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sentenza 19 luglio 1984; Pres. Basoli, Est. Viazzi; Soc. Sopren (Avv. Paroletti) c. Rossini

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Page 1: sentenza 19 luglio 1984; Pres. Basoli, Est. Viazzi; Soc. Sopren (Avv. Paroletti) c. Rossini

sentenza 19 luglio 1984; Pres. Basoli, Est. Viazzi; Soc. Sopren (Avv. Paroletti) c. RossiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2431/2432-2437/2438Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178022 .

Accessed: 25/06/2014 08:09

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2431 PARTE PRIMA 2432

I

TRIBUNALE DI GENOVA; TRIBUNALE DI GENOVA; sentenza 19 luglio 1984; Pres.

Basoli, Est. Viazzi; Soc. Sopren (Aw. Paroletti) c. Rossini.

Cosa giudicata civile — Limiti oggettivi — Impugnativa di

licenziamento per difetto di giusta causa — Rigetto — Impu

gnativa per vizi formali — Preclusione (Cod. civ., art. 2909; 1.

20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività

sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento,

art. 7, 18). Cosa giudicata civile — Limiti oggettivi — Mutamento della qua

lificazione giuridica di fatti già posti a fondamento di un giu dicato — Preclusione (Cod. civ., art. 2909).

Il giudicato sulla validità sostanziale del licenziamento ne preclu de la successiva impugnazione per ragioni formali (nella specie, si è ritenuto che il giudicato formatosi sulla statuizione di

rigetto della impugnativa di licenziamento per difetto di giusta causa o di giustificato motivo precluda la successiva domanda

volta a far accertare l'inefficacia del licenziamento per inosser

vanza delle forme previste dall'art. 7 l. 300/70). (1) Il passaggio in giudicato della sentenza preclude la deducibilità in

un nuovo giudizio di ulteriori ragioni, argomentazioni e qualifi cazioni giuridiche relative agli stessi fatti posti a fondamento della statuizione, in quanto incompatibili con il precetto finale nel quale si è sostanziato il giudicato e con la tutela da esso

attribuita. (2)

II

PRETURA DI GENOVA; sentenza 27 settembre 1983; Giud.

Russo; Rossini (Aw. Gobessi, Tiby) c. Soc. Sopren e Soc. Ansaldo (Avv. Paroletti).

Cosa giudicata civile — Limiti oggettivi — Impugnativa di licenziamento per difetto di giusta causa — Rigetto — Impu gnativa per vizi formali — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2909; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7, 18).

Il giudicato sulla validità sostanziale del licenziamento non ne

preclude la successiva impugnazione per ragioni formali, poiché nel secondo giudizio viene dedotta un'azione diversa, fondata su un diverso diritto potestativo alla reintegra nel posto di lavoro. (3)

I

Motivi della decisione. — In prime cure il ricorrente Rossini

aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla Sopren s.p.a. con lettera del 20 febbraio 1982 per una serie di differenti

ragioni: mancato rispetto della procedura prevista dall'art. 7

statuto dei lavoratori; mancato rilascio del nulla-osta sindacale pre visto nei casi di licenziamento di rappresentanti sindacali; viola

zione del principio di buona fede nelle trattative da parte della

(1-3) Le sentenze in epigrafe sono una manifestazione del contrasto che divide dottrina e giurisprudenza in materia di limiti oggettivi del

giudicato. In termini con la pronuncia del Tribunale di Genova, v. Cass. 15 maggio 1984, n. 2965, Foro it., 1984, I, 2937, con nota di V.

Cocchi, Orientamenti giurisprudenziali in tema di limiti oggettivi del

giudicato e di impugnative negoziali, alla quale si fa integrale riferimento per quanto concerne la definizione delle opposte posizioni teoriche e le diverse conseguenze pratiche che derivano dall'accogli mento dell'una o dell'altra teoria. V. inoltre Cass. 24 febbraio 1984, n.

1339, id., Rep. 1984, voce Cosa giudicata civile, n. 25, per cui il

giudicato sulla validità formale del licenziamento ne preclude la

successiva impugnazione per ragioni sostanziali, negando che il giudi cato fondato sulla risoluzione di questioni attinenti al lato sostanziale

abbia una diversa efficacia rispetto a quello fondato sulla risoluzione

di questioni formali (contra Cass. 11 giugno 1981, n. 3802, id., Rep.

1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2064, e, nella motivazione, Cass. 15

maggio 1984, n. 2965, cit., nonché la sentenza del Tribunale di

Genova in epigrafe). Sul problema della configurabilità dell'obiezione di coscienza nel

l'ambito del rapporto di lavoro — problema che è alla base del

licenziamento su cui hanno statuito le decisioni in epigrafe — v. Pret.

Milano 25 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 838; Pret.

Milano 18 dicembre 1981, ibid., n. 824; e, sull'obiezione di coscienza

in genere, Pret. Chivasso 15 marzo 1983, id., 1983, I, 1119, con

nota di richiami nella quale figura anche la prima pronuncia della

vicenda in commento, quella del Pretore di Genova del 26 gennaio 1983 (inedita) e Cons. Stato, ad. plen., 24 maggio 1985, n. 16, id.,

1985, III, 285, con nota di richiami e Corte cost. 24 maggio 1985, n.

164, che sarà riportata nel prossimo fascicolo con nota di E. Rossi.

Il Foro Italiano — 1985.

società; sproporzione tra tipo di sanzione adottata e gravità dell'addebito contestato; nullità del licenziamento perché determi

nato da motivo illecito e discriminatorio ai sensi degli airt. 4

1, 604/66 e 15 1. 300/70. La sentenza del pretore aveva, quindi, accolto il primo motivo

d'illegittimità dedotto in giudizio {violazione dell'art. 7 statuto dei

lavoratori) dichiarando pertanto la nullità del licenziamento im

pugnato e ritenendo, al contempo, assorbiti gli altri motivi

dedotti, il cui esame veniva conseguentemente omesso.

Alla declaratoria di nullità, inoltre, il pretore faceva seguire la

condanna della Sopren s.p.a. al pagamento a titolo di risarcimen

to del danno, di cinque mensilità di retribuzione ex art. 18 statuto

dei lavoratori, ma non l'ordine di reintegrazione domandato dal

Rossini solo nei confronti del « gruppo » Ansaldo che veniva, al

contrario, assolto dalla domanda ritenuto carente di legittima zione passiva.

La società Sopren ha proposto, a questo punto, appello contro

la parte di sentenza che la riguardava (nullità del licenziamento e

risarcimento danni); e riproponendo, comunque, tutte le proprie difese in ordine ai motivi di impugnazione del licenziamento

proposti in primo grado dal Rossini; quest'ultimo, viceversa, non

si è costituito iin questo giudizio d'appello rendendosi cosi con

tumace.

Tale condotta processuale ha prodotto, quindi, un preciso effetto: come rilevato, infatti, dalla società Ansaldo nella memo

ria d'intervento in questo grado del giudizio, il capo della

sentenza pretorile che ha dichiarato la carenza di legittimazione

passiva di detta società ed ha condannato il Rossini al pagamento delle spese di lite a suo favore, è passata in giudicato, ai sensi

dell'art. 326 c.p.c., essendo stata la sentenza notificata dall'Ansal

do al Rossini il 29 settembre 1983.

Individuati, in tal modo, gli esatti limiti residuati dalla contro

versia, ritiene il tribunale che meriti accoglimento l'eccezione

preliminare di cosa giudicata formulata già in primo grado e

riproposta in atto d'appello dalla Sopren s.p.a. Come risulta pacificamente dagli atti il Rossini aveva proposto

un primo ricorso contro il licenziamento subito, definito con sentenza di rigetto 26 gennaio-10 febbraio 1983 dallo stesso Pretore di Genova che ha deciso la sentenza ora impugnata,

passata in giudicato, il 2 ottobre 1983 (notifica, in atti, del 2

settembre 1983). E l'oggetto di tale ricorso (esame indispensabile ai fini dell'i

dentificazione dell'azione che si era in quella sede esercitata) era

costituito dalla richiesta declaratoria d'illegittimità del licenzia mento in quanto privo di giusta causa e/o giustificato motivo con

conseguente ordine di riassunzione all'interno del gruppo Ansaldo

(petitum) sul presupposto dell'asserita inesistenza dell'inadempi mento contrattuale contestato al Rossini (rifiuto di trasferirsi a

Genova secondo quanto pattuito in un accordo sindacale sotto

scritto dal medesimo) ma, al contrario, di una intervenuta legit tima reazione ad un inadempimento della società, colpevole di

non aver onorato un patto (verbale) di ricollocare il dipendente in un settore diverso da quello nucleare (causa petendi).

La sentenza, quindi, intervenuta in tale giudizio, ha accertato

alcuni fatti precisi, sulla cui base la domanda è stata respinta: che la procedura di trasferimento era stata concordata con le

organizzazioni sindacali secondo la disciplina collettiva vigente; che l'intenzione del Rossini di cambiare attività era stata manife

stata solo successivamente; che l'unico impegno assunto dalla

società consisteva nel fornire al Rossini l'occasione di contatti e

colloqui con altre società per un'eventuale diversa assunzione; che nessun fatto contrario agli accordi sindacali scritti fu stipula

to; che l'unico citato impegno assunto fu onorato dalla società; che il rifiuto, pertanto, di riprendere servizio presso la sede di

Genova della società costituiva inadempimento di un obbligo

legale e contrattuale e che, infine, la reazione dell'azienda era

stata conforme alla legge.

Tutto ciò premesso, passando ad esaminare il secondo ricorso

proposto dal Rossini, emerge dalle conclusioni che veniva in esse

richiesta la declaratoria di nullità del licenziamento impugnato

per una serie di motivi non dedotti nel primo giudizio relativi a

vizi procedimentali (violazione art. 7 statuto dei lavoratori, violazio

ne norme confederali e collettive di settore sui rappresentanti sin

dacali), vizi della volontà negoziale (motivo illecito e discriminato

rio), ed al merito del provvedimento (assenza di giustificato motivo soggettivo ed oggettivo).

Orbene, prima di effettuare il raffronto tra l'oggetto del

giudicato e la domanda proposta nel secondo giudizio, occorre

richiamare alcuni consolidati principi in materia.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Per individuare, in primo luogo, i lìmiti della cosa giudicata si

deve procedere ad un raffronto tra l'oggetto della stessa ed il

contenuto della domanda che una delle parti intende proporre nel

nuovo giudizio. Ora, perché la nuova domanda contrasti con la

cosa giudicata sostanziale occorre che tra la sentenza e la nuova

domanda sussista identità degli elementi soggettivi (parti) e di

quelli oggettivi (oggetto e titolo) e che i fatti costitutivi, impedi tivi o estintivi della domanda, sulla quale il primo giudice decise, siano anteriori storicamente al momento in cui, in relazione ai

termini o preclusioni del rito processuale adottato, potevano essere portati a conoscenza legale del primo giudice. Tale princi

pio trova espressione, secondo la considerata giurisprudenza, nella

formula secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibi

le; formula che applica, in sostanza, il principio generale della

preclusione in forza del quale la cosa giudicata sostanziale

preclude la proponibilità di tutte quelle questioni che, anche se

non espressamente dedotte nel primo giudizio, sulla base del

concreto corso ed esito di questo si pongono in termini di

incompatibilità logica e giuridica con il precetto finale nel quale si è sostanziato il giudicato.

Il che appare corretta conseguenza della natura di « accerta

mento » (art. 2909 c.c.) del giudicato: concreta determinazione

delle reciproche situazioni giuridiche delle parti rispetto all'inte

resse in contesa. Onde nessuna concreta relazione giuridica tra le

parti sarebbe stabilita realmente se fosse consentito a quella soccombente di intentare un nuovo processo (ovvero un numero

indeterminato e senza fine di distinti processi) sulla base di

ragioni, argomentazioni, prove o qualificazioni giuridiche, diverse

dagli stessi fatti, in precedenza non addotte e idonee, in ipotesi, a

determinare diversamente la stessa relazione tra le parti. Viene,

insomma, attribuita prevalenza, rispetto alte esigenze della giusti zia, alle esigenze della certezza.

Solo fatti sopravvenuti, o prove o frodi successivamente emerse o scoperte possono, a certe condizioni, condurre ad un tale risultato: 'altrimenti operano i principi della preclusione delle

ragioni non addotte ovvero quello del c.d. giudicato implicito (cfr., tra te tante, Cass. 24 aprile 1981, n. 2459, Foro it., Rep. 1981, voce Cosa giudicata civile, n. 21; 2 luglio 1980, n. 4181, id., Rep. 1980, voce cit., n. 23; 19 novembre 1971, n. 3322, id., Rep. 1971, voce cit., n. 51), in forza dei quali il giudicato preclude la

proposizione di qualsiasi questione che rispetto a quelle espres samente decise si ponga come antecedente logico necessario e

indispensabile. Talché è implicito, ad esempio, nell'accertamento

dell'obbligo di consegnare o rilasciare un immobile in base ad un

contratto, il giudicato sulla validità del contratto stesso; così come « la risoluzione d'i una questione attinente al merito preclu de la possibilità di esaminare successivamente le questioni proces suali, ossia le questioni la cui soluzione in un determinato senso avrebbe reso inammissibile la decisione di merito in quanto l'attività processuale diretta al controllo delle condizioni per la

decisione di merito deve necessariamente precedere l'attività che si rivolge all'esame del merito » (Cass. 5 maggio 1965, n. 810, id.,

1965, I, 988). Ciò posto, se si esamina la nuova domanda

proposta dal Rossini d'impugnazione del licenziamento per vizi di

forma, si deve concludere senza dubbi di sorta che la stessa

appare preclusa dal giudicato formatosi nel primo giudizio in cui

10 stesso licenziamento fu impugnato per motivi di merito (assen za di giusta causa e/o giustificato motivo). La verifica, invero, della asserita nullità procedimentale del licenziamento cosi come

in ogni altro suo eventuale vizio di forma costituisce un ne

cessario antecedente logico della (successiva) verifica della legitti mità nel merito dello stesso.

Nel primo giudizio la validità procedimentale del licenziamento

costituì un presupposto pacifico e non. contestato di una domanda

che si limitò a contestarne il merito dopo aver richiamato, nella

narrativa, le stesse circostanze di fatto relative al procedimento

seguito dalla società. La sentenza della Cassazione citata dal pretore nella sentenza

qui appellata (Cass. 11 giugno 1981, n. 3802, id., Rep. 1982, voce

Lavoro (rapporto), n. 2064) appare, del resto, non decisiva proprio

perché attiene ad un'ipotesi opposta alla presente: il caso deciso

riguardava infatti una impugnazione del licenziamento per motivi

di forma rigettata con sentenza passata in giudicato ed una

successiva impugnazione, ritenuta appunto non preclusa per mo

tivi di merito. L'assenza di preclusione deriva, com'è evidente,

dal fatto che il giudicato formatosi sulla domanda tendente ad

ottenere la declaratoria d'inefficacia del licenziamento non poteva

impedire un successivo giudizio teso a contestare la validità nel

merito stesso, posto che il principio del giudicato implicito ricorre

« solo quando tra la questione decisa e quella che si pretende

11 Foro Italiano — 1985 — Parte I-156.

tacitamente risolta, ricorra un'indissolubile rapporto di dipen denza ».

Nel caso di specie, al contrario, la seconda pronuncia richiesta

di nullità appare incompatibile con una precedente che ha già valutato valido nel merito lo stesso licenziamento, rispetto a cui

la sua efficacia formale si poneva come premessa necessaria della

pretesa e come precedente logico essenziale della pronuncia.

Ciò posto, non può esimersi questo tribunale dal prendere in

considerazione anche gli altri distinti motivi d'impugnazione del

licenziamento proposti dal Rossini in prime cure, le cui relative

questioni di merito sono state ritenute assorbite dal pretore nella

pronuncia di nullità, stante il consolidato orientamento giurispru denziale per cui: « il principio secondo cui le domande ed

eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non

riproposte espressamente in appello si intendono rinunciate, non

si applica nei riguardi dell'appellato il quale sia rimasto contu

mace in sede d'appello, sicché le eccezioni da lui proposte dinanzi al primo giudice e da questo non esaminate o ritenute

assorbite o disattese, devono essere riesaminate d'ufficio dal

giudice d'appello » (Cass. 15 febbraio 1979, n. 996, id., Rep.

1979, voce Appello civile, n. 141; 10 marzo 1972, n. 690, id.,

Rep. 1972, voce cit., n. 128). Orbene, ritiene il tribunale che

anche in relazione a tali altri profili della domanda del Rossini

(deduzione di una serie di nullità sostanziali) l'esame preliminare dei fatti accertati nei primo giudizio conduca all'identica conclu

sione della preclusione ad opera della cosa giudicata.

Accertata in quel giudizio la validità nel merito del licenzia

mento i nuovi motivi d'impugnazione non configurano distinte

azioni dotate di autonoma causa petendi rispetto a quella

oggetto del primo giudizio, ma semplicemente ulteriori ragioni,

argomentazioni e qualificazioni giuridiche relative agli stessi fatti

dedotti in quello. Il nucleo dei fatti di causa non è, infatti, mutato né la ragione della domanda (invalidazione del licenzia

mento impugnato e reintegra); nessuna nuova circostanza viene

allegata, mutando solo la qualificazione giuridica di quelle già

dedotte, onde la motivazione introdotta riguarda solo nuove

« etichette » applicate agli stessi fatti, mediante il richiamo di

ulteriori norme di cui si assume la violazione senza che però ad

esse siano sottese diverse allegazioni di fatti o deduzioni di nuove

prove. Cosi i dedotti motivi illeciti1 e discriminatori si riducono

ad una mera apodittica affermazione non avendo il Rossini

indicato nel secondo ricorso alcuna nuova circostanza di fatto a

comprova di ciò che non fosse già stato allegato nel primo ricorso. Per tale ragione, dunque, anche per questi ulteriori

denunziati vizi del licenziamento opera la preclusione del giudica

to esterno formatosi tra le parti: l'assoluta violazione della buona

fede nelle trattative è questione coperta direttamente dal primo

giudicato in cui è stata accertata l'inesistenza di fatti contrari agli accordi sindacali stipulati e l'adempimento da parte della società

dell'unico impegno assunto di mettere il Rossini in contatto con

altre società per un'eventuale assunzione; la dedotta mancata

prova dell'impossibile ricollocazione del Rossini al di fuori del

settore nucleare è egualmente coperta dal giudicato che ha

escluso l'esistenza di un obbligo della società di effettuare una

tale ricollocazione; la dedotta nullità, infine, per motivo illecito o

per violazione degli art. 4 1. 604/66 e 15 1. 300/70 introduce

nuove ipotesi d'impugnazione concernenti asseriti vizi della volontà

sottesa all'atto che logicamente si pongono, allo stesso modo delle

nullità procedimentali, come un prius rispetto all'accertamento

del merito dell'atto stesso sotto i profili dell'esistenza della giusta

causa e/o del giustificato motivo.

La cosa giudicata sostanziale formatasi nel primo giudizio

preclude, quindi, la proposizione e l'esame di queste ulteriori

questioni che comporterebbero inevitabilmente il riesame e la

pronuncia sul medesimo oggetto, ponendosi in termine di eviden

te incompatibilità con il precetto finale nel quale si è sostanziato

quel giudicato, che aveva determinato la certezza del rapporto

giuridico dedotto in causa e, quindi1, non più sottoponibile a

discussione.

In conclusione, dunque, la sentenza impugnata va riformata in

punto accoglimene) della domanda di nullità e condanna al

risarcimento dei danni, con conseguente rigetto di tutte le do

mande proposte dal Rossini perché precluse dal giudicato forma

tosi tra lo stesso e la Sopren s.p.a. nel giudizio definito con la

sentenza del Pretore di Genova in data 26 gennaio-10 febbraio

1983. Restano ferme, per contro, le altre statuizioni della sentenza

per effetto del giudicato interno verificatosi in questo giudizio, tra

il Rossini e l'Ansaldo. (Omissis)

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2435 PARTE PRIMA 2436

II

Con ricorso depositato il 18 aprile 1983 Rossini Alessandro

conveniva in giudizio la Sopren s.p.a. e l'Ansaldo s.p.a. affer

mando: che dal 9 settembre 1974 era dipendente del c.d. rag

gruppamento Ansaldo, avendo prestato servizio prima presso la

Speda Termomeccanica s.p.a., poi presso la Sigen s.p.a., e da

ultimo presso la Sopren s.p.a.; che da quest'ultima era stato

licenziato in data 20 febbraio 1982; che il provvedimento di

licenziamento era illegittimo per vari motivi (violazione dell'art.

7 1. 300/70; in osservanza di quanto previsto dal c.c.n.l. circa le

garanzie da riconoscersi ai r.s.a.; violazione dell'art. 1337 c.c.;

pretestuosità e falsità degli addebiti contestati; deviazione del

provvedimento dalle finalità attribuitegli dalla legge) e come tale

andava annullato; che conseguentemente l'Ansaldo, quale società

capogruppo, andava condannata a reintegrare il Rossini in un

posto di lavoro rispondente alle sue esigenze. Si costituivano le convenute eccependo preliminarmente l'im

proponibilità della domanda attrice per ragioni di litispedenza e

di esistenza di un precedente giudicato sul punto, negando poi la

legittimazione passiva dell'Ansaldo s.p.a., e contestando nel meri

to i motivi del ricorrente. (Omissis) Preliminare appare l'esame dell'eccezione di litispendenza for

mulata dalla Sopren s.p.a. Si assume da parte della convenuta che l'azione esercitata dal

ricorrente, fondandosi sulla pretesa ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, sarebbe identica ad altra già esercitata in un

precedente giudizio, definitosi con sentenza 26 gennaio-10 feb

braio-1983, e come tale sarebbe inammissibile.

L'eccezione non appare fondata. È facile osservare infatti che il

diritto potestativo alla reintegra nel posto di lavoro può di volta

in volta ricondursi a diversi presupposti (illegittimità del licen

ziamento per assenza di giusta causa, o di giustificato motivo, o

perché attuato per motivi discriminatori, ecc.) su ognuno dei

quali si fonda una pretesa autonoma, perché appunto ancorata ad

una autonoma causa petendi.

Nella specie è evidente che nell'attuale giudizio il provvedimen to di licenziamento è impugnato dal ricorrente per motivi del

tutto distinti da quelli fatti valere precedentemente. Mentre infatti

col ricorso del 23 settembre 1982 il licenziamento si assumeva

illegittimo perché privo di giustificato motivo, in quanto la

pretesa inadempienza del Rossini agli obblighi derivanti dal

rapporto di impiego sarebbe stata conseguente al mancato rispetto da parte del datore di lavoro di impegni assunti nei confronti del

Rossini stesso, le ragioni fatte valere nell'attuale ricorso quali cause d'illegittimità del licenziamento sono sicuramente diverse, e, richiamandosi a una diversa causa petendi, integrano necessaria

mente un'altra azione. Tali considerazioni sono del resto confer

mate dalla autorevole opinione del Supremo collegio, che le fa

proprie e le sviluppa affermando che: « dal combinato disposto

degli art. 414 e 416 c.p.c. non è dato d'esumare alcun, obbligo dell'attore di far valere in un unico giudizio le concorrenti azioni

che in una data situazione possono spettargli (nella specie azione

d'inefficacia del licenziamento ex art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, e azione di annullamento del medesimo ex art. 18 di tale

legge: Cass. 11 giugno 1981, n. 3802, Foro it., Rep. 1982, voce

Lavoro (rapporto), n. 2064); analoghe considerazioni inducono poi a respingere anche la seconda delle eccezioni della Sopren, con

la quale lo stesso principio del ne bis in idem viene in

vocato questa volta sulla base del giudicato che si sarebbe

formato sulla precedente sentenza 26 gennaio-10 febbraio-1983 a

seguito dell'implicita acquiescenza ad essa fatta dal ricorrente,

che, anziché impugnarla, ha optato per un nuovo procedimento. Premesso che siffatto comportamento non manifesta certo quel

la univocità per cui sia possibile escludere una volontà del

Rossini di valersi in altra sede dei mezzi di gravame a sua

disposizione, Yexceptio rei iudicatae sarebbe comunque infondato, attesa la dimostrata diversità dell'azione attualmente proposta

rispetto a quella oggetto della precedente sentenza. (Omissis) Sono ora da esaminare i motivi di merito che determine

rebbero secondo il ricorrente la nullità del provvedimento di

licenziamento, e che è possibile sintetizzare come segue: a) man

cato rispetto dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori che al 5"

comma impone che siano trascorsi cinque giorni tra la contestazione

scritta degli addebiti e l'adozione del provvedimento disciplinare; b) inosservanza delle garanzie riconosciute al Rossini in qualità di

r.s.a. dal c.c.ni. laddove prevede che i licenziamenti di rappre sentanti sindacali possono essere effettuati solo previo nulla-osta

delle organizzazioni sindacali (v. art. 5 che rinvia all'art. 14

dell'accordo interconfederale 18 aprile 1966); e) pretestuosità e

Il Foro Italiano — 1985.

falsità degli addebiti contestati al Rossini, cui si sarebbero

rimproverate in realtà le proprie convinzioni ideologiche e mora

li; d) mancato rispetto dell'obbligo di condurre trattative secondo

buona fede ex art. 1337 c.c.; e) intento discriminatorio diel

provvedimento desumibile dalla sproporzione che esisterebbe tra

le mancanze contestate al Rossini e la sanzione inflittagli: in

sostanza questa sarebbe stata adottata piuttosto per ragioni di

esemplarità e di monito nei confronti dei possibili «obiettori di

coscienza » che non in risposta a un'inadempienza del ricorrente.

Con il primo il Rossini lamenta la violazione dell'art. 7 1.

300/70, perché non sarebbero trascorsi cinque giorni liberi tra il

momento in cui la Sopren gli contestò il mancato adempimento

all'obbligo di prendere servizio presso la sede di Genova (la lettera di contestazione del 12 febbraio 1982 fu consegnata al

Rossini il 15 febbraio seguente), e quello in cui emise il provve dimento di licenziamento, oggetto della lettera 20 febbraio 1982

che vi -attribuisce efficacia immediata (« ... da oggi ella è esenta

ta dal presentarsi in servizio...»). Al riguardo non può obiettarsi che si trattava di un licenzia

mento con preavviso, cosicché la concreta operatività della san

zione si sarebbe verificata trascorsi gli otto giorni dovuti. Infatti

non rientra tra le facoltà del datore di lavoro quella di monetiz zare il preavviso impedendo al lavoratore di svolgere le proprie funzioni durante tale periodo; se lo fa la risoluzione del rapporto va intesa come licenziamento in tronco, e tale è quello di cui ci

occupiamo a cui la Sopren attribuì efficacia nel momento stesso

in cui lo intimò. Neanche può assumere rilievo al fine di posticipare l'operatività

della sanzione l'affermazione, fatta dalla difesa della Sopren solo

in sede di discussione orale, che la lettera del 20 febbraio fu

spedita il 23 e giunse al Rossini il 25. Tale circostanza da un

lato è totalmente sfornita di prova, dall'altro non può incidere

sull'intenzione, espressa inequivocabilmente dalla convenuta lette ra citata, d'infliggere la sanzione con effetto immediato.

Il problema resta perciò quello di individuare, alla luce del

disposto del citato art. 7 che recita: « In ogni caso i provvedi menti disciplinari più gì avi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa », la natura del termine in questione al fine di stabilire se esso vada o meno inteso come libero.

Il giudicante è a conoscenza di quella parte della giurispru denza che, individuando qui un termine a difesa, diretto unicamen

te a garantire il diritto del lavoratore a replicare alle accuse

mossegli, afferma che ad esso si applichi la regola generale, di

cui all'art. 155 c.p.c., concernente il computo dei termini, o che addirittura ne nega la perentorietà, consentendo al datore di lavoro di infliggere la sanzione anche prima del decorso dei cinque giorni ogni qualvolta il lavoratore abbia presentato anticipatamente le proprie discolpe. Ritiene peraltro di doverla disattendere;

spinto in questo senso non solo da un argomento letterale quale quello desunto dallo stesso art. 7 che, parlando di cinque giorni « trascorsi », sembrerebbe davvero riferirsi a un termine libero, ma anche da osservazioni di carattere sostanziali. Sembra infatti certo che se il legislatore ha ritenuto necessario il decorso di un lasso di tempo tra il momento della contestazione e l'applicazione del provvedimento, con ciò ha voluto garantire non solo la

possibilità di difesa del lavoratore ma anche consentire che la stessa situazione di fatto che attiva il procedimento disciplinare possa sedimentare meglio e magari evidenziare una eccessiva

impulsività di reazione, o mutare i suoi elementi' si da esigere una diversa risposta. Si potrebbe fare l'esempio di parole offensi ve rivolte dal lavoratore ad altri che possono suscitare in ur

primo tempo una reazione esacerbata, destinata poi a rientrare

successivamente, o di una rissa sorta tra compagni di lavoro che sembri in prima battuta comportare danni o lesioni più gravi di

quanto non rilevino trascorso qualche giorno.

In questi, come in altri casi, è evidente che richiedere il decorso di un periodo di tempo prima della applicazione della

sanzione, viene incontro necessariamente anche ad esigenze diver se di quelle definitive, di volta in volta di migliore obiettività, di

serenità di giudizio, ecc., alla luce delle quali il termine de quo

può apparire se mai troppo breve e va comunque interpretato nella sua massima possibilità di estensione.

Anche nel caso di specie tali esigenze andavano tenute nel

debito conto, mentre la fretta con cui la Sopren ha redatto il 20

febbraio 1983 la lettera di licenziamento del Rossini, ben sapendo che quella precedente concernente la contestazione gli era stata

consegnata solo il 15 febbraio, non può che apparire censurabile

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Page 5: sentenza 19 luglio 1984; Pres. Basoli, Est. Viazzi; Soc. Sopren (Avv. Paroletti) c. Rossini

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

e ritorcersi a suo danno. L'art. 7 con la previsione minuziosa del

tipo di procedimento da seguirsi nell'intimazione di sanzioni

disciplinari assolve a fondamentali esigenze garantistiche che non

possono essere sottovalutate, e il suo mancato rispetto comporta inevitabilmente la nullità del provvedimento adottato.

L'accoglimento di tale motivo di illegittimità del licenziamento ha efficacia assorbente rispetto agli altri dedotti dal ricorrente, il

cui esame pertanto si tralascia.

Restano dunque da individuare le conseguenze che scaturiscono

dall'annullamento del licenziamento impugnato. L'affermata ca

renza di legittimazione della Ansaldo comporta che non possa essere accolta la domanda di reintegrazione proposta nei suoi

confronti dal Rossini. Deve pertanto essere dichiarato il diritto di

questi a vedersi risarcito il danno derivatogli dalla accertata nullità del licenziamento, danno che sembra equo limitare nella

misura di cinque mensilità, avuto riguardo alla obiettiva incertez za dei termini della questione e al comportamento in sostanza corretto della Sopren. (Omissis)

TRIBUNALE DI ROMA; TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 16 gennaio 1984; Pres. E.

Amatucci, Rei. Ciccolo; De La Fuente (Aw. De Rossi) c.

Casini (Avv. Contardi).

Diritto internazionale privato — Matrimonio — Coniugi di diversa

cittadinanza — Legge applicabile — Questione non manifesta

mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 29; disp. sulla

legge in generale, art. 18).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi tuzionale dell'art. 18 disp. sulla legge in generale nella parte in cui rinvia, per la regolamentazione dei rapporti personali tra

coniugi aventi cittadinanza diversa, alla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio, in riferi mento agli art. 3 e 29 Cost. (1)

(1) In senso analogo v. Trib. Palermo, ord. 30 marzo 1984, Arch, civ., 1985, 454 e Giur. costit., 1984, II, 2145.

Affermano che, nel caso di coniugi aventi diversa cittadinanza, il criterio attraverso cui individuare la legge regolatrice dei rapporti personali tra i coniugi è dato dall'art. 18 delle disposizioni sulla legge in generale: Cass. 8 gennaio 1981, n. 189, Foro it., 1981, I, 1052 (in motivazione); e, per quanto riguarda la giurisprudenza di merito: App. Genova 2 giugno 1977, id., Rep. 1978, voce Matrimonio, n. 267; Trib. Milano 22 luglio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 192; Trib. Roma 3 aprile 1973, id., Rep. 1974, voce Diritto internazionale privato, n. 37; Trib. Genova 31 ottobre 1971, id., Rep. 1973, voce Giurisdizione civile, n. 33.

Nella stessa direzione la dottrina prevalente: v. Quadri, Dell'appli cazione della legge in generale, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1978, 142; Durante, Matrimonio (diritto inter nazionale privato), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1975, XXV, 997; Venturini, Divorzio e diritto internazionale privato, in Studi in onore di Chiarelli, Milano, 1974, IV, 4314; Vitta, Diritto internazio nale privato, Torino, 1975, II, 297; Punzi, I soggetti e gli atti del

processo di divorzio, in Studi sul divorzio, Padova, 1972, 414; Pocar, La legge italiana sul divorzio e il diritto internazionale privato, in Riv. dir. internai, priv. e proc., 1971, 733.

Più spesso, però, la Suprema corte ha ritenuto operante, quale criterio di collegamento, l'art. 17 delle disposizioni sulla legge in genera le: v. sent. 6 marzo 1979, n. 1403, Foro it., Rep. 1979, voce Matrimonio, n. 97; 22 dicembre 1978, n. 6152, 2 novembre 1978, n.

4978, 19 settembre 1978, n. 4189, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 263, 265, 266; conformemente per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Milano 19 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce Diritto internazionale privato, n. 23; App. Milano 19 settembre 1975, id., Rep. 1977, voce Matrimonio, n. 351. Conformi, in dottrina, Mengozzi, Disposizioni sulla legge in generale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 1, Torino, 1982, 392-94; Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Com mentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 89-91; Bal ladore-Pallieri, Diritto internazionale privato italiano, Milano, 1974, 209.

Diversa l'ipotesi in cui i coniugi abbiano entrambi la stessa cittadi nanza straniera, nel qual caso l'applicabilità della 1. 1° dicembre 1970 n. 898 è esclusa dalla norma di diritto privato internazionale del nostro ordinamento che fa riferimento alla legge nazionale comune alle parti; sul punto cfr. Trib. Roma 29 giugno 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 214; 31 maggio 1980, id., 1981, I, 867, con nota di Salme; Trib. Milano 27 luglio 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 227.

Sul concetto di ordine pubblico interno e internazionale cfr. Cass. 15

maggio 1982, n. 3024, id., 1982, I, 1880, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1985.

Fatto. — Con ricorso notificato il 4 gennaio 1982, il sig. Carlo De La Fuente, cittadino cileno residente in Italia, chiedeva che il Tribunale di Roma, espletati gli incombenti di rito, pronunciasse la cessazione degli effetti civili, conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso da lui contratto, in Roma il 31 luglio 1969, con la sig.ra Maria Casini, cittadina italiana. Premesso che dalla unione coniugale era -nato il figlio Carlos Alberto, il ricorrente

deduceva di vivere separato dalla moglie sin dal 14 ottobre 1975, data della loro comparizione dinanzi al presidente del tribunale, nella causa per separazione giudiziale, fra di essi intercorsa e conclusasi con sentenza del Tribunale di Roma n. 6596 del 1978,

passata in giudicato, e che ogni comunione materiale e spirituale fra essi coniugi era venuta >defin.itivamente meno. Entrambe le

parti comparivano all'udienza presidenziale, insistendo per la

pronuncia di divorzio, per cui, risultato vano il tentativo di

conciliazione, venivano rimesse dinanzi al giudice istruttore. In

stauratosi di contraddittorio, la convenuta faceva proprie, in toto, le ragioni e le richieste attrici. Nel corso di causa, venivano esclusi alcuni testi, i quali confermavano che lo stato di separa zione fra i coniugi si era ininterrottamente protratto sin dall'ot

tobre 1975; depositata copia autentica della sentenza di separa zione personale con l'attestazione del passaggio in giudicato;

acquisita documentazione circa la legge cilena in tema di sciogli mento del matrimonio nonché certificazione sulla cittadinanza

delle parti.

Rimessa la causa al collegio, le pariti concordemente rilevavano

che, qualora in applicazione della normativa cilena, richiamata

dall'art. 18 preleggi, si fosse esclusa la possibilità di pervenire allo scioglimento del matrimonio, per cause diverse dalla morte

di uno dei coniugi, il divorzio andava egualmente pronunciato in

forza della legge italiana, dovendo quella cilena ritenersi contraria

sul punto, all'ordine pubblico. In caso diverso, la normativa in

questione sarebbe risultata — ed in proposito veniva sollevata

formale eccezione — lesiva dei precetti costituzionali, determi

nando una innegabile ed ingiustificata discriminazione nei riguar di della cittadina italiana, la quale, per aver contratto matrimonio

con uno straniero, la cui legge nazionale non prevede l'istituto

del divorzio, si verrebbe privata, a differenza del cittadino di

sesso maschile venuto a trovarsi nella medesima situazione, del

fondamentale diritto di riottenere il proprio stato libero.

Diritto. — Va detto, innanzitutto, che l'attore Carlos De La

Fuente è cittadino cileno, la convenuta Maria Casini è cittadina

italiana, entrambi sono residenti in Italia, ed è incontroverso in

causa che tale situazione sussisteva anche all'epoca del matrimo

nio ed è rimasta successivamente immutata. Stante la diversa

nazionalità delle parti, deve, in primo luogo, stabilirsi quale sia la

legge — italiana o cilena — da applicare alla fattispecie. Sussiste

in dottrina controversia — ovviamente accentuatasi dopo l'intro

duzione dell'istituto del divorzio — se lo scioglimento del matri

monio rientri nell'ambito dell'art. 17 o dell'art. 18 disp. sulla

legge in generale, preliminari al codice civile. L'art. 17 sancisce

che « lo stato e la capacità delle persone ed i rapporti di famiglia sono regolati dalla legge dello Stato al quale essi appartengono »

e l'art. 18 che « i rapporti personali fra i coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dall'ultima legge che sia stata loro

comune durante il matrimonio o, in mancanza di essa, dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio ».

Gli autori sono concordi nel ritenere che l'art. 17 indichi, tra

l'altro, la legge sostanziale per la materia della costituzione del

vincolo matrimoniale, e, poi, in prevalenza sono dell'avviso che l'art. 18, quale norma speciale rispetto all'art. 17, che riguarda in

genere i rapporti di famiglia, contempli i rapporti personali fra

coniugi di diversa nazionalità, e, tra le leggi sui rapporti persona

li, quelle sul divorzio.

Altri autori, però, negano che le norme sul divorzio attengano ai rapporti personali fra i coniugi, rilevando, soprattutto, che il

divorzio non disciplina ma fa cessare tali rapporti. Si argomenta dai fautori della prima tesi che il divorzio non incide minimamen

te sull'atto -di matrimonio, il quale rimane inalterato nella sua

funzione di origine del vincolo coniugale, bensì sugli effetti che da

quell'atto sono derivati in forma permanente: effetti che hanno da

to luogo ad una serie di rapporti giuridici personali e patrimo

niali, le cui vicende sono indipendenti dall'atto originario, ra

gion per cui non si vede il perché non debba ad esso applicarsi la norma che gli effetti del matrimonio contempla in maniera

specifica. La circostanza che il divorzio sia considerato nell'ordi

namento italiano un evento che riguarda essenzialmente lo status

di coniuge — ®i osserva altresì — cioè l'insieme dei rapporti perso nali e patrimoniali conseguenti al matrimonio, piuttosto che questo

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