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Sentenza 2 aprile 1964, n. 30 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964 n. 91); Pres. Ambrosini P., Rel....

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Sentenza 2 aprile 1964, n. 30 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964 n. 91); Pres. Ambrosini P., Rel. Fragali; imp. Sacco Comis Dell'Osta; interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 4 (1964), pp. 689/690-691/692 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23154086 . Accessed: 24/06/2014 23:54 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 23:54:37 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sentenza 2 aprile 1964, n. 30 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964 n. 91); Pres. Ambrosini P., Rel. Fragali; imp. Sacco Comis Dell'Osta; interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato

Sentenza 2 aprile 1964, n. 30 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964 n. 91); Pres. Ambrosini P., Rel.Fragali; imp. Sacco Comis Dell'Osta; interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 4 (1964), pp. 689/690-691/692Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23154086 .

Accessed: 24/06/2014 23:54

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689 GIÙRISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 690

CORTE COSTITUZIONALE.

Sentenza 2 aprile 1964 n. 32 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964, n. 91) ; Pres. Ambrosini P., Eel. Branca ; imp. Cito

e altri (Aw. g. Magno).

Istruzione penale — Avocazione dell'istruzione som

maria al procuratore generale della corte d'ap

pello — Rimessione degli atti alla sezione istrut

toria— Questione d'incostituzionalità fondata (Co

stituzione, art. 25, 1° comma ; cod. proc. pen., art. 270

272, 280, 392, 395).

Sono incostituzionali l'art. 392, 3° comma, prima parte, cod.

proc. pen., per il quale il procuratore generale della corte

d'appello rimette gli atti dell'avocatasi istruzione sommaria

alla sezione istruttoria, in riferimento all'art. 25, 1° comma

della Costituzione, e, in applicazione dell'art. 27 della

legge 11 marzo 1953 n. 87, e, in riferimento al citato art. 25, 10 comma, gli art. 270, 2° comma, 272, 2° comma, 280, 3° comma, e 395, 1° comma, cod. proc. penale. (1)

La Corte, ecc. — È stato denunciato l'art. 392, 3° comma, cod. proc. pen. perchè, consentendo al procuratore generale

presso la corte d'appello, che ha avocato a sè l'istruzione

sommaria, di rimettere gli atti alla sezione istruttoria, contrasterebbe col principio costituzionale della precosti tuzione legale del giudice (art. 25 della Costituzione).

La parte privata dubita della rilevanza di tale questione ; ma il dubbio non può essere accolto benché manchi nella

ordinanza di rinvio del a Sezione istruttoria di Lecce un

esplicito giudizio di rilevanza : infatti risulta dagli atti che

la causa è stata rimessa alla sezione istruttoria ed assunta

da questa proprio in applicazione dell'art. 392, 3° comma, cod. proc. pen., dimodoché il giudizio di merito presso tale

sezione non può essere definito se prima non s'è risolta la

questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 392, 3° comma.

Nel merito la questione è fondata.

La norma impugnata consente innanzi tutto al procura tore generale di avocare a ss l'istruzione sommaria della

causa. Entro questi limiti essa non contrasta con la Co ti

tuzione poiché nell'avocazione dal procuratore della Re

pubblica al procuratore generale non si può scorgere muta

mento del giudice precostituito per legge, ma sostituzione

d'un organo del pubblico ministero ad altro organo dello

stesso pubblico ministero (sentenza n. 148 del 1963 della

Corte cost., Foro it., 1963, I, 2265). Tuttavia il procuratore generale, mentre può avocare

a sè l'istruzione sommaria della causa senza urtare con prin

cipi costituzionali, non può rimettere gli atti alla sezione

istruttoria : se lo potesse, sottrarrebbe l'istruzione della

causa al giudice precostituito per legge, cioè, nei giudizi di competenza del tribunale o della corte di assise, al giu dice istruttore ; il che sarebbe in evidente contrasto con

l'art. 25, 1° comma, della Costituzione (sentenza n. 110

del 1963 della Corte cost., Foro it., 1963, I, 1281) : questo

perchè lo spostamento di competenza in tal caso derive

rebbe dalla insindacabile discrezionalità d'un provvedi mento del procuratore generale anziché, come si dovrebbe, con le garanzie e nei limiti prestabiliti dalla legge.

Perciò, la norma impugnata, in quanto, nella sua ultima

parte, consente al procuratore generale di rimettere la causa

alla sezione istruttoria, è costituzionalmente illegittima. Dal che si deduce che il procuratore generale, una volta

(1) L'ordinanza 1° agosto 1963 della Sezione istruttoria della Corte d'appello di Lecce è massìmata in Foro it., 1063, II, 408.

Sulla garanzia del giudice naturale precostituito per legge, v., da ultimo, Corte cost. 27 novembre 1963, n. 148, richiamata nella motivazione della presente (id., 1963, I, 2265, con nota di

richiami, cui adde Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, 1932, pag. 314 ; Leone, Trattato dir. proc. pen., I, pag. 441; Man

zini, Trattato dir. proc. pen., IV, pag. 152); Corte cost. 13 di

cembre 1963, n. 156 (retro, 16, con nota di richiami).

Il Foro Italiano — Volume LXXXVI1 — Parte l-44.

assunta l'istruzione sommaria della eausa in virtù dello stesso art. 392 se crederà di trasformarla in formale o di chiedere i provvedimenti previsti dagli art. 270, 2° comma, 280, 3° comma, e 395, 1° comma, cod. proc. pen., non potrà che rivolgersi al giudice istruttore.

Ne deriva che anche l'art. 272, 2° comma, cod. proc. pen., nonché i citati art. 270, 2° comma, 280, 3° comma

395, 1° comma, contrastano parzialmente con la Costitu zione. Infatti il primo articolo consente al procuratore ge nerale, che abbia assunto o avocato a sè l'istruzione som

maria, di rimettere gli atti del giudizio alla sezione istrut

toria, perchè proceda all'istruzione formale ; gli altri tre

gli attribuiscono l'analogo potere, dopo l'assunzione o la avocazione del giudizio, di rimettere gli atti alla sezione istruttoria perchè provveda sulla scarcerazione, sulla li

bertà provvisoria, sul proscioglimento dell'imputato ; ma

terie, anche queste, nelle quali il giudice precostituito per legge è il giudice istruttore. I quattro articoli, dunque, contengono norme, come quella denunciata, che fanno di

pendere la competenza della sezione istruttoria dall'assun zione o dall'avocazione, atti assolutamente discrezionali del procuratore generale ; perciò, entro questi limiti, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, se ne deve dichiarare l'illegittimità costituzionale, una volta dichia rata l'incostituzionalità della norma impugnata.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la

illegittimità costituzionale dell'art. 392, 3° comma, ultima

parte, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 25, 1° comma, della Costituzione ; dichiara, inoltre, in applicazione del l'art. 27 della legge 11 marzo 19 53 n. 87, e in riferimento all'art. 25, 1° comma, della Costituzione, la illegittimità costituzionale degli art. 270, 2° comma, 272, 2° comma, 280, 3° comma, e 395, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto con

sentono al procuratore generale, che ha assunto o avocato a sè l'istruzione sommaria della causa, di rimettere gli atti

del processo alla sezione istruttoria.

CORTE COSTITUZIONALE.

Sentenza 2 aprile 1964, n. 30 (Gazzetta ufficiale 11 aprile 1964 n. 91) ; Pres. Ambrosini P., Eel. Fragali ; imp. Sacco Comis Dell'Osta ; interv. Pres. Cons, ministri (Avv. dello

Stato Chiarotti).

Spese del procedimento penale — Onere imposto al condannato — Questione d'incostituzionalità in fondata (Costituzione, art. 3, 53 ; cod. pen., art. 151, 198 ; cod. proc. pen., art. 488, 613).

È infondata, in riferimento alVart. 53, 1° e 2° comma, della

Costituzione, la questione d'incostituzionalità degli art. 488 e 613 cod. proc. pen., e di altre disposizioni che discipli nano la materia delle spese del procedimento penale. (1)

È infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la

questione d'incostituzionalità dell'art. 198 cod. pen., li mitatamente all'obbligazione per le spese processuali, e dell'art. 151, 1° comma, dello stesso codice limitata mente all'esclusione dall'estinzione pei amnistia della

condanna alle spese processuali, di cui alle parole « e, se vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le spese accessorie ». (2)

La Corte, ecc. — Non è fondata la questione di illegit timità costituzionale degli art. 488 e 613 cod. proc. pen., e di quelle altre disposizioni indicate nell'ordinanza che

determinano la nozione di spese processuali penali e il loro

ammontare.

Come esattamente rileva l'avvocatura dello Stato, non

(1-2) L'ordinanza 15 maggio 1963 del Pretore di Pieve di Cadore è massimata in Foro it., 1963, II, 342.

Sul fondamento della condanna nelle spese, v., da ultimo, La Rocca, Profili di un sistema di responsabilità processuale, 1963, pag. 47 segg.

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691 PARTE PRIMA 602

v'è norma costituzionale ohe garantisca la prestazione gra tuita del servizio giudiziario. Al contrario l'art. 24, 3°

comma, della Costituzione, con il fare obbligo di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad

ogni giurisdizione, muove dal presupposto che sia legittimo imporre oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui riguardi è esplicata una attività di giustizia. Dai quali oneri la norma costituzionale non vuole, del resto, liberare gli indigenti in modo assoluto, perchè non vi si esclude che essi debbano rimborsare le spese che lo Stato ha per loro

anticipato ove il processo si risolva a loro sfavore, non po tendosi ritenere che l'esonero sia garantito pur nel caso in cui si propongano azioni o difese che risultino prive di fondamento : risponde, del resto, ad un principio di giu stizia distributiva che il costo del processo sia sopportato in definitiva da chi ha reso necessaria l'attività del giudice ed ha perciò occasionato la spesa implicata dal suo svolgi mento, com'è per colui che è colpito da una condanna

penale. Non è fondato assumere che le disposizioni delle leggi

speciali denunciate assieme agli art. 488 e 613 cod. proc. pen., in realtà, non riguardano il singolo processo. Senza che vi sia bisogno di procedere ad indagini complesse ba sterà rilevare che, nello stato di previsione della spesa del ministero di grazia e giustizia (e l'esempio può desumersi da quello relativo all'esercizio in corso, approvato con la

legge 27 ottobre 1963 n. 1417), si distinguono le spese di

giustizia dalle altre inerenti alle esigenze generali dell'am ministrazione giudiziaria ; in modo che altro non concerne se non le prime, e quindi le prestazioni inerenti al singolo processo, la voce « recupero di spese giudiziarie », iscritta nello stato di previsione dell'entrata del ministero del te soro senza dubbio in relazione a quell'obbligo di cui il Pretore di Pieve di Cadore contesta la legittimità (per l'eser cizio in corso la voce è nel cap. 171, tabella A, dello stato di previsione approvato con legge 21 agosto 1963 n. 1197).

Va soggiunto che l'art. 53 della Costituzione, al quale unicamente si rifà il pretore suddetto, non si riferisce ai tributi giudiziari. Avendo fatto richiamo alla capacità con tributiva e alla progressività rispettivamente come indice di imponibilità e come criterio di imposizione, è intuitivo che esso ha avuto riguardo soltanto a prestazioni di ser vizi il cui costo non si può determinare divisibilmente. Non concerne perciò quelle spese giudiziarie la cui entità è misurabile per ogni singolo atto, e che quindi possono gravare individualmente su chi vi ha dato occasione ; ed è richiamabile solo per la spesa della organizzazione gene rale dei servizi giudiziari, che è sostenuta dallo Stato nel l'interesse indistinto di tutta la collettività, e che, di con

seguenza, indistintamente su tutta la collettività deve gra vare, in proporzione della capacità contributiva di ognuno dei suoi membri.

E ciò a parte che l'art. 53 della Costituzione, come altre volte ha giudicato questa Corte (sentenza 23 marzo 1960, n. 12, Foro it., 1960, I, 543), incide sul complesso del si stema fiscale, e non su ciascuno dei tributi ; in modo che non vieta nè una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, nè che la spesa per i servizi generali sia coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la presta zione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l'attività.

Non è pertanto utile obiettare, come fa il pretore, che la giurisdizione penale, oggetto della sua ordinanza, ha caratteristiche del tutto distinte da quella civile e si eser

cita, più di questa, nell'interesse generale : è importante, ai fini del controllo invocato, l'avere accertato che le dispo sizioni denunciate non trovano contrasto in alcuna norma della Costituzione. E rimane inoltre assorbito l'assunto che sia incongrua la norma per cui, quando non v'è condanna, le spese del procedimento penale debbano onerare il que relante (art. 382 cod. proc. pen.) ; assunto, del resto, non

prospettato come oggetto di una specifica questione di le

gittimità costituzionale, tanto vero che il pretore non ha neanche chiarito come la eventuale illegittimità di quella norma influisse sul corrispondente obbligo del condannato.

Solo su quest'obbligo era rilevante il soffermarsi nella con creta occasione.

Ugualmente senza giustificazione sono stati denunciati

di illegittimità costituzionale gli art. 198 e 151, 1° comma, cod. pen., nella parte in cui escludono che l'amnistia estingua l'obbligazione del condannato al pagamento delle spese processuali.

Al pretore, il quale oppone la violazione del principio di uguaglianza statuito nell'art. 3 della Costituzione, è sfug gito che una differenza esiste tra la ipotesi in cui l'amnistia interviene prima della condanna e l'ipotesi in cui l'amnistia

è concessa dopo. Nel primo caso non è certo che la spesa del procedimento è stata occasionata dall'imputato, ma, nel secondo caso, v'è in tal senso una certezza che promana dal giudicato, e pertanto le due situazioni non possono ra

gionevolmente essere regolate da norme identiche, e ugual mente comportare l'esonero dall'obbligo di rimborso verso lo Stato.

La responsabilità per le spese del processo penale non

comporta, a differenza di quanto ritiene il pretore, una

sanzione accessoria alla pena ; e perciò di questa non deve necessariamente seguire la sorte. Accertato l'illecito, ri

mane affermato altresì che il suo autore ha costretto ad

istituire il procedimento ; e ciò basta per farne gravare a suo carico il costo. Non conta che la condanna può inter

venire prima o dopo l'amnistia per circostanze estranee al comportamento dell'imputato e, in particolare, a se conda che sia sollecito o non lo sia il funzionamento del l'ufficio giudiziario che è competente per il processo : individuata la ragione per cui, al tempo dell'amnistia, il

processo aveva potuto definirsi o era rimasto pendente, non resta per ciò solo soppressa la realtà obiettiva dell'esi stenza o dell'inesistenza, in quel tempo, della sentenza di condanna. Ed essendo tale realtà del tutto diversa in cia scuno dei due casi, deve razionalmente ognuno di essi ri

specchiare una diversità di disciplina. Analogamente questa Corte non ha dato rilievo, agli effetti dell'art. 3 della Costi tuzione (sentenza n. 171 del 23 dicembre 1963, Foro it.,

1964, I, 1) ; alla circostanza che, mentre colui il quale sia

stato giudicato prima del decreto di amnistia ha potuto soffrire in tutto o in parte la pena alla quale sia stato con

dannato, nessuna pena sopporta invece chi venga giudicato dopo quel decreto, anche se colpevole al pari del primo.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non

fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Pretore di Pieve di Cadore con l'ordinanza del 15

maggio 1963 :

а) in riferimento all'art. 53 1° e 2° comma, della Costituzione e in relazione agli art. 488 e 613 cod. proc. pen. ; agli art. 1 e 4 decreto legisl. 9 aprile 1948 n. 486, e tabella ad esso allegata, con le modificazioni di cui alla ta bella A allegata alla legge 17 febbraio 1958 n. 59, in rap porto con il r. decreto 23 dicembre 1865 n. 2701, e successive

modificazioni; agli art. 123 (nn. 1, 2, 3, 4 5), 124, 125, 126, 127, 128, 133, 142, 1° capov., 154, 1° capov., decreto

pres. 15 dicembre 1959 n. 1229, parzialmente sostituiti

dagli art. 7, 8, 9, 10 e 14 legge 11 giugno 1962 n. 546 ; al l'art. 45, n. 2, della tariffa A allegata al decreto pres. 25

giugno 1953 n. 492, e successive modificazioni, di cui l'ul tima con l'art. 3 legge 5 luglio 1961 n. 564, in rapporto con la legge 29 giugno 1882 n. 835 ; all'art. 22 legge 8 gennaio 1952 n. 6, modificato dall'art. 6 legge 31 luglio 1956 n. 991 ;

б) in riferimento all'art. 3 della Costituzione e in

relazione all'art. 198 cod. pen., limitatamente all'ipotesi della obbligazione per le spese processuali, e all'art. 151, 1° comma, limitatamente alla esclusione dall'estinzione

per amnistia della condanna alle spese processuali, di cui alle parole « e, se vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione

della condanna e le pene accessorie ».

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