 novembre 1996).
La corte invero ha dichiarato inammissibili siffatte questioni in quanto «la richiesta sentenza additiva comporta . . . una scel
ta fra più soluzioni possibili, che è rimessa al legislatore». La motivazione della sentenza fa leva essenzialmente sulla ri
badita sostanziale disomogeneità tra processi civile e penale «im
prontati — segnatamente in tema di competenza territoriale — a
regole e criteri diversi, che si adeguano a distinte tradizioni ed esi
genze attuali» come dimostra il fatto che — nota la corte — «nel
processo penale — esclusi ovviamente i casi di connessione — unico
è il foro territoriale, cioè quello previsto dall'art. 8 c.p.p., cui ap
punto deroga il successivo art. 11 ; mentre nel processo civile sus
siste un'ampia pluralità di fori, correlati ai molteplici interessi,
riguardanti persone e cose, che vengono in considerazione relati
vamente alle varie liti» e dai quali non si può prescindere per «va
lutare quale fra le tante soluzioni possibili sia la più confacente
al processo civile, nei cui riguardi le modalità attuative del princi
pio di imparzialità-terzietà non sono necessariamente identiche a
quelle previste per il processo penale», di guisa che — conclude
la sentenza — «solo il legislatore può stabilire, nell'esercizio del
suo potere discrezionale, quando ricorra quell'identità di ratio che
imponga l'estensione pura e semplice del criterio di cui all'art. 11
c.p.p. — come del resto esso ha già ritenuto relativamente alle
controversie in materia di danno arrecato dai magistrati nell'eser
cizio delle loro funzioni (v. art. 4 e 8 1. 13 aprile 1988 n. 117) —
e quando, invece, quella ratio non ricorra affatto o sia realizzabi
le attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato al
la specifica materia».
Ora, però, tale fulcro della decisione non sembra possa valere
nel caso in esame, ove — come espressamente ricorda la stessa
sentenza della Corte costituzionale nel su evidenziato inciso — si
è di fronte già ad una. precisa scelta legislativa che ricalca il crite
rio di cui all'art. 11 c.p.p. (nella evidentemente sottintesa identità
di ratio) e che in concreto si traduce nell'indicazione di un foro
speciale esclusivo, non soggetto a nessuna soluzione alternativa.
Occorre dunque entrare nel merito della questione e, nel meri
to, prendere atto che, nonostante il giudizio di fondo circa la ri
correnza di identiche esigenze di tutela cui adeguare la determi
nazione del giudice competente per territorio nel processo penale e nel giudizio civile di danno ex lege 117/88, l'omessa previsione di uno spostamento di competenza in tale ultimo giudizio anche
nel caso quale quello in esame risulta oggettivamente frutto di
un'opzione legislativa che nega alla qualità di magistrato danneg
giato (attore) operante nel distretto idoneità ad incidere negativa mente sulla imparzialità del giudice diversamente non solo dal ri
lievo che invece si attribuisce alla qualità di magistrato danneg
giarne ma anche da quello che alla medesima posizione sostanziale
si riconosce nel processo penale (assimilato al primo, quanto ai
criteri sulla competenza territoriale, per ogni altro aspetto).
Il Foro Italiano — 1998.
Il dubbio che tale distinzione non risponda a criteri di ragione volezza e finisca col ledere il diritto di agire e difendersi di fronte
ad un giudice «che rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo
agli interessi oggetto del processo» appare a questo collegio non
manifestamente infondato e deve pertanto comportare la rimes
sione della questione alla Corte costituzionale nei termini, e con le consequenziali statuizioni, di cui al dispositivo.
Per questi motivi, visti gli art. 134 e 137 Cost., 1 1. cost. 9 feb
braio 1948 n. 1 e 23 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara non manife
stamente infondata, e rilevante nel presente giudizio, la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 4, 1° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non esclude la competenza del tribunale del luogo ove ha
sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è
compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato
(danneggiante) al momento del fatto, per attribuirla al tribunale
del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto più vi
cino, diverso da quello in cui il magistrato (danneggiante) eserci
tava le sue funzioni al momento del fatto, anche nel caso in cui
l'azione sia promossa da un magistrato che, al momento del fat
to, operava nel medesimo tribunale indicato come competente o
che in ufficio dello stesso distretto sia venuto ad operare al mo
mento della proposizione della domanda.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 18 settembre 1998; Pres.
PlTRUZZEILA, Est. CASCINO.
TRIBUNALE DI ROMA;
Delibazione delle sentenze straniere ed esecuzione di atti di au
torità straniere — Annotazione e trascrizione nei registri di
stato civile — Rapporti (Cod. civ., art. 454; r.d. 9 luglio 1939
n. 1238, ordinamento dello stato civile, art. 165; 1. 31 maggio 1995 n. 218, riforma del sistema italiano di diritto internazio
nale privato, art. 66, 67).
Nei casi in cui l'atto straniero di volontaria giurisdizione (nella
specie, atto di mutamento di cognome) necessiti di quella par ticolare forma di attuazione consistente nell'annotazione o tra
scrizione negli atti dello stato civile, spetta all'ufficiale di sta
to civile il controllo delle condizioni per il riconoscimento; in caso di rifiuto di ricevere l'atto da parte dell'ufficiale di
stato civile, verificandosi la «mancata ottemperanza» di cui
all'art. 671. n. 218 del 1995, la parte interessata deve chiede
re alla corte d'appello l'accertamento dei requisiti per il rico
noscimento, senza che possa farsi ricorso al procedimento di
rettificazione di atti dello stato civile. (1)
(1) La sentenza affronta, a quanto consta per la prima volta, il pro blema delle annotazioni e trascrizioni delle sentenze e degli atti stranieri di volontaria giurisdizione nei registri dello stato civile. Per una disami na dei profili problematici attinenti ai rapporti tra delibazione, annota zione e trascrizione nei registri dello stato civile e azione di rettifica
degli atti dello stato civile, v. Manzo, Sentenze straniere e registri dello stato civile (a proposito di una circolare del ministero di grazia e giusti zia), in Foro it., 1997, V, 145; Massetani, Sul riconoscimento delle
sentenze straniere di divorzio, ibid., 80. La circolare del ministero di
grazia e giustizia in tema può leggersi ibid., 83. In generale, sui profili di diritto internazionale privato dello stato
civile, Catari Panico, Lo stato civile e il diritto internazionale privato, Padova, 1992.
Sull'efficacia e riconoscimento di atti stranieri, v., tra gli altri, oltre
agli autori richiamati nei contributi sopra indicati, Mosconi, Diritto
internazionale privato e processuale, Torino, 1996, 153; Ballarino, Di
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3655 PARTE PRIMA 3656
Il 2 aprile 1997 la Corte d'appello dell'Arizona, su richiesta
di Stephen Joseph Nalewicki, Stefania Cittadini Nalewicki e Ti ziano Amadeus Nalewicki, sanciva che gli stessi (i primi due
genitori del terzo) si chiamassero, da quel momento Stephen
Joseph Scott, Stefania Cittadini Scott e Tiziano Amadeus Scott.
Conseguentemente Stefania Cittadini Scott, con istanza del
16 aprile 1998, ha chiesto la rettificazione dell'atto di nascita
del figlio Tiziano Amadeus nei registri dello stato civile nel sen
so che laddove è scritto «Nalewicki Tiziano Amadeus», deve
leggersi «Scott Tiziano Amadeus» e laddove è scritto «Nalewic
ki Stephen Joseph» deve leggersi «Scott Stephen Joseph». La domanda è inammissibile.
Va premesso che all'atto della Corte d'appello dell'Arizona
va riconosciuta la natura di «provvedimento straniero di volon
taria giurisdizione». Tale qualificazione, secondo la prevalente dottrina e giuris
prudenza formatesi sotto la vigenza dell'art. 801 c.p.c., ma che
anche oggi conserva piena validità, deve essere adottata in base
alla lex fori (v. Cass. 12 dicembre 1966, n. 2895, Foro it., 1967,
I, 1831; ma, più recentemente, v. anche Cass., sez. un., 8 ago sto 1990, n. 8061, id., Rep. 1990, voce Delibazione, n. 29): essa va riconosciuta solo se il corrispondente atto nell'ordina
mento italiano prescrive l'intervento dell'autorità giudiziaria in
sede di volontaria giurisdizione, mentre va esclusa se l'atto, pur
qualificato di volontaria giurisdizione dall'ordinamento stranie
ro, richieda, in base all'ordinamento italiano, l'intervento del
giudice in sede contenziosa o dell'autorità amministrativa. Ora,
poiché gli art. 153 ss. r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, prevedono nei procedimenti di cambiamento del cognome l'intervento del
procuratore generale della repubblica, deve, nella specie, rico
noscersi all'atto della Corte d'appello dell'Arizona la richiesta
qualificazione. Ciò premesso, si osserva che la materia dell'efficacia di sen
tenze o di provvedimenti stranieri in Italia è oggi regolata dagli art. da 64 a 71 1. 31 maggio 1995 n. 218, la quale ha abrogato
gli art. da 796 a 805 c.p.c., approvato con r.d. 28 ottobre 1940
n. 1443, e tra essi, l'art. 801 che disponeva, sotto la rubrica
«provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione», che «agli atti dei giudici stranieri in materia di volontaria giurisdizione,
quando si vuole farli valere in Italia, è attribuita efficacia nel
territorio della repubblica a norma degli art. 796 e 797 [discipli nanti il riconoscimento di sentenze - n.d.r.] in quanto appli cabili».
Mentre nella vigenza della precedente regolamentazione codi
ritto internazionale privato, Padova, 1996, 2a ed., 147; Campeis - De
Pauli, Il processo civile italiano e lo straniero - Lineamenti di diritto
processuale civile internazionale, Milano, 1996, 296; Carpi, L'efficacia delle sentenze ed atti stranieri, in AA.VV., La riforma del sistema di diritto internazionale privato e processuale, Milano, 1996, 150; Migliazza, Nazionalismo e internazionalismo nel sistema italiano di diritto proces suale civile internazionale, in Riv. dir. proc., 1996, 689; Luzzato, Il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri nella riforma del diritto internazionale privato italiano, in AA.VV., Convenzioni inter nazionali e legge di riforma del diritto internazionale privato, Padova, 1997, 215; Consolo, Evoluzioni nel riconoscimento delle sentenze stra
niere, ibid., 301; Bariatti, in AA.VV., Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, 318; Manzo, Profili della trascri zione delle sentenze straniere nei pubblici registri, in Documenti giusti zia, 1996, 2511.
Sul riconoscimento degli atti di volontaria giurisdizione, v. Saulle, Giurisdizione volontaria (dir. int.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1970, XIX, 455; per il commento agli art. 65 e 66 1. n. 218 del 1995, Bariatti, in AA.VV., Commentario, cit., 328 ss.
Sulle condizioni di ammissibilità del procedimento di rettificazione
degli atti dello stato civile, Cass. 27 marzo 1996, n. 2776; Foro it., Rep. 1996, voce Stato civile, n. 2; 26 gennaio 1993, n. 951, id., 1993, I, 3097, con nota di richiami, ai quali adde, Marziale, Stato civile, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1993, XXX, 7 ss. È stato ritenuto utilizzabile lo speciale procedimento di rettificazione nel caso di trascrizione nell'atto di stato civile di una sentenza straniera non delibata da Cass. 23 aprile 1963, n. 1062, Foro it., Rep. 1963, voce cit., n. 2, e Giust. civ., 1963, I, 1272; 25 luglio 1964, n. 2050, Foro it., 1964, I, 1582. Peraltro, in difformità da tale orientamento, Cass. 10 aprile 1968, n. 1073, id., 1968, I, 3039, ha ritenuto che nel caso indicato si è fuori dall'ambito dello specifico procedimento came rale e che l'azione, da qualificarsi azione di stato, rientri nella compe tenza del tribunale secondo gli ordinari criteri di competenza. Sui profi li del concorso tra azione di delibazione e procedimento di rettificazio ne, Cafari Panico, op. cit., 96.
Il Foro Italiano — 1998.
cistica la dottrina era prevalentemente orientata nel senso di
ritenere che la delibazione fosse uno strumento necessario qua lora l'atto dovesse essere annotato nei registri dello stato civile
(e tale soluzione era in linea con i principi generali regolanti la materia), le disposizioni degli art. 64 (in tema di riconosci
mento di sentenze) e 66 (in tema di riconoscimento di provvedi menti di volontaria giurisdizione) 1. 218/95 hanno fatto sorgere
l'interrogativo se tale soluzione sia tuttora ineludibile, giacché il legislatore, nel riformare la materia — mosso da intenti di
semplificazione, ma anche da una maggiore consapevolezza del
la necessità di dare concreta attuazione alle esigenze di apertura nei confronti della comunità internazionale degli Stati — si è
ispirato a principi di segno esattamente contrario a quello della
«necessarietà della delibazione», fissando la diversa regula iuris
secondo la quale la sentenza straniera, come il provvedimento straniero di volontaria giurisdizione — sempreché ricorrano le
condizioni previste dalle norme citate — hanno efficacia nel
l'ordinamento italiano «senza che sia necessario il ricorso ad
alcun procedimento»: il quale, invece, torna ad essere indispen sabile «in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del
riconoscimento». Esso rientra nella competenza funzionale del
la corte di appello ed è volto, appunto, alla verifica dell'esisten
za delle condizioni necessarie per l'efficacia del provvedimento, dietro istanza «di chi vi abbia interesse».
Mentre non risulta che, a tutt'oggi, la giurisprudenza abbia
definito gli esatti contorni del nuovo intervento del legislatore nelle ipotesi in cui l'atto debba essere trascritto o annotato nei
registri dello stato civile, si registrano in dottrina numerosi com
menti di vari autori dai quali emergerebbe la necessità in ogni
caso, e in via preventiva, della verifica delle condizioni alle qua li la legge subordina l'efficacia attraverso lo strumento del rico
noscimento del provvedimento ad opera della corte d'appello. Vi è, invece, chi, partendo dal presupposto che sia scomparso dal codice il procedimento di delibazione, ritiene ne sia derivata
la conseguenza del recupero della massima capacità espansiva della normativa ordinaria, sicché nell'ipotesi in esame dovrebbe
trovare applicazione l'azione di rettificazione degli atti dello stato
civile, adottabile anche se si debba imporre all'ufficiale di stato
civile la trascrizione o l'annotazione che sia stata omessa.
Tali opinioni non appaiono però convincenti.
Iniziando da quest'ultima impostazione, si rileva che ad essa
è stato efficacemente replicato che la nuova legge non ha affat
to abolito il procedimento di riconoscimento delle sentenze o
degli atti di volontaria giurisdizione, ma lo ha solo reso even
tuale, riservandolo a tutti quei casi in cui il comando o la sta
tuizione contenuti nel provvedimento straniero non possano tro
vare esecuzione per mancata ottemperanza o per contestazione
del riconoscimento (rectius: dei presupposti del), ovvero quan do sia necessario procedere all'esecuzione forzata. In tali casi
il legislatore ha istituito la competenza funzionale della corte
d'appello, e risulterebbe del tutto singolare la sovrapposizione della competenza del tribunale nella materia dello stato civile.
A ciò si aggiunga che, secondo quanto affermato anche recen
temente dalla Corte suprema di cassazione (Cass. 27 marzo 1996, n. 2776, id., Rep. 1996, voce Stato civile, n. 2), il procedimento di rettificazione disciplinato dal titolo IX del r.d. 9 luglio 1939
n. 1238 (ordinamento dello stato civile) è ammissibile soltanto
nelle ipotesi in cui sia diretto ad eliminare una difformità tra
la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà
secondo la previsione di legge, e quale risulta dall'atto dello
stato civile, per un vizio, comunque e da chiunque originato, nel procedimento di formazione dell'atto stesso; tale situazione
non si attaglia alla fattispecie, in cui si tratterebbe di annotare
un provvedimento di cambiamento del cognome, avvenuto suc
cessivamente alla formazione di un valido atto di stato civile.
Ma sembra anche criticabile la posizione dottrinaria sopra ri
chiamata, secondo la quale, ai fini della trascrizione o annota
zione dell'atto straniero (sentenza o atto di volontaria giurisdi
zione) negli atti dello stato civile sarebbe sempre necessario, in
via preventiva, il riconoscimento. A tale impostazione si deve
opporre il dato formale che la 1. 218/95 non fa espressa men
zione di tale necessità. Per sostenere l'ineludibilità del ricono
scimento giudiziale delle sentenze e dei provvedimenti stranieri
ai fini della loro trascrizione o annotazione nei registri dello
stato civile si dovrebbe giungere ad affermare che tale tipo di
attuazione dell'atto straniero sia equiparabile all'«esecuzione for
zata», prevista dal 1° comma dell'art. 67 1. 218/95. Ma tale
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
soluzione va scartata, come pure è stato riconosciuto, in consi
derazione dell'evidente significato tecnico che va attribuito al
l'espressione, da intendersi come sinonimo di espropriazione for zata o di esecuzione in forma specifica, secondo le specifiche norme dettate nel libro III del codice di procedura per tali pro cedimenti. Si è anche lucidamente rilevato in dottrina che il ri
conoscimento giudiziale riveste carattere eccezionale, sicché il
procedimento non sembrerebbe applicabile in via analogica. In relazione a tutto quanto sopra osservato sembra doversi
concludere nel senso che in ogni caso in cui l'atto straniero ne
cessiti di quella particolare forma di attuazione che consiste nel
l'annotazione o nella trascrizione negli atti dello stato civile, l'atto stesso dovrà essere sottoposto all'ufficiale di stato civile
e che al pubblico funzionario sia demandato il compito di esa
minare l'atto e di verificare se ricorrano le condizioni perché sia ricevuto, e quindi annotato o trascritto. Qualora egli non
ritenga che ricorrano le condizioni in parola, potrà rifiutare di
ricevere l'atto, (dando così luogo alla «mancata ottemperanza» di cui all'art. 67 1. 218/95), e in tal caso la parte interessata
dovrà procedere all'istanza di riconoscimento davanti alla corte
d'appello, senza che, ancora una volta, possa trovare spazio il procedimento di rettificazione nella specie esperito dall'inte
ressata.
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 3 giugno 1998; Giud.
Viazzi; Romairone (Aw. Villani) c. Soc. Assicurazioni ge nerali (Avv. Bianchi).
TRIBUNALE DI GENOVA;
Prescrizione e decadenza — Assicurazione contro gli infortuni — Assicurazione contro i danni — Medesimo termine di pre scrizione — Questione non manifestamente infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3; cod. civ., art. 2952).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 2952, cpv., c.c., nella parte in cui preve de lo stesso termine di prescrizione annuale per i diritti di
credito derivanti dai contratti di assicurazione contro gli in
fortuni e per quelli derivanti dai contratti di assicurazione contro i danni, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1) Può dirsi ragionevole, nonché coerente con le prescrizioni conte nute in altre parti dell'ordinamento, la disposizione dell'art. 2952, cpv., c.c., nella parte in cui sottopone i diritti di credito derivanti dai con tratti di assicurazione contro gli infortuni al medesimo termine breve di prescrizione previsto per i diritti di credito scaturenti dai contratti di assicurazione contro i danni?
È questo l'interrogativo che il giudice del Tribunale di Genova si è posto nel valutare la concreta possibilità di sollevare la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 2952, cpv., c.c., in riferimento all'art. 3 Cost. Non importa al giudice rimettente individuare il c.d. tertium
comparationis disciplinante la situazione asseritamente analoga, dal mo mento che la questione di costituzionalità non è riguardata sotto il pro filo della disparità di trattamento tra situazioni omogenee; anzi, sono
proprio la diversa natura e la conseguente diversa rilevanza dei beni tutelati attraverso i contratti di assicurazione contro gli infortuni e con tro i danni (vita, integrità fisica, beni materiali) a far ritenere non ma nifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma de qua per contrarietà all'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della ragionevolezza e della coerenza interna dell'ordinamento (per tale modo di intendere il sindacato di costituzionalità, v. Corte cost. 28 marzo 1996, n. 89, Foro it., Rep. 1996, voce Corte costituzionale, n. 73).
Si determina, così, un nuovo ed originale tentativo di far dichiarare l'incostituzionalità dell'art. 2952, cpv., c.c., con riferimento all'assicu razione contro gli infortuni. Ed infatti la Corte costituzionale aveva
già avuto modo di pronunciarsi circa la congruenza dell'eccessiva brevi tà del termine annuale di prescrizione del diritto al pagamento dell'in dennizzo assicurativo, ove raffrontato alla più lunga prescrizione previ sta per il risarcimento del danno da fatto illecito. Con ord. 3 dicembre
1987, n. 458 (id., Rep. 1988, voce Prescrizione e decadenza, n.
Il Foro Italiano — 1998.
L'attore Romairone Bruno, beneficiario di una polizza cu
mulativa infortuni stipulata dalla Banca Carige sua datrice di
lavoro, il 31 dicembre 1984 con le Assicurazioni generali s.p.a. a favore dei propri dipendenti, ha agito nel presente giudizio per ottenere il pagamento dell'indennizzo assicurativo essendo stato coinvolto 1*8 settembre 1990 in un incidente stradale da cui gli sono derivate asserite invalidità temporanea e permanen te. La compagnia convenuta, costituendosi, ha eccepito prelimi narmente l'intervenuta prescrizione annuale del, diritto fatto va
lere dall'attore ai sensi dell'art. 2952, cpv., c.c., decorrente nel
caso di polizza infortuni dal giorno della verificazione del fatto
denunciato come infortunio, assumendo che dopo la denuncia
dell'incidente, avvenuta I'll settembre 1990 e dopo l'inoltro di
diversi altri documenti attinenti all'infortunio sino al 23 dicem
bre 1992, prima della richiesta di visita medica avvenuta nel
febbraio '95 non è stata più inviata alcuna ulteriore comunica zione. Da qui l'intervenuta prescrizione, secondo l'assicurazio
ne, essendo decorso oltre un anno senza l'inoltro di idonei atti
interruttivi.
Interveniva altresì volontariamente in giudizio la Banca Cari
ge s.p.a. associandosi in via principale alla domanda del Ro
mairone e, in via subordinata, chiedendo la condanna della com
pagnia al pagamento a suo favore dell'indennizzo dovuto.
Il giudice istruttore, con ordinanza 23 marzo 1998, segnalava d'ufficio alle parti ai sensi dell'art. 183, 3° comma, c.p.c. un
possibile profilo di illegittimità costituzionale della norma rela
tiva alla prescrizione annuale dei crediti assicurativi, invitando
le parti a trattare la questione mediante apposite memorie. L'in
tervenuta rilevava la non manifesta infondatezza della questio ne sotto il profilo della sottoposizione allo stesso termine di
prescrizione dei diritti di credito derivanti dal contratto di assi
curazione contro gli infortuni e quelli derivanti dai contratti di assicurazione contro i danni; la convenuta, al contrario, ri
chiamando la tesi dell'appartenenza del contratto di assicura
zione contro gli infortuni all'area dell'assicurazione contro i dan
ni, sosteneva l'infondatezza della questione di legittimità costi
tuzionale relativa allo stesso termine di prescrizione. Ritiene questo giudice istruttore che sia non manifestamente
infondata e rilevante la questione di legittimità, sotto il profilo dell'art. 3 Cost., dell'art. 2952, cpv., c.c. nella parte in cui sot
topone allo stesso termine breve di prescrizione diritti di credito
relativi a beni profondamente diversi quali, da un lato, le cose
danneggiate e, dall'altro, come nel caso di specie, l'integrità fisica della persona.
Riguardo al primo profilo, appare innanzi tutto difficilmente
contestabile che la vigente disciplina della prescrizione annuale
di tutti i diritti derivanti dal contratto di assicurazione, omoge neizzando beni di rango notevolmente differente tra loro quali la vita, l'integrità della persona e le cose materiali, presenta
48), la Consulta aveva provveduto a salvare la norma dalle censure di incostituzionalità, argomentando in base alla diversità delle ipotesi contemplate dagli art. 2952 e 2947 c.c.: il primo, infatti, si riferisce ad un rapporto obbligatorio che non necessariamente scaturisce da un fatto illecito ed intercorre tra assicurato ed assicuratore, il quale è co
munque estraneo all'eventuale illecito; il secondo, invece, attiene ad un'ob
bligazione che trae origine dal fatto illecito posto in essere dal danneg giarne, determinando un vincolo tra quest'ultimo e il danneggiato. Ana
logo ragionamento, fondato sulla non comparabilità di regimi diversi, ha seguito, poi, Cass. 9 giugno 1997, n. 5155 (id., Rep. 1997, voce
cit., n. 102), allorché ha dichiarato l'art. 2952 c.c. insuscettibile di de nuncia di incostituzionalità, con riferimento al termine triennale di pre scrizione contemplato dall'art. 112 d.p.r. 1124/65 in tema di assicura zione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie profes sionali.
Alla luce dell'/ter argomentativo seguito dal Tribunale di Genova, appare evidente come i dubbi di costituzionalità prescindano dalla solu zione che si voglia accogliere in ordine al discusso problema dell'inqua dramento giuridico del contratto di assicurazione contro gli infortuni
(v., al riguardo, E. Colombini, Il contratto di assicurazione contro gli infortuni, in Arch, civ., 1997, 690 ss.).
Quanto al diverso problema della decorrenza del termine prescrizio nale, può considerarsi oramai acquisito il principio secondo cui bisogna aver riguardo al momento in cui l'evento lesivo o morboso si traduca o si evidenzi in uno dei fatti coperti dalla garanzia assicurativa, e non necessariamente dal giorno dell'infortunio: v. Cass. 4 dicembre 1997, n. 12329, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 22, e 13 febbraio 1998, n. 1563, id., Mass., 172 (per esteso, Danno e resp., 1998, 783, con nota di A. Palmieri).
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