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sentenza 19 gennaio 1995, n. 27 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 25 gennaio 1995, n. 4); Pres....

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sentenza 19 gennaio 1995, n. 27 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 25 gennaio 1995, n. 4); Pres. Casavola, Est. Spagnoli; Fostera; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Brescia-Breno 17 febbraio 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 21 del 1994) Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 9 (SETTEMBRE 1995), pp. 2423/2424-2425/2426 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23189012 . Accessed: 25/06/2014 09:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 09:34:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 19 gennaio 1995, n. 27 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 25 gennaio 1995, n. 4);Pres. Casavola, Est. Spagnoli; Fostera; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Brescia-Breno 17febbraio 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 21 del 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 9 (SETTEMBRE 1995), pp. 2423/2424-2425/2426Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189012 .

Accessed: 25/06/2014 09:34

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2423 PARTE PRIMA 2424

quindi la questione meritevole di accoglimento; restando assor

bita la censura riferita al secondo parametro indicato dal giudi ce a quo, cioè all'art. 3 Cost.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti

del dolo di una parte in danno dell'altra pare forse più consono rico struire in tal senso la fattispecie da ultimo riportata: se cosi è, si dovrà chiedere col giudizio di revocazione allo stesso pretore — ufficio giudi ziario che ha pronunciato l'ordinanza, e non al tribunale quale giudice d'appello se, alla luce della giurisprudenza citata supra sub III.A)cc), il comportamento processuale tenuto dal locatore abbia assunto il rilie vo dell'artifizio o raggiro idoneo a paralizzare la difesa del conduttore, o se comunque le sue false, erronee o reticenti allegazioni abbiano trat to in inganno il conduttore, a tal punto dal non farlo partecipare all'u dienza di rinvio per sanare o contestare il debito residuo e cosi pregiu dicare irrimediabilmente le sue difese. Del resto, invocare, come ha fat to Cass. 27 aprile 1994, n. 3977, cit., la violazione del principio generale del contraddittorio per dichiarare l'ordinanza di convalida come resa «al di fuori dello schema procedimentale» e quindi avente la natura sostanziale di sentenza assoggettata all'appello previsto dal «diritto vi

vente» della Cassazione, rappresenta il frutto di un'interpretazione, in vero legittimamente corretta, ma talmente ampia del concetto di irritua lità del provvedimento ex art. 663 c.p.c. da rendere praticamente inat tuabile e pure inutile la prospettata revocabilità dell'ordinanza stessa; anzi per questa via si finirebbe per rimettere in dubbio, senza passare attraverso una organica riforma legislativa, lo stesso concetto generale di inimpugnabilità dei provvedimenti ex art. 663 c.p.c., salve le ipotesi dei rimedi in casi straordinari (art. 404 e 395 c.p.c.).

Grazie all'apertura offerta dalla sentenza in epigrafe potranno essere rivalutate nell'ottica revocatoria altre simili fattispecie, che in passato, sul presupposto della ritualità del provvedimento di convalida emesso nell'assenza dell'intimato, venivano con difficoltà ed insuccesso ricon dotte nell'ambito dell'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c. Si veda ad

esempio il caso risolto da Pret. Milano 12 febbraio 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 28, con la pronuncia di inammissibilità dell'opposi zione ex art. 668 c.p.c. instaurata quando l'intimato, pur avendo avuto conoscenza dell'atto di intimazione, non sia poi comparso alla prima o alle successive udienze fidandosi delle assicurazioni ricevute dalla con

troparte circa il comportamento processuale che essa avrebbe tenuto in prima udienza: il giudice milanese ha giustamente motivato l'inam missibilità imputando l'assenza dell'intimato a sua negligenza e legge rezza e non certo al caso fortuito richiesto dall'art. 668 c.p.c., ma ora è ben possibile rivedere una tale fattispecie alla luce dell'art. 395, n.

1, c.p.c., cosi come interpretato dalla migliore giurisprudenza, al fine di instaurare, se del caso, il diverso giudizio di revocazione per dolo

processuale di una parte in danno dell'altra.

C2) Vi sono altre ipotesi, già verificatesi in giurisprudenza, in cui è difficile per l'interprete rinvenire un'ordinanza di convalida ritual mente o irritualmente emessa, e quindi instaurare contro la stessa la sola impugnazione ammissibile: v. Trib. Roma 22 novembre 1991, id., Rep. 1993, voce cit., n. 22, e Giur. it., 1993, I, 2, 467, con nota critica di V. Butò, Rinvio d'ufficio dell'udienza di prima comparizione e vio

lazione del diritto di difesa, e prima ancora Pret. Roma 28 novembre

1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 17 e 10 dicembre 1970, id., 1971, I, 785, che hanno ritenuto ammissibile l'opposizione tardiva della convalida di licenza per finita locazione pronunciata in assenza dell'in timato ad udienza diversa, smistata d'ufficio al giudice designato, ri

spetto a quella indicata in citazione; Pret. Aversa 26 maggio 1984, cit.

(leggesi pure in Giur. it., 1986, I, 2, 126, con nota di R. Smisi Fatano, Sulla conoscenza del rinvio d'ufficio della prima udienza tenutasi avan ti al pretore non designato), nella stessa ipotesi, ha ritenuto invece am missibile l'appello, alla luce della giurisprudenza dominante, sul rilievo della violazione dell'art. 56, 2° comma, disp. att. c.p.c., ovvero di un presupposto processuale della stessa pronuncia di convalida.

Ed invero, intraprendere l'impugnazione ordinaria dell'appello, pur con tutte le particolarità che esso riveste nel caso di specie rispetto al

paradigma degli art. 339 ss. c.p.c., in luogo delle impugnazioni eccezio nali di cui agli art. 668 e 395 c.p.c., laddove ammissibili, diviene deci sione di non poco conto per l'interprete, anche in ordine ai suoi riflessi

pratici; e ciò non tanto a fini sospensivi dell'efficacia esecutiva dell'or dinanza di convalida, giacché il novellato art. 283 c.p.c. è ora in linea con l'art. 668, ultimo comma, c.p.c. nel richiedere i «gravi motivi», assimilabili comunque al «grave ed irreparabile danno» dell'art. 401, quanto piuttosto perché in un caso il gravame è rivolto ad altro giudice sul presupposto di pretesi e non tassativi errores in procedendo (o addi rittura in iudicando) del giudice della convalida, nell'altro caso il grava me è rivolto allo stesso giudice della convalida ed in base a tassativi e ben limitati motivi.

IV. - De iure condendo, si è proposto in dottrina (Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, cit., 1361-1362, e pure Id, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 626) di tagliare in radice il nodo problematico del regime di impugnabilità delle ordinanze ex art.

Il Foro Italiano — 1995.

mità costituzionale dell'art. 395, la parte e n. 1, c.p.c., nella

parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo

di una delle parti in danno dell'altra.

663 c.p.c. prevedendo legislativamente che qualora l'intimato non com

paia o pur comparendo non si opponga alla domanda dell'attore «il

giudice, ove non vi si oppongano questioni di giurisdizione, di compe tenza o altre questioni pregiudiziali di rito rilevabili d'ufficio, ed ove la legge sostanziale lo consenta, accolga la domanda dell'attore con sentenza immediatamente esecutiva» (tale effetto è ora già normativa mente generalizzato ex art. 282 c.p.c.) «redatta in calce alla citazione e contenente la sola indicazione del dispositivo e la succinta esposizione della motivazione».

Rientra invero nella piena discrezionalità del legislatore valutare l'op portunità ed i riflessi pratici sui carichi delle preture che una tale solu zione potrebbe apportare (necessità di redigere provvedimenti con for ma di sentenza seppur semplificata, ma comunque con una motivazio

ne), in relazione comparata con i vantaggi ermeneutici cui essa potrebbe dar comunque luogo (risoluzione, forse, del farriginoso sistema delle

impugnazioni delle ordinanze di cui all'art. 663 c.p.c.). Torna in gioco, cioè, il difficile equilibrio tra esigenze di economia e celerità dei giudizi a favore del locatore nella speciale materia di cui trattasi, ed esigenza di tutela dell'intimato rispetto a statuizioni tendenzialmente immutabili, ma che potrebbero insistere su violazioni di legge sistanziale e proces suale, o addirittura su sintomi di ingiustizia del provvedimento.

Michele Monnini

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 gennaio 1995, n. 27

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 25 gennaio 1995, n. 4); Pres. Casavola, Est. Spagnoli; Fostera; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. Pret. Brescia-Breno 17 febbraio 1994 (G.U., la s.s., n. 21 del 1994).

Procedimento penale davanti al pretore — Indagini preliminari — Archiviazione — Riapertura delle indagini — Atti compiu ti in ordine a notizia di reato archiviata senza previo provve dimento di riapertura delle indagini — Questione infondata

di costituzionalità (Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 4141,

555).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

555, 2° comma, c.p.p., in relazione all'art. 414 c.p.p., nella

parte in cui non consente di rilevare o eccepire la nullità del

decreto di citazione nel caso di mancata autorizzazione alla

riapertura delle indagini preliminari, in riferimento all'art. 24

Cost. (1)

(1) La peculiare «efficacia preclusiva» del provvedimento di archi

viazione, che discende dal meccanismo della riapertura delle indagini disciplinato dall'art. 414 c.p.p., è stata in dottrina costantemente sotto lineata: cfr. Bernardi, in Commento al nuovo codice di procedura pe nale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, sub art. 414, 554 ss.; Carli, Preclusione e riapertura delle indagini preliminari nell'art. 414

c.p.p., in Giur. it., 1993, II, 637 ss.; Giostra, L'archiviazione. Linea menti sistematici e questioni interpretative, Torino, 1993 , 71 ss.; Ko

storis, Riapertura delle indagini, voce dell' Enciclopedia del diritto, Mi lano, 1989, XL, 354 ss.; Valentini Reuter, In tema di riapertura delle

indagini dopo l'archiviazione e provvedimenti coercitivi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 320 ss. In argomento, cfr. inoltre Congiu, Sulla revocabilità del decreto di archiviazione, in Giur. it., 1992, II, 601 ss.; Padula, La riapertura delle indagini nel nuovo codice di procedura penale, in Arch, nuova proc. pen., 1995, 9 s.; nonché, in termini critici, Cordero, Codice di procedura penale commentato, 2a ed., Torino, 1992, sub art. 414, 494 s.

Nel senso dell'inutilizzabilità degli atti compiuti dopo il provvedimento

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - È stata sollevata la questione del contrasto

con l'art. 24 Cost, dell'art. 555, 2° comma, c.p.p., in relazione

all'art. 414 del medesimo codice, nella parte in cui «non con

sente di rilevare o eccepire la nullità del decreto di citazione

nel caso di mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini

preliminari», per la menomazione del diritto di difesa conse

guente alla impossibilità per l'imputato, in mancanza di specifi che previsioni normative, di eccepire davanti al giudice del di

battimento l'invalidità del decreto di citazione a giudizio. Ad avviso del giudice rimettente, l'ordinamento non contem

pla alcuna sanzione processuale per il caso in cui il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale in ordine al medesimo fatto per il quale sia stata precedentemente disposta l'archivia

zione, senza previamente richiedere e ottenere l'autorizzazione

alla riapertura delle indagini prescritta dall'art. 414 c.p.p.

Né, a sanzionare tale condotta contraria alla legge processua

le, potrebbe ritenersi sufficiente la conseguenza della inutilizza

bilità degli atti di indagine, perché ciò non avrebbe alcun for male effetto sull'atto dell'esercizio dell'azione penale, in man

canza di una previsione di nullità che si ricolleghi a tale ipotesi. 2. - Va rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'avvocatura

generale dello Stato, che ha sostenuto che la norma da sotto

porre a censura avrebbe dovuto essere quella recata dall'art.

414 c.p.p., in quanto non contemplante una sanzione proces suale per l'inosservanza da parte del pubblico ministero del do

vere di richiedere l'autorizzazione al giudice ai fini della riaper tura delle indagini.

Nella prospettiva del giudice rimettente, infatti, l'omessa pre visione normativa concerne proprio la nullità che, nella ipotesi

dedotta, dovrebbe inficiare l'atto di esercizio dell'azione pena le; atto che, trattandosi di procedimento pretorile, si estrinseca

nel decreto di citazione a giudizio regolato appunto dall'art.

555 c.p.p., norma, dunque, correttamente sottoposta a censura.

3. - Va premesso che, diversamente dal previgente ordina

mento processuale, il nuovo codice di rito penale assegna una

efficacia (limitatamente) preclusiva al provvedimento di archi viazione.

Ciò è reso esplicito proprio dal citato art. 414, in base al

quale, dopo l'archiviazione, l'inizio di un nuovo procedimento è subordinato a un provvedimento autorizzatorio del giudice.

Tale provvedimento ha dunque l'effetto di rendere possibile il riaprirsi di un procedimento per il fatto già archiviato e, all'e sito di esso, l'eventuale esercizio dell'azione penale, che, in di

fetto dell'autorizzazione, sarebbe precluso.

Ora, la caratteristica indefettibile di ogni ipotesi di preclusio ne è quella di rendere improduttivi di effetti l'atto o l'attività

preclusi; ed è naturalmente compito del giudice quello di sanci

re tale inefficacia. 4. - Se si prende ad esempio il caso più eminente di preclusio

ne, quello del giudicato, può rilevarsi che, qualora sia iniziato

un secondo giudizio per il medesimo fatto, il giudice ha il dove

re di pronunciare sentenza (a seconda delle fasi processuali, di

proscioglimento o di non luogo a procedere), «enunciandone

la causa nel dispositivo» (art. 649, 2° comma, c.p.p.). Ma anche nel caso in esame, nel quale parimenti deve ritener

si precluso l'esercizio dell'azione penale, in quanto riguardante il medesimo fatto già oggetto di un provvedimento di archivia

zione, in carenza di autorizzazione del giudice a riaprire le inda

gini, è la instaurabilità di un nuovo procedimento e, quindi, la «procedibilità» a essere impedita; sicché, se il presupposto del procedere manca, il giudice non può che prenderne atto, dichiarando con sentenza, appunto, che «l'azione penale non

doveva essere iniziata» (cfr. art. 529, 469, 425, nonché, sia pure in termini formalmente non identici, art. 129, c.p.p.).

È quanto si verifica, ancora, qualora sia esercitata l'azione

penale per un fatto per il quale sia stata pronunciata sentenza

di non luogo a procedere nell'udienza preliminare, in mancanza

della revoca giudiziale prevista dagli art. 434-437 c.p.p. Anche

in questa ipotesi la regola della declaratoria dell'effetto preclu

di archiviazione e a prescindere dalla pronuncia, ex art. 414 c.p.p., del decreto autorizzativo di riapertura delle indagini, cfr. Trib. Nuoro 18 febbraio 1993, Foro it., 1994, II, 177, e, in dottrina, Bernardi,

cit., 558; Carli, cit., 637; Cordero, cit., 495; Giostra, cit., 81 s.;

Kostoris, cit., 355; Valentini Reuter, cit., 325. Per un (non del tutto

persuasivo) 'distinguo' in ordine all'oggetto della preclusione cfr. Trib.

Vercelli 3 dicembre 1992, Foro it., 1993, II, 258.

Il Foro Italiano — 1995.

sivo, sub specie di sentenza di improcedibilità dell'azione pena

le, è da ritenere espressa in termini generali dalle disposizioni

sopra menzionate, dovendosi pertanto reputare ininfluente che

il nuovo codice, a differenza di quanto comunemente si affer

mava con riferimento a quello abrogato (art. 90 c.p.p. del 1930), non consideri specificamente tale situazione nell'ambito dell'i stituto del ne bis in idem (v. art. 649, 1° comma, e 648, 1°

comma, c.p.p.). 5. - Giova sottolineare che il petitum perseguito dal giudice

a quo (sanzione di nullità dell'atto di esercizio dell'azione pena

le) appare del tutto inadeguato a risolvere l'«anomalia» proce dimentale da cui ha tratto le mosse la presente questione di costituzionalità. Invalidato l'atto di impulso processuale, resi

duerebbe un procedimento eternamente in vana attesa di defini

zione giudiziale: esso non potrebbe mai risolversi in sede pro

cessuale, ma nemmeno essere nuovamente archiviato, se non

altro perché il giudice, ai fini di un nuovo provvedimento di

archiviazione, non potrebbe delibare atti di indagine espletati contra legem.

6. - Poiché, invece, l'ordinamento, sistematicamente conside

rato, appresta già un rimedio atto a sanzionare processualmente l'esercizio dell'azione penale per un fatto già oggetto di un prov vedimento di archiviazione, in mancanza dell'autorizzazione giu diziale ai sensi dell'art. 414 c.p.p., la questione deve essere di chiarata non fondata.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 555, 2° com

ma, c.p.p., in relazione all'art. 414 del medesimo codice, solle

vata, in riferimento all'art. 24 Cost., dal Pretore di Brescia, sezione distaccata di Breno, con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 luglio 1994, n. 353 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 agosto 1994, n. 32); Pres. Casavola, Est. Ferri; Carnovale ed altri; interv. Pres.

cons, ministri. Ord. App. Bologna 11 marzo 1993 (G.U., la

s.s., n. 41 del 1993).

Appello penale — Provvisionale — Sospensione — Presupposti — Grave e irreparabile danno — Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod. proc. pen., art. 600).

È illegittimo l'art. 600, 3 ° comma, c.p.p. nella parte in cui pre vede che il giudice di appello può disporre la sospensione del

l'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale

«quando possa derivarne grave e irreparabile danno», anzi ché «quando ricorrono gravi motivi». (1)

(1) L'anomalia del regime assai restrittivo concernente i presupposti della sospensione e della revoca della provvisoria esecuzione (ope legis: cfr. art. 540, 2° comma, c.p.p.) della provvisionale era già stata sottoli

neata, in dottrina, in termini simili a quelli che hanno adesso condotto la corte a ritenere 'irragionevole' l'art. 600, 3° comma, c.p.p. ove lo si raffronti con il 'nuovo' art. 283 c.p.c. (cfr. Kostoris, Brevi riflessio ni in tema di condanna generica e provvisionale sui danni, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 985).

La su riportata sentenza ha, peraltro, cura di ridisegnare i limiti di deducibilità del tertium comparationis nel processo costituzionale: la

corte ritiene, in tal senso, che nell'ambito di una corretta prospettazio ne della quaestio non possano essere invocate, a supporto 'esterno' del

la censura di 'irragionevolezza', norme non più vigenti, pur se ancora

applicabili in via transitoria. Nel senso che l'ordinanza con cui la corte di appello, a norma del

l'art. 600, 3° comma, c.p.p., decide sull'istanza di sospensione o revoca della provvisoria esecuzione della provvisionale non è autonomamente

impugnabile (in mancanza di espresse previsioni di legge e per il princi

pio di tassatività delle impugnazioni), ma può essere impugnata solo

unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio di secondo grado, cfr.

Cass. 12 marzo 1993, Petrocelli, Foro it., Rep. 1993, voce Appello pe nale, n. 101; 3 novembre 1992, Mulé, ibid., n. 102; 28 maggio 1992,

Benincasa, ibid., n. 103.

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