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sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60);...

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sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret. Milano 10 maggio 1979 (G.U. n. 304 del 1979) Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1693/1694-1701/1702 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178604 . Accessed: 28/06/2014 07:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 07:47:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret. Milano 10 maggio 1979

sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 dicembre 1986, n.60); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret. Milano 10 maggio 1979 (G.U. n.304 del 1979)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1693/1694-1701/1702Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178604 .

Accessed: 28/06/2014 07:47

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rapportata all'anzianità massima di servizio. Il procuratore gene rale sosteneva che, in via interpretativa, potesse giungersi a rite

nere applicabile tale normativa anche al personale della regione siciliana e che, in caso contrario, dovessero ritenersi costituzio

nalmente illegittime le disposizioni della 1. reg. sic. n. 17 del 1978

nella parte in cui prevedeva espressamente che anche le modifica

zioni successive intervenute nella legislazione statale sull'indenni

tà integrativa speciale, fossero immediatamente operanti per la

regione siciliana. La Corte dei conti ha ritenuto inapplicabile la

normativa statale suddetta al personale della regione siciliana, non

ché improponibile la questione di legittimità costituzionale pro

spettata, in quanto implicante un intervento d'innovazione

normativa riservato al legislatore. Viceversa, ha sollevato que stione di legittimità costituzionale dei primi quattro articoli della

1. reg. sic. n. 17 del 1978, in quanto disponevano l'attribuzione, ai dipendenti regionali in servizio e a riposo, dell'indennità di

contingenza anziché dell'indennità integrativa speciale. Secondo l'ordinanza di rimessione, la 1. reg. n. 17 del 1978

contrasterebbe innanzitutto col principio — da classificarsi quale

principio fondamentale di riforma economico-sociale — secondo

il quale per tutti i dipendenti pubblici, compresi quelli delle regio ni a statuto speciale, gli adeguamenti retributivi connessi alle va

riazioni del costo della vita vanno corrisposti nella forma

dell'indennità integrativa speciale. Ciò si evincerebbe da un insie

me di norme statali — quali l'art. 67 1. n. 62 del 1953, l'art.

16 1. n. 324 del 1959, l'art. 26 1. n. 70 del 1975 e, soprattutto, l'art. 1 1. n. 93 del 1983 — e sarebbe stato riconosciuto dalla

Corte costituzionale nella sentenza 20 aprile 1978, n. 45 (Foro

it., 1978, I, 1870). Ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale degli art. 1-4 1. reg.

n. 17 del 1978 per contrasto con l'art. 14, lett. q), dello statuto

siciliano, che implicitamente deve ritenersi preveda quale limite

per la legislazione regionale, i principi fondamentali delle riforme

economico-sociali dello Stato.

Le norme impugnate, inoltre, contrasterebbero anche con l'art.

3 Cost., violando il principio di uguaglianza sotto il profilo della

ingiustificata differenza di trattamento tra dipendenti della regio ne siciliana e dipendenti dello Stato e delle altre regioni, per i

quali detto adeguamento avviene col diverso meccanismo dell'in

dennità integrativa speciale e relativa differenziata disciplina.

Infine, le norme impugnate violerebbero anche l'art. 36 Cost.,

giacché l'indennità di contingenza, nel calcolo da effettuarsi se

condo il loro disposto, comporta, o può comportare, differenze

quantitative rispetto all'indennità integrativa speciale, ponendosi così in essere un'alterazione, effettiva o virtuale, della proporzio ne retributiva.

Quanto alla 1. reg. 13 dicembre 1983 n. 115, nell'ordinanza

di rimessione si osserva che essa — statuendo all'art. 3 che a

decorrere dal trimestre 1° novembre 1982- 31 gennaio 1983 le

variazioni dell'indennità di contingenza, di cui alla 1. reg. n. 17

del 1978, sono determinate nella misura e con le modalità previ ste dall'art. 3 d.l. 29 gennaio 1983 n. 17 convertito nella 1. 25

marzo 1983 n. 79 — ha eliminato ogni sostanziale differenziazio

ne quantitativa tra le due indennità, ma ne ha lasciato inalterata,

insieme alle norme, la differenziazione giuridica. Infatti, non ha

recepito a sua volta, attuando con ciò una situazione di contrasto

con gli art. 3 e 36 Cost., anche la norma dell'art. 10 d.l. n. 17

del 1983 come risultante dalla legge di conversione, circa la ridu

zione dell'indennità integrativa speciale al personale collocato an

ticipatamente a riposo ad una frazione commisurata agli anni di

servizio utili e rapportata all'anzianità massima di servizio. Ne

deriverebbe, pertanto, l'illegittimità conseguenziale anche dell'art.

3 1. reg. n. 115 del 1983.

Tutto ciò, si afferma nell'ordinanza di rimessione, «a prescin

dere dall'esame della classificabilità della disposizione dell'art. 10

del suddetto d.l. n. 17 del 1983 quale norma fondamentale delle

riforme economico-sociali della repubblica, che pure va ricono

sciuta per la sua applicabilità alla generalità dei dipendenti pub

blici in quanto aventi diritto all'indennità integrativa speciale e

che da sola varrebbe a motivare autonomamente, in termini ana

loghi a quelli sopra precisati, la questione di legittimità costitu

zionale». (Omissis) Diritto. — 6. - Può disporsi la riunione dei giudizi, attesa l'i

dentità del loro oggetto, per una congiunta decisione.

7. - Le ordinanze di rimessione della Corte dei conti (sezione

giurisdizionale della regione siciliana), nel sollevare questione di

legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3 e 4 1. reg. 24 luglio

Il Foro Italiano — 1987.

1978 n. 17 e 3 1. reg. 13 dicembre 1983 n. 115 (riguardanti l'attri

buzione dell'«indennità di contingenza» ai dipendenti regionali),

premettono che nei provvedimenti relativi al trattamento di pen sione — della cui legittimità è chiamato a giudicare — l'indennità

di contingenza viene attribuita «ai sensi delle vigenti disposizioni di legge», senza che ne sia « precisato l'importo».

In effetti i decreti di liquidazione delle pensioni impugnati at

tribuivano «l'indennità di contingenza secondo le vigenti norme»

e facevano «riserva di rideterminazione» della misura delle pen sioni «dopo l'emissione della sentenza relativa al giudizio di co

stituzionalità sulla normativa regionale concernente l'adeguamento delle retribuzioni liquidate successivamente all'entrata in vigore della 1. statale 31 marzo 1977 n. 91», di cui questa corte era

stata già investita con le ordinanze nn. 657/78 e 630/79 e sui

quali ha provveduto con sentenza n. 186 del 1986.

Trattavasi, pertanto, di atti dal contenuto ancora indetermina

to e del tutto generico, privi dell'identificazione della normativa

da applicare e destinati ad operare in concreto solo a seguito del

l'emanazione di successivi provvedimenti che determinassero l'in

dennità in questione e la normativa della quale, nel determinarla,

si faceva applicazione. Le ordinanze di rimessione si riferiscono pertanto ad un ogget

to non definito nello stesso giudizio a quo, di guisa che la man

canza di specificazione nei provvedimenti impugnati della

normativa applicabile e la lóro completa genericità rende inutile

il giudizio di questa corte, tenuto conto che qualunque sia il suo

esito, questo non potrebbe incidere su essi.

Ne deriva l'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle que stioni proposte.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi indi

cati in epigrafe, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3 e 4 1. reg. sic. 24 luglio 1978

n. 17 (nuove norme per l'adeguamento delle retribuzioni al costo

della vita e per le prestazioni di lavoro straordinario ai dipendenti dell'amministrazione regionale) e dell'art. 3 1. reg. 13 dicembre

1983 n. 115 (norme per il trattamento economico del personale dell'amministrazione regionale in servizio ed in quiescenza, in at

tuazione dell'accordo relativo alla revisione dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale per il periodo 1982-84), sollevate, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost,

e dell'art. 14, lett. q), dello statuto della regione siciliana, con

le ordinanze indicate in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 dicembre 1986, n. 269

0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60);

Pres. La Pergola, Rei. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret.

Milano 10 maggio 1979 (G.U. n. 304 del 1979).

Emigrazione — Reato di eccitamento all'emigrazione — Libertà

di emigrazione — Violazione — Incostituzionalità (Cost., art.

35; 1. 24 luglio 1930 n. 1278, nuove norme penali in materia

di emigrazione, art. 5).

È illegittimo, per violazione dell'art. 35, 4° comma, Cost., l'art.

5, 1° comma, I. 24 luglio 1930 n. 1278, che incrimina chiun

que, con manifesti, circolari, guide e con qualsiasi mezzo di

pubblicità, eccita l'emigrazione di cittadini. (1)

(1) La sentenza di accoglimento in epigrafe ripropone il più classico

modello di sindacato sulla legittimità di una norma incriminatrice per

ragioni attinenti al suo contenuto: e cioè, la ritenuta illegittimità costitu

zionale della norma penale in questione viene fatta dipendere dalla sua

attitudine a incidere su diritti di libertà costituzionalmente garantiti, sen

za che tale incidenza possa considerarsi giustificata dall'esigenza di tute

lare altri beni o interessi costituzionalmente rilevanti (per una ricostruzione

dei possibili modelli di sindacato di costituzionalità su norme incrimina

trici, per ragioni attinenti al loro contenuto e al loro scopo di tutela cfr., di recente, Pulitanò, Bene giuridico e giustizia costituzionale, in AA.W., Bene giuridico e riforma della parte speciale, a cura di A.M. Stile, Na

poli, 1985, 135 ss.). Applicando il predetto modello di sindacato al caso di specie, la corte

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1695 PARTE PRIMA 1696

Diritto. — 1. - Vanno anzitutto esaminate due questioni preli minari. La prima in ordine all'oggetto del presente giudizio, la

seconda attinente all'autonomia delle ipotesi delittuose di cui al

1° ed al 2° e 3° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278.

In ordine alla prima questione va osservato che, se è vero che

l'ordinanza di rimessione, nel dispositivo, solleva questione di le

gittimità costituzionale in relazione, genericamente, all'art. 5 del

la legge ora indicata, è altresì vero che l'ordinanza stessa propone censure specifiche in relazione alla sola fattispecie tipica prevista

è pervenuta alla conclusione che la ratio di tutela originariamente sottesa al reato di eccitamento all'emigrazione (per la tesi secondo cui l'art. 35 Cost, non ha abrogato, ma lasciato sopravvivere l'art. 5, 1° comma, 1. 1278/30 cfr., oltre all'ordinanza di rimessione, Cass. 4 luglio 1953, Mar

chese, Foro it., Rep. 1953, voce Emigrazione, n. 5), non è idonea a limi tare il diritto alla libertà d'emigrazione oggi esplicitamente riconosciuto dall'art. 35, 4° comma, Cost.

Prima di accennare alle assai persuasive argomentazioni addotte a so

stegno della pronuncia di accoglimento, va ricordato che la corte aveva con sentenza n. 26/57 (id., 1957, I, 507, con nota di richiami) operato il salvataggio della fattispecie di procacciamento a scopo di lucro di con tratti di lavoro all'estero ex art. 4 della stessa 1. n. 1278/30, in quanto finalizzata a uno scopo di tutela reputato non confliggente con la libertà di emigrazione: ed invero — secondo i giudici della Consulta — l'art. 4 cit. «non pone limiti al diritto del cittadino ad emigrare, ma è diretto ad impedire l'attività speculativa di chi può approfittare della necessità o della speciale condizione psicologica di aspettativa o di credulità degli aspiranti ad emigrare, specie se disoccupati».

Si tratti o meno di uno scopo di tutela a tutt'oggi plausibile, stante il grado di evoluzione raggiunto dagli attuali emigranti, sta di fatto che

l'esigenza di garantire il lavoratore da possibili inganni e illecite specula zioni non è comunque assumibile a interesse protetto dalla diversa fatti

specie incriminatrice oggetto della decisione in epigrafe: a differenza dell'art. 4 cit., che nel configurare il reato di procurata emigrazione menziona il «fine di lucro», la disposizione ora impugnata di cui all'art. 5, 1° com

ma, cit. vieta infatti la pura e semplice attività di propaganda dell'emi

grazione, a prescindere sia da qualsiasi scopo lucrativo sia dalla veridicità o falsità delle notizie propagandate (il riferimento ai «motivi di lucro» e/o l'uso di «notizie o indicazioni false» ricompaiono invece nelle ipotesi criminose di cui ai commi 2° e 3° dello stesso art. 5, rimaste estranee

però all'oggetto dell'eccezione di incostituzionalità). Ora, se a un cosi

generale divieto di eccitamento all'emigrazione deve dunque essere asse

gnato uno scopo di tutela diverso da quello di salvaguardare la buona fede o le condizioni economiche del lavoratore, questo scopo va desunto — come persuasivamente si osserva in motivazione — dallo «stretto lega me tra il regime politico-costituzionale vigente nel 1930, le visioni genera li in tema d'emigrazione dello stesso regime ed i particolari interessi tutelati

con l'incriminazione del tipo delittuoso in esame»: appunto in coerenza con la politica demografica dello Stato fascista, ispirata al proposito di incrementare la popolazione nazionale, la ratio sottesa al reato in que stione viene giustamente individuata dalla corte nell'interesse dello Stato a dirigere, orientare, determinare l'emigrazione di massa e nel conseguen ziale interesse «al monopolio dei mezzi di pubblicità in ordine alla forma zione della volontà d'emigrare».

Di qui a concludere che una ratio siffatta confligge apertamente con la concezione dell'emigrazione trasfusa nella nuova normativa costituzio

nale, si tratta invero di un passaggio argomentativo pressoché obbligato. L'art. 35, 4° comma, Cost., riconoscendo pienamente il diritto alla liber tà d'emigrazione, ha inteso anche contrastare l'opposto orientamento del

legislatore fascista: consacrata come regola la libertà d'emigrare, le dero

ghe ad essa non possono che avere una portata eccezionale (cfr. La Costi tuzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, a cura di V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, Milano, 1976, 127 s.), come

peraltro si desume dall'inciso, contenuto nella stessa disposizione costitu zionale testé richiamata, «salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'inte resse generale». Né potrebbe sostenersi ragionevolmente che corrisponde all'«interesse generale» un divieto di far propaganda d'emigrare. Una volta riconosciuta la libertà d'emigrazione, vietare una propaganda (disinteres sata ed inidonea ad ingannare) tesa all'esercizio della predetta libertà equi varrebbe — come ben osserva la Consulta — a ritenere illecita l'attività strumentale al conseguimento di un obiettivo costituzionalmente lecito:

dunque, una contraddizione insuperabile, perché non giustificata da alcu na ragione plausibile (tanto più che non si riesce a rinvenire oggi un qual che interesse costituzionalmente rilevante, capace di rimpiazzare l'originaria ratio sottesa al divieto di eccitamento all'emigrazione).

In generale, sui profili costituzionali e sulla normativa (anche penale) relativi alla materia, cfr. Carretta, Emigrazione, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, XIV, 833 ss.

Per un quadro ragionato delle (invero non numerose) pronunce di ac

coglimento emesse dalla corte in base al ritenuto contrasto tra una norma incriminatrice e un diritto di libertà costituzionalmente garantito cfr. sempre Pulitanò, cit., 142 ss. [G. Fiandaca]

Il Foro Italiano — 1987.

dal 1° comma del predetto art. 5 e non anche in relazione alle

ipotesi delittuose di cui ai capoversi del medesimo. Va ancora

rilevato da un canto che l'imputazione elevata nel procedimento a quo attiene al solo delitto di cui al 1° comma del precitato articolo e dall'altro che il giudice rimettente sottolinea che il pre detto 1° comma, sanzionando penalmente l'eccitazione all'emi

grazione senza ulteriori specificazioni, non può sostenersi essere

indirizzato alla tutela della buona fede dell'emigrante né diretto

ad impedire speculazioni nei confronti di chi è economicamente

più debole poiché le «notizie ed indicazioni false» ed i «motivi

di lucro» sono espressamente previsti dalle ipotesi di cui al 2°

e 3° comma dell'articolo in esame, l'eccezione d'illegittimità co

stituzionale deve ritenersi riferita al solo 1° comma del più volte

citato art. 5 della legge in discussione.

2. - La seconda questione preliminare sorge dalla soluzione da

ta alla prima. Essendo oggetto del presente giudizio la legittimità costituzio

nale del 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278, si pone il quesito se i modelli incriminati nei capoversi del citato articolo

siano o meno autonomi nei confronti dell'ipotesi delittuosa pre vista dal 1° comma dello stesso articolo.

Al quesito va data, senza dubbio, risposta affemativa.

Seguendo autorevole dottrina si potrebbe, infatti, sostenere che, anche quando i modelli di cui ai capoversi dell'articolo in discus

sione costituissero ipotesi circostanziate del fatto «semplice» in

criminato nel 1° comma, ugualmente i precitati modelli

costituirebbero autonome fattispecie tipiche: anche le ipotesi cir

costanziate, infatti, sarebbero, secondo la sopra richiamata dot

trina, incriminate a tutela di beni giuridici diversi da quelli garantiti attraverso l'incriminazione del relativo fatto «semplice».

Senonché, a parte ogni questione attinente alla natura di fatti

specie tipiche circostanziate, o meno, delle ipotesi di cui ai capo versi dell'art. 5 della legge in esame, va sottolineato che le stesse

ipotesi sono senza dubbio «speciali rispetto a quella «generale»

(o «semplice») prevista dal 10 comma dell'articolo più volte cita

to, ma sono speciali per aggiunta e non per specificazione. Il

«fine di lucro» o le «notizie ed indicazioni false», infatti, non

specificano alcun elemento della fattispecie «generale» ma si ag

giungono agli elementi individuati in quest'ultima: il predetto fi

ne e le indicate notizie sono dal legislatore aggiunti agli elementi

della fattispecie «generale» (e, pertanto, vietati) in quanto attra

verso essi lo stesso legislatore ritiene si ledano beni giuridici di

versi da quelli garantiti mediante l'incriminazione della fattispecie

«generale» ed «indifferenti» rispetto all'incriminazione stessa.

La diversità dei beni tutelati dai divieti di cui ai capoversi del l'articolo in discussione, rispetto ai beni tutelati dal divieto di

cui al 1° comma dello stesso articolo, rende, pertanto, i citati

capoversi sicuramente autonomi. Conseguentemente, l'illegittimi tà costituzionale del 10 comma non coinvolge valutazioni relative

alle ipotesi delittuose previste dai capoversi del più volte citato

articolo. Di tali valutazioni, dunque, in questa sede si può non

discutere; né la validità delle stesse ipotesi criminose è in alcun

modo condizionata dalla validità costituzionale del preindicato 1° comma.

3. - Nell'esame del merito della controversia va rilevato, prima

d'ogni altra considerazione, che l'ipotesi delittuosa prevista dal

1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278 (che il giudice a quo ritiene ancora vigente nel nostro ordinamento) non trova

alcun precedente nella legislazione anteriore al 1930 ed è in con

trasto con l'orientamento seguito da quest'ultima in sede di com

posizione strutturale delle fattispecie tipiche di propaganda tesa

a favorire l'emigrazione. Tutte le leggi penali anteriori al 1930,

infatti, nel vietare l'eccitazione, attraverso mezzi di pubblicità,

all'emigrazione, ipotizzano fattispecie tipiche nelle quali caratte

ristica, requisito essenziale, è il fine di lucro oppore la diffusione

di notizie false; ed a volte sono richiesti entrambi i requisiti, con

o senza l'inganno del destinatario dell'eccitazione.

Già l'art. 17, 1° comma, 1. 31 gennaio 1901 n. 23, nel vietare

«al vettore ed ai suoi rappresentati di eccitare pubblicamente ad

emigrare», tende ad evitare che si speculi, per lucro, su condizio

ni di particolare bisogno e, conseguentemente, di minore resisten

za all'eccitazione. Conferma del rilievo secondo il quale il fine

di lucro è implicito nel comportamento incriminato dal 1° com

ma della 1. n. 23 del 1901 si ha (a parte l'ovvia considerazione

che il vettore, almeno di regola agisce per motivi di lucro) ricor

dando che l'art. 34 1. 2 agosto 1913 n. 1075, nel sostituire il 1°

comma dell'ora citato art. 17 1. n. 23 del 1901, estende a «chiun

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

que» il divieto d'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigra zione ma richiede necessariamente, per «chiunque», il fine di lu

cro o la diffusione di notizie false.

L'art. 14, 1° comma, t.u. sull'emigrazione, approvato con il

r.d.l. 13 novembre 1919 n. 2205, nel riproporre l'ipotesi crimino sa di cui all'art. 34 della precitata 1. 2 agosto 1913 n. 1075, recita:

«...chiunque a fine di lucro eccita ad emigrare e chiunque con

manifesti, circolari, guide o con pubblicazioni di ogni genere con

cernenti l'emigrazione diffonde notizie o indicazioni false o dif

fonde... notizie di tale natura stampate all'estero... è punito... ecc.». È fin troppo evidente che le ipotesi di cui al 1° comma

dell'art. 14 del precitato testo unico espressamente prevedono l'una

«il fine di lucro» e l'altra le «notizie od indicazioni false». Il tipo di cui al 2° comma dello stesso art. 14 prevede, poi, entram

bi i predetti elementi, oltre all'inganno dell'emigrante, come ele

menti essenziali all'ipotesi ivi incriminata.

Anteriormente al 1930, il legislatore, dunque, non ha mai pe nalmente sanzionato fatti d'eccitazione all'emigrazione con mezzi

pubblicitari dai quali esulino, quanto meno, il fine di lucro o

le notizie false.

E s'intende bene il perché: la struttura delle fattispecie tipiche incriminate dalle norme anteriori al 1930 svelano, infatti, chiara

mente l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione del

le fattispecie stesse: era interesse dello Stato evitare speculazioni strumentalizzatrici dell'impazienza od ignoranza degli emigranti e garantire i medesimi dalle insidie insite nelle notizie od indica

zioni false. Non va dimenticato che l'emigrante è soggetto econo

micamente debole, che verte in situazioni di particolare bisogno e che, pertanto, è razionale che sia tutelato dallo Stato contro

speculazioni, inganni ed errori realizzati attraverso la propaganda

pubblicitaria. Il 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278

bruscamente interrompe l'orientamento legislativo innanzi descritto

e, per la prima volta, sanziona penalmente il fatto di chi, senza

alcun motivo di lucro e senza diffondere notizie od indicazioni

false, eccita con mezzi pubblicitari all'emigrazione. Il legislatore del 1930, infatti, mentre colloca al 2° e 3° comma dell'articolo

in esame le ipotesi, precedentemente incriminate, d'eccitazione al

l'emigrazione per motivi di lucro od attraverso notizie false, for

mula un «autonomo» 1° comma nel quale penalmente sanziona

l'inedita ipotesi d'eccitazione all'emigrazione con mezzi pubblici tari dalla quale esulano del tutto motivi di lucro e notizie false.

L'intitolazione della 1. 24 luglio 1930 n. 1278 è, peraltro, partico larmente significativa: «Adozione di nuove norme penali in ma

teria di emigrazione». 4. - Senonché, eliminando dalla struttura della fattispecie tipi

ca prevista dal 1° comma dell'art. 5 della legge in discussione

i motivi di lucro e le notizie od indicazioni false, diviene davvero

poco agevole spiegare la ratio dello stesso comma e, con essa,

l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione della fatti

specie tipica ivi prevista. Almeno a prima vista, sembra inspiegabile che lo Stato possa

aver interesse ad impedire che il cittadino sia indotto ad emigrare dalla propaganda, ove l'emigrazione stessa non sia vietata. Per

ché la determinazione del cittadino ad emigrare dovrebbe sorgere solo spontaneamente o per consigli offerti da privati, fuori dalle

forme pubblicitarie? Se si parte dal punto di vista del soggetto

emigrante, è davvero difficile ritrovare un interesse dello stesso

soggetto a non ricevere retti e disinteressati consigli, «pubblici» o «privati» che siano. E, d'altra parte, dal punto di vista dello

Stato, se è ipotizzabile un interesse del medesimo a che gli emi

granti non siano ingannati o sfruttati, riesce difficile ammettere

l'esistenza d'un interesse ad impedire che si ecciti l'emigrazione senza fini di lucro, per pura solidarietà, attraverso la comunica

zione di notizie vere, senza alcun tentativo di frode.

Vero è che, ove si consideri l'ipotesi criminosa qui in discussio

ne, senza allargare la visuale al sistema politico-giuridico del 1930,

al clima nel quale si andavan realizzando particolari fini statuali

in materia d'emigrazione, la stessa ipotesi non soltanto non mo

stra un accettabile oggetto giuridico specifico ma, almeno a pri

ma vista, sembra mancare del tutto d'una sua ratio. Al contrario,

ove si tengano presenti i particolari fini dello Stato, ai quali si

accennerà subito, il 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n.

1278 acquista un ben preciso significato: anzi, appare come diret

ta conseguenza di particolari fini dello Stato.

Se, come si è ricordato, il legislatore del 1930, nell'escludere

deliberatamente dalla fattispecie tipica di cui qui si discute il fine

Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-112.

di lucro e le notizie false, non può aver tutelato l'emigrante da

attacchi fraudolenti o comunque negativamente incidenti sulla sua

particolare situazione di bisogno, di tensione emotiva, d'ansiosa

attesa di trovar lavoro o di realizzare, fuori dallo Stato italiano, il lavoro preferito, non resta che esaminare attentamente i diversi fini che lo Stato si propone nell'impedire che una «pluralità» di

cittadini riceva messaggi «veri» e disinteressati in materia d'emi

grazione. È l'emigrazione come fenomeno «di massa», collettivo, che si

vuole, intorno al 1930, impedire o, meglio, sottrarre alla determi

nazione di privati: diversamente, non s'intenderebbe il perché del

divieto dell'eccitazione all'emigrazione realizzata soltanto attra

verso «manifesti, circolari, guide, pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità».

Ci si prefigge di riservare allo Stato il monopolio nella determi

nazione dell'emigrazione come fenomeno «di massa»: per ciò s'im

pedisce, nel 1930, ai privati sempre l'eccitazione di tal fenomeno, non si fa cenno, infatti, nel tipo in esame, neppure dell'elemento

(negativo) della mancanza di autorizzazione. L'emigrazione, co

me fatto individuale, rimane nella zona del «non vietato»: di questo

aspetto dell'emigrazione il legislatore non si occupa nel 1930. Lo

stesso Stato non ha motivo d'occuparsi del diritto soggettivo, della

libertà d'emigrazione e tantomeno della formazione della volontà

d'emigrare o delle effettive possibilità d'emigrare. La legge in esame

nulla dice in ordine a tutto ciò; né dalle norme penali ivi previste è dato trarre segnali relativi alla tutela di interessi di tal genere.

Importante è, nel 1930, che lo Stato, e soltanto lo Stato, diri

ga, orienti, determini l'emigrazione di massa: questa è guardata con sfavore, tenuto conto del «numero», che è potenza, e deve

essere conservato, assicurato e, ove possibile, aumentato. L'emi

grazione di massa può, a volte, essere consentita ma soltanto per fini contingenti dello Stato (ad esempio, popolare, «civilizzare»

colonie o terre lontane). Di regola, no. Le braccia e la mente

dei cittadini devono essere a disposizione dello Stato.

Soltanto questi ultimi interessi, che si accordano, peraltro, con

una generale politica demografica dello Stato italiano intorno al

1930 (come può uno Stato che tende ad incrementare, quanto

più possibile, la popolazione, attraverso i ben noti «incentivi»

demografici, consentire a privati la pubblica eccitazione all'emi

grazione?) consentono di cogliere la ratio e, con essa, l'interesse

tutelato attraverso l'incriminazione del tipo delittuoso in esame.

Si noti: questa disamina introduce l'interprete ad intendere ap

pieno da un canto come l'eccitazione, la propaganda all'emigra

zione, essendo strumentale, accessoria a quest'ultima, è con la

medesima strettamente collegata (di tal che la visione generale ed i punti di vista particolari, in tema d'emigrazione, si riflettono

necessariamente sulla valutazione della propaganda eccitativa della

medesima) e dall'altro come e ideologie fondamentali assunte dallo

Stato condizionano, almeno di regola, la posizione che lo stesso

Stato assume nei confronti dell'emigrazione e, conseguentemen

te, della propaganda od eccitazione all'emigrazione. Soltanto lo

stretto legame tra il regime politico-costituzionale vigente nel 1930,

le previsioni generali in tema d'emigrazione dello stesso regime ed i particolari interessi tutelati con l'incriminazione del tipo de

littuoso in esame consentono, infatti, d'individuare la ratio della

norma impugnata. 5. - Cadute le ideologie assunte a fondamento del regime auto

ritario vigente nel 1930 è oggi ancora conforme alla Costituzione

del 1948 la ratio della norma penale in discussione?

Si badi: qui si tratta di ratio, di bene tutelato attraverso l'incri

minazione del fatto tipico di cui alla disposizione impugnata, non,

genericamente, di occasioni nelle quali è stata emanata la disposi zione in esame. Ove, tuttavia, si ritenesse che le osservazioni che

precedono individuino soltanto, genericamente, finalità od occa

sioni contingenti (cadute le quali ben può, tuttavia, la norma in

discussione conservare validità in ragione di beni o valori accolti

dalla nuova Costituzione) andrebbe sottolineato che non esistono

«altri» beni o valori che possano comunque legittimare il divieto

di cui alla disposizione impugnata. La precitata ratio ed il bene giuridico tutelato (l'interesse dello

Stato a che il cittadino non sia indotto ad emigrare dalla propa

ganda realizzata con mezzi di pubblicità) attraverso l'incrimina

zione del fatto in esame non sono, oggi, in alcun modo compatibili con le visioni ideologiche poste a fondamento della vigente Costi

tuzione e contrastano con precise ed inequivocabili norme espres

samente previste dalla medesima.

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1699 PARTE PRIMA 1700

Va, anzitutto, rilevato che l'espressa menzione della libertà d'e

migrazione, di cui all'art. 35, 4° comma, Cost, e la sottoposizio ne della medesima ai soli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse

generale sono, appunto, diretta derivazione della volontà del co

stituente di contrastare la visione, in materia, del legislatore del

1930. L'on. Dominedò, presentatore dell'emendamento in base

al quale il presidente dell'assemblea costituente, su esplicita ade

sione del presidente della terza sottocommissione, che propose, nella seduta dell'otto maggio 1947, la modifica della formula del

3° comma dell'art. 30 del progetto (attuale 4° comma dell'art.

35 Cost.) cosi si espresse nella menzionata seduta dell'assemblea

plenaria: «...lo scopo del mio emendamento è quello di far si

che sia pienamente riconosciuta nella Costituzione la libertà d'e

migrazione, senza condizionarla all'eventualità di deroghe illimi

tate da parte della legge». Ed aggiunse: «Chi ricordi le gravi ferite

portate al diritto di emigrare, per ragioni militariste, nazionaliste

0 razziste, vorrà riconoscere la necessità che domani sia preserva to da altri pericoli il diritto dell'uomo alla piena espansione della

propria personalità e quindi il diritto di partecipare alla vita della

comunità dei popoli». Se si tiene presente che nello Statuto albertino non era espres

samente menzionato il diritto d'emigrare e che nell'art. 1 1. 31

gennaio 1901 n. 23, nel dichiarare che l'emigrazione è libera, si

aggiungeva, in modo del tutto generico, «nei limiti stabiliti dal

diritto vigente» (nella I. 24 luglio 1930 n. 1278 nulla, ovviamente, si dice in ordine alla libertà d'emigrazione); se si sottolinea la

significatività del termine «riconosce», di cui all'art. 35, 4° com

ma, Cost., e lo si pone in relazione allo stesso termine usato

nell'art. 2 Cost.; da un canto ci si rende pienamente conto che

nella vigente Costituzione la libertà d'emigrazione è un diritto

fondamentale, che lo Stato «riconosce» e non attribuisce (e che,

pertanto, può essere fatto valere anche nei confronti dello Stato)

e, dall'altro, s'intende appieno che non può farsi rientrare nei

«limiti» di cui al 4° comma dell'art. 35 Cost, (come pure è stato

sostenuto) una «concessione» al legislatore ordinario di vietare

la propaganda eccitatoria dell'esercizio del diritto di emigrare: 1 limiti di cui all'ora citato articolo attengono, peraltro, al diritto

del singolo emigrante e non a terzi che intendono eccitare l'emi

grazione. Né va taciuta l'esatta visione che il costituente ebbe della com

plessità del fenomeno emigratorio e dell'evoluzione che il medesi

mo andava rivelando in Italia.

Non è senza rilievo che, durante i lavori dell'assemblea costi

tuente, il tema dell'emigrazione, inizialmente proposto in sede di

discussione dell'art. 10 del progetto (attuale art. 16 Cost.) fu, nella seduta antimeridiana dell'11 aprile 1947 dell'assembea ple

naria, rimandato all'esame dell'art. 30 del progetto (attuale art.

35 Cost.) appunto in considerazione dell'incidenza del tema an

che sulla materia della libertà di lavoro. E va ricordato altresì'

che, nella precitata seduta, uno dei costituenti sottolineò che i

nuovi emigranti non costituivano più le «turbe cenciose di un

tempo ma i cittadini nuovi della vera civiltà italiana, la civiltà

del lavoro...».

Nessuno può disconoscere per un verso che questa visione del

fenomeno emigratorio certamente contrasta con la considerazio

ne che del fenomeno stesso ebbe la legislazione precedente al 1948

e per altro verso che non è pensabile che la Costituzione vigente «conceda» o «permetta» al legislatore ordinario monopoli tesi

ad indirizzare arbitrariamente (per fini contingenti) l'emigrazio ne: un legislatore che, ancorato a visioni arretrate del fenomeno

emigratorio, ritenesse, oggi, di poterlo determinare autoritaria

mente, come «anonimo» fenomeno di massa, si porrebbe netta

mente contro la Costituzione.

6. - Da quanto precede risulta che non è condivisibile l'affer

mazione secondo la quale la Costituzione riconosce il diritto sog

gettivo d'emigrare ma non il diritto di far propaganda «per far

emigrare». Senza dubbio, la libertà, il diritto d'emigrare è distinto dal di

ritto di propaganda tesa a far emigrare: quest'ultimo è, infatti, da ritenersi, come è stato già notato, «strumentale», «accesso

rio» al primo o, meglio, all'esercizio del primo. Per vero, la li

bertà d'emigrazione, il diritto d'emigrare è, già per sé, difficilmente

compatibile con divieti di attività di propaganda, disinteressata

ed inidonea ad ingannare, tesa all'esercizio della predetta libertà.

Tuttavia, ove quest'ultima fosse guardata «con sfavore» da un

determinato sistema di norme (si è già notato che non si poteva, dal legislatore del 1930, vietare, in toto, l'emigrazione, in quan

II Foro Italiano — 1987.

to, a volte, come fenomeno «di massa», poteva giovare allo Sta

to, ma essa, come fenomeno individuale, era, dallo stesso legisla

tore, certamente considerata con sfavore) sono configurabili una

libertà d'emigrazione e, insieme, un divieto di propaganda tesa

a far emigrare. Come è ipotizzabile, anche quando la libertà d'e

migrazione sia costituzionalmente sancita, un limite alla propa

ganda, tesa a far emigrare, «falsa» (basata su «notizie» od elementi

comunque non rispondenti al vero) idonea ad ingannare (per quan

to, l'evoluzione degli attuali emigranti è tale da far sorgere alme

no qualche dubbio in materia) od un limite alla stessa propaganda

quand'essa sia interessata, quando strumentalizzi, «per lucro»,

l'ansia, la tensione emotiva di chi è senza lavoro.

Allorché, invece, la libertà d'emigrazione è costituzionalmente,

ed in maniera espressa, sancita; allorché, come è stato esplicita mente dichiarato da alcuni costituenti, essa deve rimanere, quan to più possibile, scevra da limiti (solo eccezionalmente può essere

condizionata da obblighi derivanti dal bene comune, dalla tutela

di interessi generali d'una comunità democraticamente orientata); allorché tale libertà non soltanto non è guardata con sfavore ma

è «riconosciuta» come bene, valore fondamentale, realizzativo della

personalità umana (non nasce, infatti, qual «graziosa concessio

ne» dello Stato) essa va tutelata e garantita. A nulla od a ben poco varrebbe riconoscere esplicitamente la

libertà d'emigrazione quando non ci si adoperasse a rendere ef

fettivo l'esercizio di tale libertà: e rendere effettivo, libero, l'eser

cizio del diritto d'emigrazione equivale a porre in grado il cittadino

di «conoscere», quanto più possibile, notizie, elementi, dati, ecc.

relativi all'esercizio del diritto stesso. Il modo di formazione del

la concreta volontà d'emigrare è inscindibile dal contenuto della

medesima: se libero è il contenuto, se libera è la scelta verso uno

od altro contenuto volitivo, libero deve anche essere il modo di

formazione dello stesso contenuto volitivo. Anche lo Stato può assumere iniziative tese a fornire elementi, conoscenze, ecc. a chi

è senza lavoro. Ma che lo Stato, adempia o meno a tale compito, vieti a terzi di propagandare, senza alcun motivo di lucro, dati,

elementi, veri, relativi all'emigrazione, è contrario all'art. 35, 4°

comma, Cost, ed a tutto il sistema ideologico-politico sul quale è fondata la vigente Costituzione. Lo Stato impedirebbe, ove vie

tasse tale propaganda, la normale formazione della volontà del

cittadino, attribuendo a sé il monopolio della formazione (alme no di quella che avviene attraverso mezzi di pubblicità) della stes

sa volontà.

Al massimo, si può ritenere molto raro che alcuno, diffonden

do notizie conformi a verità attraverso manifesti, circolari, pub

blicazioni, ecc., ecciti l'emigrazione senza il benché minimo fine

di lucro, tanto più quando si tenga presente l'ampia interpreta zione giurisprudenziale della nozione di «fine di lucro». Ma, ove

vi fosse davvero qualcuno che, per puro spirito caritevole, per umana solidarietà, eccitasse l'emigrazione, diffondendo notizie con

formi a verità attraverso manifesti, circolari, ecc., quel «qualcu no» non può e non deve, ai sensi della vigente Costituzione, essere

penalmente sanzionato. L'interesse dello Stato al monopolio dei

mezzi di pubblicità in ordine alla formazione della volontà d'emi

grare equivale ad illegittimo limite sia alla normale, libera forma

zione di tale volontà sia al consapevole esercizio della volontà

stessa. Ogni divieto, penalmente sanzionato, di propagandare pub blicamente l'emigrazione, attraverso notizie od informazioni veri

tiere e senza fini di lucro, è, dunque, in contrasto con il 4° comma

dell'art. 35 Cost., del quale si è innanzi offerta l'interpretazione nel quadro del vigente sistema costituzionale. Peraltro, poiché of

frire retti, onesti e disinteressati consigli attraverso mezzi di co

municazione pubblica ad una pluralità di persone non è dissimile

dall'offrire consigli di tal genere ad un singolo soggetto (ciò, s'in

tende, dal punto di vista del significato intrinseco dell'eccitazione

all'emigrazione) se si affermasse la legittimità della sanzionabilità

penale dell'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigrazione,

per fini di pura solidarietà umana, dovrebbe del pari ammettersi

la costituzionale legittimità d'una eventuale incriminazione della

stessa eccitazione privatamente realizzata: ognun vede a quale as

surdo, cosi, si giungerebbe. Va infine osservato che, tutelata costituzionalmente l'emigra

zione, risulta implicitamente tutelata anche la propaganda od ec

citazione all'emigrazione, non esistendo altri valori o beni

costituzionalmente garantiti che, pur nella liceità dell'emigrazio

ne, valgano a giustificare limiti alla propaganda diretta a far

emigrare.

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Page 6: sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret. Milano 10 maggio 1979

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

7. - La dichiarazione d'illegittimità costituzionale del 1° com

ma dell'articolo più volte citato non esclude che il fatto tipico

«generale» ivi previsto (chiunque con manifesti, circolari, guide,

pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità eccita l'emigra zione di cittadini italiani) continui ad individuare le ipotesi spe ciali di cui al 2° e 3° comma dello stesso articolo. Mentre cessano

d'aver vigore il precetto e la sanzione di cui al predetto 1° com

ma, il fatto (naturalistico) di cui allo stesso comma continua a

caratterizzare le ipotesi tipiche («fatto» commesso per motivi di

lucro ovvero con notizie o indicazioni false) di cui al 2° e 3°

comma dell'articolo in discussione: le predette ipotesi come si

è notato all'inizio, risultano autonome nei confronti del modello

«generale» di cui al 1° comma dello stesso articolo.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale della norma di cui al 1° comma dell'art. 5 1. 24

luglio 1930 n. 1278.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 novembre 1986, n. 228

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 novembre 1986, n. 53); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Lai c. Min. pubblica istru

zione. Orci. T.A.R. Lazio, sez■ III, 11 luglio 1983 (G.U. n. 190 del 1984).

Istruzione pubblica — Insegnanti di ruolo nelle scuole materne

statali — Servizio pre-ruolo nelle scuole materne gestite dal

l'E.s.m.a.s. — Riconoscimento — Questione infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 3, 97, 116; 1. 1° giugno 1942 n. 901,

costituzione di un ente per le scuole materne della Sardegna; d.l. 19 giugno 1970 n. 370, riconoscimento del servizio prestato

prima della nomina in ruolo dal personale insegnante e non

insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e

artistica, art. 2; 1. 26 luglio 1970 n. 576, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 giugno 1970 n. 370).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit timità costituzionale dell'art. 2 d.l. 19 giugno 1970 n. 370, con

vertito in l. 26 luglio 1970 n. 576, nella parte in cui sono

riconosciuti come servizi pre-ruolo ai fini di cui alla medesima

norma anche i servizi prestati presso l'Ente per le scuole mater

ne della Sardegna-E.s.m.a.s. in riferimento art. 3, 97 e 116

Cost. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 novembre 1986, n. 227

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 novembre 1986, n. 53);

Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Salvati c. Provveditore agli

studi di Roma; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato

Cosentino). Ord. T.A.R. Lazio, sez. Ili, 16 novembre 1981

(G.U. n. 25 del 1984).

(1-2) L'ordinanza T.A.R. Lazio, sez. Ili, 11 luglio 1983, massimata

in Foro it., 1985, III, 283, è riportata in Giur. costit., 1984, II, 1257; l'ordinanza T.A.R. Lazio, sez. Ili, 16 novembre 1981, massimata in

Foro it., 1984, III, 278, è riportata in Giur. costit., 1984, II, 296.

Sulla natura di disposizione eccezionale del d.l. n. 370/70, convertito

in 1. n. 576/70, Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 1984, n. 346, Foro

it., Rep. 1984, voce Istruzione pubblica, n. 114; sulla valutabilità di

altri servizi pre-ruolo, Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 1980, n. 651/78,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 116 (per l'insegnante all'estero in istituzione

priva di personalità); Corte conti, sez. Ili, ord. 3 novembre 1981,

id., 1984, III, 178, con nota di richiami (per il personale direttivo

della scuola, con profili di sospetta incostituzionalità ancora pendenti) e sez. contr. 4 maggio 1984, n. 1446, id., Rep. 1984, voce cit., n.

124 (per gli insegnanti tecnico-pratici presso l'amministrazione provin

ciale); Cons. Stato, sez. VI, 17 settembre 1985, n. 466, id., Rep. 1985, voce cit., n. 124 (per gli insegnanti di scuola materna comunale gestita

dall'E.c.a.); sulla insussistenza del diritto ad un aumento retributivo dell'in

Ii Foro Italiano — 1987.

Istruzione pubblica — Assistenti di scuola materna — Sistema

zione in ruolo — Regime transitorio — Utilizzazione come

insegnanti — Retribuzione — Questione infondata di costitu

zionalità (Cost., art. 3, 36; 1. 18 marzo 1968 n. 444, ordina

mento della scuola materna statale, art. 9, 11, 15; 1. 9 agosto 1978 n. 463, modifica dei criteri di determinazione degli orga nici e delle procedure per il conferimento degli incarichi del

personale docente e non docente; misure per l'immissione

in ruolo del personale precario nelle scuole materne, elemen

tari, secondarie ed artistiche, nonché nuove norme relative

al reclutamento del personale docente ed educativo delle scuo

le di ogni ordine e grado, art. 8).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

8, 6° comma, I. 9 agosto 1978 n. 463, in riferimento agli

art. 3 e 36 Cost., nella parte in cui non prevede la correspon

sione, alle assistenti di scuola materna statale «utilizzate» in

mansioni di insegnamento, di una retribuzione corrispondente alle funzioni svolte, in quanto detta «utilizzazione» ha natura

del tutto transitoria, non comporta alcun obbligo a carico

delle assistenti né una posizione deteriore quanto a mansioni

e retribuzione e non è, comunque, comparabile con il tratta

mento del personale precario. (2)

I

Diritto. — 1. - Ai sensi dell'art. 2, 2° comma, d.l. 19 giugno 1970 n. 370 (riconoscimento del servizio prestato prima della

nomina in ruolo dal personale insegnante e non insegnante delle

scuole di istruzione elementare, secondaria e artistica), converti

to nella 1. 26 luglio 1970 n. 576, «sono riconosciuti», «come

servizio di ruolo», «i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali». Rilevando che la ripor

tata disposizione contempla, accanto alle scuole statali, esclusi

vamente quelle «comunali», e deducendone che, quindi, sono

escluse le scuole di altri enti territoriali, il provveditorato agli

studi di Oristano negava all'insegnante Lai Maria Teresa il rico

noscimento, come servizio preruolo, di quello prestato negli

anni scolastici dal 1968-69 sino al 1973-74, quale incaricata,

presso le scuole materne gestite dall'ente per le scuole materne

della Sardegna (E.s.m.a.s.). L'interessata impugnava il provve

dimento, proponendo ricorso con atto che notificava, non solo

al provveditorato agli studi di Oristano, ma anche al ministero

della pubblica istruzione, e che depositava presso il T.A.R.

del Lazio, dinanzi al quale denunciava l'illegittimità costi

tuzionale dell'art. 2, 2° comma, della legge (di conversio

ne) n. 576 del 1970 per contrasto con gli art. 3, 33, 97 e

116 ss. Cost.

2. - Il T.A.R. del Lazio, premesso che «il ricorso non appare

accoglibile in via immediata», in quanto la disposizione impu

gnata sarebbe insuscettibile, sia di interpretazione analogica, sia

di quella estensiva, e che pertanto la rigorosa applicazione fatta

ne dal provveditore agli studi di Oristano sarebbe ineccepibile, rileva peraltro che i servizi svolti per l'E.s.m.a.s. presentano «ca

ratteristiche di estrema vicinanza a quelle dei servizi di insegna mento in scuole materne statali e comunali». E dopo avere

sottolineato, percorrendo la normazione succedutasi dal 1942, anno

in cui l'ente venne creato: che questo «ha finito per funzionare

da ente strumentale di gestione 'codipendente' dallo Stato e dalla

regione»; che gli incarichi vengono conferiti sulla base di gradua

torie compilate «in conformità di criteri di valutazione analoghi

a quelli adottati dal ministero»; che titolo di studio, durata di

anni scolastici, orari e programmi sono «identici a quelli delle

segnante di scuola materna comunale assegnata temporaneamente a fun

zioni impiegatizie, Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 1984, n. 516, ibid., n. 383; sulla posizione delle scuole non statali, Bonamore, La «parità»

per le scuole non statali (art. 33 Cost.) in rapporto al servizio dei docenti, in Foro amm., 1984, 132.

Per altri riferimenti di carattere generale sulla immissione in ruolo di

personale precario della scuola, v. Corte cost. 5 novembre 1986, n. 229,

Foro it., 1987, I, 1033, con nota di richiami; sulla disciplina applicabile

agli insegnanti non di ruolo, Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 1987, n.

12, ibid., Ili, 185, con nota di richiami.

La sent. n. 228/86 rientra nel novero delle pronunzie «interpretative di rigetto»: per un recente esempio, v. Corte cost. 23 maggio 1985, n.

153, id., 1986, I, 884.

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