sentenza 19 dicembre 1986, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 dicembre 1986, n.60); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret. Milano 10 maggio 1979 (G.U. n.304 del 1979)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1693/1694-1701/1702Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178604 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rapportata all'anzianità massima di servizio. Il procuratore gene rale sosteneva che, in via interpretativa, potesse giungersi a rite
nere applicabile tale normativa anche al personale della regione siciliana e che, in caso contrario, dovessero ritenersi costituzio
nalmente illegittime le disposizioni della 1. reg. sic. n. 17 del 1978
nella parte in cui prevedeva espressamente che anche le modifica
zioni successive intervenute nella legislazione statale sull'indenni
tà integrativa speciale, fossero immediatamente operanti per la
regione siciliana. La Corte dei conti ha ritenuto inapplicabile la
normativa statale suddetta al personale della regione siciliana, non
ché improponibile la questione di legittimità costituzionale pro
spettata, in quanto implicante un intervento d'innovazione
normativa riservato al legislatore. Viceversa, ha sollevato que stione di legittimità costituzionale dei primi quattro articoli della
1. reg. sic. n. 17 del 1978, in quanto disponevano l'attribuzione, ai dipendenti regionali in servizio e a riposo, dell'indennità di
contingenza anziché dell'indennità integrativa speciale. Secondo l'ordinanza di rimessione, la 1. reg. n. 17 del 1978
contrasterebbe innanzitutto col principio — da classificarsi quale
principio fondamentale di riforma economico-sociale — secondo
il quale per tutti i dipendenti pubblici, compresi quelli delle regio ni a statuto speciale, gli adeguamenti retributivi connessi alle va
riazioni del costo della vita vanno corrisposti nella forma
dell'indennità integrativa speciale. Ciò si evincerebbe da un insie
me di norme statali — quali l'art. 67 1. n. 62 del 1953, l'art.
16 1. n. 324 del 1959, l'art. 26 1. n. 70 del 1975 e, soprattutto, l'art. 1 1. n. 93 del 1983 — e sarebbe stato riconosciuto dalla
Corte costituzionale nella sentenza 20 aprile 1978, n. 45 (Foro
it., 1978, I, 1870). Ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale degli art. 1-4 1. reg.
n. 17 del 1978 per contrasto con l'art. 14, lett. q), dello statuto
siciliano, che implicitamente deve ritenersi preveda quale limite
per la legislazione regionale, i principi fondamentali delle riforme
economico-sociali dello Stato.
Le norme impugnate, inoltre, contrasterebbero anche con l'art.
3 Cost., violando il principio di uguaglianza sotto il profilo della
ingiustificata differenza di trattamento tra dipendenti della regio ne siciliana e dipendenti dello Stato e delle altre regioni, per i
quali detto adeguamento avviene col diverso meccanismo dell'in
dennità integrativa speciale e relativa differenziata disciplina.
Infine, le norme impugnate violerebbero anche l'art. 36 Cost.,
giacché l'indennità di contingenza, nel calcolo da effettuarsi se
condo il loro disposto, comporta, o può comportare, differenze
quantitative rispetto all'indennità integrativa speciale, ponendosi così in essere un'alterazione, effettiva o virtuale, della proporzio ne retributiva.
Quanto alla 1. reg. 13 dicembre 1983 n. 115, nell'ordinanza
di rimessione si osserva che essa — statuendo all'art. 3 che a
decorrere dal trimestre 1° novembre 1982- 31 gennaio 1983 le
variazioni dell'indennità di contingenza, di cui alla 1. reg. n. 17
del 1978, sono determinate nella misura e con le modalità previ ste dall'art. 3 d.l. 29 gennaio 1983 n. 17 convertito nella 1. 25
marzo 1983 n. 79 — ha eliminato ogni sostanziale differenziazio
ne quantitativa tra le due indennità, ma ne ha lasciato inalterata,
insieme alle norme, la differenziazione giuridica. Infatti, non ha
recepito a sua volta, attuando con ciò una situazione di contrasto
con gli art. 3 e 36 Cost., anche la norma dell'art. 10 d.l. n. 17
del 1983 come risultante dalla legge di conversione, circa la ridu
zione dell'indennità integrativa speciale al personale collocato an
ticipatamente a riposo ad una frazione commisurata agli anni di
servizio utili e rapportata all'anzianità massima di servizio. Ne
deriverebbe, pertanto, l'illegittimità conseguenziale anche dell'art.
3 1. reg. n. 115 del 1983.
Tutto ciò, si afferma nell'ordinanza di rimessione, «a prescin
dere dall'esame della classificabilità della disposizione dell'art. 10
del suddetto d.l. n. 17 del 1983 quale norma fondamentale delle
riforme economico-sociali della repubblica, che pure va ricono
sciuta per la sua applicabilità alla generalità dei dipendenti pub
blici in quanto aventi diritto all'indennità integrativa speciale e
che da sola varrebbe a motivare autonomamente, in termini ana
loghi a quelli sopra precisati, la questione di legittimità costitu
zionale». (Omissis) Diritto. — 6. - Può disporsi la riunione dei giudizi, attesa l'i
dentità del loro oggetto, per una congiunta decisione.
7. - Le ordinanze di rimessione della Corte dei conti (sezione
giurisdizionale della regione siciliana), nel sollevare questione di
legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3 e 4 1. reg. 24 luglio
Il Foro Italiano — 1987.
1978 n. 17 e 3 1. reg. 13 dicembre 1983 n. 115 (riguardanti l'attri
buzione dell'«indennità di contingenza» ai dipendenti regionali),
premettono che nei provvedimenti relativi al trattamento di pen sione — della cui legittimità è chiamato a giudicare — l'indennità
di contingenza viene attribuita «ai sensi delle vigenti disposizioni di legge», senza che ne sia « precisato l'importo».
In effetti i decreti di liquidazione delle pensioni impugnati at
tribuivano «l'indennità di contingenza secondo le vigenti norme»
e facevano «riserva di rideterminazione» della misura delle pen sioni «dopo l'emissione della sentenza relativa al giudizio di co
stituzionalità sulla normativa regionale concernente l'adeguamento delle retribuzioni liquidate successivamente all'entrata in vigore della 1. statale 31 marzo 1977 n. 91», di cui questa corte era
stata già investita con le ordinanze nn. 657/78 e 630/79 e sui
quali ha provveduto con sentenza n. 186 del 1986.
Trattavasi, pertanto, di atti dal contenuto ancora indetermina
to e del tutto generico, privi dell'identificazione della normativa
da applicare e destinati ad operare in concreto solo a seguito del
l'emanazione di successivi provvedimenti che determinassero l'in
dennità in questione e la normativa della quale, nel determinarla,
si faceva applicazione. Le ordinanze di rimessione si riferiscono pertanto ad un ogget
to non definito nello stesso giudizio a quo, di guisa che la man
canza di specificazione nei provvedimenti impugnati della
normativa applicabile e la lóro completa genericità rende inutile
il giudizio di questa corte, tenuto conto che qualunque sia il suo
esito, questo non potrebbe incidere su essi.
Ne deriva l'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle que stioni proposte.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi indi
cati in epigrafe, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3 e 4 1. reg. sic. 24 luglio 1978
n. 17 (nuove norme per l'adeguamento delle retribuzioni al costo
della vita e per le prestazioni di lavoro straordinario ai dipendenti dell'amministrazione regionale) e dell'art. 3 1. reg. 13 dicembre
1983 n. 115 (norme per il trattamento economico del personale dell'amministrazione regionale in servizio ed in quiescenza, in at
tuazione dell'accordo relativo alla revisione dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale per il periodo 1982-84), sollevate, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost,
e dell'art. 14, lett. q), dello statuto della regione siciliana, con
le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 dicembre 1986, n. 269
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60);
Pres. La Pergola, Rei. Dell'Andro; imp. Bottaro. Ord. Pret.
Milano 10 maggio 1979 (G.U. n. 304 del 1979).
Emigrazione — Reato di eccitamento all'emigrazione — Libertà
di emigrazione — Violazione — Incostituzionalità (Cost., art.
35; 1. 24 luglio 1930 n. 1278, nuove norme penali in materia
di emigrazione, art. 5).
È illegittimo, per violazione dell'art. 35, 4° comma, Cost., l'art.
5, 1° comma, I. 24 luglio 1930 n. 1278, che incrimina chiun
que, con manifesti, circolari, guide e con qualsiasi mezzo di
pubblicità, eccita l'emigrazione di cittadini. (1)
(1) La sentenza di accoglimento in epigrafe ripropone il più classico
modello di sindacato sulla legittimità di una norma incriminatrice per
ragioni attinenti al suo contenuto: e cioè, la ritenuta illegittimità costitu
zionale della norma penale in questione viene fatta dipendere dalla sua
attitudine a incidere su diritti di libertà costituzionalmente garantiti, sen
za che tale incidenza possa considerarsi giustificata dall'esigenza di tute
lare altri beni o interessi costituzionalmente rilevanti (per una ricostruzione
dei possibili modelli di sindacato di costituzionalità su norme incrimina
trici, per ragioni attinenti al loro contenuto e al loro scopo di tutela cfr., di recente, Pulitanò, Bene giuridico e giustizia costituzionale, in AA.W., Bene giuridico e riforma della parte speciale, a cura di A.M. Stile, Na
poli, 1985, 135 ss.). Applicando il predetto modello di sindacato al caso di specie, la corte
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1695 PARTE PRIMA 1696
Diritto. — 1. - Vanno anzitutto esaminate due questioni preli minari. La prima in ordine all'oggetto del presente giudizio, la
seconda attinente all'autonomia delle ipotesi delittuose di cui al
1° ed al 2° e 3° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278.
In ordine alla prima questione va osservato che, se è vero che
l'ordinanza di rimessione, nel dispositivo, solleva questione di le
gittimità costituzionale in relazione, genericamente, all'art. 5 del
la legge ora indicata, è altresì vero che l'ordinanza stessa propone censure specifiche in relazione alla sola fattispecie tipica prevista
è pervenuta alla conclusione che la ratio di tutela originariamente sottesa al reato di eccitamento all'emigrazione (per la tesi secondo cui l'art. 35 Cost, non ha abrogato, ma lasciato sopravvivere l'art. 5, 1° comma, 1. 1278/30 cfr., oltre all'ordinanza di rimessione, Cass. 4 luglio 1953, Mar
chese, Foro it., Rep. 1953, voce Emigrazione, n. 5), non è idonea a limi tare il diritto alla libertà d'emigrazione oggi esplicitamente riconosciuto dall'art. 35, 4° comma, Cost.
Prima di accennare alle assai persuasive argomentazioni addotte a so
stegno della pronuncia di accoglimento, va ricordato che la corte aveva con sentenza n. 26/57 (id., 1957, I, 507, con nota di richiami) operato il salvataggio della fattispecie di procacciamento a scopo di lucro di con tratti di lavoro all'estero ex art. 4 della stessa 1. n. 1278/30, in quanto finalizzata a uno scopo di tutela reputato non confliggente con la libertà di emigrazione: ed invero — secondo i giudici della Consulta — l'art. 4 cit. «non pone limiti al diritto del cittadino ad emigrare, ma è diretto ad impedire l'attività speculativa di chi può approfittare della necessità o della speciale condizione psicologica di aspettativa o di credulità degli aspiranti ad emigrare, specie se disoccupati».
Si tratti o meno di uno scopo di tutela a tutt'oggi plausibile, stante il grado di evoluzione raggiunto dagli attuali emigranti, sta di fatto che
l'esigenza di garantire il lavoratore da possibili inganni e illecite specula zioni non è comunque assumibile a interesse protetto dalla diversa fatti
specie incriminatrice oggetto della decisione in epigrafe: a differenza dell'art. 4 cit., che nel configurare il reato di procurata emigrazione menziona il «fine di lucro», la disposizione ora impugnata di cui all'art. 5, 1° com
ma, cit. vieta infatti la pura e semplice attività di propaganda dell'emi
grazione, a prescindere sia da qualsiasi scopo lucrativo sia dalla veridicità o falsità delle notizie propagandate (il riferimento ai «motivi di lucro» e/o l'uso di «notizie o indicazioni false» ricompaiono invece nelle ipotesi criminose di cui ai commi 2° e 3° dello stesso art. 5, rimaste estranee
però all'oggetto dell'eccezione di incostituzionalità). Ora, se a un cosi
generale divieto di eccitamento all'emigrazione deve dunque essere asse
gnato uno scopo di tutela diverso da quello di salvaguardare la buona fede o le condizioni economiche del lavoratore, questo scopo va desunto — come persuasivamente si osserva in motivazione — dallo «stretto lega me tra il regime politico-costituzionale vigente nel 1930, le visioni genera li in tema d'emigrazione dello stesso regime ed i particolari interessi tutelati
con l'incriminazione del tipo delittuoso in esame»: appunto in coerenza con la politica demografica dello Stato fascista, ispirata al proposito di incrementare la popolazione nazionale, la ratio sottesa al reato in que stione viene giustamente individuata dalla corte nell'interesse dello Stato a dirigere, orientare, determinare l'emigrazione di massa e nel conseguen ziale interesse «al monopolio dei mezzi di pubblicità in ordine alla forma zione della volontà d'emigrare».
Di qui a concludere che una ratio siffatta confligge apertamente con la concezione dell'emigrazione trasfusa nella nuova normativa costituzio
nale, si tratta invero di un passaggio argomentativo pressoché obbligato. L'art. 35, 4° comma, Cost., riconoscendo pienamente il diritto alla liber tà d'emigrazione, ha inteso anche contrastare l'opposto orientamento del
legislatore fascista: consacrata come regola la libertà d'emigrare, le dero
ghe ad essa non possono che avere una portata eccezionale (cfr. La Costi tuzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, a cura di V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, Milano, 1976, 127 s.), come
peraltro si desume dall'inciso, contenuto nella stessa disposizione costitu zionale testé richiamata, «salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'inte resse generale». Né potrebbe sostenersi ragionevolmente che corrisponde all'«interesse generale» un divieto di far propaganda d'emigrare. Una volta riconosciuta la libertà d'emigrazione, vietare una propaganda (disinteres sata ed inidonea ad ingannare) tesa all'esercizio della predetta libertà equi varrebbe — come ben osserva la Consulta — a ritenere illecita l'attività strumentale al conseguimento di un obiettivo costituzionalmente lecito:
dunque, una contraddizione insuperabile, perché non giustificata da alcu na ragione plausibile (tanto più che non si riesce a rinvenire oggi un qual che interesse costituzionalmente rilevante, capace di rimpiazzare l'originaria ratio sottesa al divieto di eccitamento all'emigrazione).
In generale, sui profili costituzionali e sulla normativa (anche penale) relativi alla materia, cfr. Carretta, Emigrazione, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, XIV, 833 ss.
Per un quadro ragionato delle (invero non numerose) pronunce di ac
coglimento emesse dalla corte in base al ritenuto contrasto tra una norma incriminatrice e un diritto di libertà costituzionalmente garantito cfr. sempre Pulitanò, cit., 142 ss. [G. Fiandaca]
Il Foro Italiano — 1987.
dal 1° comma del predetto art. 5 e non anche in relazione alle
ipotesi delittuose di cui ai capoversi del medesimo. Va ancora
rilevato da un canto che l'imputazione elevata nel procedimento a quo attiene al solo delitto di cui al 1° comma del precitato articolo e dall'altro che il giudice rimettente sottolinea che il pre detto 1° comma, sanzionando penalmente l'eccitazione all'emi
grazione senza ulteriori specificazioni, non può sostenersi essere
indirizzato alla tutela della buona fede dell'emigrante né diretto
ad impedire speculazioni nei confronti di chi è economicamente
più debole poiché le «notizie ed indicazioni false» ed i «motivi
di lucro» sono espressamente previsti dalle ipotesi di cui al 2°
e 3° comma dell'articolo in esame, l'eccezione d'illegittimità co
stituzionale deve ritenersi riferita al solo 1° comma del più volte
citato art. 5 della legge in discussione.
2. - La seconda questione preliminare sorge dalla soluzione da
ta alla prima. Essendo oggetto del presente giudizio la legittimità costituzio
nale del 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278, si pone il quesito se i modelli incriminati nei capoversi del citato articolo
siano o meno autonomi nei confronti dell'ipotesi delittuosa pre vista dal 1° comma dello stesso articolo.
Al quesito va data, senza dubbio, risposta affemativa.
Seguendo autorevole dottrina si potrebbe, infatti, sostenere che, anche quando i modelli di cui ai capoversi dell'articolo in discus
sione costituissero ipotesi circostanziate del fatto «semplice» in
criminato nel 1° comma, ugualmente i precitati modelli
costituirebbero autonome fattispecie tipiche: anche le ipotesi cir
costanziate, infatti, sarebbero, secondo la sopra richiamata dot
trina, incriminate a tutela di beni giuridici diversi da quelli garantiti attraverso l'incriminazione del relativo fatto «semplice».
Senonché, a parte ogni questione attinente alla natura di fatti
specie tipiche circostanziate, o meno, delle ipotesi di cui ai capo versi dell'art. 5 della legge in esame, va sottolineato che le stesse
ipotesi sono senza dubbio «speciali rispetto a quella «generale»
(o «semplice») prevista dal 10 comma dell'articolo più volte cita
to, ma sono speciali per aggiunta e non per specificazione. Il
«fine di lucro» o le «notizie ed indicazioni false», infatti, non
specificano alcun elemento della fattispecie «generale» ma si ag
giungono agli elementi individuati in quest'ultima: il predetto fi
ne e le indicate notizie sono dal legislatore aggiunti agli elementi
della fattispecie «generale» (e, pertanto, vietati) in quanto attra
verso essi lo stesso legislatore ritiene si ledano beni giuridici di
versi da quelli garantiti mediante l'incriminazione della fattispecie
«generale» ed «indifferenti» rispetto all'incriminazione stessa.
La diversità dei beni tutelati dai divieti di cui ai capoversi del l'articolo in discussione, rispetto ai beni tutelati dal divieto di
cui al 1° comma dello stesso articolo, rende, pertanto, i citati
capoversi sicuramente autonomi. Conseguentemente, l'illegittimi tà costituzionale del 10 comma non coinvolge valutazioni relative
alle ipotesi delittuose previste dai capoversi del più volte citato
articolo. Di tali valutazioni, dunque, in questa sede si può non
discutere; né la validità delle stesse ipotesi criminose è in alcun
modo condizionata dalla validità costituzionale del preindicato 1° comma.
3. - Nell'esame del merito della controversia va rilevato, prima
d'ogni altra considerazione, che l'ipotesi delittuosa prevista dal
1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278 (che il giudice a quo ritiene ancora vigente nel nostro ordinamento) non trova
alcun precedente nella legislazione anteriore al 1930 ed è in con
trasto con l'orientamento seguito da quest'ultima in sede di com
posizione strutturale delle fattispecie tipiche di propaganda tesa
a favorire l'emigrazione. Tutte le leggi penali anteriori al 1930,
infatti, nel vietare l'eccitazione, attraverso mezzi di pubblicità,
all'emigrazione, ipotizzano fattispecie tipiche nelle quali caratte
ristica, requisito essenziale, è il fine di lucro oppore la diffusione
di notizie false; ed a volte sono richiesti entrambi i requisiti, con
o senza l'inganno del destinatario dell'eccitazione.
Già l'art. 17, 1° comma, 1. 31 gennaio 1901 n. 23, nel vietare
«al vettore ed ai suoi rappresentati di eccitare pubblicamente ad
emigrare», tende ad evitare che si speculi, per lucro, su condizio
ni di particolare bisogno e, conseguentemente, di minore resisten
za all'eccitazione. Conferma del rilievo secondo il quale il fine
di lucro è implicito nel comportamento incriminato dal 1° com
ma della 1. n. 23 del 1901 si ha (a parte l'ovvia considerazione
che il vettore, almeno di regola agisce per motivi di lucro) ricor
dando che l'art. 34 1. 2 agosto 1913 n. 1075, nel sostituire il 1°
comma dell'ora citato art. 17 1. n. 23 del 1901, estende a «chiun
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
que» il divieto d'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigra zione ma richiede necessariamente, per «chiunque», il fine di lu
cro o la diffusione di notizie false.
L'art. 14, 1° comma, t.u. sull'emigrazione, approvato con il
r.d.l. 13 novembre 1919 n. 2205, nel riproporre l'ipotesi crimino sa di cui all'art. 34 della precitata 1. 2 agosto 1913 n. 1075, recita:
«...chiunque a fine di lucro eccita ad emigrare e chiunque con
manifesti, circolari, guide o con pubblicazioni di ogni genere con
cernenti l'emigrazione diffonde notizie o indicazioni false o dif
fonde... notizie di tale natura stampate all'estero... è punito... ecc.». È fin troppo evidente che le ipotesi di cui al 1° comma
dell'art. 14 del precitato testo unico espressamente prevedono l'una
«il fine di lucro» e l'altra le «notizie od indicazioni false». Il tipo di cui al 2° comma dello stesso art. 14 prevede, poi, entram
bi i predetti elementi, oltre all'inganno dell'emigrante, come ele
menti essenziali all'ipotesi ivi incriminata.
Anteriormente al 1930, il legislatore, dunque, non ha mai pe nalmente sanzionato fatti d'eccitazione all'emigrazione con mezzi
pubblicitari dai quali esulino, quanto meno, il fine di lucro o
le notizie false.
E s'intende bene il perché: la struttura delle fattispecie tipiche incriminate dalle norme anteriori al 1930 svelano, infatti, chiara
mente l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione del
le fattispecie stesse: era interesse dello Stato evitare speculazioni strumentalizzatrici dell'impazienza od ignoranza degli emigranti e garantire i medesimi dalle insidie insite nelle notizie od indica
zioni false. Non va dimenticato che l'emigrante è soggetto econo
micamente debole, che verte in situazioni di particolare bisogno e che, pertanto, è razionale che sia tutelato dallo Stato contro
speculazioni, inganni ed errori realizzati attraverso la propaganda
pubblicitaria. Il 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n. 1278
bruscamente interrompe l'orientamento legislativo innanzi descritto
e, per la prima volta, sanziona penalmente il fatto di chi, senza
alcun motivo di lucro e senza diffondere notizie od indicazioni
false, eccita con mezzi pubblicitari all'emigrazione. Il legislatore del 1930, infatti, mentre colloca al 2° e 3° comma dell'articolo
in esame le ipotesi, precedentemente incriminate, d'eccitazione al
l'emigrazione per motivi di lucro od attraverso notizie false, for
mula un «autonomo» 1° comma nel quale penalmente sanziona
l'inedita ipotesi d'eccitazione all'emigrazione con mezzi pubblici tari dalla quale esulano del tutto motivi di lucro e notizie false.
L'intitolazione della 1. 24 luglio 1930 n. 1278 è, peraltro, partico larmente significativa: «Adozione di nuove norme penali in ma
teria di emigrazione». 4. - Senonché, eliminando dalla struttura della fattispecie tipi
ca prevista dal 1° comma dell'art. 5 della legge in discussione
i motivi di lucro e le notizie od indicazioni false, diviene davvero
poco agevole spiegare la ratio dello stesso comma e, con essa,
l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione della fatti
specie tipica ivi prevista. Almeno a prima vista, sembra inspiegabile che lo Stato possa
aver interesse ad impedire che il cittadino sia indotto ad emigrare dalla propaganda, ove l'emigrazione stessa non sia vietata. Per
ché la determinazione del cittadino ad emigrare dovrebbe sorgere solo spontaneamente o per consigli offerti da privati, fuori dalle
forme pubblicitarie? Se si parte dal punto di vista del soggetto
emigrante, è davvero difficile ritrovare un interesse dello stesso
soggetto a non ricevere retti e disinteressati consigli, «pubblici» o «privati» che siano. E, d'altra parte, dal punto di vista dello
Stato, se è ipotizzabile un interesse del medesimo a che gli emi
granti non siano ingannati o sfruttati, riesce difficile ammettere
l'esistenza d'un interesse ad impedire che si ecciti l'emigrazione senza fini di lucro, per pura solidarietà, attraverso la comunica
zione di notizie vere, senza alcun tentativo di frode.
Vero è che, ove si consideri l'ipotesi criminosa qui in discussio
ne, senza allargare la visuale al sistema politico-giuridico del 1930,
al clima nel quale si andavan realizzando particolari fini statuali
in materia d'emigrazione, la stessa ipotesi non soltanto non mo
stra un accettabile oggetto giuridico specifico ma, almeno a pri
ma vista, sembra mancare del tutto d'una sua ratio. Al contrario,
ove si tengano presenti i particolari fini dello Stato, ai quali si
accennerà subito, il 1° comma dell'art. 5 1. 24 luglio 1930 n.
1278 acquista un ben preciso significato: anzi, appare come diret
ta conseguenza di particolari fini dello Stato.
Se, come si è ricordato, il legislatore del 1930, nell'escludere
deliberatamente dalla fattispecie tipica di cui qui si discute il fine
Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-112.
di lucro e le notizie false, non può aver tutelato l'emigrante da
attacchi fraudolenti o comunque negativamente incidenti sulla sua
particolare situazione di bisogno, di tensione emotiva, d'ansiosa
attesa di trovar lavoro o di realizzare, fuori dallo Stato italiano, il lavoro preferito, non resta che esaminare attentamente i diversi fini che lo Stato si propone nell'impedire che una «pluralità» di
cittadini riceva messaggi «veri» e disinteressati in materia d'emi
grazione. È l'emigrazione come fenomeno «di massa», collettivo, che si
vuole, intorno al 1930, impedire o, meglio, sottrarre alla determi
nazione di privati: diversamente, non s'intenderebbe il perché del
divieto dell'eccitazione all'emigrazione realizzata soltanto attra
verso «manifesti, circolari, guide, pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità».
Ci si prefigge di riservare allo Stato il monopolio nella determi
nazione dell'emigrazione come fenomeno «di massa»: per ciò s'im
pedisce, nel 1930, ai privati sempre l'eccitazione di tal fenomeno, non si fa cenno, infatti, nel tipo in esame, neppure dell'elemento
(negativo) della mancanza di autorizzazione. L'emigrazione, co
me fatto individuale, rimane nella zona del «non vietato»: di questo
aspetto dell'emigrazione il legislatore non si occupa nel 1930. Lo
stesso Stato non ha motivo d'occuparsi del diritto soggettivo, della
libertà d'emigrazione e tantomeno della formazione della volontà
d'emigrare o delle effettive possibilità d'emigrare. La legge in esame
nulla dice in ordine a tutto ciò; né dalle norme penali ivi previste è dato trarre segnali relativi alla tutela di interessi di tal genere.
Importante è, nel 1930, che lo Stato, e soltanto lo Stato, diri
ga, orienti, determini l'emigrazione di massa: questa è guardata con sfavore, tenuto conto del «numero», che è potenza, e deve
essere conservato, assicurato e, ove possibile, aumentato. L'emi
grazione di massa può, a volte, essere consentita ma soltanto per fini contingenti dello Stato (ad esempio, popolare, «civilizzare»
colonie o terre lontane). Di regola, no. Le braccia e la mente
dei cittadini devono essere a disposizione dello Stato.
Soltanto questi ultimi interessi, che si accordano, peraltro, con
una generale politica demografica dello Stato italiano intorno al
1930 (come può uno Stato che tende ad incrementare, quanto
più possibile, la popolazione, attraverso i ben noti «incentivi»
demografici, consentire a privati la pubblica eccitazione all'emi
grazione?) consentono di cogliere la ratio e, con essa, l'interesse
tutelato attraverso l'incriminazione del tipo delittuoso in esame.
Si noti: questa disamina introduce l'interprete ad intendere ap
pieno da un canto come l'eccitazione, la propaganda all'emigra
zione, essendo strumentale, accessoria a quest'ultima, è con la
medesima strettamente collegata (di tal che la visione generale ed i punti di vista particolari, in tema d'emigrazione, si riflettono
necessariamente sulla valutazione della propaganda eccitativa della
medesima) e dall'altro come e ideologie fondamentali assunte dallo
Stato condizionano, almeno di regola, la posizione che lo stesso
Stato assume nei confronti dell'emigrazione e, conseguentemen
te, della propaganda od eccitazione all'emigrazione. Soltanto lo
stretto legame tra il regime politico-costituzionale vigente nel 1930,
le previsioni generali in tema d'emigrazione dello stesso regime ed i particolari interessi tutelati con l'incriminazione del tipo de
littuoso in esame consentono, infatti, d'individuare la ratio della
norma impugnata. 5. - Cadute le ideologie assunte a fondamento del regime auto
ritario vigente nel 1930 è oggi ancora conforme alla Costituzione
del 1948 la ratio della norma penale in discussione?
Si badi: qui si tratta di ratio, di bene tutelato attraverso l'incri
minazione del fatto tipico di cui alla disposizione impugnata, non,
genericamente, di occasioni nelle quali è stata emanata la disposi zione in esame. Ove, tuttavia, si ritenesse che le osservazioni che
precedono individuino soltanto, genericamente, finalità od occa
sioni contingenti (cadute le quali ben può, tuttavia, la norma in
discussione conservare validità in ragione di beni o valori accolti
dalla nuova Costituzione) andrebbe sottolineato che non esistono
«altri» beni o valori che possano comunque legittimare il divieto
di cui alla disposizione impugnata. La precitata ratio ed il bene giuridico tutelato (l'interesse dello
Stato a che il cittadino non sia indotto ad emigrare dalla propa
ganda realizzata con mezzi di pubblicità) attraverso l'incrimina
zione del fatto in esame non sono, oggi, in alcun modo compatibili con le visioni ideologiche poste a fondamento della vigente Costi
tuzione e contrastano con precise ed inequivocabili norme espres
samente previste dalla medesima.
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1699 PARTE PRIMA 1700
Va, anzitutto, rilevato che l'espressa menzione della libertà d'e
migrazione, di cui all'art. 35, 4° comma, Cost, e la sottoposizio ne della medesima ai soli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse
generale sono, appunto, diretta derivazione della volontà del co
stituente di contrastare la visione, in materia, del legislatore del
1930. L'on. Dominedò, presentatore dell'emendamento in base
al quale il presidente dell'assemblea costituente, su esplicita ade
sione del presidente della terza sottocommissione, che propose, nella seduta dell'otto maggio 1947, la modifica della formula del
3° comma dell'art. 30 del progetto (attuale 4° comma dell'art.
35 Cost.) cosi si espresse nella menzionata seduta dell'assemblea
plenaria: «...lo scopo del mio emendamento è quello di far si
che sia pienamente riconosciuta nella Costituzione la libertà d'e
migrazione, senza condizionarla all'eventualità di deroghe illimi
tate da parte della legge». Ed aggiunse: «Chi ricordi le gravi ferite
portate al diritto di emigrare, per ragioni militariste, nazionaliste
0 razziste, vorrà riconoscere la necessità che domani sia preserva to da altri pericoli il diritto dell'uomo alla piena espansione della
propria personalità e quindi il diritto di partecipare alla vita della
comunità dei popoli». Se si tiene presente che nello Statuto albertino non era espres
samente menzionato il diritto d'emigrare e che nell'art. 1 1. 31
gennaio 1901 n. 23, nel dichiarare che l'emigrazione è libera, si
aggiungeva, in modo del tutto generico, «nei limiti stabiliti dal
diritto vigente» (nella I. 24 luglio 1930 n. 1278 nulla, ovviamente, si dice in ordine alla libertà d'emigrazione); se si sottolinea la
significatività del termine «riconosce», di cui all'art. 35, 4° com
ma, Cost., e lo si pone in relazione allo stesso termine usato
nell'art. 2 Cost.; da un canto ci si rende pienamente conto che
nella vigente Costituzione la libertà d'emigrazione è un diritto
fondamentale, che lo Stato «riconosce» e non attribuisce (e che,
pertanto, può essere fatto valere anche nei confronti dello Stato)
e, dall'altro, s'intende appieno che non può farsi rientrare nei
«limiti» di cui al 4° comma dell'art. 35 Cost, (come pure è stato
sostenuto) una «concessione» al legislatore ordinario di vietare
la propaganda eccitatoria dell'esercizio del diritto di emigrare: 1 limiti di cui all'ora citato articolo attengono, peraltro, al diritto
del singolo emigrante e non a terzi che intendono eccitare l'emi
grazione. Né va taciuta l'esatta visione che il costituente ebbe della com
plessità del fenomeno emigratorio e dell'evoluzione che il medesi
mo andava rivelando in Italia.
Non è senza rilievo che, durante i lavori dell'assemblea costi
tuente, il tema dell'emigrazione, inizialmente proposto in sede di
discussione dell'art. 10 del progetto (attuale art. 16 Cost.) fu, nella seduta antimeridiana dell'11 aprile 1947 dell'assembea ple
naria, rimandato all'esame dell'art. 30 del progetto (attuale art.
35 Cost.) appunto in considerazione dell'incidenza del tema an
che sulla materia della libertà di lavoro. E va ricordato altresì'
che, nella precitata seduta, uno dei costituenti sottolineò che i
nuovi emigranti non costituivano più le «turbe cenciose di un
tempo ma i cittadini nuovi della vera civiltà italiana, la civiltà
del lavoro...».
Nessuno può disconoscere per un verso che questa visione del
fenomeno emigratorio certamente contrasta con la considerazio
ne che del fenomeno stesso ebbe la legislazione precedente al 1948
e per altro verso che non è pensabile che la Costituzione vigente «conceda» o «permetta» al legislatore ordinario monopoli tesi
ad indirizzare arbitrariamente (per fini contingenti) l'emigrazio ne: un legislatore che, ancorato a visioni arretrate del fenomeno
emigratorio, ritenesse, oggi, di poterlo determinare autoritaria
mente, come «anonimo» fenomeno di massa, si porrebbe netta
mente contro la Costituzione.
6. - Da quanto precede risulta che non è condivisibile l'affer
mazione secondo la quale la Costituzione riconosce il diritto sog
gettivo d'emigrare ma non il diritto di far propaganda «per far
emigrare». Senza dubbio, la libertà, il diritto d'emigrare è distinto dal di
ritto di propaganda tesa a far emigrare: quest'ultimo è, infatti, da ritenersi, come è stato già notato, «strumentale», «accesso
rio» al primo o, meglio, all'esercizio del primo. Per vero, la li
bertà d'emigrazione, il diritto d'emigrare è, già per sé, difficilmente
compatibile con divieti di attività di propaganda, disinteressata
ed inidonea ad ingannare, tesa all'esercizio della predetta libertà.
Tuttavia, ove quest'ultima fosse guardata «con sfavore» da un
determinato sistema di norme (si è già notato che non si poteva, dal legislatore del 1930, vietare, in toto, l'emigrazione, in quan
II Foro Italiano — 1987.
to, a volte, come fenomeno «di massa», poteva giovare allo Sta
to, ma essa, come fenomeno individuale, era, dallo stesso legisla
tore, certamente considerata con sfavore) sono configurabili una
libertà d'emigrazione e, insieme, un divieto di propaganda tesa
a far emigrare. Come è ipotizzabile, anche quando la libertà d'e
migrazione sia costituzionalmente sancita, un limite alla propa
ganda, tesa a far emigrare, «falsa» (basata su «notizie» od elementi
comunque non rispondenti al vero) idonea ad ingannare (per quan
to, l'evoluzione degli attuali emigranti è tale da far sorgere alme
no qualche dubbio in materia) od un limite alla stessa propaganda
quand'essa sia interessata, quando strumentalizzi, «per lucro»,
l'ansia, la tensione emotiva di chi è senza lavoro.
Allorché, invece, la libertà d'emigrazione è costituzionalmente,
ed in maniera espressa, sancita; allorché, come è stato esplicita mente dichiarato da alcuni costituenti, essa deve rimanere, quan to più possibile, scevra da limiti (solo eccezionalmente può essere
condizionata da obblighi derivanti dal bene comune, dalla tutela
di interessi generali d'una comunità democraticamente orientata); allorché tale libertà non soltanto non è guardata con sfavore ma
è «riconosciuta» come bene, valore fondamentale, realizzativo della
personalità umana (non nasce, infatti, qual «graziosa concessio
ne» dello Stato) essa va tutelata e garantita. A nulla od a ben poco varrebbe riconoscere esplicitamente la
libertà d'emigrazione quando non ci si adoperasse a rendere ef
fettivo l'esercizio di tale libertà: e rendere effettivo, libero, l'eser
cizio del diritto d'emigrazione equivale a porre in grado il cittadino
di «conoscere», quanto più possibile, notizie, elementi, dati, ecc.
relativi all'esercizio del diritto stesso. Il modo di formazione del
la concreta volontà d'emigrare è inscindibile dal contenuto della
medesima: se libero è il contenuto, se libera è la scelta verso uno
od altro contenuto volitivo, libero deve anche essere il modo di
formazione dello stesso contenuto volitivo. Anche lo Stato può assumere iniziative tese a fornire elementi, conoscenze, ecc. a chi
è senza lavoro. Ma che lo Stato, adempia o meno a tale compito, vieti a terzi di propagandare, senza alcun motivo di lucro, dati,
elementi, veri, relativi all'emigrazione, è contrario all'art. 35, 4°
comma, Cost, ed a tutto il sistema ideologico-politico sul quale è fondata la vigente Costituzione. Lo Stato impedirebbe, ove vie
tasse tale propaganda, la normale formazione della volontà del
cittadino, attribuendo a sé il monopolio della formazione (alme no di quella che avviene attraverso mezzi di pubblicità) della stes
sa volontà.
Al massimo, si può ritenere molto raro che alcuno, diffonden
do notizie conformi a verità attraverso manifesti, circolari, pub
blicazioni, ecc., ecciti l'emigrazione senza il benché minimo fine
di lucro, tanto più quando si tenga presente l'ampia interpreta zione giurisprudenziale della nozione di «fine di lucro». Ma, ove
vi fosse davvero qualcuno che, per puro spirito caritevole, per umana solidarietà, eccitasse l'emigrazione, diffondendo notizie con
formi a verità attraverso manifesti, circolari, ecc., quel «qualcu no» non può e non deve, ai sensi della vigente Costituzione, essere
penalmente sanzionato. L'interesse dello Stato al monopolio dei
mezzi di pubblicità in ordine alla formazione della volontà d'emi
grare equivale ad illegittimo limite sia alla normale, libera forma
zione di tale volontà sia al consapevole esercizio della volontà
stessa. Ogni divieto, penalmente sanzionato, di propagandare pub blicamente l'emigrazione, attraverso notizie od informazioni veri
tiere e senza fini di lucro, è, dunque, in contrasto con il 4° comma
dell'art. 35 Cost., del quale si è innanzi offerta l'interpretazione nel quadro del vigente sistema costituzionale. Peraltro, poiché of
frire retti, onesti e disinteressati consigli attraverso mezzi di co
municazione pubblica ad una pluralità di persone non è dissimile
dall'offrire consigli di tal genere ad un singolo soggetto (ciò, s'in
tende, dal punto di vista del significato intrinseco dell'eccitazione
all'emigrazione) se si affermasse la legittimità della sanzionabilità
penale dell'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigrazione,
per fini di pura solidarietà umana, dovrebbe del pari ammettersi
la costituzionale legittimità d'una eventuale incriminazione della
stessa eccitazione privatamente realizzata: ognun vede a quale as
surdo, cosi, si giungerebbe. Va infine osservato che, tutelata costituzionalmente l'emigra
zione, risulta implicitamente tutelata anche la propaganda od ec
citazione all'emigrazione, non esistendo altri valori o beni
costituzionalmente garantiti che, pur nella liceità dell'emigrazio
ne, valgano a giustificare limiti alla propaganda diretta a far
emigrare.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
7. - La dichiarazione d'illegittimità costituzionale del 1° com
ma dell'articolo più volte citato non esclude che il fatto tipico
«generale» ivi previsto (chiunque con manifesti, circolari, guide,
pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità eccita l'emigra zione di cittadini italiani) continui ad individuare le ipotesi spe ciali di cui al 2° e 3° comma dello stesso articolo. Mentre cessano
d'aver vigore il precetto e la sanzione di cui al predetto 1° com
ma, il fatto (naturalistico) di cui allo stesso comma continua a
caratterizzare le ipotesi tipiche («fatto» commesso per motivi di
lucro ovvero con notizie o indicazioni false) di cui al 2° e 3°
comma dell'articolo in discussione: le predette ipotesi come si
è notato all'inizio, risultano autonome nei confronti del modello
«generale» di cui al 1° comma dello stesso articolo.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale della norma di cui al 1° comma dell'art. 5 1. 24
luglio 1930 n. 1278.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 novembre 1986, n. 228
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 novembre 1986, n. 53); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Lai c. Min. pubblica istru
zione. Orci. T.A.R. Lazio, sez■ III, 11 luglio 1983 (G.U. n. 190 del 1984).
Istruzione pubblica — Insegnanti di ruolo nelle scuole materne
statali — Servizio pre-ruolo nelle scuole materne gestite dal
l'E.s.m.a.s. — Riconoscimento — Questione infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 97, 116; 1. 1° giugno 1942 n. 901,
costituzione di un ente per le scuole materne della Sardegna; d.l. 19 giugno 1970 n. 370, riconoscimento del servizio prestato
prima della nomina in ruolo dal personale insegnante e non
insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e
artistica, art. 2; 1. 26 luglio 1970 n. 576, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 giugno 1970 n. 370).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit timità costituzionale dell'art. 2 d.l. 19 giugno 1970 n. 370, con
vertito in l. 26 luglio 1970 n. 576, nella parte in cui sono
riconosciuti come servizi pre-ruolo ai fini di cui alla medesima
norma anche i servizi prestati presso l'Ente per le scuole mater
ne della Sardegna-E.s.m.a.s. in riferimento art. 3, 97 e 116
Cost. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 novembre 1986, n. 227
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 novembre 1986, n. 53);
Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Salvati c. Provveditore agli
studi di Roma; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Cosentino). Ord. T.A.R. Lazio, sez. Ili, 16 novembre 1981
(G.U. n. 25 del 1984).
(1-2) L'ordinanza T.A.R. Lazio, sez. Ili, 11 luglio 1983, massimata
in Foro it., 1985, III, 283, è riportata in Giur. costit., 1984, II, 1257; l'ordinanza T.A.R. Lazio, sez. Ili, 16 novembre 1981, massimata in
Foro it., 1984, III, 278, è riportata in Giur. costit., 1984, II, 296.
Sulla natura di disposizione eccezionale del d.l. n. 370/70, convertito
in 1. n. 576/70, Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 1984, n. 346, Foro
it., Rep. 1984, voce Istruzione pubblica, n. 114; sulla valutabilità di
altri servizi pre-ruolo, Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 1980, n. 651/78,
id., Rep. 1982, voce cit., n. 116 (per l'insegnante all'estero in istituzione
priva di personalità); Corte conti, sez. Ili, ord. 3 novembre 1981,
id., 1984, III, 178, con nota di richiami (per il personale direttivo
della scuola, con profili di sospetta incostituzionalità ancora pendenti) e sez. contr. 4 maggio 1984, n. 1446, id., Rep. 1984, voce cit., n.
124 (per gli insegnanti tecnico-pratici presso l'amministrazione provin
ciale); Cons. Stato, sez. VI, 17 settembre 1985, n. 466, id., Rep. 1985, voce cit., n. 124 (per gli insegnanti di scuola materna comunale gestita
dall'E.c.a.); sulla insussistenza del diritto ad un aumento retributivo dell'in
Ii Foro Italiano — 1987.
Istruzione pubblica — Assistenti di scuola materna — Sistema
zione in ruolo — Regime transitorio — Utilizzazione come
insegnanti — Retribuzione — Questione infondata di costitu
zionalità (Cost., art. 3, 36; 1. 18 marzo 1968 n. 444, ordina
mento della scuola materna statale, art. 9, 11, 15; 1. 9 agosto 1978 n. 463, modifica dei criteri di determinazione degli orga nici e delle procedure per il conferimento degli incarichi del
personale docente e non docente; misure per l'immissione
in ruolo del personale precario nelle scuole materne, elemen
tari, secondarie ed artistiche, nonché nuove norme relative
al reclutamento del personale docente ed educativo delle scuo
le di ogni ordine e grado, art. 8).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
8, 6° comma, I. 9 agosto 1978 n. 463, in riferimento agli
art. 3 e 36 Cost., nella parte in cui non prevede la correspon
sione, alle assistenti di scuola materna statale «utilizzate» in
mansioni di insegnamento, di una retribuzione corrispondente alle funzioni svolte, in quanto detta «utilizzazione» ha natura
del tutto transitoria, non comporta alcun obbligo a carico
delle assistenti né una posizione deteriore quanto a mansioni
e retribuzione e non è, comunque, comparabile con il tratta
mento del personale precario. (2)
I
Diritto. — 1. - Ai sensi dell'art. 2, 2° comma, d.l. 19 giugno 1970 n. 370 (riconoscimento del servizio prestato prima della
nomina in ruolo dal personale insegnante e non insegnante delle
scuole di istruzione elementare, secondaria e artistica), converti
to nella 1. 26 luglio 1970 n. 576, «sono riconosciuti», «come
servizio di ruolo», «i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali». Rilevando che la ripor
tata disposizione contempla, accanto alle scuole statali, esclusi
vamente quelle «comunali», e deducendone che, quindi, sono
escluse le scuole di altri enti territoriali, il provveditorato agli
studi di Oristano negava all'insegnante Lai Maria Teresa il rico
noscimento, come servizio preruolo, di quello prestato negli
anni scolastici dal 1968-69 sino al 1973-74, quale incaricata,
presso le scuole materne gestite dall'ente per le scuole materne
della Sardegna (E.s.m.a.s.). L'interessata impugnava il provve
dimento, proponendo ricorso con atto che notificava, non solo
al provveditorato agli studi di Oristano, ma anche al ministero
della pubblica istruzione, e che depositava presso il T.A.R.
del Lazio, dinanzi al quale denunciava l'illegittimità costi
tuzionale dell'art. 2, 2° comma, della legge (di conversio
ne) n. 576 del 1970 per contrasto con gli art. 3, 33, 97 e
116 ss. Cost.
2. - Il T.A.R. del Lazio, premesso che «il ricorso non appare
accoglibile in via immediata», in quanto la disposizione impu
gnata sarebbe insuscettibile, sia di interpretazione analogica, sia
di quella estensiva, e che pertanto la rigorosa applicazione fatta
ne dal provveditore agli studi di Oristano sarebbe ineccepibile, rileva peraltro che i servizi svolti per l'E.s.m.a.s. presentano «ca
ratteristiche di estrema vicinanza a quelle dei servizi di insegna mento in scuole materne statali e comunali». E dopo avere
sottolineato, percorrendo la normazione succedutasi dal 1942, anno
in cui l'ente venne creato: che questo «ha finito per funzionare
da ente strumentale di gestione 'codipendente' dallo Stato e dalla
regione»; che gli incarichi vengono conferiti sulla base di gradua
torie compilate «in conformità di criteri di valutazione analoghi
a quelli adottati dal ministero»; che titolo di studio, durata di
anni scolastici, orari e programmi sono «identici a quelli delle
segnante di scuola materna comunale assegnata temporaneamente a fun
zioni impiegatizie, Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 1984, n. 516, ibid., n. 383; sulla posizione delle scuole non statali, Bonamore, La «parità»
per le scuole non statali (art. 33 Cost.) in rapporto al servizio dei docenti, in Foro amm., 1984, 132.
Per altri riferimenti di carattere generale sulla immissione in ruolo di
personale precario della scuola, v. Corte cost. 5 novembre 1986, n. 229,
Foro it., 1987, I, 1033, con nota di richiami; sulla disciplina applicabile
agli insegnanti non di ruolo, Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 1987, n.
12, ibid., Ili, 185, con nota di richiami.
La sent. n. 228/86 rientra nel novero delle pronunzie «interpretative di rigetto»: per un recente esempio, v. Corte cost. 23 maggio 1985, n.
153, id., 1986, I, 884.
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