sentenza 2 marzo 1999; Giud. Mariconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco diDesio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1339/1340-1349/1350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195399 .
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1339 PARTE PRIMA 1340
cessiva all'iscrizione, richiesta in misura pari a quella dovuta
per la prima iscrizione, essendo evidente l'insussistenza dei costi
affrontati in sede di tassa annuale di rinnovo, allorché nessun
atto societario deve essere depositato all'ufficio competente, al
di là della prova dell'avvenuto pagamento della tassa».
Nella fattispecie in oggetto, si osserva che la tassa annuale
prevista dalla citata 1. 448/98 a carico delle società per azioni
ed in accomandita per azioni è addirittura superiore a quella di lire 500.000 stabilita per l'iscrizione dell'atto costitutivo.
Deve, pertanto, concludersi che la tassa annuale di rinnovo, così come determinata nel 1° comma del citato art. 11 1. 448/98,
rappresenta una remunerazione, la cui entità è priva di qualun
que nesso con il costo del servizio concretamente reso, non ap
parendo in alcun modo calcolata in funzione del costo dell'ope razione di cui essa costituisce il corrispettivo e pertanto non
può non essere considerata come un tributo che ricade sotto
il divieto di cui all'art. 10 della direttiva 17 luglio 1969 n.
69/335/Cee, con conseguente disapplicazione della normativa
italiana citata che ha reintrodotto l'imposizione della suddetta
tassa sul rinnovo annuale dell'iscrizione delle società.
D'altra parte, si evidenzia, operando a fini concreti un sem
plice ma efficace raffronto, che l'imporre una tassa periodica annuale per la mera esistenza in vita di una società (posto che
qualunque atto successivo all'iscrizione è assoggettato al paga mento di singoli, specifici diritti), sarebbe come pretendere dal
titolare di un conto corrente bancario una tassa periodica in
relazione alla mera circostanza della esistenza del conto, nono
stante il pagamento, volta per volta, da parte del suo titolare, delle commissioni bancarie per i servizi richiesti all'istituto.
Oppure, sarebbe come imporre ai soggetti parti di una causa
civile, successivamente al pagamento dei diritti relativi alla nota
di iscrizione a ruolo, una tassa periodica annuale, durante il
periodo di pendenza della causa, nonostante il versamento dei
diritti di cancelleria connessi ai singoli atti del giudizio. (Omissis) In conclusione, la pubblica amministrazione convenuta va con
dannata al pagamento in favore della Service s.r.l. della somma
complessiva di lire 2.000.000.
7. - Interessi. Su tale importo spettano gli interessi di mora
nella misura di cui all'art. 1 1. 29 gennaio 1961 n. 29, ai sensi
dell'art. 5 medesima legge, a tenore del quale «sulle somme pa
gate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non do
vute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudi ziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella misura
di cui al precedente art. 1 a decorrere dalla data della domanda
di rimborso». Il dies a quo del debito di interessi, com'è fatto
palese dal riferimento normativo anche all'eventuale decisione
amministrativa di non debenza delle somme pagate, va indivi
duato nella data di presentazione dell'istanza di rimborso (28
giugno 1991) ex art. 11 d.p.r. 641/72.
La misura degli interessi è pari al 4,5 per cento semestrale
sino al 31 dicembre 1993 (ex art. 7 1. 11 marzo 1988 n. 67), al 3 per cento semestrale dal 1° gennaio 1994 (ex art. 13, 2°
comma, d.l. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella 1. 133/94) e, da ultimo, al 2,5 per cento semestrale a decorrere dall'I gen naio 1997 (ex art. 3, comma 141, 1. 23 dicembre 1996 n. 662).
Considerata la specialità della norma non v'è spazio per il
riconoscimento dell'eventuale maggior danno da svalutazione
monetaria ex art. 1224, 2° comma, c.c. (trattasi pur sempre di debito di valuta).
Non si ritiene di applicare sulle somme dovute gli interessi — al minore tasso del 2,5 per cento annuo dalla data di presen tazione dell'istanza — previsto dal 3° comma del citato art.
11 1. 23 dicembre 1998 n. 448, data la specialità di tale norma
(originata da una rigida scelta legislativa dettata da ragioni fi
nanziarie presumibilmente connesse con l'andamento economi
co dello Stato italiano) ed il trattamento di sfavore che essa
riserva al soggetto creditore, potendo, pertanto, la stessa riguar dare esclusivamente le fattispecie di rimborso parziale (e non
integrale, come nel caso di specie) derivanti dall'applicazione della disciplina prevista dall'art. 11 cit., secondo il quale: «Le
società che negli anni indicati nel 1° comma hanno corrisposto la tassa sulle concessioni governative per l'iscrizione nel registro delle imprese e quella annuale, ai sensi dell'art. 3, 18° e 19°
comma, d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito, con modifica
zioni, dalla 1. 17 febbraio 1985 n. 17, possono ottenere il rim
borso della differenza fra le somme versate e quelle dovute a
norma del citato 1° comma, sempre che abbiano presentato istan
za di rimborso». (Omissis)
Il Foro Italiano — 1999.
I
TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 2 marzo 1999; Giud. Ma
riconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco
di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo).
TRIBUNALE DI MONZA;
Contratti bancari — Interessi — Contratto stipulato anterior
mente alla 1. 154/92 — Rinvio alle condizioni praticate usual
mente sulla piazza — Validità (Cod. civ., art. 1284; 1. 17 feb
braio 1992 n. 154, norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari).
Contratti bancari — Interessi — Capitalizzazione trimestrale —
Validità (Cod. civ., art. 1283).
È valida la clausola, contenuta in contratto bancario stipulato anteriormente all'entrata in vigore della l. 154/92, con la quale si rinvia, per la determinazione del tasso degli interessi dovuti
dal cliente, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza. (1) È valida la clausola, contenuta in contratto bancario, con la
quale si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi
maturati a carico del cliente. (2)
II
TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 23 febbraio 1999; Giud.
Calabro; Soc. New Trade e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco
di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo).
Contratti bancari — Interessi — Capitalizzazione trimestrale —
Nullità (Cod. civ., art. 1283).
È nulla la clausola, contenuta in contratto bancario, con la quale sì prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi matu
rati a carico del cliente. (3)
III
TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 4 febbraio 1999; Pres. Mie
le, Est. Vannicelli; De Cesare (Avv. Morlini, Fiorito) c.
Banca di credito cooperativo di Sesto San Giovanni (Avv. Del Vicario).
Contratti bancari — Interessi — Contratto stipulato anterior
mente alla 1. 154/92 — Rinvio alle condizioni praticate usual
mente sulla piazza — Nullità — Conseguenze (Cod. civ., art.
1284; 1. 17 febbraio 1992 n. 154, art. 4, 5; d.leg. 1° settembre 1993 n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e cre
ditizia, art. 117).
È nulla la clausola, contenuta in contratto bancario, con la quale si rinvia, per la determinazione del tasso degli interessi dovuti dal cliente, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza; alla dichiarazione di nullità consegue l'applicazione, fino al l'entrata in vigore della l. 154/92, del tasso di interesse legale e, successivamente, del tasso nominale massimo dei buoni or dinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto. (4)
(1-4) I contrasti, anche profondi, all'interno del medesimo ufficio
giudiziario, sono sintomatici di una fase di transizione, dall'opacità alla
trasparenza nei rapporti bancari, che non può ancora dirsi conclusa. Tra le decisioni qui riprodotte, pressoché contemporanee, è quella
depositata da ultima a dimostrare il più alto grado di fedeltà agli sche mi tradizionali, andando in direzione opposta rispetto alla pronuncia sub II, per quanto concerne la legittimità dell'anatocismo bancario, ed a quella sub III, relativamente alla validità della clausola di rinvio alle condizioni praticate sulla piazza ed alla connessa questione dell'effica cia degli estratti conto approvati dal cliente.
La sorte delle clausole di rinvio agli usi contenute nei contratti stipu lati anteriormente alla 1. 154/92 sembra segnata, non già in virtù del
l'applicazione diretta della nuova disciplina (di carattere irretroattivo: cfr. Cass. 16 giugno 1997, n. 5379, Foro it., Rep. 1997, voce Contratti
bancari, n. 34), ma per un fenomeno di evoluzione sul piano interpreta tivo: sulla scia dell'orientamento ormai prevalente in seno alla Suprema corte (alla stregua del quale il rinvio agli usi di piazza può considerarsi sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio di interesse, fissate su scala nazionale con accordi di cartello: in questi termini, da
ultimo, Cass. 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706; 8 maggio 1998, n. 4696, ibid., n. 496; in senso divergente, tuttavia, Cass. 9 dicembre
1997, n. 12453, id., Rep. 1997, voce Fideiussione, n. 31 [per esteso, Giur. it., 1998, 1644, con nota di M. Massironi], e 16 giugno 1997,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 28
gennaio 1998 la Sicema Iwt s.p.a. in liquidazione e il sig. Mario
Maggioni hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n.
ing. 535/97 concesso dal presidente del Tribunale di Monza il 19 novembre 1997 e con il quale la Sicema è stata condannata a corrispondere, in via solidale con il proprio fideiussore, sig.
Maggioni, a favore del Banco di Desio e della Brianza, l'impor to complessivo di lire 734.292.210 corrispondente alla somma
toria dello scoperto del conto corrente bancario n. 2804/00, ac
ceso dalla Sicema presso la filiale di Cesano Maderno, allo sco
perto del conto speciale anticipi su fatture n. 2804/00 e al capitale portato da un pagherò tornato insoluto.
Nell'atto introduttivo del giudizio gli opponenti hanno chie
sto la revoca del provvedimento • itorio contestando la legit
timità sia del riconoscimento degli interessi passivi in favore
del Banco di Desio, in misura ultralegale e in conformità ad
una clausola contrattuale che rinviava, per la determinazione
del tasso, alle «condizioni usualmente praticate sulla piazza» sia della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi che
violerebbe il divieto del c.d. anatocismo fissato dall'art. 1283 c.c.
Costituendosi, il Banco di Desio e della Brianza ha chiesto
il rigetto della proposta opposizione rilevando, in primo luogo, che la Sicema, quale debitrice principale, non aveva mai conte
stato gli estratti di conto corrente di volta in volta inviati dall'i
stituto di credito e relativi ad un rapporto che era sorto nel
lontano 1974, estratti sui quali, inoltre, era sempre indicato il
tasso di interesse passivo in concreto applicato, e ciò in osse
quio alla legislazione sulla c.d. trasparenza bancaria. Infine, la
legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi discen
derebbe dalla circostanza che lo stesso art. 1283 c.c., dopo ave
re sancito il divieto del c.d. anatocismo, fa comunque salvi gli «usi contrari», formula con la quale il legislatore ha inteso rife
rirsi agli usi normativi, primi fra tutti, a quelli nati proprio nei rapporti bancari.
Compiuta la necessaria istruttoria essenzialmente tramite pro duzioni documentali e precisate le conclusioni in data 19 no
vembre 1998, la causa, scaduti i termini concessi per il deposito
n. 5379, cit.), v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 19 feb braio 1998, e Pret. Catania, decr. 30 luglio 1998, Foro it., 1998, I, 2998, con nota di A. Palmieri; Trib. Trani, decr. 27 febbraio 1998,
ibid., 2566; Trib. Genova 24 gennaio 1997, id., Rep. 1997, voce Inte
ressi, n. 20 (e Fallimento, 1997, 1026); per l'applicazione, in caso di
nullità della pattuizione relativa agli interessi, dei criteri integrativi det tati dalla 1. 154/92 e dal d.leg. 385/93, limitatamente alle obbligazioni sorte in epoca successiva all'entrata in vigore di tali provvedimenti, v. Trib. Roma 19 febbraio 1998, cit. Nel senso che è nulla la clausola
che, per la determinazione del tasso degli interessi ultralegali, rinvia
al prime rate, v. Trib. Verona 24 gennaio 1997, Giur. merito, 1997,
949, con nota di A. Volanti, La determinazione degli interessi nei con
tratti bancari. Per la nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestra
le degli interessi passivi, v., oltre a Cass. 30 marzo 1999, n. 3096, e
16 marzo 1999, n. 2374, in questo fascicolo, I, 1153, con nota di richia
mi e osservazioni di A. Palmieri e R. Pardolesi, Trib. Busto Arsizio
15 giugno 1998, Foro it., 1998, I, 2997, con la citata nota di A. Palmie ri (cui si rinvia per ulteriori riferimenti). L'esistenza di un uso normati vo che giustifica l'applicabilità dell'anatocismo in materia bancaria è,
peraltro, ribadita da Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675, id., Mass., 1337, e 17 aprile 1997, n. 3296, id., Rep. 1997, voce cit., n. 13, nonché da
Trib. Roma 7 novembre 1996, Mondo bancario, 1997, fase. 5, 51, con
nota di G. Gallo, Gli usi normativi nel riferimento alla disciplina dei
contratti prevista dal t.u. bancario. Da notare che, per giustificare l'il
legittimità dell'anatocismo bancario, oltre al consueto argomento relati
vo alla carenza di valore normativo dell'uso che prevede la capitalizza zione degli interessi passivi, i giudici sono alla ricerca di nuovi appigli
normativi; se Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, cit., scorgeva possibi li contrasti con la nuova legislazione sull'usura, la sentenza riportata sub II richiama, da un lato, lo squilibrio contrattuale sanzionato dal
l'art. 1469 bis c.c. (peraltro, ancorché si ritenga assoggettabile al con
trollo di vessatorietà la clausola relativa agli interessi anatocistici [cfr. P. Sirena, in Le clausole vessatorie nei contratti dei consumatori a
cura di G. Alpa e S. Patti, Milano, 1997, I, 577], tale spiegazione
appare parziale, in quanto riferibile ai consumatori e non a tutti i clien
ti della banca) e, dall'altro, il divieto di accordi e pratiche concordate
sancito dall'art. 85 del trattato Ce (sui rapporti tra normativa antitrust
comunitaria e norme bancarie uniformi, v. Corte giust. 21 gennaio 1999, cause riunite C-215/96 e C-216/96, Foro it., 1999, IV, 41, e 130, con
nota di S. Bastianon, La fideiussione «omnibus», il diritto antitrust
e l'araba fenice).
Il Foro Italiano — 1999.
delle conclusionali e delle repliche, è stata riservata in decisione
dal giudice istruttore in funzione di giudice unico.
Motivi della decisione. — Sostanzialmente gli opponenti han
no contestato il credito monitoriamente azionato dal Banco di
Desio e della Brianza per una duplicità di motivi, entrambi af
ferenti, però, all'ammontare degli interessi passivi maturati in
favore dell'istituto convenuto. Infatti la Sicema e il sig. Mag
giori, pur non avanzando alcuna contestazione in ordine al ca
pitale dovuto alla banca, hanno eccepito la nullità delle clausole
contrattuali relative sia al riconoscimento di interessi in misura
ultralegale sia alla capitalizzazione trimestrale degli interessi stessi, a seguito della quale si determinerebbe la violazione del divieto
di anatocismo fissato dall'art. 1283 c.c.
Entrambe le censure sono risultate sprovviste di fondamento,
per cui l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 535/97 non può che essere rigettata.
Infatti il Banco di Desio e della Brianza ha prodotto il con
tratto di conto corrente stipulato con la Sicema s.p.a. in data
30 gennaio 1974 e cioè precedentemente all'entrata in vigore della legge sulla c.d. trasparenza bancaria, nel quale, e precisa mente alla clausola n. 7, la correntista si era impegnata a corri
spondere alla società opposta anche gli interessi man mano ma
turati, il cui tasso, a differenza di quanto sostenuto dagli oppo nenti, è stato determinato per iscritto mediante il richiamo a
quello «usualmente praticato . . . sulla piazza». Com'è noto, secondo la unanime giurisprudenza sia di merito
sia di legittimità, il requisito della forma scritta per il riconosci
mento del diritto ad ottenere il pagamento di interessi in misura
eccedente a quella legale, requisito fissato dalla norma contenu
ta nell'art. 1284, 3° comma, c.c., deve ritenersi soddisfatto, ov
viamente nel caso di rapporti sorti prima dell'entrata in vigore della 1. 154/92 (applicabile esclusivamente ai contratti stipulati
successivamente, stante la natura non meramente interpretativa delle norme in essa contenute), non solo nel caso in cui le parti abbiano pattuito la percentuale precisa degli interessi dovuti, bensì anche nell'ipotesi in cui sia stato determinato per iscritto
il criterio cui le stesse abbiano inteso riferirsi per la concreta
determinabilità del tasso medesimo, determinabilità che può av
venire per relationem, mediante il rinvio a dati estrinseci rispet to al contratto che siano stati, però, individuati specificamente,
quali, come nel caso di specie, il rinvio alle condizioni praticate normalmente sulla piazza dagli istituti di credito, ovvero agli accordi interbancari (in tale senso, v., tra le tante pronunzie, Cass. 9 aprile 1984, n. 2262, Foro it., Rep. 1984, voce Interessi, n. 13; 30 maggio 1989, n. 2644, id., 1989, I, 3127; 22 maggio
1990, n. 4617, id., Rep. 1990, voce cit., n. 19, concernenti pro
prio fattispecie uguali a quelle oggetto del presente giudizio). Anche recentemente la Suprema corte — v. in particolare la
pronunzia 13 marzo 1996, n. 2103 (id., 1997, I, 1939) — ha
ribadito il principio secondo il quale la forma scritta ad sub
stantiam richiesta dalla disposizione contenuta nell'art. 1284 c.c.
per la validità di clausole contrattuali prevedenti, in favore del
creditore, un tasso di interessi superiore a quello legale, deve
ritenersi soddisfatta anche in mancanza di un documento nego ziale contenente la specificazione in cifra percentuale del tasso
di interesse, laddove sia comunque fissato per iscritto il criterio
oggettivo che consenta la determinazione per relationem del tas
so medesimo, e ciò in quanto la misura degli interessi, anche
in tale ipotesi, è ancorata a fatti oggettivi (quali le condizioni
usualmente praticate sulla piazza) facilmente accertabili dal cor
rentista con l'uso dell'ordinaria diligenza.
Inoltre, nel caso di specie, così come emerge dagli stessi estratti
di conto corrente prodotti dagli opponenti e relativi agli anni
1994 e seguenti, il Banco di Desio ha indicato il tasso di interes
si passivi applicato alla Sicema, in tal modo permettendo al
cliente di accertare la concreta situazione debitoria relativamen
te, appunto, agli oneri economici conseguenti alla utilizzazione
del credito concesso.
Dall'esame dell'indicata documentazione, emerge inoltre, che
la debitrice principale ha sempre approvato gli estratti conto
inviati dalla opposta indicanti sia le operazioni compiute sia
gli interessi applicati: tale circostanza si desume, in primo luo
go, dalle annotazioni apposte dal correntista sugli estratti —
annotazioni consistite nell'aver spuntato ogni singola voce e nel
l'avere di volta in volta approvato le risultanze degli estratti
apponendovi il proprio «ok» — e, in secondo luogo, dalle mis
sive inviate dalla Sicema al Banco di Desio, con le quali la debi
trice, lungi dal contestare i tassi di interessi applicati ovvero
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1343 PARTE PRIMA 1344
le risultanze degli estratti, proponeva un piano di rientro per far fronte alla grave esposizione debitoria accumulata e mai con
testata.
Analogamente destituita di fondamento è la seconda ed ulti
ma eccezione avanzata dagli opponenti e relativa alla nullità
delle clausole contrattuali prevedenti la capitalizzazione trime
strale degli interessi passivi, nullità che discenderebbe dall'asse
rita violazione del c.d. divieto di anatocismo fissato dall'art.
1283 c.c. Tale disposizione, però, è vero che contempla in linea
generale l'indicato divieto, ma è anche vero che fa salvi gli «usi
contrari», espressione che si riferisce ai c.d. usi normativi —
e cioè agli usi dotati dei caratteri oggettivi della durata, della
costanza e della generalità — in cui rientrano gli usi bancari, a tutela dei quali il legislatore del 1942 inserì sempre nell'art.
1283 c.c. l'indicata clausola di salvaguardia. Non vi è dubbio, infatti, che il principio della capitalizzazio
ne degli interessi passivi da parte degli istituti di credito, ancora
oggi costituisce una consuetudine avente valore di «fonte-fatto», tant'è che nel nostro paese (e non solo) viene applicato da tutte
le aziende di credito nei confronti, indistintamente, di tutti i
correntisti. Si noti, inoltre, che la legittimità degli usi bancari
prevedenti l'anatocismo incide non solo sulla previsione della
c.d. capitalizzazione degli interessi allo scopo di renderli a loro
volta produttivi di interessi, bensì anche sul periodo di capita lizzazione minimo che, nella prassi bancaria, è non di sei mesi, bensì di tre (circa la legittimità delle norme bancarie deroganti al divieto di anatocismo, v., tra le numerose pronunzie, Cass.
5 giugno 1987, n. 4920, id., 1988, I, 2352, e 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep. 1995, voce cit., n. 16).
Dalle su esposte considerazioni emerge, quindi, il rigetto del
l'opposizione proposta dalla Sicema Iwt s.p.a. e dal sig. Mario
Maggioni avverso il decreto ingiuntivo n. ing. 535/97 e la con
seguente condanna degli attori, totalmente soccombenti, a ri
fondere al Banco di Desio e della Brianza le spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
12 novembre 1997 il Banco di Desio e della Brianza s.p.a. chie deva al presidente del Tribunale di Monza di ingiungere alla
cliente New Trade s.r.l. ed al fideiussore Maggioni Mario il pa gamento della somma di lire 255.936.876, oltre agli interessi
ed alle spese della procedura monitoria, in relazione allo sco
perto del conto corrente bancario n. 7709/00/8 acceso dall'an
zidetta società presso la filiale di Cesano Maderno.
Avverso il conseguente decreto ingiuntivo n. 537/97, emesso dal presidente adito in data 19 novembre 1997, gli ingiunti pro
ponevano opposizione con atto di citazione notificato in data
28 gennaio 1998. Lamentavano gli opponenti: — che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi,
prevista dalle clausole uniformi adottate dal sistema bancario
italiano, doveva considerarsi contrastante con gli art. 85 e 86 del trattato istitutivo della Comunità europea e, comunque, ille
gittima; — che, in ogni caso, il tasso degli interessi applicato era sta
to superiore a quello convenzionalmente pattuito e risultante dall'andamento del mercato.
Ritualmente costituitasi in giudizio, l'opposta contestava in fatto e diritto il fondamento dell'avversa opposizione ed istava
per la conferma dell'ingiunzione. Confermata la provvisoria esecuzione del decreto opposto e
precisate, come in epigrafe, le conclusioni delle parti, la causa
giunge ora all'esame decisionale del tribunale, in persona del
giudice istruttore con funzioni del giudice unico ex art. 190 bis
c.p.c. e 88 1. 353/90. Motivi della decisione. — L'opposizione, a parere del giudi
cante, è parzialmente fondata.
Lamentano, innanzitutto, gli opponenti che la previsione di clausole uniformi (previgenti, in particolare, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dalla clientela) inserite in mo duli utilizzati da tutte le banche italiane contrasterebbe con gli art. 85 e 86 del trattato istitutivo della Cee ed invoca la rimes sione degli atti alla Corte di giustizia della Comunità europea.
In sé inaccoglibile tale ultima richiesta (non essendo le clau sole uniformi equiparabili a norme giuridiche in senso tecnico
Il Foro Italiano — 1999.
e pertanto, apparendo sottratte al vaglio della Corte di giusti
zia), reputa il giudicante che, nel merito, la legittimità della clau
sola che prevede la trimestralizzazione degli interessi passivi, pre vista dall'art. 7 delle norme bancarie uniformi (nbu) dettate dal
l'Associazione bancaria italiana (Abi), debba essere vagliata, oltre
che con riferimento agli art. 85 e 86 del trattato Cee, anche
alla luce della nuova normativa di tutela del consumatore intro
dotta in Italia dalla 1. 6 febbraio 1996 n. 52 (istitutiva, in parti
colare, del nuovo capo XIV bis e degli art. da 1469 bis a
1469 sexies c.c.), nonché delle norme di cui all'art. 1283 c.c.
ed all'art. 8 preleggi. Non è ignota, ovviamente, a questo giudicante la costante
giurisprudenza della Corte di cassazione che ha ribadito la legit timità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in appli cazione dell'art. 1283 c.c. e della deroga ivi prevista nell'ipotesi di esistenza di un «uso normativo» in tal senso.
Peraltro, una visione meno restrittiva del campo normativo
applicabile a tale questione, nonché dei recenti principi intro
dotti in tema di tutela del consumatore e della concorrenza,
impongono alcune riflessioni che, a parere di chi scrive, condu
cono a conclusioni diametralmente opposte a quelle sino ad og
gi raggiunte dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e di
merito.
Secondo l'insegnamento della stessa Suprema corte, gli ele
menti identificativi del c.d. «uso normativo» (previsto dall'art.
8 preleggi e richiamato dall'art. 1283 c.c.) sono essenzialmente
due: l'uno, di carattere esteriore, costituito dal mero fatto della
ripetizione uniforme e costante di un dato comportamento e
l'altro, di carattere psicologico, consistente nella convinzione di osservare, così operando, una norma giuridica (opinio iuris
ac necessitatis). Tali caratteristiche sono state asseritamente riscontrate anche
nell'uso bancario consistente nella capitalizzazione trimestrale
degli interessi dovuti dalla clientela, in deroga al divieto di ana
tocismo (cioè, di produzione di interessi sugli interessi scaduti) previsto dall'art. 1283 c.c., sul presupposto che, oltre che esi
stente da parecchi decenni, tale uso verrebbe ormai percepito dalla generalità dei clienti come una vera e propria norma giuri dica obbligatoria, seppure necessitata (v., ad es., Cass. 9227/95, Foro it., Rep. 1995, voce Interessi, n. 16).
Un simile opinamento, però, non tiene conto di un'osserva
zione fondamentale, riconducibile proprio alla ratio dei richia mi operati dalla legge agli usi e dalla loro originaria ed intrinse ca natura.
Particolarmente nei rapporti negoziali, l'esistenza di un uso
di valenza «normativa», in effetti, in tanto ha ragion d'essere
in quanto sia riconducibile ad un comportamento comune a tutti
gli interessati che, ripetuto nel tempo, conferisca ad esso una
presunzione di «giuridicità» (e, perciò, di obbligatorietà). Nell'ipotesi di rapporti bancari, un simile comportamento po
trebbe tradursi in uso normativo qualora tragga origine da con suetudini costantemente poste in essere non solo ad opera e vo lontà delle banche, ma anche ad opera e volontà della clientela.
Orbene, deve quantomeno dubitarsi che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, pur costituendo ormai un fe nomeno temporalmente datato, sia sorta e persista in relazione ad un comportamento bilaterale voluto e soprattutto «libero», essendo invece notoriamente il risultato di clausole contrattuali
imposte dal contraente-banca al contraente-cliente. Prova ne è, oltre che il notorio, l'introduzione di tale previ
sione nelle nbu ed il suo «inevitabile» recepimento nei moduli contrattuali predisposti dalle banche e sottoposti alla (altrettan to «inevitabile») accettazione da parte della clientela.
Dunque, non potendosi considerare prevista da un uso nor
mativo realmente accettato dalla generalità dei contraenti-clienti, la clausola previgente la capitalizzazione trimestrale degli inte
ressi passivi deve considerarsi, innanzitutto, illegittima per con
trasto con la norma di cui all'art. 1283 c.c.
Peraltro, come già anticipato, una visione complessiva della
normativa applicabile alla materia in questione consente una valutazione di illegittimità non relegata negli angusti confini del l'anzidetta norma codicistica.
Da un lato, infatti, può osservarsi come in generale la previ sione di un sistema di capitalizzazione degli interessi fortemente
sperequato (trimestrale per quelli da versarsi alla banca; annua le per quelli dovuti al cliente) si ponga in contrasto con il 1° comma dell'art. 1469 bis c.c. (norma solo accidentalmente non del tutto applicabile al caso di specie, essendo uno degli oppo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nenti una persona giuridica e l'altro una persona fisica) che qua lifica come vessatorie le clausole che «determinano a carico del
consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obbli ghi derivanti dal contratto».
Da un altro punto di vista, invece, non può negarsi che la
previsione obbligatoria, da parte dell'Abi, di norme uniformi
che impongono la capitalizzazione trimestrale degli interessi pas
sivi, si pone in palese contrasto con l'art. 85 del trattato Cee, che vieta, tra l'altro, «gli accordi tra imprese e tutte le pratiche concordate» in particolare consistenti nel «fissare direttamente
o indirettamente . . . condizioni di transazione» (1° comma, lett.
a) e li sanziona di nullità «di pieno diritto» (2° comma). Un simile modus operandi, in effetti, oltre che suscettibile
di introdurre ingiustificati squilibri nei rapporti con i clienti (che, data l'estensione del prodotto bancario non possono non essere
considerati come veri e propri «consumatori»), appare idoneo
anche ad incidere negativamente sul libero gioco della concor
renza, tant'è vero che non risulta in alcun modo nota l'esisten
za (e la stessa possibilità) di accordi tra banche o gruppi di
banche tesi a derogare alla clausola di capitalizzazione trime
strale degli interessi passivi. Per tutte le anzidette ragioni, va dichiarata illegittima la quan
tificazione degli interessi dovuti dagli opponenti in applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale.
In ragione di ciò, il credito della banca opposta dovrà essere
ricalcolato nel prosieguo del giudizio, mediante applicazione del
diverso criterio di capitalizzazione applicato dal Banco di Desio
e della Brianza s.p.a. alla propria clientela.
Ciò comporta, inevitabilmente, la revoca dell'opposto decre
to ingiuntivo (in quanto emesso per importi superiori al dovu
to) e la rimessione della causa in istruttoria ai fini della determi
nazione del quantum della domanda subordinatamente svolta
dalla banca opposta: non possono, invece, trovare accoglienza
gli altri motivi di opposizione, in quanto del tutto generici.
Ili
Svolgimento del processo. — 1. - Con decreto ingiuntivo prov visoriamente esecutivo n. 2746/94 emesso in data 6 settembre
1994 a fronte di ricorso monitorio depositato il 2 agosto 1994,
il presidente del Tribunale di Monza ha ingiunto a Pietro De
Cesare — titolare della Pierpel di De Cesare Pietro — di pagare
alla Banca di credito cooperativo di Sesto S. Giovanni (già Cas
sa rurale e artigiana di Sesto S. Giovanni) «la somma di lire
111.012.748 oltre agli interessi al tasso corrente su piazza dal
30 giugno 1994 al saldo effettivo», quale saldo passivo al 30
giugno 1994 del conto corrente bancario n. 13377/88 concluso
fra le parti il 29 dicembre 1987, ed assistito — sino alla revoca
intervenuta con lettera raccomandata del 27 luglio 1994 — da
apertura di credito (cfr. doc. 1-3 fascicolo monitorio, nonché
copia del decreto sub doc. 2 convenuta). Con citazione tempestivamente notificata in data 20 ottobre
1994, Pietro De Cesare ha interposto opposizione al decreto
ingiuntivo formulando una serie di censure in ordine al com
portamento della banca, la quale si era dapprima rifiutata di
accettare il pagamento di una rata di mutuo ipotecario «Arti
giancassa» venuta a scadenza il 22 luglio 1994 (facendo presen
te al mutuatario che il pagamento sarebbe stato imputato sola
mente al debito chirografario consistente nello scoperto del conto
corrente bancario, cfr. doc. 1-3 attore), e quindi aveva revocato
con effetto immediato gli affidamenti in essere (cfr. doc. 4-5 att.).
A fronte della disponibilità manifestata dall'attore ad un in
contro per definire stragiudizialmente il contenzioso, la banca
aveva risposto in data 5 settembre 1994 comunicando che l'uni
ca soluzione possibile era «quella, già offertavi per le vie brevi,
di garantire il nostro istituto con una vs. dazione di ipoteca
volontaria entro e non oltre il 30 settembre prossimo venturo,
sull'immobile sito in via Damiano Chiesa, 6», e precisando che in caso di mancata ricezione di «vs. assenso per iscritto in meri
to a quanto precede entro e non oltre cinque giorni dalla data
della presente, proseguiremo nell'azione di recupero coattivo del
nostro credito già intrapresa» (cfr. doc. 7 att.).
A seguito di un ulteriore scambio di corrispondenza (cfr. doc.
8-9 att.), il 15 settembre 1994 si era svolto un incontro fra le
parti nel quale il De Cesare aveva dichiarato «la propria dispo
nibilità a concedere l'ipoteca volontaria nei termini richiesti dal
li. Foro Italiano — 1999.
la banca»; ma nonostante ciò quest'ultima, con lettera semplice del giorno successivo (allorché essa era già in possesso del de
creto ingiuntivo in forma esecutiva), aveva confermato che «la
nostra direzione legale ha deciso di proseguire nell'azione intra
presa nei vs. confronti» (doc. 10 ibid.), provvedendo il 19 set
tembre 1994 ad iscrivere sull'immobile dell'attore ipoteca legale
per la somma capitale di lire 111.012.748 e «lire 43.294.952 trien
nio di interessi al tasso pari al tredici per cento» (cfr. doc. 11
ibid.). Confidando che sulla base dei predetti rilievi il tribunale avreb
be dichiarato «la nullità del decreto e della conseguente iscrizio
ne ipotecaria», il De Cesare ha inoltre chiesto dichiararsi la nul
lità della clausola n. 7 del contratto di conto corrente, giusta la quale gli interessi dovuti dal correntista si intendevano deter
minati alle condizioni praticate usualmente dalle casse sulla piaz
za, in quanto violativa della norma (art. 1284, 3° comma, c.c.) che prescriveva la forma scritta per la pattuizione di interessi
in misura superiore al tasso legale costantemente addebitati alla
Pierpel nel corso del rapporto. Tale clausola, infatti, non consentiva di individuare in modo
inequivoco il tasso di interessi debitori, atteso che da un lato
non era dato rinvenire sulla piazza consuetudini aventi forza
di legge idonee ad integrare in parte qua il contratto di conto, e dall'altro le pubblicazioni bancarie rinvenibili indicavano vari
tassi di interesse, inidonei a soddisfare il precetto codicistico
sopra richiamato: tanto era vero, che la banca aveva applicato al correntista saggi di interesse superiori allo stesso prime rate
Abi (cfr. conti scalari dal 31 dicembre 1990 al 30 giugno 1992, sub doc. 13-19 att., nonché tabella degli indici prime rate sino
all'agosto 1994 sub doc. 12 ibid.). Se a ciò si aggiungeva che l'art. 4, 3° comma, 1. 17 febbraio
1992 n. 154 aveva sancito che «le clausole contrattuali di rinvio
agli usi sono nulle e si considerano non apposte», l'opponente ha formulato espressa domanda «riconvenzionale» di nullità della
pattuizione di cui all'art. 7, 3° comma, del contratto di conto
corrente stipulato il 29 dicembre 1987, in forza della quale era
no stati «conteggiati nel corso di tutto il rapporto contrattuale
interessi corrispettivi e di mora nella misura ultra legale in vio
lazione dell'art. 1284, 3° comma, c.c.»; ed ha chiesto revocarsi
il decreto ingiuntivo opposto e ordinarsi conseguentemente al
conservatore dei registri immobiliari di cancellare l'iscrizione di
ipoteca giudiziale 19 settembre 1994, nn. 77312/15125.
2. - La banca convenuta, costituendosi all'udienza di prima
comparizione, ha preliminarmente ricostruito la vicenda che aveva
portato ai persistenti sconfinamenti dalla linea di credito di lire
80.000.000 ilio tempore concessa all'opponente, precisando di
essersi avvalsa del procedimento monitorio solo dopo l'espresso rifiuto del De Cesare di concedere la garanzia ipotecaria richie
sta, e di essersi resa disponibile anche dopo il deposito del ri
corso ingiuntivo ad una composizione bonaria della controver
sia (cfr. doc. 3 conv., con la quale aveva pregato il legale in
data 12 settembre 1994 di «attendere ad iscrivere ipoteca giudi
ziale»), senza tuttavia impegno alcuno — come fatto manifesto
dalla stessa comunicazione in data 5 settembre 1994 prodotta dal De Cesare — ad arrestare l'iniziativa giudiziale già intrapre sa: composizione bonaria naufragata proprio allorché il debito
re si era presentato all'incontro del 15 settembre 1994 senza
notaio, così manifestando la natura meramente dilatoria del pro
prio intento.
Quanto alla quérelle sugli interessi debitori praticati al cor
rentista in forza dell'art. 7 del contratto di conto, la banca ha
richiamato numerose pronunzie anche della Corte suprema di
cassazione che avevano costantemente affermato l'idoneità del
riferimento contrattuale alla pratica usuale della piazza a soddi
sfare al requisito della forma scritta previsto dall'art. 1284, 3°
comma, c.c.; ed ha rilevato come nessuna incertezza potesse
riscontrarsi circa l'individuazione del saggio di interessi volta a volta praticato, posto che unitamente ai conteggi inviati tri
mestralmente al correntista erano stati inviati anche dei fogli
denominati «elementi per il conteggio delle competenze» che
indicavano con chiarezza «i diversi e mutevoli tassi di interesse
riferiti ai vari tipi di esposizioni creditizie», che l'opponente mai aveva contestato nel termine contrattuale di quaranta giorni (cfr.
art. 8 del contratto di conto). Tanto premesso, la Banca di credito cooperativo di Sesto S.
Giovanni ha chiesto dichiararsi infondata l'opposizione, ed in
via subordinata condannarsi comunque il De Cesare al paga
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1347 PARTE PRIMA 1348
mento della somma di lire 111.012.784 oltre interessi dal 30 giu
gno 1994 al saldo, ovvero «di quel diverso importo che risultas
se di giustizia». 3. - Con ord. 6 dicembre 1994 il presidente istruttore (poi
sostituito con provvedimento presidenziale del 16 settembre 1996
dal dott. Miele, e quindi — con provvedimento del presidente di sezione in data 29 settembre 1997 — dal dott. Azzarone), ha rigettato l'istanza di sospensione della provvisoria esecuto
rietà del decreto opposto. Con successiva ord. 2 febbraio 1996 lo stesso giudice, «rite
nuta la prova dedotta dalle parti irrilevante in causa» (cfr. me
morie istruttorie 12 aprile 1995 — opponente — e 25 settembre
1995 — opposta —), ha invitato le stesse a precisare le conclu
sioni definitive. Con ordinanza emessa fuori udienza in data 30 gennaio 1997,
il nuovo giudice istruttore — ribadita la valutazione di inin
fluenza e superfluità delle istanze di prova orale dedotte da am
bo le parti — ha invitato la banca opposta a «chiarire sulla
base di quali indici, nel concreto, abbia potuto quantificare gli interessi nella misura richiesta (ad es. condizioni fissate su scala
nazionale con accordi di cartello), indicando specificamente la
fonte di cognizione (...) e producendo (. . .) idonea documen
tazione al riguardo»: invito in cui la banca opposta ha ottempe rato in data 17 aprile 1997, precisando:
— che la determinazione del saggio di interesse per relatio
nem alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credi
to sulla piazza aveva il proprio fondamento del contratto di
conto del 29 dicembre 1987, che prevedeva anche (art. 16) la
facoltà della cassa di «modificare in qualsiasi momento le nor
me e le condizioni che regolano i rapporti di conto corrente»; — che l'indicazione dei tassi concretamente praticati risulta
va dai riassunti scalari trimestralmente inviati alla Pierpel (dal 31 marzo 1990 all'11 agosto 1994, cfr. doc. 9-27 contestualmen
te prodotti); — che infine detta comunicazione era anche assicurata dal
l'affissione nelle pareti del salone della banca di manifesti riepi
logativi di grandi dimensioni (v. quello datato 5 settembre 1992, sub doc. 28 conv.).
Infine, all'udienza del 16 dicembre 1997 le parti hanno rasse
gnato le rispettive conclusioni come in epigrafe e la causa è
pervenuta per la decisione all'udienza di discussione del 5 no
vembre 1998, nella quale il presidente ha designato in qualità di relatore, in sostituzione del precedente istruttore, il dott. Guido
Vannicelli.
Motivi della decisione. — 4. - L'opposizione, sia pur in par
te, è fondata, e la causa, dichiarata con sentenza non definitiva
la nullità parziale del contratto di conto corrente azionato mo
nitoriamente dalla banca e revocato il decreto ingiuntivo oppo
sto, deve essere rimessa in istruttoria per la rideterminazione — secondo i parametri che si indicheranno di seguito e con ordinanza in data odierna — del credito vantato dalla convenuta.
Va previamente disatteso il motivo di opposizione che il De
Cesare ha fondato sul comportamento asseritamente illegittimo che la Banca di credito cooperativo di Sesto S. Giovanni avreb be tenuto nel momento in cui rifiutò — dopo la revoca dell'a
pertura di credito in essere e la richiesta di immediato rientro
dall'esposizione, avvenute il 25 e 27 luglio 1994 — di proseguire la trattativa in corso nel mese di settembre, insistendo nell'ini
ziativa monitoria già intrapresa il precedente mese di agosto nonostante la disponibilità manifestata dall'opponente ad acce
dere alla richiesta di concessione di ipoteca volontaria sull'im
mobile di via Damiano Chiesa, 6.
In proposito, appare incerto lo stesso titolo giuridico sul qua le l'opponente vorrebbe fondare la dedotta nullità del decreto
ingiuntivo, non essendo dato comprendere in qual modo un com
portamento asseritamente scorretto tenuto dall'istituto nella fa
se finale del rapporto e della susseguente trattativa potrebbe ridondare in nullità processuale del decreto ingiuntivo ottenuto
dalla opposta. Il De Cesare, infatti e salvo quanto si dirà al successivo para
grafo, non contesta — né può farlo — di essere in ogni caso
debitore della banca, né di aver ricevuto le comunicazioni (da lui stesso prodotte) con le quali questa, a fronte del cronico
sconfinamento dal tetto massimo di apertura concessogli, gli aveva da un lato intimato di ripianare entro cinque giorni il
saldo passivo del conto corrente bancario n. 13377/88, e dal
li. Foro Italiano — 1999.
l'altro aveva revocato con effetto immediato l'affidamento ad
esso relativo (cfr. doc. 4-5 att., cit.). A fronte di ciò, la richiesta di provvedimento monitorio inol
trata dalla banca pochi giorni dopo a tutela del proprio credito
era giuridicamente legittima, e l'istituto medesimo — nel riscon
trare gli intenti di «provvedere alla sistemazione della nostra
posizione» manifestati dal debitore — aveva del resto fatto
espressamente presente al correntista che, nel caso in cui questi non avesse prontamente acceduto alla proposta di accensione
di ipoteca volontaria a garanzia dello scoperto, l'azione di recu
pero coattivo del credito già intrapresa sarebbe stata proseguita. Ne consegue che la banca aveva sospeso momentaneamente
la messa in esecuzione del decreto ingiuntivo già ottenuto senza
esservi in alcun modo giuridicamente tenuta, e solo a fronte
di una propria condizione-concessione da parte del De Cesare
di un'ipoteca volontaria sul proprio immobile di via Damiano
Chiesa — che l'opponente, per i motivi che siano e che qui non rilevano, non provvedette ad assolvere nel corso dell'incon
tro del 15 settembre 1994; fermo comunque restando, con effet
to dirimente sulla presente questione, che (come correttamente
osservato dal giudice istruttore nell'ord. 30 gennaio 1997) le cir
costanze dedotte a prova dal De Cesare sul punto appaiono
comunque ininfluenti al fine della valutazione della validità pro cessuale e sostanziale del decreto opposto, «atteso che esse si
riferiscono a fasi di trattative tra il creditore ed il debitore al
l'interno delle quali non è ipotizzabile un obbligo delle parti di addivenire ad una piuttosto che all'altra soluzione delle trat
tative medesime».
In altre e conclusive parole, così come nulla imponeva alla
banca opposta di soprassedere momentaneamente alla richiesta
e messa in esecuzione del titolo giudiziale ottenuto il 6 settem
bre 1994, nulla la obbligava a condurre in porto la trattativa
nei termini sperati dal De Cesare, ed addirittura in quelli da
lei stessa prospettati (secondo la versione dei fatti offerta dal
l'opponente); con la conseguenza che l'opposizione in esame
deve ritenersi, sotto tale profilo, manifestamente infondata.
5. - A diverse conclusioni deve giungersi per quanto attiene
alla dedotta nullità della clausola contrattuale (art. 7, 3° e 4°
comma, delle condizioni generali del contratto di conto corren
te di corrispondenza n. 13377/88 concluso il 29 dicembre 1987) sul fondamento della quale la banca ha, nel corso del rapporto,
conteggiato gli interessi «passivi» (corrispettivi e di mora) dovu
tile dall'opponente, e trimestralmente capitalizzati; clausola con
trattuale secondo la quale: — «i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori ven
gono (. . .) chiusi contabilmente in via normale trimestralmente»; — «gli interessi dovuti dal correntista alla cassa, salvo patto
diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usual
mente dalle casse sulla piazza, e producono a loro volta interes
si nella stessa misura»; — «sul saldo dei conti debitori venuti a cessare per qualsiasi
motivo (. . .) gli interessi continueranno a decorrere sino alla
data di estinzione del debito e verranno regolati e computati come ai precedenti 2° e 3° comma».
Va subito precisato, in relazione ad una controeccezione svol
ta dalla banca sin dall'atto di costituzione in giudizio, che la
valenza probatoria delle tacite approvazioni di conti periodici da parte del De Cesare deve intendersi rigorosamente circoscrit
ta alle risultanze numeriche degli addebiti in conto (con le ulte
riori parziali deroghe previste dal capoverso dell'art. 1832 c.c.), senza che quindi tale preclusione impedisca all'opponente di con
testare — anche oltre il termine contrattuale — la validità ed
efficacia, in tutto o in parte, dei rapporti giuridici sottostanti
alle singole rimesse contabili riportate negli estratti (così anco
ra, da ultimo, Cass. 15 giugno 1995, n. 6736, Foro it., Rep. 1995, voce Conto corrente, n. 1): contestazione che per l'ap
punto il De Cesare ha effettuato sotto il profilo della violazione
dell'art. 1284, 3° comma, c.c., allorché ha dedotto l'illiceità
della determinazione degli interessi debitori (corrispettivi e di mora) ultralegali sulla base del mero riferimento alle condizioni
praticate dalle banche sulla piazza di Sesto.
Ciò premesso, deve ritenersi fondata, nel senso che subito
si preciserà, la domanda riconvenzionale che l'opponente ha svol
to in relazione alla nullità della clausola sopra riportata, e quin di all'illecito esercizio da parte della banca opposta del potere su quella pattuizione fondato di determinare (e variare nel tem
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
po ad nutum) il saggio degli interessi praticati sui saldi passivi del conto corrente, anche oltre la soglia del saggio legale, me
diante il mero riferimento al tasso usualmente praticato da tutti
gli istituti di credito della «piazza». Il riferimento fatto dalla difesa della banca alla nota giuris
prudenza secondo cui l'iniziale fissazione e variazione del tasso
degli interessi dovuti dal cliente nel corso di un rapporto banca
rio di durata può esser resa determinabile — ed idonea a soddi
sfare il requisito della forma ad substantiam prescritta dall'art.
1284, 3° comma — mediante il rinvio, previsto nella scrittura
negoziale, ad elementi estranei e futuri quali appunto le condi
zioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza,
appare non pertinente alla fattispecie, a fronte dell'ulteriore in
terpretazione data a quella norma dalla stessa corte regolatrice in relazione non solo ai rapporti insorti dopo l'entrata in vigore delle nuove norme disciplinanti l'attività bancaria, ma anche
a quelli ad essa preesistenti. Se infatti l'applicazione di quel principio andava e va circo
scritta ai contratti bancari conclusi in data antecedente all'en
trata in vigore dell'art. 4 1. 17 febbraio 1992 n. 154 prima (nor me sulla trasparenza delle operazioni bancarie), e degli art. 117
e 118 d.Ieg. 1° settembre 1993 n. 385 poi (t.u. delle leggi in
materia bancaria e creditizia), posto che tali norme — introdu
cendo una precisa deroga nel settore creditizio e finanziario al
sistema normativo previgente — hanno espressamente negato la validità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi nella de
terminazione degli elementi principali ed accessori del rapporto
obbligatorio (per tale affermazione cfr., in motivazione, Cass.
13 marzo 1996, n. 2103, id., 1997, I, 1939); la stessa Corte
di cassazione, a partire dal fondamentale arresto 29 novembre
1996, n. 10657 (id., Rep. 1997, voce Interessi, n. 14) ha precisa
to che l'obbligo della forma scritta sancito per la validità della
pattuizione di interessi ultralegali, pur non comportando neces
sariamente che il documento contrattuale contenga l'indicazio
ne in cifre del tasso d'interesse pattuito e potendo essere soddi
sfatto anche per relationem, richiede comunque che le parti ab
biano richiamato per iscritto criteri prestabiliti ed elementi
estrinseci al documento negoziale, obiettivamente individuabili,
che consentano la concreta determinazione del tasso convenzio
nale: con la conseguenza che il mero riferimento contrattuale
alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sul
la piazza è da considerarsi sufficiente solo ove esistano vinco
lanti discipline del saggio fissate su scala nazionale con accordi
di cartello, e non già ove tali accordi contengano diverse tipolo
gie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro
centralizzato e vincolante.
In tal caso occorrerà infatti accertare in concreto il grado
di univocità della fonte richiamata, per stabilire a quale previ
sione le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi, e se quin
di può ritenersi validamente pattuita per relationem tale — non
secondaria — parte del programma contrattuale; il che equivale
a dire, che il giudice dovrà stabilire — con riferimento al singo
lo rapporto dedotto e secondo la disciplina del tempo (oggi mo
dificata per effetto della 1. 154/92) — se l'elemento estrinseco
di riferimento permetta una sicura determinabilità della presta
zione di interessi, pur nella variabilità dei tassi nel tempo, senza
successive valutazioni discrezionali da parte della banca (così
Cass. 8 maggio 1998, n. 4696, id., Mass., 496; v. anche 10
novembre 1997, n. 11042, id., Rep. 1997, voce cit., n. 15, e,
da ultimo, 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706).
È dunque vero che, come la stessa Cassazione ha precisato,
ai sensi dell'art. 11 1. 17 febbraio 1992 n. 154 l'art. 4 di essa
non può considerarsi retroattivo prima della sua entrata in vi
gore (avvenuta centoventi giorni dopo il quindicesimo giorno
successivo alla pubblicazione nella G.U. 24 febbraio 1992, n.
45: cfr. Cass. 16 giugno 1997, n. 5379, id., Rep. 1997, voce
Contratti bancari, n. 34); ma ciò non può esimere il tribunale
dalla valutazione della validità della clausola — e pertanto, del
decreto ottenuto in base ad un credito risultante dalla sua appli
cazione — alla stregua dei predetti principi. Valutazione la quale non può che pervenire ad esito negativo,
posto che nel caso di specie — pur a fronte di specifico invito
in tal senso da parte del giudice istruttore — la banca opposta
si è limitata a richiamare il contratto (nel quale, naturalmente,
non è indicato alcun riferimento a precisi parametri cui aggan
ciare la determinazione degli interessi usualmente praticati sulla
piazza), ad esibire i riassunti scalari che assume di aver inviato
al cliente (ma anche fosse, la relatio per esser valida deve con
II Foro Italiano — 1999.
sentire una determinazione del saggio ex ante, e non rimetterlo
alla discrezionalità immotivata dell'istituto con comunicazione
ex post alla scadenza del periodo trimestrale di chiusura delle
partite contabili), ed a produrre un singolo manifesto datato
5 settembre 1992 che, oltre a non provare alcunché in merito
ad accordi fra le parti necessariamente precedenti ed a lasciare
comunque, «scoperto» il periodo pregresso e successivo, si limi
ta ad indicare per gli scoperti di conto corrente un saggio mini
mo e massimo di interessi passivi, senza possibilità di stabilire
in concreto a quale previsione le parti abbiano potuto e voluto
effettivamente riferirsi.
Ne consegue che, in assenza di richiami scritti a criteri presta biliti ed elementi estrinseci al documento negoziale obiettiva
mente individuabili, che consentano la concreta determinazione
del tasso convenzionale, e — in particolare — in mancanza di
prova dell'esistenza e considerazione ad opera delle parti di vin
colanti discipline del saggio fissate su scala nazionale — o, quan
tomeno, locale — con accordi di cartello (peraltro, come esatta
mente rilevato dalla difesa dell'opponente, non più possibili nel
l'attuale vigenza della disciplina c.d. antitrust), il precetto dettato
dall'art. 1284, 3° comma, c.c. non può ritenersi nella specie in alcun modo soddisfatto; onde la clausola contrattuale n. 7
sulla base della quale la banca opposta ha via via capitalizzato e conteggiato gli interessi passivi in costante misura ultralegale deve essere dichiarata insanabilmente nulla ed espunta dal con
tratto, ed il decreto ingiuntivo concesso su tale fondamento pat tizio — con tanto di ingiunzione a corrispondere gli ulteriori
interessi sempre all'illegittimo saggio «uso piazza» — integral
mente revocato.
6. - Consegue alla rimozione del titolo giudiziale esecutivo
in forza del quale la banca opposta ha iscritto in data 19 set
tembre 1994 l'ipoteca giudiziale di lire 160.000.000 sull'immobi
le di via Damiano Chiesa, 6, Sesto S. Giovanni, di proprietà
dell'opponente, l'accoglimento — ai sensi dell'art. 2884 c.c. —
della domanda di cancellazione della relativa iscrizione svolta
dal De Cesare, dalla quale conseguirà quale effetto naturale l'e
stinzione del diritto reale di garanzia illecitamente iscritto dalla
società convenuta (art. 2878, n. 1, c.c.). 7. - La presente sentenza non può peraltro rivestire carattere
definitivo, poiché la causa, in presenza dell'espressa domanda
(di carattere sostanzialmente riconvenzionale) formulata in via
subordinata dalla banca opposta e volta all'esatta determinazio
ne del proprio credito ed alla condanna del De Cesare ad adem
piervi, va rimessa in istruttoria per la determinazione dell'effet
tivo credito vantato dalla banca opposta; provvedimento che
si adotterà con separata ordinanza in pari data.
Se infatti è vero che la nullità parziale del contratto di conto
comporta non solo la nullità dell'applicazione da parte della
banca degli interessi passivi al saggio asseritamente rilevabile
dagli usi negoziali praticati dalle banche della piazza, ma altresì
la nullità della determinazione della stessa sorte capitale del cre
dito monitoriamente azionato, ottenuta in parte mediante la ca
pitalizzazione trimestrale degli interessi così invalidamente quan
tificati, la lacuna che la presente pronuncia crea nel regolamen
to contrattuale va limitata all'art. 7, 3° comma (e, per relationem,
4°) del contratto di conto.
L'applicazione dell'ultima parte del 3° comma dell'art. 1284
c.c. esclude infatti l'operatività nella specie del principio sancito
dall'art. 1419, 1° comma, c.c., e comporta — in applicazione della regola conservativa dettata dal 2° comma di tale disposi
zione — la nullità solo parziale del contratto, la quale impone di mantenere in vita le rimanenti disposizioni contrattuali, e di
supplire al vuoto così formatosi nell'assetto degli interessi delle
parti facendo risorgere in via di integrazione legale le norme
dispositive che determinano il saggio degli interessi, per il caso
di mancata previsione pattizia sia di quelli corrispettivi che mo
rato» : saggio che deve individuarsi nella misura del cinque per
cento in ragione di anno sino al 15 dicembre 1990, del dieci
per cento dal 16 dicembre 1990 in avanti, ed infine — per il
periodo successivo all'entrata in vigore degli art. 4 e 5 1. 154/92
(che ha previsto alla lett. a, con norma richiamata testualmente
dall'art. 117, 7° comma, lett. a, del successivo d.p.r. 1° settem
bre 1993 n. 385, l'integrazione dei contratti bancari che non
contengano «specifiche indicazioni» in punto tasso di interes
se), avvenuta centotrentacinque giorni dopo la pubblicazione nella
G.U. 24 febbraio 1992 — nel tasso nominale massimo dei Bot
annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trime
strale del conto.
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