sentenza 2 novembre 2000, n. 454 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 novembre 2000, n.46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Ferraro (Avv. Pitruzzella); interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Di Carlo). Ord. Trib. Palermo 29 settembre 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1999)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 785/786-789/790Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196456 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso dal condutto
re di un immobile urbano nei confronti del locatore per la ripeti zione di quanto versato in eccedenza rispetto alla misura del
l'equo canone, il giudice unico della sezione distaccata di Jesi del Tribunale di Ancona, con ordinanza del 15 gennaio 2000, ha
sollevato — in riferimento all'art. 3 Cost. — questione di legit
timità costituzionale dell'art. 80, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n.
392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui, nel caso di decadenza del locatore dall'azione di risolu
zione del contratto per il parziale mutamento di destinazione —
da parte del conduttore — dell'uso pattuito dell'immobile lo
cato, prevede l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo prevalente;
che il rimettente, premesso che il rapporto di locazione de
dotto in giudizio è disciplinato dalla normativa di cui alla 1. n.
392 del 1978 e che, nella specie, l'immobile, locato per uso
abitativo («seconda casa»), era stato — invece — parzialmente
destinato, in misura non prevalente, all'uso di ufficio, rileva che
il locatore aveva tardivamente proposto la domanda riconven
zionale di risoluzione del contratto per tale mutamento di desti
nazione, incorrendo nella decadenza di cui all'art. 167 c.p.c., oltre che in quella del termine trimestrale (decorrente dalla co
noscenza del mutamento) di cui all'art. 80, 1° comma, 1. n. 392
del 1978, così da rendere applicabile alla fattispecie il regime di
predeterminazione legale del canone corrispondente all'uso ef
fettivo prevalente dell'immobile, ai sensi dell'art. 80, 2° com
ma, 1. n. 392 del 1978; che, secondo il giudice a quo la norma denunciata, non con
sentendogli di escludere dalle somme da restituire al conduttore
la quota corrispondente all'uso non abitativo dell'immobile (che sarebbe stato soggetto
— per tale parte
— ad un regime di ca
none libero), viola l'evocato parametro costituzionale: a) per
l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'art. 1455 c.c.
e al 1° comma dello stesso art. 80 1. n. 392 del 1978, per i quali, ai fini della risoluzione del contratto (allorché sia esercitabile
tale azione), occorre aver riguardo all'importanza dell'inadem
pimento e, dunque, nell'ipotesi di mutamento parziale unilate
rale della destinazione d'uso dell'immobile locato, alla non
scarsa importanza di tale mutamento, senza che sia necessario
considerare anche la prevalenza del nuovo uso; b) per l'irragio nevolezza di favorire ora il conduttore ora il locatore, a seconda
della contingente prevalenza («anche per poco») dell'instaurato
nuovo uso, abitativo o non abitativo, dell'immobile locato, ri
spetto al vecchio uso; che è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, rap
presentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, chie
dendo la declaratoria di infondatezza della sollevata questione. Considerato che il rimettente sostanzialmente lamenta che la
norma denunciata — nel caso di non tempestivo esercizio da
parte del locatore dell'azione di risoluzione di cui all'art. 80, 1°
comma, 1. n. 392 del 1978 — sancisca il criterio dell'assorbi
mento nel regime giuridico corrispondente all'uso effettivo pre valente dell'immobile locato, rendendo così del tutto irrilevante
l'inadempimento (anche se di non scarsa importanza) del con
duttore, il quale abbia unilateralmente mutato in parte — ma in
misura minusvalente — la pattuita destinazione d'uso dell'im
mobile locato;
che, tuttavia, è palesemente errato — data l'assoluta disomo
geneità dei termini di comparazione prospettati dal giudice a
quo —
porre a confronto i criteri di rilevanza dell'inadempi mento stabiliti dal legislatore ai fini della risoluzione del con
tratto, con i criteri di individuazione del regime giuridico unita
rio da applicarsi nel caso di conservazione del contratto, allor
ché ne sia esclusa — per intervenuta decadenza dell'azione —
392/78, ricorrendone le condizioni, deve comunque trovare applicazio ne, anche se da essa derivino per il conduttore effetti sfavorevoli sul
piano della disciplina del rapporto locativo (come nel caso in cui il
conduttore, ricevuto l'immobile in locazione per adibirlo ad abitazione
ordinaria, lo utilizzi saltuariamente, per soddisfare esigenze abitative
transitorie), v. Cass. 2 settembre 1998, n. 8716, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 200 (annotata da A. Scarpa, in Rass. locazioni, 1998, 487, e C.
Villani, in Giur. it., 1999, 1161). Circa il momento a partire dal quale, nell'ipotesi di cui al 2° comma
dell'art. 80 1. 392/78, trova applicazione il regime giuridico corrispon dente all'uso effettivo dell'immobile locato (o all'uso effettivo preva lente, nel caso di immobile adibito a più usi), v., da ultimo, Cass. 13 marzo 1998, n. 2745, Foro it., 1999,1, 3373, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2001.
la risoluzione (esclusione, questa, che non è oggetto di censura
da parte del rimettente);
che, d'altronde, non è irragionevole il criterio dell'assorbi
mento adottato dal legislatore al fine di configurare un regime
giuridico unitario per il contratto di locazione che si sia conser vato nonostante l'unilaterale instaurazione, contra pacta, da
parte del conduttore, di un uso effettivo promiscuo dell'immo
bile locato;
che, in particolare, la totale irrilevanza — dopo il decorso del
termine di decadenza dall'azione di risoluzione contrattuale di
cui all'art. 80, 1° comma, 1. n. 392 del 1978 — dell'inadempi
mento parziale del conduttore, il quale abbia utilizzato l'immo
bile in modo diverso da quello pattuito, ma in misura minusva
lente, è giustificata dalla specialità del rapporto locativo e dalle
connesse peculiari esigenze (anche sociali) di certezza, stabilità
ed univocità della disciplina; che il regime giuridico alternativo, ipotizzato dal rimettente
sulla base della generica combinazione delle (confliggenti) di
scipline corrispondenti ai diversi usi effettivi dell'immobile lo cato, costituirebbe semmai uno dei tanti modelli normativi
astrattamente possibili, che solo il legislatore potrebbe nella sua
discrezionalità adottare;
che, pertanto, la sollevata questione — sotto tutti i profili
— è
manifestamente infondata.
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°
comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 80, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevata — in riferimento all'art. 3 Cost. — dal giudice unico del Tribunale di Ancona, sezione
distaccata di Jesi, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 novembre 2000, n.
454 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 2000, n.
46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Ferrara (Avv. Pitruzzel
la); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Di Carlo). Ord. Trìb. Palermo 29 settembre 1999 (G.U., la s.s., n. 52 del
1999).
Notaio — Addebito punibile con la destituzione — Procedi mento disciplinare — Inabilitazione facoltativa dalle fun zioni — Durata — Assenza di un limite massimo — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 27; 1. 16
febbraio 1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi
notarili, art. 140).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
140 l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui, nello stabili
re che il notaio assoggettato a procedimento disciplinare per un addebito punibile con la destituzione può essere inabilitato
all'esercizio delle sue funzioni, non prevede un limite massi
mo di durata dell'inabilitazione, in riferimento agli art. 3 e
27, 2° comma, Cost. (1)
(1) La Corte costituzionale rileva come, attraverso una serie di pro prie precedenti decisioni, è stata dichiarata l'incostituzionalità di dispo sizioni che prevedevano misure destitutive o sospensive di dipendenti pubblici o professionisti, ma in considerazione del loro automatismo che non consentiva di apprezzare la gravità dell'illecito e la proporzio nalità della misura. Nel caso dell'inabilitazione alle funzioni notarili, di cui all'art. 140 1. 89/13, la corte sottolinea invece la natura facoltativa della stessa, la quale comporta che la misura è sempre revocabile e può
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787 PARTE PRIMA 788
Diritto. — 1. - La questione sollevata investe l'art. 140 1. 16
febbraio 1913 n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi
notarili), ai sensi del quale «può essere inabilitato all'esercizio
delle sue funzioni: il notaro contro il quale si sia iniziato proce dimento per contravvenzione notarile punibile con la destituzio
ne o per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3 [reati non col
posi puniti con pena non inferiore al minimo di sei mesi]; e il
notaro contro il quale sia stata pronunciata condanna non defi
nitiva per qualunque altro reato, a pena restrittiva della libertà
personale non inferiore a tre mesi».
Più precisamente, l'ipotesi considerata dal rimettente nel giu dizio a quo, e a cui la corte ritiene di dover limitare lo scrutinio, è quella del notaio assoggettato a procedimento disciplinare (nella specie sospeso in attesa della definizione del procedi mento penale instaurato per i medesimi fatti) per un addebito
punibile con la destituzione.
La norma denunciata contrasterebbe con gli art. 3 e 27, 2°
comma, Cost., «nella parte in cui non prevede un limite massi
mo di durata dell'inabilitazione notarile». Secondo il rimettente, il necessario bilanciamento fra i contrapposti interessi coinvolti —
quello del professionista ad essere riammesso all'esercizio
della professione e quello dell'ordine professionale a tutelare la
professione sospendendo da tale esercizio il notaio accusato di
gravi fatti — richiederebbe la fissazione di un limite massimo di
durata della misura cautelare, in difetto del quale quest'ultima si
configurerebbe come una sanzione anticipata indipendente dal
l'accertamento di responsabilità, in contrasto appunto con i
principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché, indiretta
mente, con il principio di presunzione di non colpevolezza. La coessenzialità alla misura cautelare di un limite temporale
di efficacia risulterebbe confermata, ad avviso del giudice a
quo, dall'esame di altre disposizioni legislative che disciplinano misure cautelari interdittive, le quali prevederebbero o una du
rata massima della misura, legislativamente stabilita, ovvero
una correlazione con la permanenza di una misura cautelare per sonale, che a sua volta non può protrarsi oltre certi limiti di du
rata.
2. - La questione non è fondata.
Questa corte ha pronunciato l'illegittimità costituzionale di
essere mantenuta solo fintanto che permangono le esigenze cautelari che l'hanno motivata.
Per l'affermazione secondo cui, per l'inabilitazione facoltativa alle funzioni notarili non opera l'art. 308 c.p.p., che fissa i termini massimi di durata delle misure interdittive, potendo essere disposta la cessazione dell'inabilitazione soltanto in altra sede, dagli organi a ciò competenti, v. Cass. 23 ottobre 1997, Sica, Foro it., Rep. 1998, voce Notaio, n. 98.
Nel senso che l'inabilitazione all'esercizio delle funzioni notarili ha natura di misura cautelare finalizzata all'applicazione della sanzione
disciplinare definitiva, con la conseguenza che, una volta cessati i mo tivi che l'hanno determinata, potrà essere revocata secondo la procedu ra di cui all'art. 263 r.d, 1326/14, che attribuisce la competenza a prov vedere al tribunale civile, v. Cass. 15 gennaio 1998, Bellone, id., 1999, II, 31, con nota di richiami e osservazioni di De Marzo.
Analogamente, v. Cass. 13 ottobre 1998, n. 10133, id., Rep. 1999, voce cit., n. 62, secondo cui l'inabilitazione all'esercizio delle funzioni notarili di cui all'art. 140 1. 89/13 è destinata a caducarsi quando ven
gono a cessare le condizioni che l'hanno determinata, e 10 luglio 1996, Monda, id., Rep. 1997, voce cit., n. 74.
Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 40, id., 1990, I, 355, con nota di ri chiami, commentata da Triola, in Vita not., 1989, 399, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 139, n. 2, 1. 89/13, nella parte in cui preve de che il giudice penale inabiliti de iure, anziché sulla base di valuta zioni discrezionali, il notaio condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della stessa legge, con sentenza non ancora passata in cosa giudicata.
Sulla disciplina relativa alla responsabilità disciplinare dei notai, v. anche Corte cost., ord. 13 febbraio 1995, n. 44, Foro it., 1995,1, 2328, con nota di richiami e osservazioni di Romboli, commentata da Bienti nesi, in Giur. costit., 1995, 399, che ha ritenuto manifestamente inam missibile, implicando scelte discrezionali spettanti al legislatore, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 137 1. 89/13, nella parte in cui stabilisce, a titolo di sanzioni disciplinari, le ammende da lire
quaranta a lire quattrocento e da lire quattrocento a lire tremiladuecen to, con la conseguenza che l'estinzione del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 151 stessa legge, si ha attraverso il pagamento delle somme di lire cento e ottocento (un quarto del massimo dovuto); Cass. 20 gennaio 1994, n. 458, Foro it., 1995,1, 1314, con nota di richiami.
In dottrina, v. Casu, Il procedimento disciplinare notarile, in Riv. not., 1998, 956; Pizzicargli, Il procedimento disciplinare dei notai, in Rass. forense, 1996, 567.
Il Foro Italiano — 2001.
varie norme che prevedevano misure destitutive (sentenze n.
971 del 1988, Foro it., 1989, I, 22; n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355; n. 158 del 1990, id., 1991, I, 3284; n. 16 del 1991, ibid., 1035; n. 197 del 1993, id., 1994, I, 385; n. 363 del 1996, id., 1997, I, 706; n. 2 del 1999, id., 1999, I, 1125) o sospensive (sentenze n. 766 del 1988, id., Rep. 1988, voce Professioni in
tellettuali, n. 113; n. 595 del 1990, id., 1992, I, 1008; n. 40 del 1990, cit.; n. 239 del 1996, id., 1997, I, 707), a carico di dipen denti pubblici o di professionisti, applicabili automaticamente a seguito di condanne penali o dell'adozione di misure restrittive
successivamente venute meno, o della semplice pendenza di un
procedimento penale. Ma, in tutte queste ipotesi, la ragione del
l'accertata illegittimità risiedeva nell'automatismo della misura
o nel suo permanere nonostante il venir meno della situazione
che l'aveva determinata.
Diverso è il caso delle misure cautelari sospensive a carattere
facoltativo e discrezionale. Proprio in tema di inabilitazione dei
notai, la sentenza n. 40 del 1990 ha riconosciuto bensì l'illegit timità costituzionale della norma sulla inabilitazione di diritto
(art. 139, n. 2,1. not.), ma, appunto, nella parte in cui prevedeva che il giudice penale inabilitasse «de iure, anziché sulla base di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, stessa legge, con sen
tenza non ancora passata in cosa giudicata», trasformando dun
que in facoltativa quella che era una inabilitazione di diritto; mentre non ha toccato l'art. 140 sull'inabilitazione facoltativa.
Parimenti, quando la corte ha sottolineato, in via interpretati va, l'esigenza di una durata limitata nel tempo di una misura
cautelare collegata alla pendenza di un procedimento penale (sentenza n. 206 del 1999, id., 1999,1, 2149), lo ha fatto in pre senza di una misura prevista dalla legge come automatica e ob
bligatoria, in ragione del semplice rinvio a giudizio per certi reati, senza alcuna possibilità di ponderazione di interessi da
parte dell'autorità chiamata ad applicarla: ciò che, invece, non
si verifica nelle ipotesi —
quale quella per cui è giudizio — di
misura cautelare ad applicazione facoltativa e discrezionale.
Per altro verso, la sentenza n. 447 del 1995 (id., 1996, I, 15), che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 9, 2° comma, 1. n. 19 del 1990, il quale limita a
cinque anni la durata della sospensione cautelare dal servizio —
pur non propriamente obbligatoria — dei dipendenti pubblici
disposta «a causa del procedimento penale», ai sensi dell'art.
91, 1° comma, d.p.r. n. 3 del 1957, ha sottolineato la ragione volezza di tale limitazione in relazione al fatto che si tratta di un
potere di sospensione «fondato sul mero dato formale della pen denza di un procedimento penale»; e ha chiarito che, pur dopo la scadenza del termine massimo di efficacia di tale sospensio ne, l'amministrazione, ove sussistano gravi motivi, non più le
gati al dato formale della pendenza del procedimento penale, ma
ad una sommaria cognizione dei fatti e a un apprezzamento delle esigenze cautelari, può avvalersi della sospensione facol
tativa prevista dall'art. 92 d.p.r. n. 3 del 1957, non soggetta al limite di durata.
3. - L'inabilitazione del notaio, sottoposto a procedimento di
sciplinare per fatti che, se accertati, comportano la destituzione, è misura cautelare correlata, essenzialmente, all'esigenza di im
pedire che il notaio accusato di fatti gravi continui ad esercitare le delicate funzioni a lui affidate nelle more dell'accertamento
dell'illecito, con pregiudizio per la credibilità della professione. Si tratta di una misura per sua natura provvisoria, perché «de
stinata a caducarsi o ad essere revocata quando vengono a ces
sare le situazioni che l'hanno determinata, o ad essere sostituita
con una sanzione disciplinare definitiva» (sentenza n. 40 del
1990). Essa è di applicazione facoltativa: in tanto può essere adotta
ta, in quanto l'autorità competente riscontri in concreto la sussi
stenza delle esigenze cautelari che la motivano, e può essere
mantenuta solo fino a quando tali esigenze permangano. Inoltre, l'avvio del procedimento disciplinare, anche se succes
sivamente sospeso in attesa della definizione di quello penale, comporta una valutazione sia pure sommaria dei fatti, e la conte stazione degli addebiti all'interessato, il quale è così posto in con
dizione di negarne la sussistenza o l'idoneità a valere come moti vo dell'inabilitazione (cfr., per un analogo rilievo a proposito del la sospensione facoltativa dei dipendenti pubblici, la sentenza n. 447 del 1995, punto 3.2 del 'considerato in diritto').
La misura è altresì sempre revocabile, oltre che a seguito di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
accertamenti negativi dell'illecito (come quando intervenga una
pronuncia, ancorché non definitiva, di proscioglimento), anche
in base ad un discrezionale apprezzamento della permanenza delle esigenze cautelari, apprezzamento che può anche volgersi a valutare l'incidenza che sulle esigenze in questione abbia il
tempo trascorso senza che sia intervenuto un accertamento po sitivo di responsabilità. E tale revocabilità sussiste indipenden temente dal fatto che si sia concluso il procedimento penale, in
attesa della definizione del quale il procedimento disciplinare sia stato sospeso: onde non rileva, ai fini che qui interessano, il
quesito se tale sospensione del procedimento disciplinare sia, o
meno, necessaria in pendenza del procedimento penale per i
medesimi fatti. Si aggiunga, infine, che un ulteriore elemento di garanzia per
il soggetto colpito dalla misura cautelare è ravvisabile nell'attri
buzione della competenza ad adottare (e a revocare) tale misura
ad un organo giurisdizionale, sia esso il giudice penale o il tri
bunale civile, cui spetta l'applicazione delle sanzioni disciplina ri più gravi a carico dei notai (art. 151 1. n. 89 del 1913).
4. - In questo contesto, si deve escludere che sia costituzio
nalmente necessaria la determinazione di un limite massimo di
durata, oltre il quale la misura non possa essere mantenuta, pur
permanendo, in ipotesi, le esigenze cautelari.
Non possono dirsi dunque violati, dalla norma censurata, i
principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui all'art. 3
Cost.
Parimenti non contrasta, nemmeno indirettamente, con il
principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all'art. 27, 2° comma, Cost., la previsione di una misura cautelare, che non
ha natura sanzionatoria, ma è intesa a salvaguardare interessi
meritevoli di tutela, suscettibili di essere pregiudicati nelle more
dell'accertamento dell'illecito, ed è concretamente correlata alla
sussistenza e alla permanenza di tali esigenze di salvaguardia. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 1. 16 feb
braio 1913 n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi nota
rili), sollevata in riferimento agli art. 3 e 27, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 ottobre 2000, n. 450 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 2000, n. 46); Pres. Mirabelli, Est. Onida; Del Vigo. Ord. App. Geno
va 17 novembre 1999 (G.U., la s.s., n. 8 del 2000).
Comune e provincia — Sindaco — Parentela o affinità con
appaltatore di lavori o servizi comunali — Ineleggibilità — Incostituzionalità (Cost., art. 3; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte co
stituzionale, art. 27; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle
leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle am
ministrazioni comunali, art. 6; d.leg. 18 agosto 2000 n. 267,
t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, art. 61).
È incostituzionale l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, nella
parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ov
vero parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la
qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere nominato sindaco, anziché stabilire che chi si trova in
detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco. (1) È incostituzionale, in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953
n. 87, l'art. 61, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, nella parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ovvero
parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere
Il Foro Italiano — 2001.
eletto alla carica di sindaco, anziché stabilire che chi si trova
in detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco. (2)
Diritto. — 1. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di
Genova investe l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570 (t.u. delle
leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle ammi
nistrazioni comunali), nella parte in cui, al 4° alinea [sic], pre vede che non possa essere nominato sindaco chi abbia parenti o
affini entro il secondo grado i quali siano appaltatori di lavori o
di servizi comunali. Secondo il giudice a quo la norma — che sancirebbe una cau
sa di ineleggibilità, non rimovibile dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, e non una causa d'in
compatibilità — sarebbe in contrasto con gli art. 3 e 51 Cost.,
perché configurerebbe irragionevolmente come causa d'ineleg
gibilità una situazione di impedimento meno grave di quella — che costituisce causa d'incompatibilità, ai sensi dell'art. 3, n. 2, 1. n. 154 del 1981 — del candidato che sia parte, in proprio, in
appalti del comune; e perché, in tal modo, comporterebbe una
limitazione non necessaria, né ragionevolmente proporzionata, al diritto di accedere alle cariche pubbliche, garantito dall'art.
51 Cost.
2. - La questione è fondata.
L'art. 6 t.u. del 1960 stabiliva le condizioni ostative alla no
mina alla carica di sindaco («Non può essere nominato sinda
co ...»), e fra di esse enumerava quella derivante dall'avere
«ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secon
do grado, che coprano nell'amministrazione del comune il posto
(1-2) La Corte costituzionale, richiamandosi all'evoluzione della le
gislazione in materia di elezione del sindaco ed alle profonde innova zioni conseguenti in particolare all'elezione diretta dello stesso (1.
81/93), rileva come si sia venuta a creare una palese contraddizione, nel senso che il candidato che sia titolare in proprio di un appalto del co
mune è solamente incompatibile, mentre l'essere prossimo congiunto
dell'appaltatore dà luogo ad una non rimediabile situazione d'ineleggi bilità. La disposizione dichiarata incostituzionale era stata trasfusa, nella stessa formulazione, nel nuovo testo unico delle leggi sull'ordi namento degli enti locali, il quale pure pertanto, in applicazione del l'art. 27 1. 87/53, è stato dichiarato incostituzionale.
In ordine alla causa d'ineleggibilità de qua alla carica di sindaco, di cui all'art. 6 d.p.r. 570/60, v. Cass. 13 marzo 1997, n. 2258, Foro it.,
Rep. 1997, voce Elezioni, n. 51, secondo cui, ai fini di tale ipotesi d'i
neleggibilità, che deriva dal rapporto di affinità e parentela con appal tatore di lavori e servizi comunali, la stessa nasce con l'aggiudicazione dei lavori e cessa con l'approvazione del collaudo, perché solo in tale
momento l'appaltatore è esonerato da ogni responsabilità nei confronti
della stazione appaltante e la suddetta incompatibilità non presuppone che il rapporto di appalto si inserisca in un più ampio rapporto abituale e sistematico fra il comune e l'appaltatore, essendo sufficiente la sola
esistenza del rapporto di parentela e affinità con chi sia appaltatore di
lavori o di servizi, ed essendo ogni connotazione di stabilità, o quanto meno di abitualità, riferibile solo alle ipotesi d'ineleggibilità collegate allo svolgimento, da parte dei parenti ed affini, delle attività di segretari comunali, esattori, collettori o tesorieri; 2 giugno 1983, n. 3774, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 85, secondo cui l'art. 6 d.p.r. 570/60, nel preve dere come causa d'ineleggibilità alla carica di sindaco, il rapporto di
parentela od affinità con persona che ricopra, nell'amministrazione del
comune, il posto di esattore, collettore tesoriere, ecc., non si riferisce
solo a soggetti esterni all'ente, legati al medesimo da apposito contrat
to, ma anche a dipendenti della stessa amministrazione cui sia in con
creto affidato di svolgere le corrispondenti funzioni. In dottrina, v.
Portelli, Ineleggibilità, incandidabilità e decadenza del sindaco: pro blemi circa la vigenza dell'art. 6 t.u. n. 570 del 1960, in Nuove auto
nomie, 1994, fase. 2, 109. Per altra questione di costituzionalità avente ad oggetto, sotto diversi
profili, l'art. 6 d.p.r. 570/60, v. Corte cost. 5 luglio 1991, n. 310, Foro
it., 1991, I, 3276, con nota di richiami, che ha dichiarato la stessa in
fondata, nella parte in cui stabilisce che non può essere nominato sin
daco chi ha riportato condanna superiore a sei mesi per reato commesso
nella qualità di pubblico ufficiale o con abuso d'ufficio e non inferiore
ad un anno per qualsiasi altro delitto, in relazione all'art. 4 1. 7 febbraio
1990 n. 19, in base al quale la sospensione condizionale della pena si
estende anche alle pene accessorie con la conseguenza che i condannati
per delitti che comportano l'interdizione dai pubblici uffici, se benefi
ciano della sospensione condizionale, rimangono eleggibili a cariche
pubbliche. In ordine alle cause d'incompatibilità e d'ineleggibilità a sindaco, v.
Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 1999, n. 1144, e 13 settembre 1999, n. 1052, id., 2000, III, 410, con nota di richiami e osservazioni di Pas
SAGLIA.
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