sentenza 2 febbraio 1999; Giud. Mascarello; Colombo (Avv. Chiusolo, Fezzi) c. Soc. Europa tv(Avv. Manzoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1363/1364-1367/1368Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195405 .
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1363 PARTE PRIMA 1364
ritenuto che la sanzione dell'estinzione del processo ai sensi
dell'art. 307 c.p.c. è richiamata nel 2° comma dell'art. 164 c.p.c. soltanto a proposito della mancata rinnovazione vera e propria della citazione e che la tesi pur seducente (in una prospettiva di economia dei giudizi) di una sua estensione anche alle ipotesi di mancata integrazione della domanda per i vizi indicati nel 4°
comma, ha contro la lettera della norma e l'insussistenza dei pre
supposti per far luogo alla sua applicazione analogica; che in definitiva si ritiene di aderire all'opinione secondo cui
l'inosservanza all'ordine di integrazione, ove riscontrata esisten
te, non ha una specifica risposta sul piano processuale e che del
la nullità, eccepita, dichiarata e pretesamente non sanata, dovrà
tenersi conto nella pronuncia di merito; (omissis) Per questi motivi, 1) rigetta l'istanza di estinzione del processo.
È appena il caso di avvertire, infine, che la disciplina in tal modo ricostruita può tranquillaftiente trovare applicazione, con gli adattamen ti del caso, all'ipotesi in cui la nullità riguardi una domanda riconven zionale (art. 167, 2° comma).
II. - Un ulteriore profilo che merita d'essere sottolineato è che l'odier na disciplina dei vizi contemplati dal 4° comma dell'art. 164 può contri buire a far luce su qualche aspetto del controverso regime delle preclu sioni introdotte dalla riforma del '90. Il punto di partenza, da questo punto di vista, mi sembra debba essere rappresentato proprio dalla man canza di limitazioni temporali per le sanatorie previste dal 5° comma della disposizione in esame: nel senso, cioè, che, quantunque l'art. 180, 1° comma, c.p.c. faccia obbligo al giudice istruttore di verificare la re
golare instaurazione del contraddittorio nell'udienza di prima compari zione, nessuno dubita, se non erro, che l'ordine di rinnovazione della citazione o d'integrazione della domanda possa (e debba) intervenire in
qualunque momento del processo di primo grado venga scoperto il vi
zio; indipendentemente — aggiungerei — dalla circostanza ch'esso ri
guardi (come spesso avviene) taluna soltanto delle più domande formu late nell'atto introduttivo.
Il primo rilievo sollecitato da questa premessa attiene allora ai rappor ti tra la sanatoria della domanda nulla per indeterminatezza dell'oggetto o per mancata indicazione dei fatti costitutivi, da un lato, e la «modifi cazione» della domanda (la c.d. emendatio libelli), dall'altro. A ben ri flettere non v'è nulla d'incongruo o d'illogico nella circostanza che l'eli minazione dei vizi della domanda (anche riconvenzionale), attraverso l'in
tegrazione dei suoi essenziali elementi identificativi, sia ammessa in ogni momento del giudizio (di primo grado), e che, invece, la (mera) «modifi cazione» di una domanda già compiutamente definita (che di solito si concreta nell'allegazione di nuovi fatti costitutivi) sia rigidamente circo scritta alla fase della trattazione di cui all'art. 183 c.p.c.; non foss'altro
perché nel primo caso si tratta di porre rimedio ad una lacuna dell'atto introduttivo che è immediatamente percepibile sia dal convenuto sia dal lo stesso giudice (di talché la sua mancata rilevazione è anche ad essi
imputabile), mentre nel secondo caso si è al cospetto di un'attività che si ricollega esclusivamente a scelte difensive e all'iniziativa della parte che aveva formulato la domanda.
Ciò nonostante, la mancanza di limiti temporali per la sanatoria di una domanda nulla per omessa o incompleta esposizione dei fatti costi tutivi mi sembra importante per confermare che, pur dopo la riforma del '90, per un verso non vi è alcuna preclusione assoluta ed invalicabile all'introduzione di nuovi fatti principali nel corso del processo, e, per altro verso, non vi è neppure alcun interesse di ordine pubblicistico che si opponga alla mutatio o all' emendatio libelli dopo l'esaurimento della fase di trattazione (e giustifichi, dunque, la loro sottrazione alla disponi bilità delle parti: sono questioni che ho sviluppato in Le preclusioni nel giudizio di primo grado, in Giur. it., 1996, IV, 265 ss., spec. 273 ss.); trattandosi sì di limitazioni dirette a razionalizzare lo svolgimento e le scansioni del processo, ma pur sempre con prevalente riguardo agli inte ressi delle parti. Se così non fosse, invero, risulterebbe gravemente ano mala, in ispecie nelle ipotesi di nullità relativa ad alcuna soltanto delle domande formulate nell'atto introduttivo (oppure dal convenuto nella
comparsa di risposta), la possibilità di perfezionare il petitum o la causa
petendi in corso di causa; possibilità che di certo non risponde ad alcuna
esigenza di ordine superiore. Il secondo ed ultimo rilievo attiene, invece, al regime della «precisa
zione» della domanda, di cui pure discorrono il 4° e 5° comma dell'art. 183. In questa sede sarebbe affatto superfluo soffermarsi su tale ambi guo concetto; e ci si può limitare ad osservare, invece, che quand'anche esso venga inteso — secondo l'opinione che mi sembra preferibile —
(anche) come possibile specificazione o modificazione di elementi margi nali relativi ai fatti principali (costitutivi-estintivi-impeditivi-modificativi), tali da lasciare sostanzialmente immutati i fatti medesimi, la «liberalità» dimostrata dal legislatore relativamente ai vizi della editio actionis rende sistematicamente inverosimile che la semplice «precisazione» della do manda, la quale mira ad emendare delle lacune o degli errori assai più lievi nell'originaria formulazione della domanda, o addirittura solo a chiarire ciò ch'era già implicito in essa, sia stata rigidamente circoscritta alla fase di trattazione del processo (anche su questo punto mi sia con sentito rinviare, per uno svolgimento più articolato, ad op. ult. cit., 280 s., nonché La riforma del processo di cognizione, cit., 207 ss.).
G. Balena
PRETURA DI MILANO; sentenza 2 febbraio 1999; Giud. Ma
scarello; Colombo (Aw. Chiusolo, Fezzi) c. Soc. Europa tv (Avv. Manzoni).
PRETURA DI MILANO;
Lavoro (rapporto di) — Giornalista — Direttore — Licenzia
mento — Tutela reale — Applicabilità (Cod. civ., art. 2095,
2118, 2119; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e del
l'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca
mento, art. 18).
Al direttore di una testata giornalistica (nella specie, televisiva) è applicabile la tutela reale del posto di lavoro di cui all'art.
18 l. 20 maggio 1970 n. 300. (1)
(Omissis). B) Causa petendi e petitum. In data 21 settembre
1998, trascorso infruttuosamente il termine di cui all'art. 410
c.p.c., ha depositato il ricorso introduttivo del presente giudi
zio, contestando sotto diversi profili — sia di fatto che di dirit
to — la validità/legittimità/efficacia del recesso datoriale.
Egli nega, in primo luogo, che — quantomeno dal settembre
1997, dopo la soppressione dei telegiornali della emittente Tele
più e la sua trasformazione da rete «monotematica e dedicata
allo sport» in «rete generalista» («Tele + Bianca») — esistesse, a monte, una testata giornalistica sportiva di cui si potesse esse
re «direttore».
In secondo luogo, sostiene che la frequenza e qualità delle
interferenze esercitate sull'attività ad esso demandata in relazio
ne ai tre programmi («Zona»; «Zak» e «F.l Lunedì») ed alle
telecronache delle varie manifestazioni sportive su cui dal set
tembre 1997 si è concentrata la produzione della «testata», così
come la sua esclusione da decisioni (riguardanti, soprattutto, i futuri palinsesti o modifiche dei palinsesti già approvati) spe cificamente riferite a detti programmi ed eventi sportivi, non
potrebbero — in ogni caso — ritenersi compatibili con le fun
zioni e poteri contemplati dal ccnl giornalistico per la figura del direttore. Senza contare che né a seguito della lettera del
febbraio 1997, né a seguito del comunicato del marzo 1998 la
società ha provveduto, contro le sue espresse richieste in tal
senso, a «formalizzare» anche sotto il profilo economico la mo
difica della sua posizione all'interno dell'azienda; che nei listini
stipendio è — anzi — sempre stata indicata la qualifica di capo redattore, modificata in quella di direttore solo con la busta
paga di fine maggio 1998, e che — soprattutto — non è stata
osservata nessuna delle fasi della procedura prescritta per la no
mina del direttore dall'art. 6 ccnl giornalistico.
Egli mette poi in discussione, alla radice, che anche un vero
direttore di una vera testata giornalistica possa essere licenziato, così come è avvenuto nel suo caso, senza la benché minima
motivazione e sul mero presupposto di diritto che si tratti di
un dirigente, sottratto come tale alla disciplina legale limitativa dei licenziamenti e privo — altresì — di una alternativa tutela
pattizia, in mancanza nel settore giornalistico di una contratta
zione collettiva specificamente diretta a disciplinare il rapporto
dirigenziale e/o ad introdurre, a tale livello, limitazioni alla pie na libertà di recesso lasciata al datore di lavoro dalle previsioni dell'art. 2118 c.c.
(1) Per pervenire al decisum, la elaborata sentenza in epigrafe si di scosta consapevolmente dai (pochi) precedenti di merito — non si rin
vengono invece pronunce di cassazione — che riconoscono al direttore di testata giornalistica la categoria dirigenziale: cfr., con vari percorsi argomentativi, Pret. Milano 30 aprile 1998, Riv. critica dir. lav., 1998, 751, con nota di F. Capurro, Profili problematici in tema di qualifica del vice direttore di giornate, indirettamente, essendosi ex professo pro nunziata con riguardo al vice direttore; Trib. Milano 26 novembre 1994, Foro it., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 700; Pret. Como 1° ottobre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1616, in via di obiter dictum; Pret. Lecce, ord. 28 dicembre 1981, id., 1982, I, 1018, con nota di richiami. In tema di qualifica nell'ambito del lavoro giornalistico, cfr., di recente, Cass. 27 marzo 1998, n. 3272, id., 1998, I, 1392, con nota di richiami, anche Riv. critica dir. lav., 1998, 686, con nota di S. Muo gia, Brevi osservazioni sulla qualifica di redattore e sulla subordinazio ne nel lavoro giornalistico. Cfr. altresì M. Caro, Rassegna della giuris prudenza sul rapporto di lavoro giornalistico di fatto, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 3 ss.
Sui quadri cfr., da ultimo, Pret. Benevento-Airola 24 febbraio 1998, e Pret. Ariano Irpino 20 gennaio 1998, Foro it., 1998, I, 3413, con nota di richiami di E. Balletti.
Il Foro Italiano — 1999.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Le domande di accertamento dell'ingiustificatezza del licen
ziamento e di condanna al pagamento di un importo non infe
riore a lire 277.885.036, a titolo di indennità supplementare di
cui al ccnl dirigenti industriali o, in alternativa a titolo di risar
cimento del danno, formulate dal ricorrente in via meramente
subordinata, rispondono alla tesi residuale della applicabilità
quantomeno della contrattazione collettiva dettata in altri setto
ri per i dirigenti o comunque della utilizzabilità dei suoi para metri anche nel caso di specie.
L'identica conseguenza tratta, invece, dal ricorrente dai tre
diversi ordini di contestazioni mosse alla validità del suo licen
ziamento è quella dell'applicabilità della tutela reale di cui al
l'art. 18 statuto dei lavoratori alle cui previsioni rispondono le domande svolte in via principale, al punto 1) delle conclusio
ni nel merito dell'atto introduttivo. (Omissis)
G) Ccnl giornalistico ed art. 2095 c.c. Manca, com'è pacifi
co, nella contrattazione collettiva di settore una diretta ed espressa
qualificazione come dirigente «del direttore di un quotidiano,
periodico o agenzia di informazioni per la stampa» e, a mag
gior ragione, di testate televisive, neppur richiamate nel testo
dell'art. 6 ccnl giornalistico che pur si applica (art. 1) anche
alle «emittenti radiotelevisive private».
Ciononostante, è opinione diffusa — oltre che ferma convin
zione della società convenuta che in forza di essa ha appunto licenziato ad nutum il ricorrente, ritenendosi esente da ogni ob
bligo di motivazione (anche in causa, oltre che ante causam) e sol vincolata al pagamento del preavviso — che la mancanza
nella contrattazione collettiva di settore di una espressa defini
zione del «direttore» quale dirigente, non scalfisca il fatto che
il «direttore» è un «dirigente», con la conseguenza (unico effet
to pratico, si badi, di tale identificazione) che nessuna esigenza vi è di un giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, per poter
procedere al suo licenziamento, sempre legittimo e sol subordi
nato — ex art. 27 ccnl giornalistico — al pagamento dell'inden
nità sostitutiva del preavviso, da cui l'editore sarebbe — invece — sollevato, sempre ex art. 27, allegando e dimostrando la sus
sistenza di una giusta causa, nei termini di cui all'art. 2119 c.c.
Va dato atto che tale opinione ha trovato voce nelle poche sentenze (quantomeno edite e tutte di merito, per quanto consta
alla scrivente) intervenute in argomento che — direttamente
(avendo ad oggetto proprio la posizione del «direttore») o indi
rettamente (avendo ad oggetto la posizione del «vice-direttore») — le hanno dato risonanza giuridica, negando al «direttore»
altra tutela fuori da quella delineata dal ccnl giornalistico sulla
falsariga delle previsioni degli art. 2118 e 2119 c.c.
Incontestabile è, ovviamente, l'importanza delle funzioni as
segnate dal ccnl di settore alla figura del «direttore» e l'indub
bia equivalenza, se non decisa superiorità in molti casi (si pensi
all'ipotesi-limite del direttore di un importante quotidiano a dif
fusione nazionale rispetto al dirigente posto a capo di un limita
to settore dell'azienda, per non dire delle posizioni definite dal
la Suprema corte di pseudo-dirigenza ai fini, ad esempio, del
l'applicabilità nei loro confronti delle previsioni dell'art. 7 statuto
dei lavoratori), del suo ruolo rispetto a quello previsto per i
«dirigenti» dalla contrattazione collettiva che stabilisce e i re
quisiti di appartenenza e l'autonomo trattamento, normativo
ed economico, spettante ai lavoratori inquadrati in detta qualifica. Ciò che, invece, è contestabile è che tale equivalenza valutati
va possa essere direttamente trasferita, e produrre effetti, anche
sul piano strettamente giuridico. Le coordinate entro cui va condotto il ragionamento tecnico
giuridico non consentono, infatti, prima ancora che di aderire
alle conclusioni cui pervengono i rari precedenti giurispruden ziali in materia, di condividere il percorso argomentativo attra
verso cui essi sfociano a tali conclusioni. Nessun diretto contri
buto al chiarimento di tale percorso è offerto dalle sentenze
che si occupano del caso limitrofo del vice-direttore (come —
ad esempio — Trib. Milano 26 novembre 1994, Foro it., Rep.
1995, voce Lavoro (rapporto), n. 700, allegata dal ricorrente,
o la più recente — e più critica — sentenza del Pretore del
lavoro di Milano 30 aprile 1998), le quali o danno per presup
posta la qualifica dirigenziale del direttore o ne prescindono
per escludere in entrambi i casi che di dirigente si possa, invece
o comunque, parlare nei confronti del vice-direttore.
Le decisioni che invece direttamente si occupano dei giornalisti
direttori, ritenendo che si tratti di dirigenti, come tali esclusi
Il Foro Italiano — 1999.
dalla tutela di cui alla 1. 604/66 ed all'art. 18 1. 300/70 (o alla
1. 108/90), arrivano a tale conclusione: — o limitandosi a dar atto della mera equivalenza di fatto
tra i segni distintivi del direttore tratteggiati dall'art. 6 ccnl gior nalistico ed i requisiti individuati dalla consolidata giurispru denza per l'appartenenza alla categoria dei dirigenti (così nella
risalente ordinanza, resa in data 28 dicembre 1981 in un proce dimento ex art. 700 c.p.c. dal Pretore di Lecce, id., 1982, I,
1018); — o sostenendo che «in mancanza di una qualifica formale
spetta al giudice determinare, tenendo conto della concreta po sizione di lavoro, la qualifica spettante al lavoratore, utilizzan
do i criteri indicati dal ccnl come prevede l'art. 2095, 2° com
ma, c.c., nonché principi elaborati in dottrina e giurispruden za» e che pur se «il ccnl dei giornalisti non contiene una
definizione formale del dirigente, ciò non significa che questa
qualifica non esista nel settore, se si rinvengono, nelle modalità
di svolgimento del rapporto, i poteri di iniziativa e di decisione
idonei ad influenzare un ramo d'azienda o l'intera azienda, dando
concretezza alla posizione di alter ego dell'imprenditore» (così in sent. 4 ottobre 1997 della sezione lavoro del Tribunale di
Milano); — o ritenendo che l'art. 6 ccnl giornalistico, al quale deve
farsi riferimento stante la mancanza di una definizione legislati va del dirigente ed il rinvio operato alla contrattazione colletti
va dall'art. 2095 c.c., direttamente giustifica l'attribuzione al
direttore della più alta qualifica professionale prevista dal no
stro ordinamento, tenuto conto dell'attribuzione ad esso «di po teri molto estesi e rilevanti, non iscrivibili (o solo in parte) nella
definizione tradizionale della giurisprudenza, secondo la quale il dirigente costituisce Valter ego dell'imprenditore», dal mo
mento che egli «non svolge, nelle previsioni del ccnl giornalisti
co, una funzione puramente sostitutiva dell'imprenditore, eser
citandone, nell'ambito di direttive generali, i poteri e le facoltà
e assumendone le prerogative, in forza di una delega esclusiva
mente funzionale alle ragioni dell'impresa e ai suoi obiettivi di
sopravvivenza e di sviluppo nel mercato; al contrario detiene
anche, se non soprattutto, un ruolo dialettico nei confronti del
l'editore, legittimato dall'esigenza fondamentale di tutela della
libertà di informazione e di garanzia del suo indipendente eser
cizio e sottolineato, nello stesso art. 6, dalla previsione dello
strumento contrattuale (con il carattere di pariteticità che, al
meno in linea di principio, gli è proprio) per la determinazione
della linea politica e degli altri aspetti centrali nell'esistenza del
quotidiano o periodico, entro i limiti posti dalle norme sull'or
dinamento della professione giornalistica e di quelle introdotte
dall'autonomia collettiva.» (così Pret. Milano 2 luglio 1997).
Questi ultimi rilievi contraddicono le esattamente opposte mo
tivazioni esposte nella di poco successiva sentenza del Tribunale
di Milano ed assai meglio colgono, come si è anticipato sub
F), la peculiarità della funzione assegnata al direttore dalle pre visioni dei primi tre commi dell'art. 6, rispetto alle competenze di cui ai successivi commi, alle quali fa invece soprattutto riferi
mento tanto la sentenza del Tribunale di Milano, quanto la ri
salente ordinanza del Pretore di Lecce.
Ma essi più che confortarla, offrono semmai ragioni anche
di tipo sostanziale per dissentire dalla identica conclusione alla
quale poi arriva anche il Pretore di Milano escludendo, come
gli altri giudici, l'editore da ogni onere di motivazione ed espo nendo chi sostiene la delicata funzione di bilanciamento ed in
termediazione tra interessi in ipotesi confliggenti al rischio di
essere, per paradosso, estromesso dalla azienda proprio a causa
di scelte fedeli al mandato.
È ben plausibile, invece, che proprio nell'impossibilità (se non
già rifiuto) di ravvisare nel direttore/giornalista un alter ego
dell'editore/imprenditore, stante la sua posizione istituzionale
di intermediario tra quest'ultimo ed il corpo redazionale, risie
da la lucida ragione (e non il casuale accidente) della astensione
dei contraenti collettivi dalla sua qualificazione come dirigente. Tale «omissione» non è — d'altra parte — stridente, ma pie
namente coerente con la logica che percorre tutte le disposizioni del ccnl giornalistico, dove sono in via generale ridotte al mini
mo indispensabile le distinzioni poste, sia sotto il profilo nor
mativo che sotto il profilo economico, tra i «giornalisti» che
ne sono destinatari e dove — fuori dalle previsioni dell'art. 6
e dei richiami che, pur sparsi altrove, ne sono però una diretta
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1367 PARTE PRIMA 1368
eco (tra i quali anche la deroga di cui al 3° comma dell'art.
22) — non esiste una decisa differenziazione della regolamenta zione dettata per il direttore, che pur sempre condivide con tutti
gli altri giornalisti la totale omissione di ogni riferimento alla
disciplina legale limitativa dei licenziamenti ed alla disciplina legale sui procedimenti disciplinari, così come la deroga (signifi cativamente giustificata nelle «dichiarazioni a verbale» dell'art.
27 con la «particolare natura del rapporto di lavoro giornalisti
co») introdotta dal contratto al criterio dell'effettività del preav viso e che è, comunque, accomunato al condirettore ed al vice
direttore nelle uniche due voci (preavviso ed indennità redazio
nale) di miglior trattamento economico previsto a suo favore.
Ben poco sostenibile è, pertanto, che ciò che manca nel ccnl
giornalistico sia solo una «definizione formale del dirigente», che non impedisce al giudice — se già non glielo impone —
di intervenire integrativamente per sanare una lacuna solo di
facciata del contratto, facendo ricorso ad una nozione generale di dirigente e qualificando come tale anche il giornalista-direttore, una volta verificata la corrispondenza di detta nozione con il
ruolo ad esso attribuito dall'art. 6.
Si sono già esposte le ragioni che contraddicono tale corri
spondenza e che giustificano quantomeno il dubbio che — da
soli — i poteri riconosciuti al direttore dagli ulteriori commi
di detta norma possano — quali che siano le dimensioni, l'im
portanza, l'autonomia anche di linea «politica» oltre che orga nizzativa e professionale della testata — sempre e comunque autorizzare la loro riconducibilità alla dirigenza, soprattutto dopo le modifiche apportate dalla 1. 190/85 alle originarie previsioni dell'art. 2095 c.c., attraverso la previsione della nuova — e non
sempre di agevole distinzione rispetto a quella di «dirigente» — nozione di «quadro».
Ciò che, ancor prima e comunque, impedisce di aderire a
tale prospettazione è il fatto che quel che manca nel ccnl gior nalistico non è tanto o solo una definizione formale, bensì una
definizione sostanziale del dirigente e che tale mancanza rischia
di trasformare l'intervento del giudice, teso a porvi rimedio, in un'opera di vera e propria supplenza, con cui egli non appli
ca, ma crea in via interpretativa la disciplina già non data dalle
fonti (legge o contrattazione collettiva) legittimate a produrla. Vale la pena — infatti — di richiamare l'attenzione sul fatto
che l'art. 2095 c.c. si limita a stabilire che «i prestatori di lavo
ro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e
operai», non solo senza dare la benché minima indicazione dei
criteri cui ancorare tale distinzione, ma — anzi — espressamen te prevedendo che «le leggi speciali e le norme corporative» (pa cificamente sostituite, a seguito della soppressione dell'ordina
mento corporativo fascista ex r.d.l. 721/43, dalle norme della
contrattazione collettiva) «in relazione a ciascun ramo di pro duzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano
i requisiti di appartenenza alle indicate categorie». Nessuna legge, però, né preesistente né successiva al r.d. 262/42
è mai stata emanata per stabilire i requisiti «di appartenenza» alla qualifica di dirigente, così come nessuna legge è intervenuta
dopo tale decreto per modificare od integrare i criteri di appar tenenza alla qualifica impiegatizia o operaia, già sommariamen te individuati dal r.d.l. 1825/24 (richiamato dall'art. 95 disp. att. c.c. come parametro residuale per determinare l'apparte nenza alla qualifica operaia od impiegatizia, in mancanza di
più specifiche disposizioni), rispettivamente nella «attività pro fessionale . . . con funzioni di collaborazione tanto di concetto
che di ordine» ovvero in «ogni prestazione che sia semplice mente di mano d'opera».
L'unica legge intervenuta in tema di qualifiche dopo l'emana
zione del r.d. 262/42 è stata la già citata 1. 190/85, istitutiva
della «categoria dei quadri», alla quale si deve — insieme all'at
tuale testo del 1° comma dell'art. 2095 c.c. (che in origine reci
tava: «i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in diri
genti amministrativi o tecnici, impiegati e operai», arricchendo
il riferimento ai dirigenti con aggettivazioni in sé ben poco com
patibili con la professionalità del giornalista) — anche l'enun
ciazione degli embrionali criteri distintivi della nuova qualifica,
per la cui miglior specificazione essa ribadisce, chiarendo al con
tempo l'attuale portata delle previsioni del 2° comma dell'art.
2095 c.c., il rinvio «alla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla parti colare struttura organizzativa dell'impresa» (art. 2).
Salvo i ritardi del primo periodo, la contrattazione collettiva
Il Foro Italiano — 1999.
— così come in precedenza aveva fatto rispetto ad operai, im
piegati e dirigenti — ha risposto a tale mandato, provvedendo a delineare i caratteri distintivi dei quadri, di fatto in tutti i
settori, eccezion fatta — ancora una volta — per il settore gior
nalistico, dove nessuna traduzione contrattuale ha trovato nep
pure la qualifica di nuova istituzione e nessuna modifica è stata
apportata alla classificazione del personale di cui all'art. 11 ccnl
giornalistico. La chiarezza e reiterazione dei messaggi di totale disinteresse
ed estraneità rispetto ai canoni di classificazione del personale di cui all'art. 2095 c.c. escludono che un dictum del giudice diretto a trasferire all'interno del ccnl giornalistico la suddivi
sione e le qualifiche previste da detta norma possa ritenersi frutto
di un'interpretazione secondo la volontà delle parti, anziché con
tro la volontà delle parti. Un simile intervento additivo potrebbe essere giustificato solo
in quanto: a) le previsioni dell'art. 2095 c.c. imponessero, anzi
ché consentire, alle parti collettive di specificare i requisiti di
appartenenza alle qualifiche ivi richiamate; b) dall'inosservanza
di tale obbligo dipendesse la compressione di diritti garantiti da norme inderogabili di legge; c) la domanda giudiziale fosse
diretta ad ottenere il ripristino del diritto violato.
La premessa di un obbligo posto dall'art. 2095 c.c. alle parti
collettive, fors'anche compatibile con e nel sistema corporativo in atto nel 1942, ben poco si concilia con i principi di libertà
sindacale proclamati dalla nostra Costituzione; senza dire del
l'obiettiva perplessità data, rispetto alla complessiva logica del
la norma, dalla necessità di ricavare — in mancanza per i diri
genti di una fonte legale che offra in positivo i criteri distintivi
della qualifica — indicazioni utili da fonti collettive di altri set
tori, nonostante l'espresso richiamo operato dal 2° comma del
l'art. 2095 c.c. a criteri conformati ai diversi rami di produzio ne ed alla particolarità della struttura dell'impresa e nonostante
l'indiscutibile specificità del settore giornalistico rispetto ad ogni altro settore di produzione di beni o servizi.
Anche ad accantonare questi primi e non indifferenti ostaco
li, resterebbe — però — l'ulteriore impedimento delle altre due
mancanti condizioni, dal momento che non solo la voluta asten
sione delle parti collettive dalla qualificazione del rapporto del
direttore come rapporto dirigenziale non viola alcun diritto pro tetto da norme inderogabili di legge, ma che — al contrario — l'unica conseguenza di una coincidenza stabilita in via inter
pretativa tra le due figure sarebbe, come si è già anticipato, la sottrazione del direttore alla tutela data agli altri giornalisti dalla disciplina legale (neppur per essi, per il vero, direttamente
recepita dal ccnl giornalistico) limitativa dei licenziamenti: e cioè
esattamente l'opposto di ciò che il ricorrente chiede e vuole ot
tenere.
Né contro tale soluzione possono assumere valore determi
nante considerazioni alimentate dalla particolare intensità del
rapporto fiduciario editore/direttore e dalla difficoltà di conci liare con tale tipo di rapporto l'ordine di reintegrazione garanti to dalle previsioni dell'art. 18 statuto dei lavoratori, poiché:
— le parti collettive ben avrebbero avuto ed avrebbero la pos sibilità di concordare soluzioni alternative, posto che l'attuale
scissione tra direttore/giornalista e dirigente non dipende dalla
concettuale impossibilità di una loro eventuale equiparazione sul piano giuridico, ma sol dal fatto che tale equiparazione sul
piano giuridico non è stata stabilita da chi avrebbe avuto il po tere di provvedere in tal senso;
— che proprio l'esempio dato dalla contrattazione collettiva
dei dirigenti (tra l'altro applicata allo stesso responsabile della
«direzione programmi + 2», così come agli altri responsabili non giornalisti della medesima direzione) dimostra che esistono
strade intermedie tra il licenziamento ad nutum ed il licenzia
mento per giustificato motivo di cui all'ordinaria tutela dei la
voratori dipendenti, compatibili con un rapporto fiduciario di
intensità analoga a quello che lega editore e direttore; — che, in ogni caso, pur all'interno della categoria del giu
stificato motivo esiste una modulazione di valutazione, anche da parte del giudice, direttamente condizionata dalle specifiche caratteristiche del rapporto. (Omissis)
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