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sentenza 19 giugno 1998, n. 215 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 1° luglio 1998, n. 26);Pres. Granata, Est. Capotosti; Codacons e altri (Avv. Montaldo), Ania (Avv. Pace); interv. Pres.cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara). Ord. Tar Lazio, sez. III, 16 giugno 1993 e 23 ottobre1996 (due) (G.U., 1 a s.s., nn. 6 e 26 del 1997)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 12 (DICEMBRE 1999), pp. 3467/3468-3471/3472Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195226 .
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3467 PARTE PRIMA 3468
vati per l'esercizio «di un servizio di pubblica utilità» — l'ado
zione di «clausole relative ai rapporti di lavoro sostanzialmente
analoghe a quelle previste per i contratti pubblici».
Nell'impossibilità, perciò, di rinvenire nella sopra ricordata
convenzione una disciplina applicabile direttamente alla fatti
specie, sì da superare, per tal via, la questione sollevata dal
rimettente, si pone l'esigenza di verificare se la mancata previ
sione, da parte dell'art. 36, della ipotesi segnalata dall'ordinan
za — e cioè di un rapporto convenzionale fra regione e clinica
privata riconducibile sostanzialmente alla tipologia concessoria
di pubblico servizio, prevista dall'art. 44 1. n. 833 del 1978 —
sia espressione di legittima scelta del legislatore, ovvero frutto
d'irragionevole discriminazione, a fronte di una situazione omo
logabile alle altre tutelate dalla norma.
Diviene, dunque, decisiva la considerazione della ratio della
disposizione censurata, da rinvenire, secondo la prevalente giu
risprudenza, nell'esigenza che, ove nell'esercizio di una determi
nata attività imprenditoriale intervenga la pubblica amministra
zione (in quanto essa eroghi benefici di carattere finanziario
o creditizio ovvero affidi ad altri il compimento dell'attività stes
sa), sia assicurato uno standard minimo di tutela ai dipendenti coinvolti. Non è senza rilievo, peraltro, la circostanza che an
che coloro che, in via minoritaria, individuano lo scopo preci
puo della norma nella valorizzazione della dimensione collettiva
degli strumenti da essa considerati pongono, pur sempre, in evi
denza l'intimo collegamento che sussiste tra siffatto profilo e
quello dell'esigenza di tutela del lavoro subordinato, sottolinean
do, in tal modo, l'ispirazione e la funzione di garanzia che la
disposizione, in ogni caso, svolge in favore dei lavoratori utiliz
zati presso imprese private che hanno ottenuto benefici o appal
ti dallo Stato.
4. - A fronte di tale finalità della legge, v'è, ovviamente, pur
sempre da domandarsi se la figura giuridica dell'appalto di ope re pubbliche non sia espressiva, di per sé, di peculiari esigenze
che, nell'ambito della disposizione censurata, possano fungere, nonostante l'ampiezza della ratio cui si ispira la legge, da ragio nevole criterio di diversificazione rispetto alla situazione della
concessione di pubblici servizi.
In via di principio, non è dubbia la diversità tra appalto di
opere pubbliche e concessione di pubblico servizio, anche per il maggior rilievo tradizionalmente assunto, per la seconda, dal
momento provvedimentale-autoritativo. Ciò non può, tuttavia, far disconoscere, al di là del dibattito sulla definizione in gene rale dell'istituto, che anche le concessioni di pubblico servizio
partecipano di una regolamentazione c.d. «contrattuale» del con
tenuto dell'attività devoluta all'imprenditore privato; regolamen tazione che, nell'introdurre elementi di disciplina del diritto co
mune, si pone, già di per sé, in funzione latamente assimilativa
tra le due figure.
Inoltre, anche se pertiene indefettibilmente all'appalto il pro
filo, istituzionalizzato, «della scelta del contraente», finalizzata
alla migliore realizzazione dell'interesse pubblico, secondo i prin
cipi della concorrenza tra imprenditori (per ottenere la pubblica amministrazione le condizioni più favorevoli) e della parità di
trattamento dei concorrenti nella gara (per assicurare il miglior risultato della procedura concorsuale senza alterazioni e/o tur
bative), non si può certo ignorare che il principio di acquisizio ne della prestazione alle condizioni più favorevoli per la pubbli ca amministrazione non rimane estraneo neppure alle conces
sioni di pubblico servizio. E ciò in vista dell'esigenza della
migliore soddisfazione dell'interesse pubblico che l'imprendito re è tenuto a realizzare, attraverso una ricerca di mezzi adeguati e pertinenti allo scopo, tale da comportare una selezione tra
gli stessi (soprattutto in tempi di eliminazione dei regimi mono
polistici). In tal senso, anche i costi per le imprese, derivanti
dall'obbligo di «equo trattamento», concorrono alla migliore individuazione del soggetto idoneo e ciò vale, indubbiamente,
per entrambe le figure giuridiche in esame.
Aggiungasi, inoltre, che la parità di trattamento tra i concor
renti nella «gara» è — come esattamente nota il rimettente —
espressione, in ogni caso, del più generale principio d'imparzia
lità, ex art. 97 Cost., cui è sempre tenuta la pubblica ammini
strazione e che, come tale, è pervasivo dell'intera attività ammi
nistrativa, risultando necessariamente inerente anche a quella concessoria.
A questo proposito può, anzi, osservarsi che, non a caso, la giurisprudenza della Cassazione ha ricollegato all'inserzione
Il Foro Italiano — 1999.
della clausola sociale uno specifico interesse dell'amministrazio
ne alla «regolare esecuzione dell'opera nei termini contrattual
mente previsti», evitando così di rimanere «esposta alle conse
guenze dannose provocate dalla conflittualità e dalle rivendica
zioni che insorgono abitualmente a causa dell'inosservanza della
normativa collettiva» (Cass. n. 3640 del 1981, Foro it., Rep.
1983, voce Opere pubbliche, n. 126). 5. - La conclusione alla quale, in relazione a quanto detto,
occorre pervenire è, allora, nel senso che lo strumento utilizzato
per la scelta del contraente non viene ad introdurre, sotto lo
specifico profilo dell'inserzione della c.d. «clausola sociale»,
aspetti peculiarmente caratterizzanti l'appalto di opere pubbli che rispetto alla concessione di pubblici servizi e, soprattutto, non concorre ad enucleare la precipua ratio dell'art. 36 statuto
dei lavoratori, come, tra l'altro, avvalora la circostanza che detta
disposizione accomuna le ipotesi degli appalti di opere pubbli che a quelle dei «benefici finanziari e creditizi», rispetto ai qua li sono ben lungi dal rilevare le problematiche esaminate.
Acclarato, perciò, che lo scopo della norma è quello, entro
il quadro delineato dal principio d'imparzialità e buon anda
mento, di tutela del lavoro subordinato in situazioni nelle quali lo Stato è in grado d'influire direttamente o indirettamente, la
stessa ratio della disposizione ed il suo corretto collegamento
«soggettivo» con i «lavoratori subordinati» portano la corte a
ritenere ingiustificata l'esclusione, dal suo ambito di efficacia, dei lavoratori dipendenti da imprese che esercitano un pubblico servizio sulla base di concessione della pubblica amministrazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 36 1. 20 maggio 1970 n. 300 (norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento), nella parte in cui non prevede che, nelle con
cessioni di pubblico servizio, deve essere inserita la clausola espli cita determinante l'obbligo per il concessionario di applicare o
di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condi
zioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di
lavoro della categoria e della zona.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 giugno 1998, n. 215
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 1° luglio 1998, n. 26); Pres. Granata, Est. Capotosti; Codacons e altri (Aw. Mon
taldo), Ania (Avv. Pace); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiumara). Ord. Tar Lazio, sez. Ili, 16 giugno 1993 e 23 ottobre 1996 (due) (G.U., la s.s., nn. 6 e 26 del
1997).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi in via incidentale — Questione sollevata dallo stesso giudice nel corso dello stesso
giudizio — Inammissibilità — Fattispecie (Cost., art. 23, 134; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzio
namento della Corte costituzionale, art. 23; 1. 24 dicembre
1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti, art. 11; d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, modifica della
disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti, art. 1; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, conversione in leg
ge, con modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. 1). Assicurazione (imprese di) — Circolazione dei veicoli a motore
— Assicurazione della responsabilità civile — Tariffe dei pre mi e condizioni generali — Procedimento di approvazione —
Commissione ministeriale — Composizione — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 23, 41; 1. 24 dicem
bre 1969 n. 990, art. 11; d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art.
1; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, art. 1).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale solle
vata dallo stesso giudice nell'ambito del medesimo procedi mento, dopo che identica questione era stata dichiarata inam
missibile dalla Corte costituzionale, in quanto sollevata da
giudice privo di poteri decisori per avere ormai definito la causa nel merito (fattispecie relativa all'art. 11, 6° comma, I. 24 dicembre 1969 n. 990, come modificato dalla l. 26 feb braio 1977 n. 39, in riferimento all'art. 23 Cost.). (1)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
II, 6° comma, l. 24 dicembre 1969 n. 990, come modificato dalla l. 26 febbraio 1977 n. 39, nella parte in cui, nel prevede re, per l'approvazione delle tariffe dei premi e delle condizio ni generali per l'assicurazione della responsabilità civile deri
vante dalla circolazione dei veicoli a motore, l'intervento con
sultivo di un'apposita commissione ministeriale, sostitutiva della commissione centrale prezzi, ne determina la composi zione in maniera meno garantistica rispetto a quest'ultima, in riferimento all'art. 23 Cost. (2)
(1) La Corte costituzionale rileva come sia da ritenersi ius reception il fatto che il giudice a quo non possa risollevare la stessa questione nell'ambito dello stesso giudizio, in modo da evitare un bis in idem, che si risolverebbe in una sorta d'impugnazione della precedente deci sione della corte.
In realtà, il motivo di contrasto risiedeva nella valutazione operata dalla corte circa la rilevanza della questione, in quanto con la prima decisione essa aveva infatti dichiarato l'inammissibilità sul presupposto che il giudice a quo avesse ormai esaurito ogni potere decisorio in ordi ne alla controversia pendente davanti a lui. Il giudice, con la successiva ordinanza di rimessione, contestava tale giudizio, affermando di dover fare applicazione della disposizione impugnata al fine di risolvere il giu dizio principale. La vicenda rimanda quindi all'annosa, ed ancora non del tutto risolta, problematica circa il controllo da parte della corte del giudizio di rilevanza svolto dal giudice e di quale sia la posizione di quest'ultimo, rispetto al caso da decidere, qualora ritenga di non
poter condividere il giudizio della corte. A proposito della preclusione, per il giudice, a risollevare la Stessa
questione nel corso dello stesso giudizio, la corte ha avuto modo di
precisare, in maniera assai puntuale, che «l'effetto preclusivo alla ri
proposizione di questioni nel corso dello stesso giudizio deve ritenersi
operante soltanto allorché risultino identici tutti e tre gli elementi che
compongono la questione (norme impugnate, profili d'incostituzionali tà dedotti, argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta incostituzio
nalità)» (v. sent. 8 giugno 1994, n. 225, Foro it., 1994, I, 2022, con nota di richiami).
Di recente, si sono avuti alcuni importanti interventi in proposito da parte della Corte costituzionale. Il più interessante appare il caso in cui la corte aveva dichiarato l'inammissibilità di una questione di costituzionalità in quanto riguardante scelte riservate alla discrezionali tà del legislatore, ma rivolgendo contemporaneamente un monito allo stesso affinché intervenisse in tempi rapidi a modificare una disciplina bisognosa di essere conformata ai principi costituzionali e ritenuta sen za mezzi termini in contrasto con la Costituzione (sent. 24 luglio 1995, n. 358, id., 1996, I, 3817, con nota di richiami). Lo stesso giudice, nell'àmbito del medesimo processo, ha rinviato nuovamente la stessa eccezione alla corte, fondando le ragioni della sua ammissibilità sull'os servazione che diversamente disposizioni palesemente incostituzionali re sterebbero in vigore «con il pericolo di grave sovvertimento dei valori costituzionali, di un'iperprotezione dell'inerzia del legislatore e di una abdicazione della funzione della Corte costituzionale come giudice delle
leggi». Il giudice aveva altresì allargato la questione alla sopravvenuta legge finanziaria, la quale non aveva risolto il problema, nonché ad altri parametri costituzionali.
La corte ha, forse troppo formalisticamente, dichiarato inammissibi le la questione, richiamandosi anche in questo caso allo ius receptum, secondo cui non è possibile risollevare la stessa questione nel corso del lo stesso giudizio, se non per motivi nuovi e diversi, cosa che non ha rinvenuto nella specie e, pur riconoscendo inadeguato il successivo in tervento legislativo, ha concluso che, sul piano processuale, la questio ne non poteva dirsi diversa dalla precedente, essendone una riformula zione «aggiornata» ai nuovi sviluppi, ma sfornita di un contesto nor mativo e argomentativo sostanzialmente nuovo (sent. 5 febbraio 1998, n. 12, id., Rep. 1998, voce Corte costituzionale, n. 47). In altra ipotesi invece il giudice aveva risollevato la questione con riguardo allo stesso
imputato, ma non facendo applicazione della norma impugnata (ord. 17 luglio 1998, n. 288, G.U., la s.s., n. 29 del 1998).
(2) La stessa questione era stata dichiarata inammissibile, in quanto sollevata da un giudice ormai privo di poteri decisori, da Corte cost. 8 luglio 1992, n. 315, Foro it., 1992, I, 2907, con nota di richiami. Il Tar Lazio aveva riproposto l'identica questione, non condividendo il giudizio della corte circa l'esaurimento del proprio potere decisorio e quindi della rilevanza della questione di costituzionalità: v. sez. III,
Il Foro Italiano — 1999.
Diritto. — 1. - La questione di legittimità costituzionale sol
levata con le ordinanze in epigrafe riguarda la disposizione —
vigente prima del d.leg. 17 marzo 1995 n. 175 — dell'art. 11, 6° comma, 1. 24 dicembre 1969 n. 990 (assicurazione obbligato ria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei vei coli a motore e dei natanti), come modificato dalla 1. 26 feb braio 1977 n. 39, nella parte in cui, nel prevedere l'intervento
consultivo di un'apposita commissione ministeriale, sostitutiva
della commissione centrale prezzi, «ne determina la composi zione in maniera meno, garantistica rispetto a quest'ultima».
Secondo i giudici a quibus, che configurano le tariffe assicu
rative in questione come prestazioni patrimoniali «imposte», la
predetta norma viola l'art. 23 Cost., in quanto non assicura il rispetto delle relative garanzie incentrate sulla «riserva di leg ge», prevedendo, nel procedimento di fissazione delle tariffe stes
se, un organo istruttorio, in cui mancano i rappresentanti dei
principali dicasteri e dell'Istat e soprattutto i «rappresentanti
degli interessi delle categorie contrapposte». 2. -1 giudizi, riguardando la stessa norma e lo stesso parame
tro costituzionale, possono essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
3. - In via preliminare va dichiarata inammissibile la questio ne di costituzionalità sollevata con l'ordinanza del 9-16 giugno 1993, poiché il Tar Lazio ripropone, nel corso dello stesso giu dizio e per gli stessi motivi, la medesima questione di legittimità costituzionale già sollevata con ordinanza 17 aprile 1991 e di
chiarata inammissibile da questa corte con sentenza n. 315 del 1992 (Foro it., 1992, I, 2907), in quanto il tribunale rimettente, con la sentenza parziale resa in pari data, aveva «definito quel lo che era l'unico oggetto del giudizio, esaurendo di conseguen za la propria cognizione». In proposito va ricordato che è ius
receptum che il giudice a quo non possa rimettere una seconda volta alla Corte costituzionale la medesima questione nel corso dello stesso grado del giudizio pendente fra le stesse parti, così da evitare un bis in idem, che si risolverebbe nell'impugnazione della precedente decisione della corte (cfr., da ultimo, sentenza n. 12 del 1998, id., Rep. 1998, voce Corte costituzionale, n. 47).
4. - Nel merito, la questione prospettata dalle altre due ordi nanze del Tar Lazio è infondata.
Le predette ordinanze di rimessione definiscono prestazioni patrimoniali «imposte», ai sensi dell'art. 23 Cost., le tariffe che
vengono inserite di diritto, in base all'art. 11, 6° comma, 1. n. 990 del 1969, nei contratti di assicurazione per la responsabi lità civile dei veicoli e dei natanti, la cui stipula è obbligatoria, ai sensi dell'art. 1 della medesima legge, per ogni possessore di veicolo a motore che intenda farlo circolare.
In proposito va ricordato che, nell'individuazione delle pre stazioni patrimoniali imposte che postulano la garanzia della
riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost., ed i conseguenziali limiti alla discrezionalità della pubblica amministrazione, la giu risprudenza costituzionale ha subito un'evoluzione. In un pri mo tempo, infatti, si era fatto riferimento solo alla natura au
toritativa dell'atto che impone la prestazione. Successivamente
si è fatto invece riferimento a quel tipo di servizio, che, pur dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, «in
considerazione della sua particolare rilevanza venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita» (sentenza n. 72 del 1969, id., 1969,1, 1402).
Nel complesso della giurisprudenza costituzionale, ai fini del
l'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte, non co
stituiscono pertanto profili determinanti né le formali qualifica zioni delle prestazioni (sentenza n. 4 del 1957, id., 1957, I, 202), né la fonte negoziale o meno dell'atto costitutivo (sentenza n. 72 del 1969), né l'inserimento di obbligazioni ex lege in contrat
ti privatistici (sentenza n. 55 del 1963, id., 1963, I, 1040). Va
invece riconosciuto — secondo questa corte — «un peso decisi
vo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorità ed in
particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni
o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro
ord. 29 novembre 1993, n. 1970, id., 1994, III, 206, con nota di richia
mi; la medesima eccezione era poi stata sollevata pure da Tar Lazio, sez. I, ord. 5 dicembre 1996, n. 2241, id., Rep. 1997, voce Assicurazio ne (imprese), n. 23.
La presente decisione è commentata da Manetti, in Giur. costit., 1998, 1713. [R. Romboli]
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3471 PARTE PRIMA 3472
natura giuridica (sentenze n. 122 del 1957, id., 1957, I, 1129,
e n. 2 del 1962, id., 1962, I, 169), della situazione di monopolio
pubblico o dell'essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti
da quei beni o servizi (sentenze n. 36 del 1959, id., 1959, I,
1069; n. 72 del 1969, cit.; n. 127 del 1988, id., 1988, I, 2528), la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta
con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla
sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una
riserva di legge» (sentenza n. 236 del 1994, id., Rep. 1994, voce
Demanio, n. 17). Alla stregua di questi criteri identificativi, non pare dubbio
che nella fattispecie in esame sia individuabile una prestazione
patrimoniale imposta, giacché la determinazione da parte del
Cip delle tariffe in oggetto costituisce un atto formale autorita
tivo che incide sostanzialmente sull'autonomia privata dell'u
tente, in riferimento ad un negozio — il contratto di assicura
zione — obbligatorio ex lege per il soddisfacimento di un rile
vante bisogno di vita, quale è la libertà di circolazione mediante
l'utilizzazione di veicoli. 5. - Ciò premesso, la norma censurata non viola l'art. 23
Cost., in quanto il principio della riserva di legge «va inteso
in senso relativo, ponendo l'obbligo per il legislatore di deter
minare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base
e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrati
va» (sentenza n. Ili del 1997, id., 1997, I, 2391).
Sotto questo profilo va rilevato che l'elaborazione della tarif
fa di mercato dei premi dell'assicurazione dei rischi di massa,
quale appunto si deve considerare l'assicurazione obbligatoria
della responsabilità civile per danni causati dalla circolazione
di veicoli, si basava essenzialmente, alla stregua della previgente
disciplina dell'art. 11 1. n. 990 del 1969 (come modificata dalla
1. n. 39 del 1977) e del relativo regolamento di esecuzione (d.p.r.
24 novembre 1970 n. 973), su dati tecnici derivanti da una com
plessa attività di rilevazione statistico-attuariale.
Tale attività conoscitiva iniziava con l'osservazione (risalente
almeno fino a cinque-dieci anni precedenti) del tasso di «fre
quenza dei sinistri» e con la determinazione del «costo medio»
di ciascun sinistro, sulla base dei risarcimenti già liquidati, ed
anche di quelli «riservati», in quanto accantonati a riserva, per ché non ancora certi ed esigibili a causa di procedure giudiziarie o sanitarie in corso.
Da tali dati si otteneva il c.d. «premio di rischio», cioè l'indi
ce probabilistico di avveramento degli eventi dannosi, al quale si aggiungeva un coefficiente di alea per quegli elementi impon derabili ed imprevedibili che potevano verificarsi in futuro du
rante il tempo di applicazione della tariffa in questione (tasso
d'inflazione, variazioni dei costi dei ricoveri ospedalieri, delle
riparazioni dei veicoli, ecc.). In questo modo si determinava
il «premio puro», ossia il costo del rischio per il periodo in
cui la tariffa doveva applicarsi. Al «premio puro», così calcola
to, andava poi aggiunto il c.d. «caricamento», che comprende va i costi di gestione dell'impresa di assicurazione, ossia le prov
vigioni d'intermediazione, le spese di amministrazione, nonché
gli eventuali utili. Sulla base quindi del «premio puro» e del
«caricamento» (più le tasse, indicate separatamente in polizza) si formava la tariffa del premio finale che il contraente doveva
pagare. Un apposito modulo procedimentale — che culminava con
il provvedimento del Cip su proposta del ministro per l'indu
stria, sentita una commissione ministeriale, composta da un rap
presentante della direzione generale delle assicurazioni private e di interesse collettivo, da un rappresentante dell'Ina, quale ente gestore del «conto consortile» e da cinque esperti nominati
dallo stesso ministro per l'industria — garantiva la corretta ela
borazione di questi dati tecnici. Ed infatti il «premio puro», che incideva in maniera preponderante sul premio finale, era
il risultato di studi statistici ed attuariali basati sull'esperienza
(premio di rischio) e sugli elementi nuovi da proiettare nel futu
ro (coefficiente di alea), mentre anche il «caricamento» era una
quota per buona parte predeterminata e incomprimibile, risul
tando composta da una data percentuale delle provvigioni d'in
termediazione e delle spese fisse del personale, legate a contrat
tazioni collettive.
Dalla disciplina in esame erano dunque desumibili criteri, li
miti e controlli che, delimitando in modo congruo la discrezio
II Foro Italiano — 1999.
nalità della pubblica amministrazione, escludevano la violazio
ne dell'art. 23 Cost., tanto più che era previsto un ulteriore
elemento garantistico, quale, secondo la costante giurispruden za di questa corte, l'esistenza di «un modulo procedimentale con il quale venga a realizzarsi la collaborazione di una plurali tà di organi al fine di escludere eventuali arbitri dell'ammini
strazione» (sentenze n. 157 del 1996, ibid., 3716; n. 507 del
1988, id., 1988, I, 2098; n. 67 del 1973, id., 1973, I, 1663). In questo contesto non appare neppure fondato il profilo del
la censura relativo all'assenza di un rappresentante dell'Istat,
sostituito da quello dell'Ina, giacché quest'ultimo aveva una com
petenza specifica nel settore, considerando che l'Ina, all'epoca,
amministrava il «conto consortile», che era una gestione specia
le, sul quale affluiva il due per cento di tutti i premi e di tutti
i sinistri pagati e «riservati», cosicché questa gestione speciale era in grado di rispecchiare, con maggiore precisione di qualsia
si altro strumento conoscitivo, il complessivo andamento del
mercato assicurativo per gli esercizi precedenti. Inoltre, la par
tecipazione, nella commissione in questione, di esperti delle va
rie discipline implicate nella fase di elaborazione della tariffa
medesima era un'ulteriore garanzia di un'adeguata ponderazio ne degli interessi coinvolti e di corretto esercizio della discrezio
nalità amministrativa, anche perché non appariva congrua la
presenza anche dei rappresentanti della categoria degli utenti
del servizio, trattandosi di una categoria non determinata, né
determinabile.
In definitiva, il carattere tecnico dei dati utilizzati e la com
pletezza delle relative valutazioni, garantita anche dalla plurali tà degli organi partecipanti al procedimento, facevano emerge
re, sia pure implicitamente, quei criteri, limiti e controlli suffi
cienti ad impedire che il potere di imposizione sconfinasse
nell'arbitrio. E proprio la plausibilità e l'adeguatezza del meto
do di rilevazione dei dati, la congruità dei presupposti rilevanti
per la formazione della tariffa, la qualificazione degli organi
tecnici consultivi costituivano indici sufficienti di oggettività nella
concreta determinazione dell'onere e di adeguata ponderazione tecnica dei molteplici elementi implicati nella valutazione. Valu
tazione che comunque presupponeva che fossero motivatamen
te indicati e comparati i costi reali e le tariffe, restando così
soggetta ai controlli, non escluso quello giurisdizionale, gene ralmente previsti per i provvedimenti determinativi della pubbli ca amministrazione (sentenza n. 180 del 1996, id., 1996, I, 2593).
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 11,6° comma, 1. 24 dicembre 1969 n. 990 (assicu razione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) così come modi
ficato dalla 1. 26 febbraio 1977 n. 39 (conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, concernente
modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della re
sponsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a mo
tore e dei natanti), sollevata, in riferimento all'art. 23 Cost.,
dal Tar Lazio con l'ordinanza del 9-16 giugno 1993 indicata
in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dello stesso art. 11, 6° comma, medesima 1. 24 dicembre 1969
n. 990, così come modificato dalla 1. 26 febbraio 1977 n. 39,
sollevata, in riferimento all'art. 23 Cost., dal Tar Lazio con
le due distinte ordinanze del 23 ottobre 1996 indicate in epigrafe.
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