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sentenza 19 luglio 1996, n. 257 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 24 luglio 1996, n. 30); Pres....

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sentenza 19 luglio 1996, n. 257 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 luglio 1996, n. 30); Pres. Ferri, Est. Mirabelli; Parisi c. Volpe Salute; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Salerno-Eboli 24 ottobre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 3 del 1996) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1715/1716-1717/1718 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192001 . Accessed: 24/06/2014 21:31 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 21:31:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 19 luglio 1996, n. 257 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 24 luglio 1996, n. 30); Pres. Ferri, Est. Mirabelli; Parisi c. Volpe Salute; interv. Pres. cons. ministri. Ord.

sentenza 19 luglio 1996, n. 257 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 24 luglio 1996, n. 30);Pres. Ferri, Est. Mirabelli; Parisi c. Volpe Salute; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret.Salerno-Eboli 24 ottobre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 3 del 1996)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1715/1716-1717/1718Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192001 .

Accessed: 24/06/2014 21:31

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1715 PARTE PRIMA 1716

4. - Nel merito, la questione è fondata.

L'art. 314 c.p.p. stabilisce che chi è stato prosciolto con sen

tenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere

commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non

è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa ripara zione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia da

to o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.

Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o

al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti

accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato

emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di ap

plicabilità previste dagli art. 273 e 280 c.p.p. Le disposizioni citate si applicano, alle medesime condizioni,

a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provve dimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a pro

cedere.

Nulla è detto dell'ipotesi in cui la detenzione sia stata causata

da un ordine di esecuzione illegittimo. E la diversità della situa zione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura

cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario

non è tale da giustificare un trattamento così discriminatorio,

al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e

meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal

legislatore completamente ignorata.

La disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor

più manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad

ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona

in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta.

La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla

luce della 1. 16 febbraio 1987 n. 81 (delega legislativa al governo della repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedu ra penale), dove, al punto 100 dell'art. 2, 1° comma, è prefigu

rata, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a dire

del giudicato erroneo (già oggetto della disciplina del codice pre

vigente), anche la riparazione per la «ingiusta detenzione»; ciò

che lascia trasparire l'intento del legislatore delegante di non

introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra

custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso

art. 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuo

vo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni inter

nazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazio

ne tra le due situazioni, giacché proprio la convenzione per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,

ratificata dall'Italia con la 1. 4 agosto 1955 n. 848, prevede espres

samente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vitti

ma di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.

L'obliterazione della ingiusta detenzone patita in seguito a

ordine di esecuzione illegittimo costituisce una autonoma ed ar

bitraria scelta del legislatore delegato — contrastante con gli art. 3 e 24 Cost. — alla quale questa corte deve ovviare con

la dichiarazione della illegittimità costituzionale dell'art. 314

c.p.p., nella parte in cui non include questa fattispecie fra le

situazioni che fanno sorgere il diritto alla equa riparazione. Non fornisce argomenti in senso contrario all'accoglimento

della questione la 1. 13 aprile 1988 n. 117 (risarcimento dei dan

ni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsa bilità civile dei magistrati). In questa legge, infatti, è espressa mente previsto, all'art. 14, che le disposizioni in essa contenute

non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vitti

me di errori giudiziari e di ingiusta detenzione. L'autonomia,

positivamente stabilita, tra azione risarcitoria e azione riparato ria per l'ingiusta detenzione rende evidente che privare di que st'ultima azione la persona colpita da un ordine di esecuzione

erroneamente emesso significa introdurre una discriminazione, che i principi costituzionali invocati dal giudice a quo non pos sono tollerare.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionanle dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non

prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione

ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione.

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 luglio 1996, n. 257

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 luglio 1996, n. 30); Pres. Ferri, Est. Mirabelli; Parisi c. Volpe Salute; interv.

Pres. cons, ministri. Orci. Pret. Salerno-Eboli 24 ottobre 1995

(G.U., 1" s.s., n. 3 del 1996).

Istruzione preventiva — Accertamento tecnico e ispezione giu diziale — Accertamento o ispezione sulla persona — Limiti — Incostituzionalità (Cost., art. 13, 24; cod. proc. civ., art.

696).

È incostituzionale l'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in

cui non consente al giudice di disporre accertamento tecnico

o ispezione giudiziale anche sulla persona nei cui confronti

l'istanza è proposta, dopo averne acquisito il consenso. (1)

Diritto. — 1. - Il dubbio di legittimità costituzionale investe

l'art. 696, 1° comma, c.p.c., che disciplina l'accertamento tec

nico e l'ispezione giudiziale come mezzi di istruzione preventi va. Il giudice rimettente ritiene che tale disposizione — nella

parte in cui non consente di disporre tale mezzo di prova anche

sulla persona della controparte, rispetto a quella che ne fa ri

chiesta, qualora la prima vi consenta — sia in contrasto con

il diritto di agire e con la parità delle parti nel processo (art.

24, 1° e 2° comma, Cost.), essendo invece tale prova ammessa

sulla persona di chi ne fa istanza.

2. - L'eccezione di inammissibilità, proposta dall'avvocatura

dello Stato, non è fondata.

Non è difatti necessario, perché la questione sia rilevante nel

giudizio principale, che la parte nei cui confronti è stata propo sta l'istanza di accertamento tecnico preventivo abbia già mani

festato adesione all'accertamento da effettuare sulla propria per sona. Nell'ordine logico che il giudice ritiene di dover dare alle

questioni sottoposte al suo giudizio — e che, in quanto plausi

bile, non è suscettibile di sindacato in questa sede (da ultimo

sentenze n. 412 del 1995, Foro it., Rep. 1995, voce Corte costi

tuzionale, n. 50, e n. 213 del 1994, id., 1994, I, 3369) — l'espe ribilità di tale atto di istruzione preventiva su persona diversa

da chi lo richiede, e quindi la valutazione della proponibilità della relativa istanza, precede la verifica delle condizioni neces

sarie perché il richiesto accertamento tecnico possa essere dispo sto o eseguito.

3. - Nel merito la questione è fondata.

L'interpretazione consolidata escludeva che l'art. 696 c.p.c. consentisse l'accertamento tecnico o l'ispezione giudiziale oltre

(1) La pronuncia si richiama esplicitamente a quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale, con la sent. 22 ottobre 1990, n. 471 (Foro it., 1991, I, 14, con nota di richiami e osservazioni di Romboli, com mentata pure da Basilico, in Giur. it., 1991, I, 1, 622, da Musumeci, in Giur. costit., 1991, 626, e da Anoiolini, Costituzione tollerante, co stituzione totale ed interpretazione della disciplina della libertà, in La tutela dei diritti fondamentali davanti alle corti costituzionali a cura di Romboli, Torino, 1994, 35 ss.), la quale ha dichiarato l'incostituzio nalità dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in cui non consentiva di disporre accertamento tecnico o ispezione giudiziale sulla persona dell'istante, che volontariamente chiedeva di sottoporvisi. Avendo la corte lasciato aperta la medesima questione con riferimento a soggetti diversi dall'istante, sia nel caso che questi accettassero l'ispezione, sia che si dichiarassero ad essa contrari, il giudice a quo chiedeva alla corte di pronunciarsi sull'ipotesi di richiesta di accertamento o ispezione rela tiva alla persona della controparte rispetto al richiedente, qualora essa vi consentisse.

La Corte costituzionale accoglie la questione, procedendo quindi ad un'ulteriore «manipolazione» del testo dell'art. 696, 1° comma, c.p.c. e specificando in motivazione che il consenso liberamente manifestato deve essere acquisito dal giudice prima della emissione del provvedi mento di istruzione sulla persona, condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione, per cui dall'eventuale diniego, manifestato in questa fase cautelare ed anticipata rispetto all'eventuale giudizio, non può es sere tratto alcun elemento di valutazione probatoria.

Per la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 224, 2° comma, c.p.p., relativamente alla possibilità di procedere a prelievo ematico coat

tivo, v. Corte cost. 9 luglio 1996, n. 238, Foro it., 1997, I, 58, con nota di richiami.

Per l'applicabilità l'art. 696 c.p.c. nei giudizi di responsabilità, v. Corte conti, sez. giur. reg. Sardegna, ord. 21 settembre 1991, n. 446, id.. Rep. 1992, voce Responsabilità contabile, n. 939.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che su cose e luoghi, come è espressamente previsto, anche su

persone. Secondo questo orientamento, per un verso, sarebbe

incompatibile con la natura del provvedimento sottoporre la per

sona ad un accertamento possibile solo attraverso l'esercizio di

un'azione; per altro verso, la persona umana non potrebbe es

sere in alcun modo assimilata alle cose ed ai luoghi, menzionati

dall'art. 696. Non sono, tuttavia, mancate interpretazioni diver

se da parte autorevole della dottrina, orientata ad ammettre che

anche la persona possa, ricorrendone le condizioni, essere sot

toposta, anticipatamente rispetto al giudizio, a quelle osserva

zioni che pù tardi non sarebbero utili o possibili. Ma di fronte alla norma, quale si è effettivamente affermata

nell'esperienza giuridica, che non ammetteva l'accertamento tec

nico preventivo sulla persona, questa corte ha dichiarato l'ille

gittimità costituzionale dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella

parte in cui non consentiva di disporre tale accertamento o ispe

zione giudiziale sulla persona dell'istante (sentenza n. 471 del

1990, id., 1991, I, 14). Difatti, se non si riconoscesse il diritto del soggetto all'accertamento tecnico preventivo di un proprio

stato fisico (allora richiesto nella prospettiva di un'azione di

risarcimento), si limiterebbe la possibilità di soddisfare l'onere della prova, ledendo il diritto di azione garantito dall'art. 24,

1° comma, Cost. Né l'ammissione dell'accertamento sul pro

prio corpo, non basato su atti coercitivi bensì volontariamente

richiesto dalla persona, configura in alcun modo una lesione

della libertà personale, la cui inviolabilità è garantita dall'art.

13 Cost.

Gli stessi principi devono valere nel caso in cui l'accertamen

to sia richiesto dall'istante nei confronti di altra persona, essen

do anche in questo caso in gioco la possibilità di esercitare il

diritto alla prova in condizione di eguaglianza con l'altra parte

del giudizio. Tuttavia, perché possa essere adottato dal giudice il provvedimento che dispone l'accertamento o l'ispezione, è ne

cessaria la libera manifestazione di volontà della parte che con

sente di sottoporre il proprio corpo ad accertamento o ispezio

ne. Tale volontà non può essere, in questo caso, dedotta dalla

presentazione dell'istanza, che è formulata da persona diversa

da quella da sottoporre all'accertamento. Il consenso liberamente

manifestato rispetto a questo atto di istruzione sulla persona,

deve essere quindi acquisito dal giudice prima dell'emissione del

provvedimento, condizionandone l'adozione e non la sola ese

cuzione, sicché dall'eventuale diniego, manifestato in questa fa

se cautelare ed anticipata rispetto all'eventuale giudizio, non può

essere tratto alcun elemento di valutazione probatoria. Ammessa la possibilità di accertamento o di ispezione sul corpo

della persona, il contenuto dell'attività da porre in essere non

si sottrae agli altri limiti ad essa propri, necessari per rispettare la dignità e l'inviolabilità della persona umana (sentenza n. 238

del 1996, id., 1997, I, 58). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti

mità costituzionale dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre accertamento

tecnico o ispezione giudiziale anche sulla persona nei cui con

fronti l'istanza è proposta, dopo averne acquisito il consenso.

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1996, n. 216

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 luglio 1996, n. 27); Pres. Ferri, Est. Onida; Pititto. Ord. Trib. Catanzaro 4 mag

gio 1995 (G.U., la s.s., n. 47 del 1995).

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Udien

za — Partecipazione dell'interessato e del difensore — Dirit

to dell'interessato ad un previo colloquio con il difensore —

Diverso provvedimento restrittivo emesso nelle more dell'u

dienza e divieto di colloquio con il difensore — Decorso del

termine di dieci giorni ai fini della decisione sul riesame dalla cessazione del divieto di colloquio con il difensore — Omessa

previsione — Questione infondata di costituzionalità nei sensi

di cui in motivazione (Cost., art. 24; norme attuaz., coord,

e trans, cod. proc. pen., art. 101).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 101 norme attuaz. c.p.p. nella

parte in cui non prevede — tra le ipotesi nelle quali il termine

di dieci giorni, ex art. 309, 9° comma, c.p.p., per la decisione

sulla richiesta di riesame decorre o riprende a decorrere da

data successiva a quella di ricezione degli atti da parte del

tribunale — anche il caso dell'imputato che, avendo chiesto

il riesame, sia stato raggiunto, prima dell'udienza fissata per la decisione su tale richiesta, da nuovo provvedimento restrit

tivo accompagnato da divieto temporaneo di colloquio con

i difensori, in riferimento all'art. 24 Cost. (1)

Diritto. — 1. - Il giudice rimettente lamenta in sostanza che

l'art. 101 disp. att. c.p.p., nel prevedere le ipotesi nelle quali il termine di dieci giorni per la decisione sull'istanza di riesame, fissato dall'art. 309, 9° comma, del codice, decorre, o riprende a decorrre, da data diversa e successiva rispetto a quella di rice

zione degli atti da parte del tribunale, non contempli anche il

caso dell'imputato il quale, avendo chiesto il riesame, sia stato

raggiunto, prima dell'udienza fissata per la decisione su tale

istanza, da nuovo provvedimento restrittivo accompagnato da

divieto temporaneo di colloquio con i difensori.

Le ipotesi contemplate dal citato art. 101 sono quelle del rin

vio dell'udienza nel caso di legittimo impedimento dell'imputa to che abbia chiesto di essere sentito personalmente (art. 127, 4° comma, c.p.p., cui fa rinvio l'art. 101, 1° comma, disp.

att., disponendo che in tal caso il termine decorre nuovamente

dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazio

ne dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stes

so); e quella in cui l'imputato, detenuto in luogo posto fuori

del circondario del tribunale competente per il riesame, sia sta

to sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorve

glianza del luogo, ai sensi dell'art. 127, 3° comma, c.p.p. (art.

101, 2° comma, disp. att., a norma del quale in tal caso il

termine decorre dal momento in cui pervengono al tribunale

gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza, che deve provve dere a ciò senza ritardo, previo tempestivo avviso al difensore,

e trasmettere gli atti al tribunale con il mezzo più celere).

(1) In ordine ai presupposti interpretativi su cui si fondano i dubbi

sollevati dal giudice a quo non constano, in giurisprudenza, precedenti editi in termini. È innegabile che il divieto di colloquio con il difensore,

disciplinato dall'art. 104, 3° comma, c.p.p., si estende anche ai rappor ti tra assistito e difensore nell'ambito di procedimenti diversi da quello per cui il divieto medesimo è disposto: soluzioni alternative darebbero

infatti luogo ad agevoli manovre di aggiramento, frustrando la ratio

su cui il congegno riposa. L'interpretazione adeguatrice offerta dalla

corte con riguardo alla categoria del «legittimo impedimento» di cui

all'art. 127, 4° comma, c.p.p. consente, in realtà, di superare Vimpasse denunciato dal giudice a quo facendo uso delle risorse già esistenti in

terne al sistema, e dunque escludendo la prospettiva della declaratoria

di incostituzionalità: l'intelaiatura in cui si iscrive il meccanismo impo ne una lettura estensiva della norma, che valorizzi tutte le ipotesi in

cui, per cause pur fisiologiche, l'interessato non abbia potuto o non

possa pienamente esercitare i diritti inerenti alla sua difesa; la giuridica

impossibilità, nella specie, di esercitare — entro i limiti fissati dal giudi ce ex art. 104, 3° comma, c.p.p. — il diritto di conferire con il difenso

re (anche) in vista dell'udienza camerale di trattazione del riesame ben

può, dunque, essere configurata già de iure condito quale impedimento

legittimo, idoneo a provocare lo slittamento del termine di decorrenza

dell'arco temporale entro cui, a pena di caducazione del titolo, il tribu

nale del riesame è tenuto a decidere ex art. 309, 9° comma, c.p.p.

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