sentenza 2 dicembre 1983; Pres. Palazzolo, Est. Massetani; Palatresi ed altri (Avv. Clarkson) c.Mazzoli (Avv. D'Alessandro)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 1111/1112-1113/1114Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176031 .
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PARTE PRIMA
non vale da solo a raggiungere la dimensione minima richiesta di un miliardo di lire.
Si rende pertanto superfluo esaminare se i finanziamenti dai
quali deriva il debito suddetto possano considerarsi « assistiti dal
contributo dello Stato » o non più semplicemente « agevolati » dal
tasso degli interessi in misura ridotta rispetto a quella normal
mene praticata. La domanda della Giulio Einaudi editore s.p.a. va conseguente
mente respinta mancando la prova del requisito relativo al
miliardo di debiti per finanziamenti assistiti dal contributo dello
Stato.
Separatamente si provvederà per la convocazione della Giulio
Einaudi editore s.p.a. per l'audizione in camera di consiglio ai
sensi dell'art. 15 1. fall.
TRIBUNALE DI ROMA; decreto 2 dicembre 1983; Giud. De
Renzis; Fall. soc. Mennuni.
TRIBUNALE DI ROMA;
Tributi in genere — Fallimento di società — Dichiarazione relativa al risultato finale — Plusvalenze — Accantonamento delle imposte corrispondenti — Esclusione (D.p.r. 29 settem bre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di accerta mento delle imposte sui redditi, art. 10, 46, 56, 57; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. Ili, 113, 117).
L'art. 10 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 non pone a carico del
curatore fallimentare l'obbligo di accantonare l'importo corri
spondente alle imposte dovute sulle plusvalenze realizzate. (1)
Il tema delle plusvalenze nel fallimento è ricorrente in dottrina
e in giurisprudenza e continuamente sottoposto all'attenzione
degli organi fallimentari.
Tra i precedenti giurisprudenziali più significativi si possono citare il decreto del Tribunale di Monza 18 gennaio 1980 {Foro
it., Rep 1980, voce Fallimento, n. 465), del Tribunale di Perugia 25 gennaio 1978 {id., Rep. 1978, voce Tributi in genere, n. 292), del Tribunale di Genova 25 giugno 1977 {id., Rep. 1977, voce
cit., n. 349), che hanno ritenuto legittimo l'accantonamento di
somme per il pagamento di imposte dovute sulle plusvalenze realizzate in sede fallimentare.
Di contro tale indirizzo è stato contrastato dal Tribunale di Torino con provvedimento del 21 aprile 1980 {id., Rep. 1980, voce Fallimento, n. 468) e dal Tribunale di Milano con provve dimento del 24 aprile 1978 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 510).
La questione è stata inoltre esaminata dalla Cassazione, la
quale si è pronunciata con sentenza 5 febbraio 1982, n. 660 (id., 1982, I, 1312) confermando l'indirizzo seguito dal Tribunale di Torino.
In particolare la Cassazione ha precisato a chiare lettere che l'art. 10 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 pone a carico del
curatore l'obbligo della dichiarazione relativa al risultato finale della liquidazione, ma non quello di accantonare l'importo corri
spondente alle imposte dovute sulle plusvalenze realizzate. Lo stesso supremo organo giurisdizionale ha aggiunto che l'esazione delle anzidette imposte è estranea all'attività del curatore e spetta agli uffici finanziari.
Con sentenza del 1" luglio 1982, n. 3949 (id., 1983, I, 3105) la Cassazione sembrerebbe contraddire l'indirizzo assunto con la decisione del 5 febbraio 1982 ritenendo la legittimità di accanto namento di somme disposte dal giudice delegato per plusvalenze realizzate nel corso della liquidazione concorsuale. Da una più attenta lettura di tale sentenza emerge tuttavia che il tema da decidere non era la tassabilità delle plusvalenze, ma soltanto la
legittimità dell'esercizio del potere riconosciuto agli organi del
fallimento dall'art. 113 1. fall.
Volendo perciò utilizzare i precedenti giurisprudenziali della
(1) Nello stesso senso Cass. 5 febbraio 1982, n. 660, Foro it., 1982, I, 1312, con osservazione di D. Tedeschi, cui adde, sempre in senso conforme, Trib. Reggio Emilia 11 aprile 1983, Fallimento, 1983, 1405 nonché Trib. Torino 8 maggio 1983, ibid., 1411. In dottrina, A. e S. Dus, Fallimento (dir. trib.), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982, III, 624; De Rosa, Chiusura del fallimento e obblighi fiscali del curatore, in Rass. imp. dir., 1982, 465. Da segnalare la risoluzione ministeriale 6 settembre 1980 n. 32 (Dir. e pratica trib., 1979, 1599), la quale indica i criteri che il curatore deve seguire, in assenza di scritture contabili della società fallita, per la corretta compilazione della dichiarazione dei redditi riguardante il periodo fallimentare e la eventuale quantificazione di plusvalenze da beni immobili.
Corte di cassazione si giunge al risultato che è perfettamente
legittimo non disporre accantonamenti per il pagamento di plusva lenze fallimentari.
Questa posizione è collimante con l'assunto dell'amministrazio
ne finanziaria, la quale nella risoluzione n. 7/241 del 2 febbraio
1978 ha ritenuto che il curatore non è direttamente responsabile del pagamento di eventuali imposte dovute a seguito di ipotetici accertamenti conseguenti alla presentazione della denuncia finale
e ha affermato che le eventuali rettifiche ai redditi dichiarati dal
curatore vanno effettuate esclusivamente nei confronti del fallito
e non del curatore.
La interpretazione accolta è avvalorata dalla relazione ministe
riale, la quale espone, in riferimento all'art. 10 d.p.r. n. 600/73, che la dichiarazione a carico del curatore è stata introdotta al
fine di evitare la realizzazione di redditi di plusvalenza attraverso
procedure fallimentari di comodo.
Questo giudice condivide pienamente l'indirizzo esposto e ciò, oltre che sulla base degli argomenti risultanti dalla giurisprudenza della Cassazione e dall'amministrazione finanziaria, sul fatto che
nelle procedure fallimentari difficilmente si può parlare di plusva lenze di redditi. Invero una conclusione positiva può aversi
soltanto nel caso in cui ci sia un pieno soddisfacimento di tutti i
crediti ammessi con eccedenza dell'attivo sul passivo. Se ciò non
si verifica, non v'è reddito tassabile e quindi non sussistono
plusvalenze. In conclusione va affermato che non sussiste alcun obbligo del
curatore di procedere ad accantonamento di somme per il paga mento di ipotetiche plusvalenze, da accertarsi soltanto a chiusura
del fallimento.
Tutto ciò premesso, il curatore può procedere al riparto finale
dell'attivo e alla chiusura del fallimento.
TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 2 dicembre 1983; Pres. Pa
lazzolo, Est. Massetani; Palatresi ed altri <Avv. Clarkson) e. Mazzoli (Avv. D'Alessandro).
TRIBUNALE DI FIRENZE;
Contratti agrari — Mezzadria — Risoluzione per grave inadempi mento e diniego di conversione in affitto — Tentativo di
conciliazione — Pluralità di domande — Fattispecie (L. 3 mag
gio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 46).
Le domande giudiziali di risoluzione per grave inadempimento e di diniego della conversione di un contratto di mezzadria
proposte da tutti i proprietari del fondo sono improponibili ove
il tentativo di conciliazione di cui all'art. 46 l. 203/82 non sia
stato espletato da tutti i detti proprietari. (1)
Svolgimento del processo. — I cinque Palatresi hanno proposto
le conlusioni riportate in epigrafe con loro ricorso 22 luglio 1983, e le giustificavano asserendo che il mezzadro Mazzoli Dino « quasi subito dopo l'inizio del rapporto mezzadrile » relativo a 3 ettari posti in loc. Petroio del comune di Vinci, « ha cominciato
a comportarsi in dispregio dei patti acquistando e introducendo
nelle stalle dei vitelli senza autorizzazione dei concedenti, propo nendo domande giudiziarie respinte sia in primo grado che in
appello. Dal 1971 il Mazzoli si è rifiutato di partecipare alla
chiusura dei conti per le annate agrarie dal 1971 in poi, non ha
coltivato il terreno con la normale diligenza tanto è vero che
buona parte del vigneto è diventata improduttiva e dovrebbe
essere ripiantata, il podere su cui esistevano nel 1978 n. 70 piante di olivi avrebbe dovuto dare una resa media di Kg. 28 di olive
per pianta pari a circa 19 q.li di olive e 300 Kg. di olio. Secondo
le ripartizioni mezzadrili ai concedenti sarebbe spettata una
quantità di 126 Kg. di olio mai ricevuta. Tra l'altro il Mazzoli
non comunicava il giorno in cui iniziava il raccolto facendo
frangere le olive e/o l'oleificio Montalbano malgrado che i
concedenti avessero indicato il frantoio di Bianconi Franco. Nel
1975 il Mazzoli ha demolito una vasca per uso agricolo e
nell'anno successivo iniziò la vendita al minuto dei prodotti del
terreno. Da lungo tempo il Mazzoli ha destinato senza alcuna
autorizzazione ad orto una parte del podere utilizzando i prodotti senza dividere il ricavato con i comparenti. Ancora nell'anno
1981 il Mazzoli ha seminato il mais ma lo ha raccolto solo nel
(1) Non constano precedenti. Sull'art. 46 1. 203/82 v. in dottrina: Pasquariello, La riforma dei
contratti agrari-Commentario alla l. 203/82, a cura di C.A. Graziani, Recchi, Francario, 1982, 368; Consolo, in Nuove leggi civ., 1982, 1506; Macrì, in Acagnino, Corsaro, Macrì, I nuovi patti agrari, 1982, 166.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
febbraio 1982, impedendo cosi la tempestiva coltratura. Infine, con la lettera 7 maggio 1982 il Mazzoli ha chiesto di trasformare il contratto di mezzadria in contratto d'affitto, i concedenti chie
devano l'intervento conciliativo dell'associazione intercomunale n.
18 che non dava riscontro, veniva inoltrato un esposto all'ispetto rato prov. dell'agricoltura che dal 4 maggio 1983 non ha dato
alcuna risposta ». Da ciò le conclusioni indicate in epigrafe. (Omissis)
Motivi della decisione. — L'azione in giudizio è stata promos sa, congiuntamente, dai concedenti comproprietari Palatresi Lu
ciano, Guido, Giulio e Lido.
Ma la preventiva comunicazione di cui all'art. 46 1. n. 203/82 è
stata invitata il 9 maggio 1983 dall'avv. Luigi Clarkson a nome di
Palatresi Guido, Giulio e Lido al mezzadro Mazzoli Dino ed
all'organo incaricato di esperire il preventivo tentativo di conci
liazione (che in Toscana è il presidente dell'amministrazione
provinciale: art. 46 e 61 1. 203/82; art. 3 leg. reg. 9 febbraio
1981 n. 15 modif. dall'art. 2 1. reg. 30 ottobre 1982 n. 78). Palatresi Luciano, dunque, è rimasto del tutto estraneo alla
fase preliminare conciliativa.
Ciò induce a ritenere non adempiuta la condizione di proponi bilità della domanda posta dall'art. 46 1. n. 203/82.
E va rilevato prima anche dell'eventuale incompetenza del
giudice adito in ordine alla risoluzione della mezzadria, che l'art.
47 1. n. 203/82 cit. sembra attribuire al giudice del lavoro.
Infatti il tentativo di conciliazione condiziona la pronuncia di
qualunque giudice. Gli attori devono ritenersi responsabili per metà delle spese
cagionate inutilmente al convenuto Dino Mazzoli, trovando la
contesa una soluzione estranea agli argomenti difensivi da lui
proposti. (Omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 28 novembre 1983; Pres.
Atzeni, Est. Severini; Fall. soc. Varo costruzioni (Avv. Leo
nardi) c. Spalletti (Avv. Zerbino, Ghigo) e Diligente (Avv.
Marvaso).
TRIBUNALE DI ROMA;
Fallimento — Azione revocatoria fallimentare — Revocatoria nei
confronti dei subacquirenti — Condizioni (Cod. civ., art. 2901; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).
Le presunzioni di conoscenza dello stato di insolvenza, stabilite
dall'art. 67, 1" comma, l. fall., sono operanti soltanto rispetto
agli atti compiuti dal fallito e, essendo previste da norme
eccezionali, non sono suscettibili di applicazione analogica e
non possono, perciò, estendersi nei confronti dei terzi subacqui
renti, il cui acquisto a titolo oneroso, trascritto prima della
domanda di revoca, può essere dichiarato inefficace, ai sensi
dell'art. 2901, 4° comma, c.c., soltanto se il curatore del
fallimento dimostri che il subacquirente era consapevole dello
stato di insolvenza in cui si trovava il debitore fallito, origina rio dante causa, al momento del primo trasferimento del
bene. (1)
(1) La sentenza si pone in deliberato contrasto con l'indirizzo accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, che ritengono operanti le presunzioni poste dall'art. 67 1. fall, non solo nei confronti dell'avente causa del fallito, ma anche rispetto agli acquisti a
titolo oneroso dei terzi subacquirenti: v. in tal senso App. Cagliari 27
aprile 1964, Foro it., Rep. 1966, voce Fallimento, n. 342; Trib. Roma 23 gennaio 1964, id., Rep. 1964, voce cit., n. 345; Trib. Roma 15
maggio 1965, id., Rep. 1966, voce cit., n. 273. A questa stessa linea sembra riconducibile anche Cass. 20 marzo 1976, n. 1016, id., Rep. 1976, voce cit., n. 260, secondo cui il terzo subacquirente in mala fede di un bene trasferito con atto soggetto a revocatoria fallimentare è
nella stessa posizione del suo dante causa ed è con lui obbligato in
solido alla restituzione o, se questa è impossibile, al pagamento del
valore del bene: negli stessi termini cfr. Trib. Napoli 26 aprile 1980,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 322. In dottrina, nel senso che il terzo
subacquirente si trova nella medesima posizione del primo acquirente anche rispetto alle presunzioni previste dalla legge fallimentare, cons.
Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, 1017
ss.; S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1974, 170; Ferrara, Il
fallimento, Milano, 1974, 410; Paiardi, Manuale di diritto fallimentare,
Milano, 1976, 402; Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli,
1980, 292. Di fronte a tale compatto schieramento, favorevole all'esten
sione del regime probatorio speciale ai subacquirenti, la sentenza in
epigrafe ha tracciato una lucida analisi ricostruttiva della normativa, evidenziando i nessi logici e sistematici che contribuiscono a giustifica re l'applicazione della disciplina relativa all'azione pauliana ordinaria
di cui all'art. 2901, 4° comma, c.c.: lungo questo stesso iter interpreta tivo il Tribunale di Roma si era già recentemente avviato con la
Motivi della decisione. — Il fallimento attore domanda la
revoca di tre distinti atti di compravendita: a) atto 12 agosto 1977 di vendita di terreno da s.r.l. Vero costruzioni ai Diligente
per una estensione di ha. 6.33; b) atto 3 febbraio 1978 notar
Golia di vendita dai Diligente a Spalletti del medesimo terreno;
c) stesso atto 3 febbraio 1978 di vendita del terreno di ha. 5.14
dalla soc. Varo a Spalletti. L'azione è stata proposta dall'attore ai sensi dell'art. 67, 1°
comma, n. 1,1. fall., in quanto il prezzo corrisposto dai Diligente
per l'acquisto del terreno con l'atto sub à) di lire 20.500.000 ed il
prezzo di lire 14.500.000 corrisposto da Spalletti alla soc. Varo
per il terreno venduto con l'atto sub c) appaiono sproporzionati al valore effettivo dei due terreni all'epoca del trasferimento.
Occorre esaminare innanzitutto la sussistenza di tale spropor zione: il c;t.u. ha dichiarato che, da un'indagine conoscitiva sui
valori dei terreni della zona, similari a quelli oggetto di stima e
destinati ad attività industriale ed agricola, essi sono risultati di
lire 2.800-3000 al mq. per i primi (a seconda dell'epoca del primo contratto e del secondo) e di lire 1.000 al mq. per i secondi:
conseguentemente il prezzo del terreno di cui al primo atto
per ha. 6.33 è stato stimato dal c.t.u. in lire 177 milioni
(atto del 12 agosto 1977); mentre lo stesso terreno alla da
ta del secondo atto 3 febbraio 1978 in lire 190 milioni; il
terreno venduto dalla società Varo il 3 febbraio 1978 allo
Spalletti di ha. 5.14 è stato valutato in lire 51.470.000.
La perizia appare ben motivata ed immune da errori: essa
viene quindi accettata integralmente dal collegio. Alla luce di questa, non vi è dubbio che i prezzi corrisposti
dai compratori siano stati inferiori ai valori di mercato dei beni:
infatti il terreno acquistato con l'atto sub a) dai Diligente è stato
pagato lire 20.500.000 a fronte di un valore effettivo di lire
177 milioni; il terreno acquistato dallo Spalletti dalla Varo (sub
c) è stato pagato lire 14.500.000 a fronte di un valore di mercato
di lire 51 milioni, mentre il terreno acquistato da parte di
Spalletti dai Diligente per lire 20.500.000 aveva un valore di lire
190.000 milioni (atto sub b).
Appare irrilevante, quindi, la osservazione dello Spalletti in
ordine al suo effettivo pagamento di lire 122.820.000 sia perché l'atto relativo a tale esborso non è stato mai prodotto in causa,
sia perché anche la somma indicata apparirebbe senz'altro
inferiore al valore complessivo dei terreni acquistati dallo Spallet ti con l'atto 3 febbraio 1978, che ammonta a lire 241 milioni
(190 + 51). Occorre ora esaminare la sussistenza dell'elemento soggettivo
previsto dall'art. 67, 1° comma, n. 1, nelle vendite: per quanto attiene alla vendita sub a) i Diligente si sono costituiti in causa
ma non hanno dedotto alcuna prova in ordine alla mancata
conoscenza dello stato di insolvenza della soc. Varo costruzioni
da parte loro: essi quindi non hanno ottemperato al disposto della norma che imponeva loro di dare tale prova e dunque devono soccombere nel giudizio: la vendita del 12 agosto 1977
effettuata ai Diligente del terreno di ha. 6.33 deve essere dichiara
ta inefficace.
Peraltro i convenuti Diligente devono corrispondere, posto che
il subacquirente risulta, come poi si vedrà, in buona fede,
l'equivalente pecuniario secondo il valore che il bene aveva
all'atto della stipula del negozio revocato, quale data in cui si è
verificato il fatto illecito produttivo di danno per il creditore
(Cass. 15 marzo 1976, n. 949, Foro it., Rep. 1976, voce Fallimen
to, n. 259); trattasi di debito di valore, che deve ripristinare la
situazione patrimoniale del fallito antecedentemente all'atto revo
cato e come tale è soggetto a rivalutazione monetaria.
In concreto il prezzo versato dai Diligente per il bene a quo ammonta a lire 20.500.000: esso deve essere rivalutato in lire 40
milioni, oltre gli interessi dalla domanda giudiziale.
sentenza 25 maggio 1981 (Giur. comm., 1983, II, 659), in cui è
precisato che nell'ipotesi di revocatoria fallimentare esercitata nei
confronti del subacquirente grava sulla curatela del fallimento l'onere
di provare la mala fede, consistente nella consapevolezza che il fallito
era in stato di insolvenza nel momento in cui è avvenuto il
trasferimento in favore del dante causa del subacquirente. In questa stessa direzione si era già epresso Trib. Roma 13 giugno 1967, Foro
ti., Rep. 1967, voce cit-, n. 308. Per un'ampia e organica trattazione
della specifica questione v., da ultimo, Landolfi, Revocatoria fallimen tare e terzo acquirente, in Dir. fallim., 1982, I, 683 ss., secondo cui
la revocatoria contro i subacquirenti è soggetta alle norme comuni
dettate dall'art. 2901 c.c. Da segnalare che tale soluzione è stata
accolta nei risultati della ricerca sulla riforma del diritto fallimentare, condotta dal CIS di Lissone (Centro interdisciplinare per lo studio dei
problemi giuridici economici e sociali) in base ad una convenzione
stipulata il 17 dicembre 1980 col ministero di grazia e giustizia, il cui
articolato prevede l'introduzione, dopo l'art. 67 1. fall., di una nuova
norma relativa alla revocatoria contro i subacquirenti, disciplinata, per
relationem, sul modello della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.
Il Foro Italiano — 1984 — Parte 1-12.
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