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sentenza 2 novembre 2000, n. 454 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 8 novembre 2000, n. 46);...

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sentenza 2 novembre 2000, n. 454 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 novembre 2000, n. 46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Ferraro (Avv. Pitruzzella); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Di Carlo). Ord. Trib. Palermo 29 settembre 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1999) Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 785/786-789/790 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196456 . Accessed: 28/06/2014 10:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.31 on Sat, 28 Jun 2014 10:43:04 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 2 novembre 2000, n. 454 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 novembre 2000, n.46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Ferraro (Avv. Pitruzzella); interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Di Carlo). Ord. Trib. Palermo 29 settembre 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1999)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 785/786-789/790Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196456 .

Accessed: 28/06/2014 10:43

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso dal condutto

re di un immobile urbano nei confronti del locatore per la ripeti zione di quanto versato in eccedenza rispetto alla misura del

l'equo canone, il giudice unico della sezione distaccata di Jesi del Tribunale di Ancona, con ordinanza del 15 gennaio 2000, ha

sollevato — in riferimento all'art. 3 Cost. — questione di legit

timità costituzionale dell'art. 80, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n.

392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui, nel caso di decadenza del locatore dall'azione di risolu

zione del contratto per il parziale mutamento di destinazione —

da parte del conduttore — dell'uso pattuito dell'immobile lo

cato, prevede l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo prevalente;

che il rimettente, premesso che il rapporto di locazione de

dotto in giudizio è disciplinato dalla normativa di cui alla 1. n.

392 del 1978 e che, nella specie, l'immobile, locato per uso

abitativo («seconda casa»), era stato — invece — parzialmente

destinato, in misura non prevalente, all'uso di ufficio, rileva che

il locatore aveva tardivamente proposto la domanda riconven

zionale di risoluzione del contratto per tale mutamento di desti

nazione, incorrendo nella decadenza di cui all'art. 167 c.p.c., oltre che in quella del termine trimestrale (decorrente dalla co

noscenza del mutamento) di cui all'art. 80, 1° comma, 1. n. 392

del 1978, così da rendere applicabile alla fattispecie il regime di

predeterminazione legale del canone corrispondente all'uso ef

fettivo prevalente dell'immobile, ai sensi dell'art. 80, 2° com

ma, 1. n. 392 del 1978; che, secondo il giudice a quo la norma denunciata, non con

sentendogli di escludere dalle somme da restituire al conduttore

la quota corrispondente all'uso non abitativo dell'immobile (che sarebbe stato soggetto

— per tale parte

— ad un regime di ca

none libero), viola l'evocato parametro costituzionale: a) per

l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'art. 1455 c.c.

e al 1° comma dello stesso art. 80 1. n. 392 del 1978, per i quali, ai fini della risoluzione del contratto (allorché sia esercitabile

tale azione), occorre aver riguardo all'importanza dell'inadem

pimento e, dunque, nell'ipotesi di mutamento parziale unilate

rale della destinazione d'uso dell'immobile locato, alla non

scarsa importanza di tale mutamento, senza che sia necessario

considerare anche la prevalenza del nuovo uso; b) per l'irragio nevolezza di favorire ora il conduttore ora il locatore, a seconda

della contingente prevalenza («anche per poco») dell'instaurato

nuovo uso, abitativo o non abitativo, dell'immobile locato, ri

spetto al vecchio uso; che è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, rap

presentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, chie

dendo la declaratoria di infondatezza della sollevata questione. Considerato che il rimettente sostanzialmente lamenta che la

norma denunciata — nel caso di non tempestivo esercizio da

parte del locatore dell'azione di risoluzione di cui all'art. 80, 1°

comma, 1. n. 392 del 1978 — sancisca il criterio dell'assorbi

mento nel regime giuridico corrispondente all'uso effettivo pre valente dell'immobile locato, rendendo così del tutto irrilevante

l'inadempimento (anche se di non scarsa importanza) del con

duttore, il quale abbia unilateralmente mutato in parte — ma in

misura minusvalente — la pattuita destinazione d'uso dell'im

mobile locato;

che, tuttavia, è palesemente errato — data l'assoluta disomo

geneità dei termini di comparazione prospettati dal giudice a

quo —

porre a confronto i criteri di rilevanza dell'inadempi mento stabiliti dal legislatore ai fini della risoluzione del con

tratto, con i criteri di individuazione del regime giuridico unita

rio da applicarsi nel caso di conservazione del contratto, allor

ché ne sia esclusa — per intervenuta decadenza dell'azione —

392/78, ricorrendone le condizioni, deve comunque trovare applicazio ne, anche se da essa derivino per il conduttore effetti sfavorevoli sul

piano della disciplina del rapporto locativo (come nel caso in cui il

conduttore, ricevuto l'immobile in locazione per adibirlo ad abitazione

ordinaria, lo utilizzi saltuariamente, per soddisfare esigenze abitative

transitorie), v. Cass. 2 settembre 1998, n. 8716, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 200 (annotata da A. Scarpa, in Rass. locazioni, 1998, 487, e C.

Villani, in Giur. it., 1999, 1161). Circa il momento a partire dal quale, nell'ipotesi di cui al 2° comma

dell'art. 80 1. 392/78, trova applicazione il regime giuridico corrispon dente all'uso effettivo dell'immobile locato (o all'uso effettivo preva lente, nel caso di immobile adibito a più usi), v., da ultimo, Cass. 13 marzo 1998, n. 2745, Foro it., 1999,1, 3373, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2001.

la risoluzione (esclusione, questa, che non è oggetto di censura

da parte del rimettente);

che, d'altronde, non è irragionevole il criterio dell'assorbi

mento adottato dal legislatore al fine di configurare un regime

giuridico unitario per il contratto di locazione che si sia conser vato nonostante l'unilaterale instaurazione, contra pacta, da

parte del conduttore, di un uso effettivo promiscuo dell'immo

bile locato;

che, in particolare, la totale irrilevanza — dopo il decorso del

termine di decadenza dall'azione di risoluzione contrattuale di

cui all'art. 80, 1° comma, 1. n. 392 del 1978 — dell'inadempi

mento parziale del conduttore, il quale abbia utilizzato l'immo

bile in modo diverso da quello pattuito, ma in misura minusva

lente, è giustificata dalla specialità del rapporto locativo e dalle

connesse peculiari esigenze (anche sociali) di certezza, stabilità

ed univocità della disciplina; che il regime giuridico alternativo, ipotizzato dal rimettente

sulla base della generica combinazione delle (confliggenti) di

scipline corrispondenti ai diversi usi effettivi dell'immobile lo cato, costituirebbe semmai uno dei tanti modelli normativi

astrattamente possibili, che solo il legislatore potrebbe nella sua

discrezionalità adottare;

che, pertanto, la sollevata questione — sotto tutti i profili

— è

manifestamente infondata.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 80, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevata — in riferimento all'art. 3 Cost. — dal giudice unico del Tribunale di Ancona, sezione

distaccata di Jesi, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 novembre 2000, n.

454 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 2000, n.

46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Ferrara (Avv. Pitruzzel

la); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Di Carlo). Ord. Trìb. Palermo 29 settembre 1999 (G.U., la s.s., n. 52 del

1999).

Notaio — Addebito punibile con la destituzione — Procedi mento disciplinare — Inabilitazione facoltativa dalle fun zioni — Durata — Assenza di un limite massimo — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 27; 1. 16

febbraio 1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi

notarili, art. 140).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

140 l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui, nello stabili

re che il notaio assoggettato a procedimento disciplinare per un addebito punibile con la destituzione può essere inabilitato

all'esercizio delle sue funzioni, non prevede un limite massi

mo di durata dell'inabilitazione, in riferimento agli art. 3 e

27, 2° comma, Cost. (1)

(1) La Corte costituzionale rileva come, attraverso una serie di pro prie precedenti decisioni, è stata dichiarata l'incostituzionalità di dispo sizioni che prevedevano misure destitutive o sospensive di dipendenti pubblici o professionisti, ma in considerazione del loro automatismo che non consentiva di apprezzare la gravità dell'illecito e la proporzio nalità della misura. Nel caso dell'inabilitazione alle funzioni notarili, di cui all'art. 140 1. 89/13, la corte sottolinea invece la natura facoltativa della stessa, la quale comporta che la misura è sempre revocabile e può

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787 PARTE PRIMA 788

Diritto. — 1. - La questione sollevata investe l'art. 140 1. 16

febbraio 1913 n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi

notarili), ai sensi del quale «può essere inabilitato all'esercizio

delle sue funzioni: il notaro contro il quale si sia iniziato proce dimento per contravvenzione notarile punibile con la destituzio

ne o per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3 [reati non col

posi puniti con pena non inferiore al minimo di sei mesi]; e il

notaro contro il quale sia stata pronunciata condanna non defi

nitiva per qualunque altro reato, a pena restrittiva della libertà

personale non inferiore a tre mesi».

Più precisamente, l'ipotesi considerata dal rimettente nel giu dizio a quo, e a cui la corte ritiene di dover limitare lo scrutinio, è quella del notaio assoggettato a procedimento disciplinare (nella specie sospeso in attesa della definizione del procedi mento penale instaurato per i medesimi fatti) per un addebito

punibile con la destituzione.

La norma denunciata contrasterebbe con gli art. 3 e 27, 2°

comma, Cost., «nella parte in cui non prevede un limite massi

mo di durata dell'inabilitazione notarile». Secondo il rimettente, il necessario bilanciamento fra i contrapposti interessi coinvolti —

quello del professionista ad essere riammesso all'esercizio

della professione e quello dell'ordine professionale a tutelare la

professione sospendendo da tale esercizio il notaio accusato di

gravi fatti — richiederebbe la fissazione di un limite massimo di

durata della misura cautelare, in difetto del quale quest'ultima si

configurerebbe come una sanzione anticipata indipendente dal

l'accertamento di responsabilità, in contrasto appunto con i

principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché, indiretta

mente, con il principio di presunzione di non colpevolezza. La coessenzialità alla misura cautelare di un limite temporale

di efficacia risulterebbe confermata, ad avviso del giudice a

quo, dall'esame di altre disposizioni legislative che disciplinano misure cautelari interdittive, le quali prevederebbero o una du

rata massima della misura, legislativamente stabilita, ovvero

una correlazione con la permanenza di una misura cautelare per sonale, che a sua volta non può protrarsi oltre certi limiti di du

rata.

2. - La questione non è fondata.

Questa corte ha pronunciato l'illegittimità costituzionale di

essere mantenuta solo fintanto che permangono le esigenze cautelari che l'hanno motivata.

Per l'affermazione secondo cui, per l'inabilitazione facoltativa alle funzioni notarili non opera l'art. 308 c.p.p., che fissa i termini massimi di durata delle misure interdittive, potendo essere disposta la cessazione dell'inabilitazione soltanto in altra sede, dagli organi a ciò competenti, v. Cass. 23 ottobre 1997, Sica, Foro it., Rep. 1998, voce Notaio, n. 98.

Nel senso che l'inabilitazione all'esercizio delle funzioni notarili ha natura di misura cautelare finalizzata all'applicazione della sanzione

disciplinare definitiva, con la conseguenza che, una volta cessati i mo tivi che l'hanno determinata, potrà essere revocata secondo la procedu ra di cui all'art. 263 r.d, 1326/14, che attribuisce la competenza a prov vedere al tribunale civile, v. Cass. 15 gennaio 1998, Bellone, id., 1999, II, 31, con nota di richiami e osservazioni di De Marzo.

Analogamente, v. Cass. 13 ottobre 1998, n. 10133, id., Rep. 1999, voce cit., n. 62, secondo cui l'inabilitazione all'esercizio delle funzioni notarili di cui all'art. 140 1. 89/13 è destinata a caducarsi quando ven

gono a cessare le condizioni che l'hanno determinata, e 10 luglio 1996, Monda, id., Rep. 1997, voce cit., n. 74.

Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 40, id., 1990, I, 355, con nota di ri chiami, commentata da Triola, in Vita not., 1989, 399, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 139, n. 2, 1. 89/13, nella parte in cui preve de che il giudice penale inabiliti de iure, anziché sulla base di valuta zioni discrezionali, il notaio condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della stessa legge, con sentenza non ancora passata in cosa giudicata.

Sulla disciplina relativa alla responsabilità disciplinare dei notai, v. anche Corte cost., ord. 13 febbraio 1995, n. 44, Foro it., 1995,1, 2328, con nota di richiami e osservazioni di Romboli, commentata da Bienti nesi, in Giur. costit., 1995, 399, che ha ritenuto manifestamente inam missibile, implicando scelte discrezionali spettanti al legislatore, la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 137 1. 89/13, nella parte in cui stabilisce, a titolo di sanzioni disciplinari, le ammende da lire

quaranta a lire quattrocento e da lire quattrocento a lire tremiladuecen to, con la conseguenza che l'estinzione del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 151 stessa legge, si ha attraverso il pagamento delle somme di lire cento e ottocento (un quarto del massimo dovuto); Cass. 20 gennaio 1994, n. 458, Foro it., 1995,1, 1314, con nota di richiami.

In dottrina, v. Casu, Il procedimento disciplinare notarile, in Riv. not., 1998, 956; Pizzicargli, Il procedimento disciplinare dei notai, in Rass. forense, 1996, 567.

Il Foro Italiano — 2001.

varie norme che prevedevano misure destitutive (sentenze n.

971 del 1988, Foro it., 1989, I, 22; n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355; n. 158 del 1990, id., 1991, I, 3284; n. 16 del 1991, ibid., 1035; n. 197 del 1993, id., 1994, I, 385; n. 363 del 1996, id., 1997, I, 706; n. 2 del 1999, id., 1999, I, 1125) o sospensive (sentenze n. 766 del 1988, id., Rep. 1988, voce Professioni in

tellettuali, n. 113; n. 595 del 1990, id., 1992, I, 1008; n. 40 del 1990, cit.; n. 239 del 1996, id., 1997, I, 707), a carico di dipen denti pubblici o di professionisti, applicabili automaticamente a seguito di condanne penali o dell'adozione di misure restrittive

successivamente venute meno, o della semplice pendenza di un

procedimento penale. Ma, in tutte queste ipotesi, la ragione del

l'accertata illegittimità risiedeva nell'automatismo della misura

o nel suo permanere nonostante il venir meno della situazione

che l'aveva determinata.

Diverso è il caso delle misure cautelari sospensive a carattere

facoltativo e discrezionale. Proprio in tema di inabilitazione dei

notai, la sentenza n. 40 del 1990 ha riconosciuto bensì l'illegit timità costituzionale della norma sulla inabilitazione di diritto

(art. 139, n. 2,1. not.), ma, appunto, nella parte in cui prevedeva che il giudice penale inabilitasse «de iure, anziché sulla base di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, stessa legge, con sen

tenza non ancora passata in cosa giudicata», trasformando dun

que in facoltativa quella che era una inabilitazione di diritto; mentre non ha toccato l'art. 140 sull'inabilitazione facoltativa.

Parimenti, quando la corte ha sottolineato, in via interpretati va, l'esigenza di una durata limitata nel tempo di una misura

cautelare collegata alla pendenza di un procedimento penale (sentenza n. 206 del 1999, id., 1999,1, 2149), lo ha fatto in pre senza di una misura prevista dalla legge come automatica e ob

bligatoria, in ragione del semplice rinvio a giudizio per certi reati, senza alcuna possibilità di ponderazione di interessi da

parte dell'autorità chiamata ad applicarla: ciò che, invece, non

si verifica nelle ipotesi —

quale quella per cui è giudizio — di

misura cautelare ad applicazione facoltativa e discrezionale.

Per altro verso, la sentenza n. 447 del 1995 (id., 1996, I, 15), che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 9, 2° comma, 1. n. 19 del 1990, il quale limita a

cinque anni la durata della sospensione cautelare dal servizio —

pur non propriamente obbligatoria — dei dipendenti pubblici

disposta «a causa del procedimento penale», ai sensi dell'art.

91, 1° comma, d.p.r. n. 3 del 1957, ha sottolineato la ragione volezza di tale limitazione in relazione al fatto che si tratta di un

potere di sospensione «fondato sul mero dato formale della pen denza di un procedimento penale»; e ha chiarito che, pur dopo la scadenza del termine massimo di efficacia di tale sospensio ne, l'amministrazione, ove sussistano gravi motivi, non più le

gati al dato formale della pendenza del procedimento penale, ma

ad una sommaria cognizione dei fatti e a un apprezzamento delle esigenze cautelari, può avvalersi della sospensione facol

tativa prevista dall'art. 92 d.p.r. n. 3 del 1957, non soggetta al limite di durata.

3. - L'inabilitazione del notaio, sottoposto a procedimento di

sciplinare per fatti che, se accertati, comportano la destituzione, è misura cautelare correlata, essenzialmente, all'esigenza di im

pedire che il notaio accusato di fatti gravi continui ad esercitare le delicate funzioni a lui affidate nelle more dell'accertamento

dell'illecito, con pregiudizio per la credibilità della professione. Si tratta di una misura per sua natura provvisoria, perché «de

stinata a caducarsi o ad essere revocata quando vengono a ces

sare le situazioni che l'hanno determinata, o ad essere sostituita

con una sanzione disciplinare definitiva» (sentenza n. 40 del

1990). Essa è di applicazione facoltativa: in tanto può essere adotta

ta, in quanto l'autorità competente riscontri in concreto la sussi

stenza delle esigenze cautelari che la motivano, e può essere

mantenuta solo fino a quando tali esigenze permangano. Inoltre, l'avvio del procedimento disciplinare, anche se succes

sivamente sospeso in attesa della definizione di quello penale, comporta una valutazione sia pure sommaria dei fatti, e la conte stazione degli addebiti all'interessato, il quale è così posto in con

dizione di negarne la sussistenza o l'idoneità a valere come moti vo dell'inabilitazione (cfr., per un analogo rilievo a proposito del la sospensione facoltativa dei dipendenti pubblici, la sentenza n. 447 del 1995, punto 3.2 del 'considerato in diritto').

La misura è altresì sempre revocabile, oltre che a seguito di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

accertamenti negativi dell'illecito (come quando intervenga una

pronuncia, ancorché non definitiva, di proscioglimento), anche

in base ad un discrezionale apprezzamento della permanenza delle esigenze cautelari, apprezzamento che può anche volgersi a valutare l'incidenza che sulle esigenze in questione abbia il

tempo trascorso senza che sia intervenuto un accertamento po sitivo di responsabilità. E tale revocabilità sussiste indipenden temente dal fatto che si sia concluso il procedimento penale, in

attesa della definizione del quale il procedimento disciplinare sia stato sospeso: onde non rileva, ai fini che qui interessano, il

quesito se tale sospensione del procedimento disciplinare sia, o

meno, necessaria in pendenza del procedimento penale per i

medesimi fatti. Si aggiunga, infine, che un ulteriore elemento di garanzia per

il soggetto colpito dalla misura cautelare è ravvisabile nell'attri

buzione della competenza ad adottare (e a revocare) tale misura

ad un organo giurisdizionale, sia esso il giudice penale o il tri

bunale civile, cui spetta l'applicazione delle sanzioni disciplina ri più gravi a carico dei notai (art. 151 1. n. 89 del 1913).

4. - In questo contesto, si deve escludere che sia costituzio

nalmente necessaria la determinazione di un limite massimo di

durata, oltre il quale la misura non possa essere mantenuta, pur

permanendo, in ipotesi, le esigenze cautelari.

Non possono dirsi dunque violati, dalla norma censurata, i

principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui all'art. 3

Cost.

Parimenti non contrasta, nemmeno indirettamente, con il

principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all'art. 27, 2° comma, Cost., la previsione di una misura cautelare, che non

ha natura sanzionatoria, ma è intesa a salvaguardare interessi

meritevoli di tutela, suscettibili di essere pregiudicati nelle more

dell'accertamento dell'illecito, ed è concretamente correlata alla

sussistenza e alla permanenza di tali esigenze di salvaguardia. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 1. 16 feb

braio 1913 n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi nota

rili), sollevata in riferimento agli art. 3 e 27, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 ottobre 2000, n. 450 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 2000, n. 46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Del Vigo. Ord. App. Geno

va 17 novembre 1999 (G.U., la s.s., n. 8 del 2000).

Comune e provincia — Sindaco — Parentela o affinità con

appaltatore di lavori o servizi comunali — Ineleggibilità — Incostituzionalità (Cost., art. 3; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte co

stituzionale, art. 27; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle

leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle am

ministrazioni comunali, art. 6; d.leg. 18 agosto 2000 n. 267,

t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, art. 61).

È incostituzionale l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, nella

parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ov

vero parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la

qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere nominato sindaco, anziché stabilire che chi si trova in

detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco. (1) È incostituzionale, in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953

n. 87, l'art. 61, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, nella parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ovvero

parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere

Il Foro Italiano — 2001.

eletto alla carica di sindaco, anziché stabilire che chi si trova

in detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco. (2)

Diritto. — 1. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di

Genova investe l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570 (t.u. delle

leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle ammi

nistrazioni comunali), nella parte in cui, al 4° alinea [sic], pre vede che non possa essere nominato sindaco chi abbia parenti o

affini entro il secondo grado i quali siano appaltatori di lavori o

di servizi comunali. Secondo il giudice a quo la norma — che sancirebbe una cau

sa di ineleggibilità, non rimovibile dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, e non una causa d'in

compatibilità — sarebbe in contrasto con gli art. 3 e 51 Cost.,

perché configurerebbe irragionevolmente come causa d'ineleg

gibilità una situazione di impedimento meno grave di quella — che costituisce causa d'incompatibilità, ai sensi dell'art. 3, n. 2, 1. n. 154 del 1981 — del candidato che sia parte, in proprio, in

appalti del comune; e perché, in tal modo, comporterebbe una

limitazione non necessaria, né ragionevolmente proporzionata, al diritto di accedere alle cariche pubbliche, garantito dall'art.

51 Cost.

2. - La questione è fondata.

L'art. 6 t.u. del 1960 stabiliva le condizioni ostative alla no

mina alla carica di sindaco («Non può essere nominato sinda

co ...»), e fra di esse enumerava quella derivante dall'avere

«ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secon

do grado, che coprano nell'amministrazione del comune il posto

(1-2) La Corte costituzionale, richiamandosi all'evoluzione della le

gislazione in materia di elezione del sindaco ed alle profonde innova zioni conseguenti in particolare all'elezione diretta dello stesso (1.

81/93), rileva come si sia venuta a creare una palese contraddizione, nel senso che il candidato che sia titolare in proprio di un appalto del co

mune è solamente incompatibile, mentre l'essere prossimo congiunto

dell'appaltatore dà luogo ad una non rimediabile situazione d'ineleggi bilità. La disposizione dichiarata incostituzionale era stata trasfusa, nella stessa formulazione, nel nuovo testo unico delle leggi sull'ordi namento degli enti locali, il quale pure pertanto, in applicazione del l'art. 27 1. 87/53, è stato dichiarato incostituzionale.

In ordine alla causa d'ineleggibilità de qua alla carica di sindaco, di cui all'art. 6 d.p.r. 570/60, v. Cass. 13 marzo 1997, n. 2258, Foro it.,

Rep. 1997, voce Elezioni, n. 51, secondo cui, ai fini di tale ipotesi d'i

neleggibilità, che deriva dal rapporto di affinità e parentela con appal tatore di lavori e servizi comunali, la stessa nasce con l'aggiudicazione dei lavori e cessa con l'approvazione del collaudo, perché solo in tale

momento l'appaltatore è esonerato da ogni responsabilità nei confronti

della stazione appaltante e la suddetta incompatibilità non presuppone che il rapporto di appalto si inserisca in un più ampio rapporto abituale e sistematico fra il comune e l'appaltatore, essendo sufficiente la sola

esistenza del rapporto di parentela e affinità con chi sia appaltatore di

lavori o di servizi, ed essendo ogni connotazione di stabilità, o quanto meno di abitualità, riferibile solo alle ipotesi d'ineleggibilità collegate allo svolgimento, da parte dei parenti ed affini, delle attività di segretari comunali, esattori, collettori o tesorieri; 2 giugno 1983, n. 3774, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 85, secondo cui l'art. 6 d.p.r. 570/60, nel preve dere come causa d'ineleggibilità alla carica di sindaco, il rapporto di

parentela od affinità con persona che ricopra, nell'amministrazione del

comune, il posto di esattore, collettore tesoriere, ecc., non si riferisce

solo a soggetti esterni all'ente, legati al medesimo da apposito contrat

to, ma anche a dipendenti della stessa amministrazione cui sia in con

creto affidato di svolgere le corrispondenti funzioni. In dottrina, v.

Portelli, Ineleggibilità, incandidabilità e decadenza del sindaco: pro blemi circa la vigenza dell'art. 6 t.u. n. 570 del 1960, in Nuove auto

nomie, 1994, fase. 2, 109. Per altra questione di costituzionalità avente ad oggetto, sotto diversi

profili, l'art. 6 d.p.r. 570/60, v. Corte cost. 5 luglio 1991, n. 310, Foro

it., 1991, I, 3276, con nota di richiami, che ha dichiarato la stessa in

fondata, nella parte in cui stabilisce che non può essere nominato sin

daco chi ha riportato condanna superiore a sei mesi per reato commesso

nella qualità di pubblico ufficiale o con abuso d'ufficio e non inferiore

ad un anno per qualsiasi altro delitto, in relazione all'art. 4 1. 7 febbraio

1990 n. 19, in base al quale la sospensione condizionale della pena si

estende anche alle pene accessorie con la conseguenza che i condannati

per delitti che comportano l'interdizione dai pubblici uffici, se benefi

ciano della sospensione condizionale, rimangono eleggibili a cariche

pubbliche. In ordine alle cause d'incompatibilità e d'ineleggibilità a sindaco, v.

Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 1999, n. 1144, e 13 settembre 1999, n. 1052, id., 2000, III, 410, con nota di richiami e osservazioni di Pas

SAGLIA.

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