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sentenza 2 marzo 1999; Giud. Mariconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco di Desio e...

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sentenza 2 marzo 1999; Giud. Mariconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1339/1340-1349/1350 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195399 . Accessed: 28/06/2014 08:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.28 on Sat, 28 Jun 2014 08:33:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 2 marzo 1999; Giud. Mariconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo)

sentenza 2 marzo 1999; Giud. Mariconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco diDesio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1339/1340-1349/1350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195399 .

Accessed: 28/06/2014 08:33

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1339 PARTE PRIMA 1340

cessiva all'iscrizione, richiesta in misura pari a quella dovuta

per la prima iscrizione, essendo evidente l'insussistenza dei costi

affrontati in sede di tassa annuale di rinnovo, allorché nessun

atto societario deve essere depositato all'ufficio competente, al

di là della prova dell'avvenuto pagamento della tassa».

Nella fattispecie in oggetto, si osserva che la tassa annuale

prevista dalla citata 1. 448/98 a carico delle società per azioni

ed in accomandita per azioni è addirittura superiore a quella di lire 500.000 stabilita per l'iscrizione dell'atto costitutivo.

Deve, pertanto, concludersi che la tassa annuale di rinnovo, così come determinata nel 1° comma del citato art. 11 1. 448/98,

rappresenta una remunerazione, la cui entità è priva di qualun

que nesso con il costo del servizio concretamente reso, non ap

parendo in alcun modo calcolata in funzione del costo dell'ope razione di cui essa costituisce il corrispettivo e pertanto non

può non essere considerata come un tributo che ricade sotto

il divieto di cui all'art. 10 della direttiva 17 luglio 1969 n.

69/335/Cee, con conseguente disapplicazione della normativa

italiana citata che ha reintrodotto l'imposizione della suddetta

tassa sul rinnovo annuale dell'iscrizione delle società.

D'altra parte, si evidenzia, operando a fini concreti un sem

plice ma efficace raffronto, che l'imporre una tassa periodica annuale per la mera esistenza in vita di una società (posto che

qualunque atto successivo all'iscrizione è assoggettato al paga mento di singoli, specifici diritti), sarebbe come pretendere dal

titolare di un conto corrente bancario una tassa periodica in

relazione alla mera circostanza della esistenza del conto, nono

stante il pagamento, volta per volta, da parte del suo titolare, delle commissioni bancarie per i servizi richiesti all'istituto.

Oppure, sarebbe come imporre ai soggetti parti di una causa

civile, successivamente al pagamento dei diritti relativi alla nota

di iscrizione a ruolo, una tassa periodica annuale, durante il

periodo di pendenza della causa, nonostante il versamento dei

diritti di cancelleria connessi ai singoli atti del giudizio. (Omissis) In conclusione, la pubblica amministrazione convenuta va con

dannata al pagamento in favore della Service s.r.l. della somma

complessiva di lire 2.000.000.

7. - Interessi. Su tale importo spettano gli interessi di mora

nella misura di cui all'art. 1 1. 29 gennaio 1961 n. 29, ai sensi

dell'art. 5 medesima legge, a tenore del quale «sulle somme pa

gate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non do

vute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudi ziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella misura

di cui al precedente art. 1 a decorrere dalla data della domanda

di rimborso». Il dies a quo del debito di interessi, com'è fatto

palese dal riferimento normativo anche all'eventuale decisione

amministrativa di non debenza delle somme pagate, va indivi

duato nella data di presentazione dell'istanza di rimborso (28

giugno 1991) ex art. 11 d.p.r. 641/72.

La misura degli interessi è pari al 4,5 per cento semestrale

sino al 31 dicembre 1993 (ex art. 7 1. 11 marzo 1988 n. 67), al 3 per cento semestrale dal 1° gennaio 1994 (ex art. 13, 2°

comma, d.l. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella 1. 133/94) e, da ultimo, al 2,5 per cento semestrale a decorrere dall'I gen naio 1997 (ex art. 3, comma 141, 1. 23 dicembre 1996 n. 662).

Considerata la specialità della norma non v'è spazio per il

riconoscimento dell'eventuale maggior danno da svalutazione

monetaria ex art. 1224, 2° comma, c.c. (trattasi pur sempre di debito di valuta).

Non si ritiene di applicare sulle somme dovute gli interessi — al minore tasso del 2,5 per cento annuo dalla data di presen tazione dell'istanza — previsto dal 3° comma del citato art.

11 1. 23 dicembre 1998 n. 448, data la specialità di tale norma

(originata da una rigida scelta legislativa dettata da ragioni fi

nanziarie presumibilmente connesse con l'andamento economi

co dello Stato italiano) ed il trattamento di sfavore che essa

riserva al soggetto creditore, potendo, pertanto, la stessa riguar dare esclusivamente le fattispecie di rimborso parziale (e non

integrale, come nel caso di specie) derivanti dall'applicazione della disciplina prevista dall'art. 11 cit., secondo il quale: «Le

società che negli anni indicati nel 1° comma hanno corrisposto la tassa sulle concessioni governative per l'iscrizione nel registro delle imprese e quella annuale, ai sensi dell'art. 3, 18° e 19°

comma, d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito, con modifica

zioni, dalla 1. 17 febbraio 1985 n. 17, possono ottenere il rim

borso della differenza fra le somme versate e quelle dovute a

norma del citato 1° comma, sempre che abbiano presentato istan

za di rimborso». (Omissis)

Il Foro Italiano — 1999.

I

TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 2 marzo 1999; Giud. Ma

riconda; Soc. Sicema Iwt e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco

di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo).

TRIBUNALE DI MONZA;

Contratti bancari — Interessi — Contratto stipulato anterior

mente alla 1. 154/92 — Rinvio alle condizioni praticate usual

mente sulla piazza — Validità (Cod. civ., art. 1284; 1. 17 feb

braio 1992 n. 154, norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari).

Contratti bancari — Interessi — Capitalizzazione trimestrale —

Validità (Cod. civ., art. 1283).

È valida la clausola, contenuta in contratto bancario stipulato anteriormente all'entrata in vigore della l. 154/92, con la quale si rinvia, per la determinazione del tasso degli interessi dovuti

dal cliente, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza. (1) È valida la clausola, contenuta in contratto bancario, con la

quale si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi

maturati a carico del cliente. (2)

II

TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 23 febbraio 1999; Giud.

Calabro; Soc. New Trade e Maggioni (Avv. Sala) c. Banco

di Desio e della Brianza (Avv. Em. e El. Cirillo).

Contratti bancari — Interessi — Capitalizzazione trimestrale —

Nullità (Cod. civ., art. 1283).

È nulla la clausola, contenuta in contratto bancario, con la quale sì prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi matu

rati a carico del cliente. (3)

III

TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 4 febbraio 1999; Pres. Mie

le, Est. Vannicelli; De Cesare (Avv. Morlini, Fiorito) c.

Banca di credito cooperativo di Sesto San Giovanni (Avv. Del Vicario).

Contratti bancari — Interessi — Contratto stipulato anterior

mente alla 1. 154/92 — Rinvio alle condizioni praticate usual

mente sulla piazza — Nullità — Conseguenze (Cod. civ., art.

1284; 1. 17 febbraio 1992 n. 154, art. 4, 5; d.leg. 1° settembre 1993 n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e cre

ditizia, art. 117).

È nulla la clausola, contenuta in contratto bancario, con la quale si rinvia, per la determinazione del tasso degli interessi dovuti dal cliente, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza; alla dichiarazione di nullità consegue l'applicazione, fino al l'entrata in vigore della l. 154/92, del tasso di interesse legale e, successivamente, del tasso nominale massimo dei buoni or dinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto. (4)

(1-4) I contrasti, anche profondi, all'interno del medesimo ufficio

giudiziario, sono sintomatici di una fase di transizione, dall'opacità alla

trasparenza nei rapporti bancari, che non può ancora dirsi conclusa. Tra le decisioni qui riprodotte, pressoché contemporanee, è quella

depositata da ultima a dimostrare il più alto grado di fedeltà agli sche mi tradizionali, andando in direzione opposta rispetto alla pronuncia sub II, per quanto concerne la legittimità dell'anatocismo bancario, ed a quella sub III, relativamente alla validità della clausola di rinvio alle condizioni praticate sulla piazza ed alla connessa questione dell'effica cia degli estratti conto approvati dal cliente.

La sorte delle clausole di rinvio agli usi contenute nei contratti stipu lati anteriormente alla 1. 154/92 sembra segnata, non già in virtù del

l'applicazione diretta della nuova disciplina (di carattere irretroattivo: cfr. Cass. 16 giugno 1997, n. 5379, Foro it., Rep. 1997, voce Contratti

bancari, n. 34), ma per un fenomeno di evoluzione sul piano interpreta tivo: sulla scia dell'orientamento ormai prevalente in seno alla Suprema corte (alla stregua del quale il rinvio agli usi di piazza può considerarsi sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio di interesse, fissate su scala nazionale con accordi di cartello: in questi termini, da

ultimo, Cass. 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706; 8 maggio 1998, n. 4696, ibid., n. 496; in senso divergente, tuttavia, Cass. 9 dicembre

1997, n. 12453, id., Rep. 1997, voce Fideiussione, n. 31 [per esteso, Giur. it., 1998, 1644, con nota di M. Massironi], e 16 giugno 1997,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 28

gennaio 1998 la Sicema Iwt s.p.a. in liquidazione e il sig. Mario

Maggioni hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n.

ing. 535/97 concesso dal presidente del Tribunale di Monza il 19 novembre 1997 e con il quale la Sicema è stata condannata a corrispondere, in via solidale con il proprio fideiussore, sig.

Maggioni, a favore del Banco di Desio e della Brianza, l'impor to complessivo di lire 734.292.210 corrispondente alla somma

toria dello scoperto del conto corrente bancario n. 2804/00, ac

ceso dalla Sicema presso la filiale di Cesano Maderno, allo sco

perto del conto speciale anticipi su fatture n. 2804/00 e al capitale portato da un pagherò tornato insoluto.

Nell'atto introduttivo del giudizio gli opponenti hanno chie

sto la revoca del provvedimento • itorio contestando la legit

timità sia del riconoscimento degli interessi passivi in favore

del Banco di Desio, in misura ultralegale e in conformità ad

una clausola contrattuale che rinviava, per la determinazione

del tasso, alle «condizioni usualmente praticate sulla piazza» sia della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi che

violerebbe il divieto del c.d. anatocismo fissato dall'art. 1283 c.c.

Costituendosi, il Banco di Desio e della Brianza ha chiesto

il rigetto della proposta opposizione rilevando, in primo luogo, che la Sicema, quale debitrice principale, non aveva mai conte

stato gli estratti di conto corrente di volta in volta inviati dall'i

stituto di credito e relativi ad un rapporto che era sorto nel

lontano 1974, estratti sui quali, inoltre, era sempre indicato il

tasso di interesse passivo in concreto applicato, e ciò in osse

quio alla legislazione sulla c.d. trasparenza bancaria. Infine, la

legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi discen

derebbe dalla circostanza che lo stesso art. 1283 c.c., dopo ave

re sancito il divieto del c.d. anatocismo, fa comunque salvi gli «usi contrari», formula con la quale il legislatore ha inteso rife

rirsi agli usi normativi, primi fra tutti, a quelli nati proprio nei rapporti bancari.

Compiuta la necessaria istruttoria essenzialmente tramite pro duzioni documentali e precisate le conclusioni in data 19 no

vembre 1998, la causa, scaduti i termini concessi per il deposito

n. 5379, cit.), v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 19 feb braio 1998, e Pret. Catania, decr. 30 luglio 1998, Foro it., 1998, I, 2998, con nota di A. Palmieri; Trib. Trani, decr. 27 febbraio 1998,

ibid., 2566; Trib. Genova 24 gennaio 1997, id., Rep. 1997, voce Inte

ressi, n. 20 (e Fallimento, 1997, 1026); per l'applicazione, in caso di

nullità della pattuizione relativa agli interessi, dei criteri integrativi det tati dalla 1. 154/92 e dal d.leg. 385/93, limitatamente alle obbligazioni sorte in epoca successiva all'entrata in vigore di tali provvedimenti, v. Trib. Roma 19 febbraio 1998, cit. Nel senso che è nulla la clausola

che, per la determinazione del tasso degli interessi ultralegali, rinvia

al prime rate, v. Trib. Verona 24 gennaio 1997, Giur. merito, 1997,

949, con nota di A. Volanti, La determinazione degli interessi nei con

tratti bancari. Per la nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestra

le degli interessi passivi, v., oltre a Cass. 30 marzo 1999, n. 3096, e

16 marzo 1999, n. 2374, in questo fascicolo, I, 1153, con nota di richia

mi e osservazioni di A. Palmieri e R. Pardolesi, Trib. Busto Arsizio

15 giugno 1998, Foro it., 1998, I, 2997, con la citata nota di A. Palmie ri (cui si rinvia per ulteriori riferimenti). L'esistenza di un uso normati vo che giustifica l'applicabilità dell'anatocismo in materia bancaria è,

peraltro, ribadita da Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675, id., Mass., 1337, e 17 aprile 1997, n. 3296, id., Rep. 1997, voce cit., n. 13, nonché da

Trib. Roma 7 novembre 1996, Mondo bancario, 1997, fase. 5, 51, con

nota di G. Gallo, Gli usi normativi nel riferimento alla disciplina dei

contratti prevista dal t.u. bancario. Da notare che, per giustificare l'il

legittimità dell'anatocismo bancario, oltre al consueto argomento relati

vo alla carenza di valore normativo dell'uso che prevede la capitalizza zione degli interessi passivi, i giudici sono alla ricerca di nuovi appigli

normativi; se Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, cit., scorgeva possibi li contrasti con la nuova legislazione sull'usura, la sentenza riportata sub II richiama, da un lato, lo squilibrio contrattuale sanzionato dal

l'art. 1469 bis c.c. (peraltro, ancorché si ritenga assoggettabile al con

trollo di vessatorietà la clausola relativa agli interessi anatocistici [cfr. P. Sirena, in Le clausole vessatorie nei contratti dei consumatori a

cura di G. Alpa e S. Patti, Milano, 1997, I, 577], tale spiegazione

appare parziale, in quanto riferibile ai consumatori e non a tutti i clien

ti della banca) e, dall'altro, il divieto di accordi e pratiche concordate

sancito dall'art. 85 del trattato Ce (sui rapporti tra normativa antitrust

comunitaria e norme bancarie uniformi, v. Corte giust. 21 gennaio 1999, cause riunite C-215/96 e C-216/96, Foro it., 1999, IV, 41, e 130, con

nota di S. Bastianon, La fideiussione «omnibus», il diritto antitrust

e l'araba fenice).

Il Foro Italiano — 1999.

delle conclusionali e delle repliche, è stata riservata in decisione

dal giudice istruttore in funzione di giudice unico.

Motivi della decisione. — Sostanzialmente gli opponenti han

no contestato il credito monitoriamente azionato dal Banco di

Desio e della Brianza per una duplicità di motivi, entrambi af

ferenti, però, all'ammontare degli interessi passivi maturati in

favore dell'istituto convenuto. Infatti la Sicema e il sig. Mag

giori, pur non avanzando alcuna contestazione in ordine al ca

pitale dovuto alla banca, hanno eccepito la nullità delle clausole

contrattuali relative sia al riconoscimento di interessi in misura

ultralegale sia alla capitalizzazione trimestrale degli interessi stessi, a seguito della quale si determinerebbe la violazione del divieto

di anatocismo fissato dall'art. 1283 c.c.

Entrambe le censure sono risultate sprovviste di fondamento,

per cui l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 535/97 non può che essere rigettata.

Infatti il Banco di Desio e della Brianza ha prodotto il con

tratto di conto corrente stipulato con la Sicema s.p.a. in data

30 gennaio 1974 e cioè precedentemente all'entrata in vigore della legge sulla c.d. trasparenza bancaria, nel quale, e precisa mente alla clausola n. 7, la correntista si era impegnata a corri

spondere alla società opposta anche gli interessi man mano ma

turati, il cui tasso, a differenza di quanto sostenuto dagli oppo nenti, è stato determinato per iscritto mediante il richiamo a

quello «usualmente praticato . . . sulla piazza». Com'è noto, secondo la unanime giurisprudenza sia di merito

sia di legittimità, il requisito della forma scritta per il riconosci

mento del diritto ad ottenere il pagamento di interessi in misura

eccedente a quella legale, requisito fissato dalla norma contenu

ta nell'art. 1284, 3° comma, c.c., deve ritenersi soddisfatto, ov

viamente nel caso di rapporti sorti prima dell'entrata in vigore della 1. 154/92 (applicabile esclusivamente ai contratti stipulati

successivamente, stante la natura non meramente interpretativa delle norme in essa contenute), non solo nel caso in cui le parti abbiano pattuito la percentuale precisa degli interessi dovuti, bensì anche nell'ipotesi in cui sia stato determinato per iscritto

il criterio cui le stesse abbiano inteso riferirsi per la concreta

determinabilità del tasso medesimo, determinabilità che può av

venire per relationem, mediante il rinvio a dati estrinseci rispet to al contratto che siano stati, però, individuati specificamente,

quali, come nel caso di specie, il rinvio alle condizioni praticate normalmente sulla piazza dagli istituti di credito, ovvero agli accordi interbancari (in tale senso, v., tra le tante pronunzie, Cass. 9 aprile 1984, n. 2262, Foro it., Rep. 1984, voce Interessi, n. 13; 30 maggio 1989, n. 2644, id., 1989, I, 3127; 22 maggio

1990, n. 4617, id., Rep. 1990, voce cit., n. 19, concernenti pro

prio fattispecie uguali a quelle oggetto del presente giudizio). Anche recentemente la Suprema corte — v. in particolare la

pronunzia 13 marzo 1996, n. 2103 (id., 1997, I, 1939) — ha

ribadito il principio secondo il quale la forma scritta ad sub

stantiam richiesta dalla disposizione contenuta nell'art. 1284 c.c.

per la validità di clausole contrattuali prevedenti, in favore del

creditore, un tasso di interessi superiore a quello legale, deve

ritenersi soddisfatta anche in mancanza di un documento nego ziale contenente la specificazione in cifra percentuale del tasso

di interesse, laddove sia comunque fissato per iscritto il criterio

oggettivo che consenta la determinazione per relationem del tas

so medesimo, e ciò in quanto la misura degli interessi, anche

in tale ipotesi, è ancorata a fatti oggettivi (quali le condizioni

usualmente praticate sulla piazza) facilmente accertabili dal cor

rentista con l'uso dell'ordinaria diligenza.

Inoltre, nel caso di specie, così come emerge dagli stessi estratti

di conto corrente prodotti dagli opponenti e relativi agli anni

1994 e seguenti, il Banco di Desio ha indicato il tasso di interes

si passivi applicato alla Sicema, in tal modo permettendo al

cliente di accertare la concreta situazione debitoria relativamen

te, appunto, agli oneri economici conseguenti alla utilizzazione

del credito concesso.

Dall'esame dell'indicata documentazione, emerge inoltre, che

la debitrice principale ha sempre approvato gli estratti conto

inviati dalla opposta indicanti sia le operazioni compiute sia

gli interessi applicati: tale circostanza si desume, in primo luo

go, dalle annotazioni apposte dal correntista sugli estratti —

annotazioni consistite nell'aver spuntato ogni singola voce e nel

l'avere di volta in volta approvato le risultanze degli estratti

apponendovi il proprio «ok» — e, in secondo luogo, dalle mis

sive inviate dalla Sicema al Banco di Desio, con le quali la debi

trice, lungi dal contestare i tassi di interessi applicati ovvero

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1343 PARTE PRIMA 1344

le risultanze degli estratti, proponeva un piano di rientro per far fronte alla grave esposizione debitoria accumulata e mai con

testata.

Analogamente destituita di fondamento è la seconda ed ulti

ma eccezione avanzata dagli opponenti e relativa alla nullità

delle clausole contrattuali prevedenti la capitalizzazione trime

strale degli interessi passivi, nullità che discenderebbe dall'asse

rita violazione del c.d. divieto di anatocismo fissato dall'art.

1283 c.c. Tale disposizione, però, è vero che contempla in linea

generale l'indicato divieto, ma è anche vero che fa salvi gli «usi

contrari», espressione che si riferisce ai c.d. usi normativi —

e cioè agli usi dotati dei caratteri oggettivi della durata, della

costanza e della generalità — in cui rientrano gli usi bancari, a tutela dei quali il legislatore del 1942 inserì sempre nell'art.

1283 c.c. l'indicata clausola di salvaguardia. Non vi è dubbio, infatti, che il principio della capitalizzazio

ne degli interessi passivi da parte degli istituti di credito, ancora

oggi costituisce una consuetudine avente valore di «fonte-fatto», tant'è che nel nostro paese (e non solo) viene applicato da tutte

le aziende di credito nei confronti, indistintamente, di tutti i

correntisti. Si noti, inoltre, che la legittimità degli usi bancari

prevedenti l'anatocismo incide non solo sulla previsione della

c.d. capitalizzazione degli interessi allo scopo di renderli a loro

volta produttivi di interessi, bensì anche sul periodo di capita lizzazione minimo che, nella prassi bancaria, è non di sei mesi, bensì di tre (circa la legittimità delle norme bancarie deroganti al divieto di anatocismo, v., tra le numerose pronunzie, Cass.

5 giugno 1987, n. 4920, id., 1988, I, 2352, e 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep. 1995, voce cit., n. 16).

Dalle su esposte considerazioni emerge, quindi, il rigetto del

l'opposizione proposta dalla Sicema Iwt s.p.a. e dal sig. Mario

Maggioni avverso il decreto ingiuntivo n. ing. 535/97 e la con

seguente condanna degli attori, totalmente soccombenti, a ri

fondere al Banco di Desio e della Brianza le spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data

12 novembre 1997 il Banco di Desio e della Brianza s.p.a. chie deva al presidente del Tribunale di Monza di ingiungere alla

cliente New Trade s.r.l. ed al fideiussore Maggioni Mario il pa gamento della somma di lire 255.936.876, oltre agli interessi

ed alle spese della procedura monitoria, in relazione allo sco

perto del conto corrente bancario n. 7709/00/8 acceso dall'an

zidetta società presso la filiale di Cesano Maderno.

Avverso il conseguente decreto ingiuntivo n. 537/97, emesso dal presidente adito in data 19 novembre 1997, gli ingiunti pro

ponevano opposizione con atto di citazione notificato in data

28 gennaio 1998. Lamentavano gli opponenti: — che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi,

prevista dalle clausole uniformi adottate dal sistema bancario

italiano, doveva considerarsi contrastante con gli art. 85 e 86 del trattato istitutivo della Comunità europea e, comunque, ille

gittima; — che, in ogni caso, il tasso degli interessi applicato era sta

to superiore a quello convenzionalmente pattuito e risultante dall'andamento del mercato.

Ritualmente costituitasi in giudizio, l'opposta contestava in fatto e diritto il fondamento dell'avversa opposizione ed istava

per la conferma dell'ingiunzione. Confermata la provvisoria esecuzione del decreto opposto e

precisate, come in epigrafe, le conclusioni delle parti, la causa

giunge ora all'esame decisionale del tribunale, in persona del

giudice istruttore con funzioni del giudice unico ex art. 190 bis

c.p.c. e 88 1. 353/90. Motivi della decisione. — L'opposizione, a parere del giudi

cante, è parzialmente fondata.

Lamentano, innanzitutto, gli opponenti che la previsione di clausole uniformi (previgenti, in particolare, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dalla clientela) inserite in mo duli utilizzati da tutte le banche italiane contrasterebbe con gli art. 85 e 86 del trattato istitutivo della Cee ed invoca la rimes sione degli atti alla Corte di giustizia della Comunità europea.

In sé inaccoglibile tale ultima richiesta (non essendo le clau sole uniformi equiparabili a norme giuridiche in senso tecnico

Il Foro Italiano — 1999.

e pertanto, apparendo sottratte al vaglio della Corte di giusti

zia), reputa il giudicante che, nel merito, la legittimità della clau

sola che prevede la trimestralizzazione degli interessi passivi, pre vista dall'art. 7 delle norme bancarie uniformi (nbu) dettate dal

l'Associazione bancaria italiana (Abi), debba essere vagliata, oltre

che con riferimento agli art. 85 e 86 del trattato Cee, anche

alla luce della nuova normativa di tutela del consumatore intro

dotta in Italia dalla 1. 6 febbraio 1996 n. 52 (istitutiva, in parti

colare, del nuovo capo XIV bis e degli art. da 1469 bis a

1469 sexies c.c.), nonché delle norme di cui all'art. 1283 c.c.

ed all'art. 8 preleggi. Non è ignota, ovviamente, a questo giudicante la costante

giurisprudenza della Corte di cassazione che ha ribadito la legit timità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in appli cazione dell'art. 1283 c.c. e della deroga ivi prevista nell'ipotesi di esistenza di un «uso normativo» in tal senso.

Peraltro, una visione meno restrittiva del campo normativo

applicabile a tale questione, nonché dei recenti principi intro

dotti in tema di tutela del consumatore e della concorrenza,

impongono alcune riflessioni che, a parere di chi scrive, condu

cono a conclusioni diametralmente opposte a quelle sino ad og

gi raggiunte dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e di

merito.

Secondo l'insegnamento della stessa Suprema corte, gli ele

menti identificativi del c.d. «uso normativo» (previsto dall'art.

8 preleggi e richiamato dall'art. 1283 c.c.) sono essenzialmente

due: l'uno, di carattere esteriore, costituito dal mero fatto della

ripetizione uniforme e costante di un dato comportamento e

l'altro, di carattere psicologico, consistente nella convinzione di osservare, così operando, una norma giuridica (opinio iuris

ac necessitatis). Tali caratteristiche sono state asseritamente riscontrate anche

nell'uso bancario consistente nella capitalizzazione trimestrale

degli interessi dovuti dalla clientela, in deroga al divieto di ana

tocismo (cioè, di produzione di interessi sugli interessi scaduti) previsto dall'art. 1283 c.c., sul presupposto che, oltre che esi

stente da parecchi decenni, tale uso verrebbe ormai percepito dalla generalità dei clienti come una vera e propria norma giuri dica obbligatoria, seppure necessitata (v., ad es., Cass. 9227/95, Foro it., Rep. 1995, voce Interessi, n. 16).

Un simile opinamento, però, non tiene conto di un'osserva

zione fondamentale, riconducibile proprio alla ratio dei richia mi operati dalla legge agli usi e dalla loro originaria ed intrinse ca natura.

Particolarmente nei rapporti negoziali, l'esistenza di un uso

di valenza «normativa», in effetti, in tanto ha ragion d'essere

in quanto sia riconducibile ad un comportamento comune a tutti

gli interessati che, ripetuto nel tempo, conferisca ad esso una

presunzione di «giuridicità» (e, perciò, di obbligatorietà). Nell'ipotesi di rapporti bancari, un simile comportamento po

trebbe tradursi in uso normativo qualora tragga origine da con suetudini costantemente poste in essere non solo ad opera e vo lontà delle banche, ma anche ad opera e volontà della clientela.

Orbene, deve quantomeno dubitarsi che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, pur costituendo ormai un fe nomeno temporalmente datato, sia sorta e persista in relazione ad un comportamento bilaterale voluto e soprattutto «libero», essendo invece notoriamente il risultato di clausole contrattuali

imposte dal contraente-banca al contraente-cliente. Prova ne è, oltre che il notorio, l'introduzione di tale previ

sione nelle nbu ed il suo «inevitabile» recepimento nei moduli contrattuali predisposti dalle banche e sottoposti alla (altrettan to «inevitabile») accettazione da parte della clientela.

Dunque, non potendosi considerare prevista da un uso nor

mativo realmente accettato dalla generalità dei contraenti-clienti, la clausola previgente la capitalizzazione trimestrale degli inte

ressi passivi deve considerarsi, innanzitutto, illegittima per con

trasto con la norma di cui all'art. 1283 c.c.

Peraltro, come già anticipato, una visione complessiva della

normativa applicabile alla materia in questione consente una valutazione di illegittimità non relegata negli angusti confini del l'anzidetta norma codicistica.

Da un lato, infatti, può osservarsi come in generale la previ sione di un sistema di capitalizzazione degli interessi fortemente

sperequato (trimestrale per quelli da versarsi alla banca; annua le per quelli dovuti al cliente) si ponga in contrasto con il 1° comma dell'art. 1469 bis c.c. (norma solo accidentalmente non del tutto applicabile al caso di specie, essendo uno degli oppo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nenti una persona giuridica e l'altro una persona fisica) che qua lifica come vessatorie le clausole che «determinano a carico del

consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obbli ghi derivanti dal contratto».

Da un altro punto di vista, invece, non può negarsi che la

previsione obbligatoria, da parte dell'Abi, di norme uniformi

che impongono la capitalizzazione trimestrale degli interessi pas

sivi, si pone in palese contrasto con l'art. 85 del trattato Cee, che vieta, tra l'altro, «gli accordi tra imprese e tutte le pratiche concordate» in particolare consistenti nel «fissare direttamente

o indirettamente . . . condizioni di transazione» (1° comma, lett.

a) e li sanziona di nullità «di pieno diritto» (2° comma). Un simile modus operandi, in effetti, oltre che suscettibile

di introdurre ingiustificati squilibri nei rapporti con i clienti (che, data l'estensione del prodotto bancario non possono non essere

considerati come veri e propri «consumatori»), appare idoneo

anche ad incidere negativamente sul libero gioco della concor

renza, tant'è vero che non risulta in alcun modo nota l'esisten

za (e la stessa possibilità) di accordi tra banche o gruppi di

banche tesi a derogare alla clausola di capitalizzazione trime

strale degli interessi passivi. Per tutte le anzidette ragioni, va dichiarata illegittima la quan

tificazione degli interessi dovuti dagli opponenti in applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale.

In ragione di ciò, il credito della banca opposta dovrà essere

ricalcolato nel prosieguo del giudizio, mediante applicazione del

diverso criterio di capitalizzazione applicato dal Banco di Desio

e della Brianza s.p.a. alla propria clientela.

Ciò comporta, inevitabilmente, la revoca dell'opposto decre

to ingiuntivo (in quanto emesso per importi superiori al dovu

to) e la rimessione della causa in istruttoria ai fini della determi

nazione del quantum della domanda subordinatamente svolta

dalla banca opposta: non possono, invece, trovare accoglienza

gli altri motivi di opposizione, in quanto del tutto generici.

Ili

Svolgimento del processo. — 1. - Con decreto ingiuntivo prov visoriamente esecutivo n. 2746/94 emesso in data 6 settembre

1994 a fronte di ricorso monitorio depositato il 2 agosto 1994,

il presidente del Tribunale di Monza ha ingiunto a Pietro De

Cesare — titolare della Pierpel di De Cesare Pietro — di pagare

alla Banca di credito cooperativo di Sesto S. Giovanni (già Cas

sa rurale e artigiana di Sesto S. Giovanni) «la somma di lire

111.012.748 oltre agli interessi al tasso corrente su piazza dal

30 giugno 1994 al saldo effettivo», quale saldo passivo al 30

giugno 1994 del conto corrente bancario n. 13377/88 concluso

fra le parti il 29 dicembre 1987, ed assistito — sino alla revoca

intervenuta con lettera raccomandata del 27 luglio 1994 — da

apertura di credito (cfr. doc. 1-3 fascicolo monitorio, nonché

copia del decreto sub doc. 2 convenuta). Con citazione tempestivamente notificata in data 20 ottobre

1994, Pietro De Cesare ha interposto opposizione al decreto

ingiuntivo formulando una serie di censure in ordine al com

portamento della banca, la quale si era dapprima rifiutata di

accettare il pagamento di una rata di mutuo ipotecario «Arti

giancassa» venuta a scadenza il 22 luglio 1994 (facendo presen

te al mutuatario che il pagamento sarebbe stato imputato sola

mente al debito chirografario consistente nello scoperto del conto

corrente bancario, cfr. doc. 1-3 attore), e quindi aveva revocato

con effetto immediato gli affidamenti in essere (cfr. doc. 4-5 att.).

A fronte della disponibilità manifestata dall'attore ad un in

contro per definire stragiudizialmente il contenzioso, la banca

aveva risposto in data 5 settembre 1994 comunicando che l'uni

ca soluzione possibile era «quella, già offertavi per le vie brevi,

di garantire il nostro istituto con una vs. dazione di ipoteca

volontaria entro e non oltre il 30 settembre prossimo venturo,

sull'immobile sito in via Damiano Chiesa, 6», e precisando che in caso di mancata ricezione di «vs. assenso per iscritto in meri

to a quanto precede entro e non oltre cinque giorni dalla data

della presente, proseguiremo nell'azione di recupero coattivo del

nostro credito già intrapresa» (cfr. doc. 7 att.).

A seguito di un ulteriore scambio di corrispondenza (cfr. doc.

8-9 att.), il 15 settembre 1994 si era svolto un incontro fra le

parti nel quale il De Cesare aveva dichiarato «la propria dispo

nibilità a concedere l'ipoteca volontaria nei termini richiesti dal

li. Foro Italiano — 1999.

la banca»; ma nonostante ciò quest'ultima, con lettera semplice del giorno successivo (allorché essa era già in possesso del de

creto ingiuntivo in forma esecutiva), aveva confermato che «la

nostra direzione legale ha deciso di proseguire nell'azione intra

presa nei vs. confronti» (doc. 10 ibid.), provvedendo il 19 set

tembre 1994 ad iscrivere sull'immobile dell'attore ipoteca legale

per la somma capitale di lire 111.012.748 e «lire 43.294.952 trien

nio di interessi al tasso pari al tredici per cento» (cfr. doc. 11

ibid.). Confidando che sulla base dei predetti rilievi il tribunale avreb

be dichiarato «la nullità del decreto e della conseguente iscrizio

ne ipotecaria», il De Cesare ha inoltre chiesto dichiararsi la nul

lità della clausola n. 7 del contratto di conto corrente, giusta la quale gli interessi dovuti dal correntista si intendevano deter

minati alle condizioni praticate usualmente dalle casse sulla piaz

za, in quanto violativa della norma (art. 1284, 3° comma, c.c.) che prescriveva la forma scritta per la pattuizione di interessi

in misura superiore al tasso legale costantemente addebitati alla

Pierpel nel corso del rapporto. Tale clausola, infatti, non consentiva di individuare in modo

inequivoco il tasso di interessi debitori, atteso che da un lato

non era dato rinvenire sulla piazza consuetudini aventi forza

di legge idonee ad integrare in parte qua il contratto di conto, e dall'altro le pubblicazioni bancarie rinvenibili indicavano vari

tassi di interesse, inidonei a soddisfare il precetto codicistico

sopra richiamato: tanto era vero, che la banca aveva applicato al correntista saggi di interesse superiori allo stesso prime rate

Abi (cfr. conti scalari dal 31 dicembre 1990 al 30 giugno 1992, sub doc. 13-19 att., nonché tabella degli indici prime rate sino

all'agosto 1994 sub doc. 12 ibid.). Se a ciò si aggiungeva che l'art. 4, 3° comma, 1. 17 febbraio

1992 n. 154 aveva sancito che «le clausole contrattuali di rinvio

agli usi sono nulle e si considerano non apposte», l'opponente ha formulato espressa domanda «riconvenzionale» di nullità della

pattuizione di cui all'art. 7, 3° comma, del contratto di conto

corrente stipulato il 29 dicembre 1987, in forza della quale era

no stati «conteggiati nel corso di tutto il rapporto contrattuale

interessi corrispettivi e di mora nella misura ultra legale in vio

lazione dell'art. 1284, 3° comma, c.c.»; ed ha chiesto revocarsi

il decreto ingiuntivo opposto e ordinarsi conseguentemente al

conservatore dei registri immobiliari di cancellare l'iscrizione di

ipoteca giudiziale 19 settembre 1994, nn. 77312/15125.

2. - La banca convenuta, costituendosi all'udienza di prima

comparizione, ha preliminarmente ricostruito la vicenda che aveva

portato ai persistenti sconfinamenti dalla linea di credito di lire

80.000.000 ilio tempore concessa all'opponente, precisando di

essersi avvalsa del procedimento monitorio solo dopo l'espresso rifiuto del De Cesare di concedere la garanzia ipotecaria richie

sta, e di essersi resa disponibile anche dopo il deposito del ri

corso ingiuntivo ad una composizione bonaria della controver

sia (cfr. doc. 3 conv., con la quale aveva pregato il legale in

data 12 settembre 1994 di «attendere ad iscrivere ipoteca giudi

ziale»), senza tuttavia impegno alcuno — come fatto manifesto

dalla stessa comunicazione in data 5 settembre 1994 prodotta dal De Cesare — ad arrestare l'iniziativa giudiziale già intrapre sa: composizione bonaria naufragata proprio allorché il debito

re si era presentato all'incontro del 15 settembre 1994 senza

notaio, così manifestando la natura meramente dilatoria del pro

prio intento.

Quanto alla quérelle sugli interessi debitori praticati al cor

rentista in forza dell'art. 7 del contratto di conto, la banca ha

richiamato numerose pronunzie anche della Corte suprema di

cassazione che avevano costantemente affermato l'idoneità del

riferimento contrattuale alla pratica usuale della piazza a soddi

sfare al requisito della forma scritta previsto dall'art. 1284, 3°

comma, c.c.; ed ha rilevato come nessuna incertezza potesse

riscontrarsi circa l'individuazione del saggio di interessi volta a volta praticato, posto che unitamente ai conteggi inviati tri

mestralmente al correntista erano stati inviati anche dei fogli

denominati «elementi per il conteggio delle competenze» che

indicavano con chiarezza «i diversi e mutevoli tassi di interesse

riferiti ai vari tipi di esposizioni creditizie», che l'opponente mai aveva contestato nel termine contrattuale di quaranta giorni (cfr.

art. 8 del contratto di conto). Tanto premesso, la Banca di credito cooperativo di Sesto S.

Giovanni ha chiesto dichiararsi infondata l'opposizione, ed in

via subordinata condannarsi comunque il De Cesare al paga

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1347 PARTE PRIMA 1348

mento della somma di lire 111.012.784 oltre interessi dal 30 giu

gno 1994 al saldo, ovvero «di quel diverso importo che risultas

se di giustizia». 3. - Con ord. 6 dicembre 1994 il presidente istruttore (poi

sostituito con provvedimento presidenziale del 16 settembre 1996

dal dott. Miele, e quindi — con provvedimento del presidente di sezione in data 29 settembre 1997 — dal dott. Azzarone), ha rigettato l'istanza di sospensione della provvisoria esecuto

rietà del decreto opposto. Con successiva ord. 2 febbraio 1996 lo stesso giudice, «rite

nuta la prova dedotta dalle parti irrilevante in causa» (cfr. me

morie istruttorie 12 aprile 1995 — opponente — e 25 settembre

1995 — opposta —), ha invitato le stesse a precisare le conclu

sioni definitive. Con ordinanza emessa fuori udienza in data 30 gennaio 1997,

il nuovo giudice istruttore — ribadita la valutazione di inin

fluenza e superfluità delle istanze di prova orale dedotte da am

bo le parti — ha invitato la banca opposta a «chiarire sulla

base di quali indici, nel concreto, abbia potuto quantificare gli interessi nella misura richiesta (ad es. condizioni fissate su scala

nazionale con accordi di cartello), indicando specificamente la

fonte di cognizione (...) e producendo (. . .) idonea documen

tazione al riguardo»: invito in cui la banca opposta ha ottempe rato in data 17 aprile 1997, precisando:

— che la determinazione del saggio di interesse per relatio

nem alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credi

to sulla piazza aveva il proprio fondamento del contratto di

conto del 29 dicembre 1987, che prevedeva anche (art. 16) la

facoltà della cassa di «modificare in qualsiasi momento le nor

me e le condizioni che regolano i rapporti di conto corrente»; — che l'indicazione dei tassi concretamente praticati risulta

va dai riassunti scalari trimestralmente inviati alla Pierpel (dal 31 marzo 1990 all'11 agosto 1994, cfr. doc. 9-27 contestualmen

te prodotti); — che infine detta comunicazione era anche assicurata dal

l'affissione nelle pareti del salone della banca di manifesti riepi

logativi di grandi dimensioni (v. quello datato 5 settembre 1992, sub doc. 28 conv.).

Infine, all'udienza del 16 dicembre 1997 le parti hanno rasse

gnato le rispettive conclusioni come in epigrafe e la causa è

pervenuta per la decisione all'udienza di discussione del 5 no

vembre 1998, nella quale il presidente ha designato in qualità di relatore, in sostituzione del precedente istruttore, il dott. Guido

Vannicelli.

Motivi della decisione. — 4. - L'opposizione, sia pur in par

te, è fondata, e la causa, dichiarata con sentenza non definitiva

la nullità parziale del contratto di conto corrente azionato mo

nitoriamente dalla banca e revocato il decreto ingiuntivo oppo

sto, deve essere rimessa in istruttoria per la rideterminazione — secondo i parametri che si indicheranno di seguito e con ordinanza in data odierna — del credito vantato dalla convenuta.

Va previamente disatteso il motivo di opposizione che il De

Cesare ha fondato sul comportamento asseritamente illegittimo che la Banca di credito cooperativo di Sesto S. Giovanni avreb be tenuto nel momento in cui rifiutò — dopo la revoca dell'a

pertura di credito in essere e la richiesta di immediato rientro

dall'esposizione, avvenute il 25 e 27 luglio 1994 — di proseguire la trattativa in corso nel mese di settembre, insistendo nell'ini

ziativa monitoria già intrapresa il precedente mese di agosto nonostante la disponibilità manifestata dall'opponente ad acce

dere alla richiesta di concessione di ipoteca volontaria sull'im

mobile di via Damiano Chiesa, 6.

In proposito, appare incerto lo stesso titolo giuridico sul qua le l'opponente vorrebbe fondare la dedotta nullità del decreto

ingiuntivo, non essendo dato comprendere in qual modo un com

portamento asseritamente scorretto tenuto dall'istituto nella fa

se finale del rapporto e della susseguente trattativa potrebbe ridondare in nullità processuale del decreto ingiuntivo ottenuto

dalla opposta. Il De Cesare, infatti e salvo quanto si dirà al successivo para

grafo, non contesta — né può farlo — di essere in ogni caso

debitore della banca, né di aver ricevuto le comunicazioni (da lui stesso prodotte) con le quali questa, a fronte del cronico

sconfinamento dal tetto massimo di apertura concessogli, gli aveva da un lato intimato di ripianare entro cinque giorni il

saldo passivo del conto corrente bancario n. 13377/88, e dal

li. Foro Italiano — 1999.

l'altro aveva revocato con effetto immediato l'affidamento ad

esso relativo (cfr. doc. 4-5 att., cit.). A fronte di ciò, la richiesta di provvedimento monitorio inol

trata dalla banca pochi giorni dopo a tutela del proprio credito

era giuridicamente legittima, e l'istituto medesimo — nel riscon

trare gli intenti di «provvedere alla sistemazione della nostra

posizione» manifestati dal debitore — aveva del resto fatto

espressamente presente al correntista che, nel caso in cui questi non avesse prontamente acceduto alla proposta di accensione

di ipoteca volontaria a garanzia dello scoperto, l'azione di recu

pero coattivo del credito già intrapresa sarebbe stata proseguita. Ne consegue che la banca aveva sospeso momentaneamente

la messa in esecuzione del decreto ingiuntivo già ottenuto senza

esservi in alcun modo giuridicamente tenuta, e solo a fronte

di una propria condizione-concessione da parte del De Cesare

di un'ipoteca volontaria sul proprio immobile di via Damiano

Chiesa — che l'opponente, per i motivi che siano e che qui non rilevano, non provvedette ad assolvere nel corso dell'incon

tro del 15 settembre 1994; fermo comunque restando, con effet

to dirimente sulla presente questione, che (come correttamente

osservato dal giudice istruttore nell'ord. 30 gennaio 1997) le cir

costanze dedotte a prova dal De Cesare sul punto appaiono

comunque ininfluenti al fine della valutazione della validità pro cessuale e sostanziale del decreto opposto, «atteso che esse si

riferiscono a fasi di trattative tra il creditore ed il debitore al

l'interno delle quali non è ipotizzabile un obbligo delle parti di addivenire ad una piuttosto che all'altra soluzione delle trat

tative medesime».

In altre e conclusive parole, così come nulla imponeva alla

banca opposta di soprassedere momentaneamente alla richiesta

e messa in esecuzione del titolo giudiziale ottenuto il 6 settem

bre 1994, nulla la obbligava a condurre in porto la trattativa

nei termini sperati dal De Cesare, ed addirittura in quelli da

lei stessa prospettati (secondo la versione dei fatti offerta dal

l'opponente); con la conseguenza che l'opposizione in esame

deve ritenersi, sotto tale profilo, manifestamente infondata.

5. - A diverse conclusioni deve giungersi per quanto attiene

alla dedotta nullità della clausola contrattuale (art. 7, 3° e 4°

comma, delle condizioni generali del contratto di conto corren

te di corrispondenza n. 13377/88 concluso il 29 dicembre 1987) sul fondamento della quale la banca ha, nel corso del rapporto,

conteggiato gli interessi «passivi» (corrispettivi e di mora) dovu

tile dall'opponente, e trimestralmente capitalizzati; clausola con

trattuale secondo la quale: — «i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori ven

gono (. . .) chiusi contabilmente in via normale trimestralmente»; — «gli interessi dovuti dal correntista alla cassa, salvo patto

diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usual

mente dalle casse sulla piazza, e producono a loro volta interes

si nella stessa misura»; — «sul saldo dei conti debitori venuti a cessare per qualsiasi

motivo (. . .) gli interessi continueranno a decorrere sino alla

data di estinzione del debito e verranno regolati e computati come ai precedenti 2° e 3° comma».

Va subito precisato, in relazione ad una controeccezione svol

ta dalla banca sin dall'atto di costituzione in giudizio, che la

valenza probatoria delle tacite approvazioni di conti periodici da parte del De Cesare deve intendersi rigorosamente circoscrit

ta alle risultanze numeriche degli addebiti in conto (con le ulte

riori parziali deroghe previste dal capoverso dell'art. 1832 c.c.), senza che quindi tale preclusione impedisca all'opponente di con

testare — anche oltre il termine contrattuale — la validità ed

efficacia, in tutto o in parte, dei rapporti giuridici sottostanti

alle singole rimesse contabili riportate negli estratti (così anco

ra, da ultimo, Cass. 15 giugno 1995, n. 6736, Foro it., Rep. 1995, voce Conto corrente, n. 1): contestazione che per l'ap

punto il De Cesare ha effettuato sotto il profilo della violazione

dell'art. 1284, 3° comma, c.c., allorché ha dedotto l'illiceità

della determinazione degli interessi debitori (corrispettivi e di mora) ultralegali sulla base del mero riferimento alle condizioni

praticate dalle banche sulla piazza di Sesto.

Ciò premesso, deve ritenersi fondata, nel senso che subito

si preciserà, la domanda riconvenzionale che l'opponente ha svol

to in relazione alla nullità della clausola sopra riportata, e quin di all'illecito esercizio da parte della banca opposta del potere su quella pattuizione fondato di determinare (e variare nel tem

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

po ad nutum) il saggio degli interessi praticati sui saldi passivi del conto corrente, anche oltre la soglia del saggio legale, me

diante il mero riferimento al tasso usualmente praticato da tutti

gli istituti di credito della «piazza». Il riferimento fatto dalla difesa della banca alla nota giuris

prudenza secondo cui l'iniziale fissazione e variazione del tasso

degli interessi dovuti dal cliente nel corso di un rapporto banca

rio di durata può esser resa determinabile — ed idonea a soddi

sfare il requisito della forma ad substantiam prescritta dall'art.

1284, 3° comma — mediante il rinvio, previsto nella scrittura

negoziale, ad elementi estranei e futuri quali appunto le condi

zioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza,

appare non pertinente alla fattispecie, a fronte dell'ulteriore in

terpretazione data a quella norma dalla stessa corte regolatrice in relazione non solo ai rapporti insorti dopo l'entrata in vigore delle nuove norme disciplinanti l'attività bancaria, ma anche

a quelli ad essa preesistenti. Se infatti l'applicazione di quel principio andava e va circo

scritta ai contratti bancari conclusi in data antecedente all'en

trata in vigore dell'art. 4 1. 17 febbraio 1992 n. 154 prima (nor me sulla trasparenza delle operazioni bancarie), e degli art. 117

e 118 d.Ieg. 1° settembre 1993 n. 385 poi (t.u. delle leggi in

materia bancaria e creditizia), posto che tali norme — introdu

cendo una precisa deroga nel settore creditizio e finanziario al

sistema normativo previgente — hanno espressamente negato la validità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi nella de

terminazione degli elementi principali ed accessori del rapporto

obbligatorio (per tale affermazione cfr., in motivazione, Cass.

13 marzo 1996, n. 2103, id., 1997, I, 1939); la stessa Corte

di cassazione, a partire dal fondamentale arresto 29 novembre

1996, n. 10657 (id., Rep. 1997, voce Interessi, n. 14) ha precisa

to che l'obbligo della forma scritta sancito per la validità della

pattuizione di interessi ultralegali, pur non comportando neces

sariamente che il documento contrattuale contenga l'indicazio

ne in cifre del tasso d'interesse pattuito e potendo essere soddi

sfatto anche per relationem, richiede comunque che le parti ab

biano richiamato per iscritto criteri prestabiliti ed elementi

estrinseci al documento negoziale, obiettivamente individuabili,

che consentano la concreta determinazione del tasso convenzio

nale: con la conseguenza che il mero riferimento contrattuale

alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sul

la piazza è da considerarsi sufficiente solo ove esistano vinco

lanti discipline del saggio fissate su scala nazionale con accordi

di cartello, e non già ove tali accordi contengano diverse tipolo

gie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro

centralizzato e vincolante.

In tal caso occorrerà infatti accertare in concreto il grado

di univocità della fonte richiamata, per stabilire a quale previ

sione le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi, e se quin

di può ritenersi validamente pattuita per relationem tale — non

secondaria — parte del programma contrattuale; il che equivale

a dire, che il giudice dovrà stabilire — con riferimento al singo

lo rapporto dedotto e secondo la disciplina del tempo (oggi mo

dificata per effetto della 1. 154/92) — se l'elemento estrinseco

di riferimento permetta una sicura determinabilità della presta

zione di interessi, pur nella variabilità dei tassi nel tempo, senza

successive valutazioni discrezionali da parte della banca (così

Cass. 8 maggio 1998, n. 4696, id., Mass., 496; v. anche 10

novembre 1997, n. 11042, id., Rep. 1997, voce cit., n. 15, e,

da ultimo, 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706).

È dunque vero che, come la stessa Cassazione ha precisato,

ai sensi dell'art. 11 1. 17 febbraio 1992 n. 154 l'art. 4 di essa

non può considerarsi retroattivo prima della sua entrata in vi

gore (avvenuta centoventi giorni dopo il quindicesimo giorno

successivo alla pubblicazione nella G.U. 24 febbraio 1992, n.

45: cfr. Cass. 16 giugno 1997, n. 5379, id., Rep. 1997, voce

Contratti bancari, n. 34); ma ciò non può esimere il tribunale

dalla valutazione della validità della clausola — e pertanto, del

decreto ottenuto in base ad un credito risultante dalla sua appli

cazione — alla stregua dei predetti principi. Valutazione la quale non può che pervenire ad esito negativo,

posto che nel caso di specie — pur a fronte di specifico invito

in tal senso da parte del giudice istruttore — la banca opposta

si è limitata a richiamare il contratto (nel quale, naturalmente,

non è indicato alcun riferimento a precisi parametri cui aggan

ciare la determinazione degli interessi usualmente praticati sulla

piazza), ad esibire i riassunti scalari che assume di aver inviato

al cliente (ma anche fosse, la relatio per esser valida deve con

II Foro Italiano — 1999.

sentire una determinazione del saggio ex ante, e non rimetterlo

alla discrezionalità immotivata dell'istituto con comunicazione

ex post alla scadenza del periodo trimestrale di chiusura delle

partite contabili), ed a produrre un singolo manifesto datato

5 settembre 1992 che, oltre a non provare alcunché in merito

ad accordi fra le parti necessariamente precedenti ed a lasciare

comunque, «scoperto» il periodo pregresso e successivo, si limi

ta ad indicare per gli scoperti di conto corrente un saggio mini

mo e massimo di interessi passivi, senza possibilità di stabilire

in concreto a quale previsione le parti abbiano potuto e voluto

effettivamente riferirsi.

Ne consegue che, in assenza di richiami scritti a criteri presta biliti ed elementi estrinseci al documento negoziale obiettiva

mente individuabili, che consentano la concreta determinazione

del tasso convenzionale, e — in particolare — in mancanza di

prova dell'esistenza e considerazione ad opera delle parti di vin

colanti discipline del saggio fissate su scala nazionale — o, quan

tomeno, locale — con accordi di cartello (peraltro, come esatta

mente rilevato dalla difesa dell'opponente, non più possibili nel

l'attuale vigenza della disciplina c.d. antitrust), il precetto dettato

dall'art. 1284, 3° comma, c.c. non può ritenersi nella specie in alcun modo soddisfatto; onde la clausola contrattuale n. 7

sulla base della quale la banca opposta ha via via capitalizzato e conteggiato gli interessi passivi in costante misura ultralegale deve essere dichiarata insanabilmente nulla ed espunta dal con

tratto, ed il decreto ingiuntivo concesso su tale fondamento pat tizio — con tanto di ingiunzione a corrispondere gli ulteriori

interessi sempre all'illegittimo saggio «uso piazza» — integral

mente revocato.

6. - Consegue alla rimozione del titolo giudiziale esecutivo

in forza del quale la banca opposta ha iscritto in data 19 set

tembre 1994 l'ipoteca giudiziale di lire 160.000.000 sull'immobi

le di via Damiano Chiesa, 6, Sesto S. Giovanni, di proprietà

dell'opponente, l'accoglimento — ai sensi dell'art. 2884 c.c. —

della domanda di cancellazione della relativa iscrizione svolta

dal De Cesare, dalla quale conseguirà quale effetto naturale l'e

stinzione del diritto reale di garanzia illecitamente iscritto dalla

società convenuta (art. 2878, n. 1, c.c.). 7. - La presente sentenza non può peraltro rivestire carattere

definitivo, poiché la causa, in presenza dell'espressa domanda

(di carattere sostanzialmente riconvenzionale) formulata in via

subordinata dalla banca opposta e volta all'esatta determinazio

ne del proprio credito ed alla condanna del De Cesare ad adem

piervi, va rimessa in istruttoria per la determinazione dell'effet

tivo credito vantato dalla banca opposta; provvedimento che

si adotterà con separata ordinanza in pari data.

Se infatti è vero che la nullità parziale del contratto di conto

comporta non solo la nullità dell'applicazione da parte della

banca degli interessi passivi al saggio asseritamente rilevabile

dagli usi negoziali praticati dalle banche della piazza, ma altresì

la nullità della determinazione della stessa sorte capitale del cre

dito monitoriamente azionato, ottenuta in parte mediante la ca

pitalizzazione trimestrale degli interessi così invalidamente quan

tificati, la lacuna che la presente pronuncia crea nel regolamen

to contrattuale va limitata all'art. 7, 3° comma (e, per relationem,

4°) del contratto di conto.

L'applicazione dell'ultima parte del 3° comma dell'art. 1284

c.c. esclude infatti l'operatività nella specie del principio sancito

dall'art. 1419, 1° comma, c.c., e comporta — in applicazione della regola conservativa dettata dal 2° comma di tale disposi

zione — la nullità solo parziale del contratto, la quale impone di mantenere in vita le rimanenti disposizioni contrattuali, e di

supplire al vuoto così formatosi nell'assetto degli interessi delle

parti facendo risorgere in via di integrazione legale le norme

dispositive che determinano il saggio degli interessi, per il caso

di mancata previsione pattizia sia di quelli corrispettivi che mo

rato» : saggio che deve individuarsi nella misura del cinque per

cento in ragione di anno sino al 15 dicembre 1990, del dieci

per cento dal 16 dicembre 1990 in avanti, ed infine — per il

periodo successivo all'entrata in vigore degli art. 4 e 5 1. 154/92

(che ha previsto alla lett. a, con norma richiamata testualmente

dall'art. 117, 7° comma, lett. a, del successivo d.p.r. 1° settem

bre 1993 n. 385, l'integrazione dei contratti bancari che non

contengano «specifiche indicazioni» in punto tasso di interes

se), avvenuta centotrentacinque giorni dopo la pubblicazione nella

G.U. 24 febbraio 1992 — nel tasso nominale massimo dei Bot

annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trime

strale del conto.

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