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sentenza 2 maggio 1985; Giud. Franco; imp. Di GiovanniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 399/400-403/404Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178039 .
Accessed: 24/06/2014 22:22
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PARTE SECONDA
riferimento ai requisiti uditivi, prescrivendo che chi intende
conseguire la patente di guida debba percepire « la voce di
conversazione per fonemi combinati » a distanza tanto più grande,
quanto più importante è la categoria di patente. Ciò, d'altronde,
si comprende benissimo se sol si consideri come l'udito abbia una
rilevanza importantissima nell'economia di una guida attenta e
rispettosa delle norme sulla circolazione stradale. Così, per esem
pio, l'approssimarsi di autoveicoli adibiti a servizi di polizia o
antincendi, nonché di ambulanze, con in funzione il dispositivo di
allarme impone agli altri utenti della strada di fermarsi e di
lasciare libero il passo (art. 126 cod. strad.), mentre nell'art. 579
reg. si specifica che i conducenti dei veicoli, appena avvertita una
segnalazione di allarme, devono tempestivamente portarsi sul
margine destro della carreggiata lasciando la maggior parte possi bile della carreggiata stessa libera al transito dei mezzi di
soccorso e quindi fermarsi. Gli art. 15 cod. e 122-127 reg.
prevedono, poi, dispositivi di segnalazione acustica dei passaggi a
livello, prescrivendo che i segnali debbono essere udibili a
distanza non inferiore a 100 metri (art. 124 reg.).
Consegue a quanto fin qui detto che la mancanza del requisito in esame — salva l'eccezione di cui all'art. 477 reg. — è di
ostacolo al conseguimento della patente. È possibile, tuttavia,
equiparare una sordità temporanea e volontaria, quale quella che
necessariamente deriva dall'uso di cuffie auricolari del tipo porta to dal prevenuto all'atto del controllo, alla sordità cronica di cui
evidentemente si occupano le norme testé esaminate? A parere del giudicante non solo ciò è possibile, ma è anzi doveroso. Il
codice della strada, nel richiedere all'art. 79 citato l'idoneità fisica e psichica evidentemente non può riferirsi che al momento del
guidare, poiché delle idoneità preesistenti esso si occupa, come si
è visto, in apposite norme. In altri termini, chi ha potuto conseguire la patente poiché non affetto, per restare in tema, da
sordità, all'atto concreto del guidare deve nondimeno verificare di essere in grado di udire. Se egli, al contrario, con l'applicazione di apparecchi del tipo in argomento, si rende volontariamente, anche se solo in via temporanea, sordo, la violazione dell'art. 79, 1° e 4° comma, è palese ed incontestabile.
PRETURA DI FIRENZE; PRETURA DI FIRENZE; sentenza 2 maggio 1985; Giud. Fran
co; imp. Di Giovanni.
Ingiuria e diffamazione — Diffamazione col mezzo della stampa — Attribuzione di un fatto determinato — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 595).
Non costituisce diffamazione col mezzo della stampa aggravata dall'attribuzione di fatto determinato, riferire, durante una cronaca giornalistica radiofonica, dell'affiliazione di due soggetti ad una loggia massonica organizzata e controllata dal capo della P2 Lido Gelli, ove il fatto sia vero, e definire un soggetto « latitante » se la circostanza sia sostanzialmente vera secondo il s,enso comune, anche quando giuridicamente non ne ricorra no gli estremi. (1)
(1) La sentenza, discostandosi dagli orientamenti restrittivi espressi in tema di diffamazione giornalistica dalla Cassazione civile e penale in recenti e assai discusse pronunzie, costituisce una conferma delle tendenze di segno maggiormente liberale proprie della giurisprudenza di merito in materia. Il pretore, piuttosto che ai modelli astratti di « lealtà » e « correttezza professionale » indicati dalla Cassazione (cfr. sent. 18 ottobre 1984, n. 5259, Foro it., 1984, I, 2711, con nota di
Pardolesi; 30 giugno 1984, Ansaloni, ibid., II, 531, con nota di
Fiandaca), ha mostrato di rifarsi alla concreta attività giornalistica, tenendo presenti sia la rapidità con cui normalmente un cronista deve svolgere il proprio lavoro, sia la prassi corrente seguita nelle redazioni per l'assunzione, la verifica e la estensione delle notizie. Simili criteri erano stati segnalati quali possibili (e auspicabili) correttivi dei limiti forse eccessivamente rigidi tracciati dalla Cassazione, da Fiandaca, Nuove tendenze repressive in tema di diffamazione a mezzo stampa?, (nota a Cass. 30 giugno 1984, Ansaloni), ibid. Conformemente a Pret. Firenze che si riporta, in analogo caso di attribuzione di un fatto
determinato, Trib. Roma 25 febbraio 1984, id., 1985, II, 124, con nota di richiami, che ha escluso il reato poiché le notizie oggetto della cronaca erano state attinte da una sentenza penale passata in giudica to; Trib. Roma 13 febbraio 1982, id. Rep. 1983, voce Ingiuria e
diffamazione, nn. 34-36, e in Esiste ancora il reato di diffamazione? — Analisi di un clamoroso caso giudiziario, a cura del Centro di
iniziativa giuridica Pietro Calamandrei, Roma, 1984, con i pareri pro-veritate di Gregori, Mantovani, Musco e Nuvolone, cui si rinvia
per un'ampia disamina delle problematiche connesse con l'esercizio del
Il Foro Italiano — 1985.
Fatto e diritto. — Con querela presentata in data 18 giugno
1984, l'avv. Federico Federici, che nel corpo d'i un articolo del
giornalista Gianni Di Giovanni, letto durante la trasmissione
radiofonica « Gazzettino Toscano » del 12 maggio 1984, gli era
stato falsamente attribuito uno stato di latitanza accostando il suo
■nome a quello di esponenti della loggia massonica P2.
Analoga doglianza avanzava Andrea Von Berger il quale, in
data 31 luglio 1984, presentava querela contro lo stesso giornali sta a mezzo del procuratore speciale avv. Paolo Paoli.
I due procedimenti venivano riuniti per connessione oggettiva e
soggettiva. Citato a giudizio all'odierna udienza per rispondere del delitto
di diffamazione aggravata continuata, il Di Giovanni si difendeva
asserendo di non aver avuto affatto l'intenzione di offendere la
reputazione di alcuno, ma di avere inteso esprimere delle consi
derazioni sul « fenomeno P2 » in relazione a quanto emerso dai
lavori della commissione parlamentare Anselmd di grande attua
lità in quei giorni. Nel processo si costituivano parte civile il Federici personal
mente e il Von Berger a mezzo del procuratore speciale, l'avv.
Paolo Paoli. Era altresì presente, con procuratore speciale, la
R.a.i.-Radiotelevisione italiana, citata quale responsabile civile su
richiesta dell'avv. Federici.
Era quindi ascoltato come teste il Federici, il quale forniva
esaurienti precisazioni sulla sua posizione personale anche in
relazione ai diversi procedimenti penali nei quali aveva assunto
la qualità di imputato. Prodotti numerosi documenti, prendevano la parola il patrono
delle parti civili, il p.m. e il difensore che concludevano come da
verbale.
Va subito puntualizzato in fatto che i'1 testo dell'articolo del Di
Giovanni, quale risulta dalla trascrizione allegata alla querela Federici (è peraltro in atti una microcassetta con la registrazione) deve essere considerato esatto poiché per tale riconosciuto dallo stesso imputato: la difformità del cognome di uno dei querelanti, e cioè « Federigi » invece di « Federici », non ha alcun rilievo trattandosi evidentemente di un trascurabile cambiamento nella
pronuncia senza alcun riflesso sulla perfetta riferibilità all'attuale
parte civile delle considerazioni riportate nell'articolo.
II processo si occupa, dunque, del contenuto di un pezzo giornalistico e pertanto devono essere tenute presenti quelle regole di carattere deontologico fissate con riferimento alle norme
penali dalla recente e nota sentenza 30 giugno 1984 delle sezioni unite della Suprema corte (Foro it., 1984, II, 531).
Per rientrare, dunque, nell'esericzio del diritto di cronaca ed essere conseguentemente non soggetto alle sanzioni penali per ingiuria o diffamazione, il pezzo giornalistico deve avere un interesse sociale inteso in senso lato, deve essere redatto in forma
diritto di cronaca; Trib. Torino 14 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 33, e in Giur. merito, 1983, 1005, con nota di Ferrante, circa la questione dell'ammissibilità della c.d. scriminante putativa nei casi in cui il giornalista abbia divulgato informazioni erroneamente ritenute vere. In linea con l'orientamento espresso nella sentenza in epigrafe si è espresso in dottrina Ramacci, Cronaca e verità, in Studi Musotto, Palermo, 1981, IV, 250; in senso critico nei confronti dei tentativi di vincolare i giornalisti alla verità assoluta dei fatti, circoscrivendo l'ambito della cronaca ad un resoconto tendenzialmente obiettivo delle notizie, cfr. inoltre Cavalla, L'obiettività nell'informa zione, in AA.VV., Tutela dell'onore e mezzi di comunicazione di massa, Milano, 1979, 214 ss.
Per una definizione dei presupposti dell'aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, Cass. 10 aprile 1981, Ferraresi, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 14. Circa la responsabilità civile per il reato di diffamazione e la conseguente azione di risarcimento del danno v. Trib. Roma 15 novembre 1983, id., 1985, I, 281, con nota di richiami (fattispecie di falsa attribuzione della qualifica di affiliato alla masso neria).
Come si accennava, in senso contrario alla decisione qui riportata, si è ripetutamente pronunziata la Corte di cassazione, considerando scriminata soltanto la cronaca vera: sent. 26 marzo 1983, Dotti, Narducci, id., Rep. 1984, voce cit., n. 33; 26 ottobre 1983, Pannella, id., 1984, II, 386, con nota di Rapisarda; 15 ottobre 1982, Fassari, id., Rep. 1983, voce cit., n. 31; 22 giugno 1982, Bacchetti, ibid., n. 29; 21
aprile 1982, Bocca, ibid., n. 28; 16 aprile 1982, Bianchi, ibid., n. 26; 25 marzo 1982, Giardina, ibid., n. 10; 11 marzo 1982, Pandolfo, ibid., n. 24; 12 gennaio 1982, Lo Greco, ibid., n. 20; 16 luglio 1981, Caprara, ibid., n. 19; 11 febbraio 1981, Gravato, ibid., n. 17; cfr. altresì, nella giurisprudenza di merito, App. Milano 10 novembre 1983, id., 1984, II, 185, con nota di richiami, che ha ritenuto diffamatoria la qualifica, pur risultata vera, di « confidente dei servizi segreti », attribuita ad un noto esponente dei movimenti extraparlamentari dell'estrema destra; Trib. Bolzano 21 gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 15.
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GIURISPRUDENZA PENALE
civile ed essere infine rispondente alla verità o, comunque, l'attendibilità delle affermazioni deve essere stata diligentemente controllata.
Nella specie, è certa la sussistenza dell'interesse per il pubblico. In particolare, nel periodo nel quale andò in onda la trasmissio
ne, le vicende legate alla loggia massonica P2 si imponevano all'attenzione generale per le implicazioni di carattere politico, sociale e -di costume; è comprensibile, quindi, che l'interesse — o,
anche, la curiosità — di lettori e ascoltatori fosse appagata dai
giornalisti che diffondevano le notizie ricevute da fonti ufficiali o
semiufficiali, aggiungendovi note di commento destinate a sottoli
neare i fatti di maggior spicco o, rendere meglio comprensibili le
informazioni.
A tale stregua l'articolo dell'imputato contribuiva senz'altro a
soddisfare esigenze di cronaca su situazioni o circostanze di
indubbio interesse attuale.
Brevi parole anche sulla veste formale del « pezzo ». A parere di questo pretore, il compito assegnato al giudice dalla Suprema corte sul punto è delicatissimo e, forse, addirittura troppo pene trante. Non sembra compito specifico dell'interprete quello di
sindacare la correttezza del lavoro svolto da professionisti' qua lificati a meno di non ridurre l'apprezzamento ad una verifica
molto « leggera » volta ad escludere che si sia usato un frasario o
un « taglio » grossolanamente aggressivo dell'altrui patrimonio
morale; e in tal senso nessun rilievo è da muovere all'articolo
dell'imputato come conferma una lettura anche superficiale. La decisione si riduce quindi solo ad accertare la verità delle
affermazioni fatte dal Di Giovanni o l'uso di cautele nel control
lare l'attendibilità delle stesse. E cioè, in sostanza, a stabilire se
davvero il Federici e il Von Berger appartenessero alla loggia P2
e si trovassero in stato di latitanza.
Qui è necessaria una considerazione. Sembra ovvio al giudican te che l'uso dei termini da parte dell'imputato giornalista non
debba essere valutato in senso restrittivo o, addirittura, tecnico. £
evidente che colui il quale deve fornire notizie o commenti al
pubblico ha da tener ben presente che non si rivolge solo a
specialisti o a raffinati e puntigliosi cultori della lingua italiana,
ma, al contrario, deve sforzarsi di rendere comprensibile a
Chiunque l'informazione che divulga. Tale esigenza è tanto più
urgente nel campo della diffusione radiofonica la quale, per sua
natura, viene percepita in brevissimi istanti e non lascia all'ascol
tatore la possibilità di riletture o approfondimenti, come invece
può fare colui che ha davanti un articolo scritto; di conseguenza, le espressioni usate dai giornalisti della radio devono essere tali
da colpire immediatamente l'ascoltatore con una evidenza che
consenta la piena comprensione del senso dell'intero discorso nel
momento stesso della percezione.
Con tale premessa veniamo a valutare le due affermazioni del
Di Giovanni sulle parti offese.
L'aw. Federici, deponendo come teste, è stato correttissimo, leale ed esauriente ed i fatti da lui affermati (oltretutto accertati
anche dalla difesa dell'imputato) vanno tenuti per veri. Ha detto,
dunque, il querelante che né lui, né il Von Berger erano inclusi
nelle liste della loggia P2 ritrovate presso Licio Gelli: ha
precisato però di aver avanzato domanda di iscrizione senza
ottenere l'affiliazione alla loggia perché l'iter non si era ancora
conoluso al momento della scoperta delle liste. Peraltro, il Federi
ci ha confermato che sia lui che il Von Berger erano isoritti nella « superloggia » di Montecarlo organizzata dal Gelli; anzi, la parte offesa ha precisato che tale loggia era sorta proprio per costituire
una sorta di serbatoio nel quale far confluire quegli iscritti alla
P2 che non volessero aderire alla massoneria tradizionale in caso
di sconfessione (praticamente certa) della P2 da parte della
organizzazione massonica ufficiale.
Ciò significa — e tale conseguenziale deduzione la trae il
giudicante — che vi era una sostanziale identificazione tra la P2
(almeno nella sua parte più significativa, in primis Gelli) e la
loggia di Montecarlo specialmente nella destinazione finale di
quest'ultimo. Allora, se tale è la realtà, non può negarsi1 sostanzia
le veridicità alla notizia diffusa dal Di Giovanni poiché nell'in
formazione da fornire al pubblico, la distinzione formale fra
logge non poteva avere significato posto che sia la P2 che la
Montecarlo erano animate e controllate da Licio Gelli: sicché gli affiliati ad entrambe andavano considerati come seguaci di costui, « Vulgo », piduisti.
Per questa parte, dunque, l'informazione offerta dal giornalista era sostanzialmente rispondente alla realtà e la sua divulgazione deve essere considerata legittima sotto il profilo penale.
Più articolato il discorso circa l'attribuzione dello stato di « latitanza » ai due querelanti.
Il Foro Italiano — 1985.
Secondo la definizione tecnico-giuridica (art. 268 c.p.p.) latitante
è « chi volontariamente si sottrae all'esecuzione di un mandato di
cattura ovvero di un ordine di cattura, d'arresto o di carcerazio
ne ». Orbene, se in tutta l'attività attinente l'amministrazione
della giustizia al termine non può essere assegnato significato diverso da quello sopra riportato, è comprensibile come nel
parlare comune il rispetto rigoroso della nozione processuale non
sia doveroso e, del pari, non necessario. Per le considerazioni
■svolte in precedenza, la comunicazione attraverso il linguaggio ordinario può avere una maggiore elasticità per essere immedia
tamente comprensibile senza, beninteso, travalicare certi limiti.
Così, in uno scritto o in un discorso rivolti ad un pubblico indeterminato, non può usarsi il termine « latitante » come
sinonimo di « non presente » poiché la connotazione sfavorevole connessa al primo aggettivo (quando non usato scherzosamente) è
suscettibile di gettare discredito sulla persona quale è riferita.
Sembra, invece, al giudicante che sia legittimo qualificare « latitante » non solo colui che si sottrae ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, ma anche chi evita senza
giustificato motivo di assumersi ogni responsabilità del proprio
agire negandosi al confronto con le autorità per fornire chiari
menti o giustificazioni su comportamenti bisognevoli di una
qualche precisazione.
E questo è appunto il caso del Vom Berger. Egli, come risulta
dalle copie di quotidiani acquisite in atti (ma il fatto è d'altro
canto notorio in Firenze), si allontanò repentinamente dalla città
nella quale ricopriva cariche pubbliche non secondarie, non
rientrando più da un viaggio all'estero intrapreso per motivi del
suo ufficio. Da allora, il Von Berger non è più tornato in Italia, non si è neppure presentato a rispondere al giudice che aveva emesso nei suoi confronti un mandato di accompagnamento. Tale modo di agire è, almeno, singolare e legittima il dubbio circa una
precisa volontà del querelante di volersi sottrarre ad ogni con fronto allo scopo di evitare conseguenze ipoteticamente sgradevoli. Se poi si pone mente al fatto che il mandato di accompagnamen to è certamente un provvedimento coercitivo della libertà perso nale — anche se non restrittivo di essa — si deve concludere che
in rapporto alla situazione complessiva il termine « latitante »
nella sua nozione meno tecnica sopra accennata non è stato usato
illecitamente.
Diversissima la posizione del Federici. Questi, in un primo
tempo arrestato e detenuto in Svizzera dal 22 settembre 1982, venne poi estradato in Italia e qui trattenuto in stato di carcera zione preventiva per qualche giorno fino alla concessione della
libertà provvisoria I'll marzo 1983; successivamente, l'ordine di
cattura venne revocato dai giudici di secondo grado. Da allora, nessun provvedimento restrittivo è stato ripreso contro il Federici al quale è stato altresì restituito il passaporto che gli consente di entrare ed uscire dall'Italia senza alcuna limitazione. Evidente
mente, in tale situazione una permanenza più o meno lunga all'estero, non ha nulla di sospetto e rientra nella libertà di scelta individuale tanto più che frequentemente il Federici è presente in
Italia: e infatti anche oggi era regolamente presente al processo per rendere la sua testimonianza.
Allora, nulla giustificava per lui l'uso del termine « latitante »
da parte dell'imputato il quale, cosi definendo la parte offesa, ne lese la reputazione ingenerando negli ascoltatori l'erroneo con vincimento che il Federici si fosse surrettiziamente sottratto al
giudizio sui suoi atti.
Né può giovare al Di Giovanni l'esistenza del segreto istrutto rio e quindi1 l'impossibilità per lui di accertare la reale posizione giuridica e personale del Federici. È infatti intuitivo che, ove la veridicità di una notizia suscettibile di recare danno ad altri non
possa essere controllata, rientra nei precisi obblighi professionali e giuridici del giornalista astenersi dal comunicarla o, peggio, darla per certa indirettamente attraverso un commento sfavorevo le.
Il Di Giovanni va, quindi, dichiarato responsabile di diffama zione in danno del solo Federici.
Considerata l'incensuratezza dell'imputato, si concedono le atte nuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante speciale con testata. Pena equa si stima quella di lire 50.000 di multa.
A carico del Di Giovanni vanno poste le spese processuali. Nulla ostandovi, si concede la non menzione della condanna
nel certificato del casellario giudiziario.
L'imputato, in solido con il responsabile civile, va poi condan nato al risarcimento danni verso la parte civile nella misura che sarà liquidata con separato giudizio.
Quanto alla richiesta di provvisionale, il giudicante non ritiene di accoglierla. Infatti, la risonanza della notizia non vera fornita
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PARTE SECONDA
dal Di Giovanni non è stata sicuramente enorme sia pear la brevità dell'intero pezzo che per la forma quasi incidentale con la quale è stato fatto riferimento al Federici. Così l'ordinare la diffusione della notizia contraria con la risonanza enormemente
maggiore richiesta dal querelante non ristabilirebbe l'equilibrio violato ma produrrebbe una sproporzione ben più consistente in senso contrario. (Omissis)
PRETURA DI MODENA; PRETURA DI MODENA; sentenza 30 aprile 1985; Giud. Per
sico; imp. Mucoi e altro.
Animali (uccisione, danneggiamento, maltrattamenti, omessa cu stodia e malgoverno) — Maltrattamento di animali — Reato —
Fattispecie (Cod. pen., art. 727).
Integrano il reato di maltrattamento di animali i giuochi cosi detti della « cattura delle anatre » e del « maiale unto », consistenti il primo nella caccia ad alcune anatre chiuse dentro un recinto, ed il secondo nella cattura di un suino dal corpo spalmato di sostanza grassa, in quanto cagionano uno stato di collasso cardiocircolatorio nelle bestie e comunque comportano il pati mento di dolori fisici. (1)
Fatto e diritto. — In data 6 ottobre 1983 perveniva alla
procura della repubblica di Modena un esposto in data 29 agosto 1983 della sezione modenese dell'E.n.p.a. — Ente nazionale prote zione animali — che segnalava lo svolgimento in località « La Grande » di Nonantola della « sagra del maiale unto », nonché dell'annesso gioco della « cattura delle anatre », evidenziando che vari tutori dell'ordine avevano presenziato ai due giochi, senza sentire il dovere di intervenire, tra le proteste di taluni spettatori, indignati per il trattamento inflitto agli animali.
Gli atti pervenivano alla Pretura di Modena per competenza im data 10 ottobre 1983. Svolti gli opportuni accertamenti, per identificare gli organizzatori della manifestazione, in data 23
maggio 1984 veniva emesso decreto penale di condanna a lire 200 mila di ammenda ciascuno per il parroco don Emanuele Mucci e
per la religiosa suor Isabella, al secolo Chilese Maria, che
figuravano come firmatari del volantino-programma, diffuso dal comitato organizzatore della festa 1983 della chiesa di « La Grande » del 28 agosto 1983.
I due condannati proponevano rituale opposizione e, citati con decreto 7 febbraio 1985, comparivano all'udienza.
La Chilese respingeva qualunque consapevolezza ed organizza zione nel fatto, assumendo di occuparsi solo dei corsi catechistici
per i bimbi della parrocchia, e rilevando che il suo nome in calce al volantino era stato apposto a sua insaputa e senza il suo consenso.
Non essendo emersa alcuna valida prova di una effettiva
organizzazione, addebitabile a suor Isabella, e tenuto conto delle
sue mansioni, del suo incarico prettamente religioso e delle
discolpe, va accolta la sua tesi difensiva: va pertanto assolta per non aver commesso il fatto.
Diversa trattazione si impone per la posizione di don Mucci, il
quale, a riprova del suo asserito buon diritto, ha prodotto copia della sua istanza 25 agosto 1983 al sindaco di Nonantola, che in data 26 agosto 1983 gli rilasciava regolare autorizzazione per organizzare la « sagra del maiale unto ».
In fatto non è contestata la descrizione dei due giochi, che risulta nell'esposto dell'E.n.p.a. corredato di ampia descrizione,
(1) Più che per un effettivo contributo all'elaborazione giurispruden ziale in tema di maltrattamento di animali, la sentenza in epigrafe si segnala per la singolarità della fattispecie concreta che ne è oggetto.
In linea con l'orientamento dominante, il Pretore di Modena indivi dua l'oggetto della tutela dell'art. 727 c.p. nel sentimento di pietà e affetto verso gli animali nutrito dalla generalità dei consociati: cfr. Cass. 24 settembre 1982, Bordin, Foro it., Rep. 1983, voce Animali (ucci sione), n. 1; 23 maggio 1979, Carpanese, id., 1981, II, 380, con nota di Iacoboni (fattispecie di vivisezione in reparto chirurgico universitario, ove il reato è stato escluso in ragione del fatto che gli esperimenti, non svolgendosi in pubblico, non erano atti a suscitare alcun turbamento presso l'opinione pubblica). Nello stesso senso, in dottrina, Coppi, Maltrattamento o malgoverno di animali, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1975, XXV, 266.
Circa la posizione degli enti protezionistici nel processo penale, cfr. Cass. 23 maggio 1979, Carpanese, cit., nonché Iacoboni, Costituzione di parte civile degli enti collettivi e postille in tema di lesione degli interessi superindividuali, alla luce di un decennio di giurisprudenza, in Foro it., 1982, II, 185 ss.
Il Foro Italiano — 1985.
nonché di fotografie per la parte riguardante il gioco del maiale. Nessun dubbio sussiste dunque sulla circostanza che le anatre
venissero rincorse dai bambini e afferrate, a scopo di gioco, per il
collo e le ali, determinando i loro disperati tentativi di sottrarsi alla presa dei vincitori. Detta condotta, nella materialità, integra senza dubbio la fattispecie della prima parte della norma dell'art. 727 c.p. e la relativa responsabilità non può non gravare sull'or
ganizzatore e promotore don Mucci.
Peraltro, assai più significatila e grave, per le conseguenze del
fatto, appare la seconda parte della festa, propriamente denomi nata « sagra del maiale unto ». Iti detto gioco, di cui si asserisce
l'origine addirittura medioevale nella tradizione della Padania, gli animali vengono spalmati di sostanza grassa e vengono inseguiti ed afferrati, prevalentemente nel ventre, in una sorta di rudimen tale rodeo emiliano.
Le tre fotografìe prodotte daM'E.n.p.a. dimostrano iti modo non
equivoco le condizioni finali di sfinimento degli animali utilizzati, i quali, dopo il lungo inseguimento e le energiche apprensioni,
gravati dal peso e dalla mole, giacciono a terra sfiniti, in preda a
vero e proprio collasso cardiocircolatorio, come ben evidenziato
nella originaria denunzia, tant'è che in loco si suggeriva... nien
temeno ohe di praticare loro dei cardiotonici per rianimarli.
La ragione incriminatrice: la tutela degli animali. — Secondo
la giurisprudenza consolidata, il bene tutelato dalla norma sareb
be soltanto il sentimento di pietà e di affetto verso gli animali, che la generalità dei consociati nutre nella nostra civiltà, sicché
in particolare assai diseducativo sarebbe il gioco delle anatre e
del maiale, in quanto praticato verso un pubblico di spettatori in gran parte bambini ed adolescenti.
Siffatta interpretazione delle norme va senza dubbio accolta, ma non appare del tutto esauriente. Ben può affermarsi che, nell'attuale sviluppo di una coscienza ecologica ed etologica dei
cittadini, gli animali in genere, ed in particolare quelli apparte nenti alle classi degli uccelli e dei mammiferi, sono considerati
non soltanto dei beni materiali ed economici, ma esseri viventi,
partecipi del grande mistero della creazione e della vita, e quindi meritevoli iti sé di tutela.
La coscienza individuale e collettiva riprova le sofferenze
cagionate agli animali senza una giustificazione necessaria, o per la vita di sostentamento dell'uomo o per lo sviluppo della
scienza. Tant'è che un complesso di norme legislative disciplina e
sottopone a formalità, tecniche di riduzione del dolore e procedu re autorizzative, le stesse modalità di macellazione, uccisione,
vivisezione, ed al riguardo, anzi, si deplora da gran parte una
carenza di più rigorosi interventi normativi.
È oramai patrimonio comune della cultura umana che anche
gli animali non solo soffrono fisicamente, ma anche hanno diretta
percezione del male fisico, attraverso il meccanismo del « dolo
re », che costituisce per la nostra civiltà una delle grandi tematiche della scienza e della psicologia.
Nel caso di specie è fuor di dubbio ohe le anatre prescelte per l'infantile gioco e ancor più i grassi maiali venissero sottoposti a
trattamento a loro percettibile, sotto specie di « dolore » nonché
di « terrore », per la quasi inevitabilità del male attraverso la
disperata, ma vaina fuga nel recinto organizzato.
Pertanto, in linea di fatto e di diritto, la fattispecie resta
provata, nella sua integrale consumazione, che, per i maiali, deve
ritenersi definita dal 3° comma, delle « sevizie », attese le finali
condizioni di stress a cui gli animali pervenivano, con perdita dei
riflessi neurologici e grave collasso cardiocircolatorio.
Peraltro l'imputato don Mucci invoca due cause di giustifica zione, che vanno separatamente esaminate.
Se l'autorizzazione comunale discrimini. — L'imputato non
soltanto non ha saputo esporre alcuna fonte esegetica o dottrinale
da cui egli, nella sua intima convinzione, potesse trarre la
soggettiva opinione della liceità della sua condotta, ma ha invoca
to il possesso di regolare licenza del sindaco. È appena il caso
di osservare che un provvedimento autorizzativo, dettato da
esigenze di sicurezza pubblica, in quanto la sagra era uno
spettacolo in luogo pubblico, non crea nessuna preclusione alla
indagine penalistica sulla liceità del fatto, né pretendeva certo di
crearla.
Le esigenze poste alla base del provvedimento di licenza
comunale attengono allo svolgimento in pubblico della sagra e
non concedono né potevano concedere alcuna deroga alla vigenza della legge penale. Pertanto detto provvedimento, sul punto delle
modalità tecniche di svolgimento dei due ricordati giochi, esorbita
dai confini normativi per violazione totale di legge e, pertanto, va
disapplicato e dichiarato di nessun ostacolo alla sanzione penale a carico del soggetto autorizzato.
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