sentenza 2 novembre 2000, n. 459 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 novembre 2000, n.46); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Checchetto e altro c. Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo,Bonamico, Borsotti, Olivieri); Delvecchio (Avv. Carpagnano, Capacchione) c. Inps (Avv. Morielli,Todaro, Cantarini, Tadris); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Dipace). Ord. Pret.Torino 21 maggio 1999 e Trib. Trani 29 settem ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 1 (GENNAIO 2001), pp. 35/36-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195682 .
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PARTE PRIMA
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 novembre 2000, n. 459 (Gazzetta ufficiale, 1J serie speciale, 8 novembre 2000, n.
46); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Checchetto e altro c. Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo, Bonamico, Borsotti, Oli
vieri); Delvecchio (Avv. Carpagnano, Capacchione) c. Inps (Avv. Morielli, Todaro, Cantarini, Tadris); interv. Pres.
cons, ministri (Avv. dello Stato Dipace). Ord. Pret. Torino 21
maggio 1999 e Trib. Trani 29 settembre 1999 (G.U., la s.s., nn. 39 e 51 del 1999).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Crediti di lavoro — Maturazione del diritto posteriore al 31 di
cembre 1994 — Esclusione del cumulo di rivalutazione ed
interessi per i crediti dei dipendenti privati — Incostitu zionalità (Cost., art. 3, 36; cod. proc. civ., art. 429; 1. 23 di
cembre 1994 n. 724, misure di razionalizzazione della finanza
pubblica, art. 22).
E incostituzionale l'art. 22, 36° comma, l. 23 dicembre 1994 n. 724 (legge di razionalizzazione della finanza pubblica), che esclude il cumulo di interessi e rivalutazione per i crediti di
lavoro, pensionistici e assistenziali maturati dopo il 31 di
cembre 1994, nella parte in cui estende tale regime ai dipen denti privati. (1)
(1) Analoga questione di legittimità costituzionale era stata sollevata, tre anni fa, dal Pretore di Rovigo, e dichiarata inammissibile da Corte cost. 23 aprile 1998, n. 147 (est. Marini), Foro it., 1998,1, 2598, col di re che la premessa interpretativa da cui muoveva il giudice rimettente non era punto pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza (con ag giuntivo rimprovero in ordine alla mancata esplorazione di possibili letture alternative della disposizione impugnata e all'altrettanto lati tante argomentazione in ordine al torno ermeneutico prescelto). In ef fetti, come testimoniato dalla relativa nota redazionale, l'ambito appli cativo dell'art. 22, 36° comma, 1. 724/94 (norma che estendeva ai cre diti di lavoro pubblici e privati il marchingegno divisato dall'art. 16, 6° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412, ossia il divieto di cumulo di riva lutazione ed interessi) appariva, all'epoca, incerto. Alle voci di chi rife riva la norma ai soli rapporti d'impiego pubblico o privato con la pub blica amministrazione, argomentando, tra l'altro, dalla competenza al l'attuazione attribuita al ministero del tesoro — v., oltre agli autori ci tati nella nota su richiamata, de Angelis, Rivalutazione e interessi sui crediti di lavoro: una modifica clandestina?, in Riv. it. dir. lav., 1995, I, 439; Pinto, La rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro pubblico, in Lavoro nelle p.a., 1998, 545, e Tagliagambe, Interessi e rivalutazio ne su crediti previdenziali e crediti di lavoro dopo la l. 724/94: nuovi
profili di incostituzionalità, in Riv. critica dir. lav., 1995, 999 — si era
contrapposta una corrente dottrinaria intesa a ritenere che la disposizio ne si applicasse across the board, e quindi ai crediti retributivi in gene rale, tanto dei dipendenti pubblici quanto di quelli privati: v. infatti, an cora una volta ad integrazione dei riferimenti di cui alla nota redazio nale precitata, Magrini, Rivalutazione e interessi (crediti di lavoro e
previdenziali), voce del l'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1995, XXVII; Piccininno, Ancora in tema di rivalutazione monetaria delle prestazioni previdenziali, in Mass. giur. lav., 1995, 246; R. Scognami glio, Diritto del lavoro, Napoli, 1997, 327. Completava il quadro una
giurisprudenza di merito ancora sporadica, ma certamente divisa: basti
qui ricordare, oltre a Pret. Sassari 7 giugno 1996, Foro it.. Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 177, Pret. Brescia 15 mag gio 1995, ibid., n. 180, e, sul versante opposto, Pret. Parma 27 maggio 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 154, e Pret. Pistoia 19 dicembre 1997, id., Rep. 1998, voce Lavoro (rapporto), n. 1905.
Il tempo ha tuttavia dato ragione alla tesi estensiva. Pur nella persi stenza di pronunce orientate a circoscrivere l'incidenza della disciplina in parola ai soli rapporti di lavoro intercorrenti con enti pubblici (cfr. Pret. Monza 6 novembre 1998, id., Rep. 1999, voce Lavoro e previden za (controversie), n. 213; Trib. Trani 23 aprile 1998, ibid., voce Lavoro
(rapporto), n. 1422), la Cassazione ha risolutamente imboccato la via
dell'applicazione estesa all'impiego privato (v. sent. 12 dicembre 1998, n. 12523, ibid., n. 1404, echeggiata da Cass. 18 gennaio 1999, n. 440, ibid., n. 1397, e 24 luglio 1999, n. 8063, ibid., voce Lavoro e previden za (controversie), n. 206), in ciò seguita da una dottrina ormai maggio ritaria (v., riassuntivamente, Di Majo, Interessi e rivalutazione nei cre diti di lavoro; ritorno al diritto comune?, in Corriere giur., 1998, 1457). Da notare come, tra le argomentazioni addotte dalla Cassazione
per suffragare tale scelta ermeneutica, figurassero in primo piano i dif fusi dubbi di legittimità costituzionale -— disparità di trattamento legata non già alla natura del rapporto, ma alla qualità di uno dei suoi soggetti — che sarebbero stati sollevati dall'opposta interpretazione: non a ca so, si è osservato che «sarebbe senz'altro difficile giustificare, soprat tutto nell'ottica moderna del pubblico impiego privatizzato, la legitti mità costituzionale di una disposizione che intendesse differenziare il
Il Foro Italiano — 2001.
Diritto. — 1. - Il Pretore di Torino ed il Tribunale di Trani
dubitano, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 22, 36° comma, 1. 23 dicembre 1994 n. 724 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
Tale norma prevede che, per gli emolumenti di natura retri
butiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia matu
rato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quie scenza, l'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detra zione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior
regime delle conseguenze dell'inadempimento dei crediti di lavoro maturati alle dipendenze di datori di lavoro privati e pubblici, ed in
particolar modo ove si consideri che la giurisprudenza, ove fosse neces sario, ha già più volte affermato come in materia le posizioni giuridiche soggettive dei lavoratori sia privati che pubblici rispondano alle mede sime logiche e sono assistite da eguali garanzie» (così Marazza, Note a
margine del contrasto giurisprudenziale in materia di criteri di calcolo di interessi e rivalutazione dei crediti di lavoro tardivamente adempiu ti, in Argomenti dir. lav., 1999, 213).
Ovvio che, a questo punto, risultasse spianata la strada alla ripropo sizione della questione allora respinta: cosa cui hanno diligentemente provveduto il Pretore di Torino (Foro it., Rep. 1999, voce Lavoro (rap porto), n. 1423) e il Tribunale di Trani (il quale ultimo sembrava così trarre le conseguenze della mancata affermazione dell'indirizzo restrit tivo a suo tempo propugnato).
Nemmeno a dirlo, il maggior ostacolo su questa via era rappresentato dal precedente della Consulta in merito alla 'controriforma' dei crediti
previdenziali. Chiamata a pronunziarsi sulla norma — art. 16, 6° com ma, 1. 412/90 — che aveva fatto da battistrada con riguardo ai crediti
previdenziali, la Corte costituzionale, con sentenza 24 ottobre 1996, n. 361 (id., 1996,1, 3266, con osservazioni di Pardolesi), aveva avvertito che «la commisurazione del trattamento pensionistico al reddito perce pito in costanza di rapporto di lavoro incontra un limite nel necessario
contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bi lancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema
previdenziale», ribadendo la «possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubbli ca, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in prece denza spettante». La necessità di un'adeguata ponderazione del l'interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica pesava, an che nell'odierna circostanza, come un macigno. Ma la corte lo aggira, con quello che vorrebbe essere, con ogni probabilità, un virtuosismo. Rileva, infatti, che le angosce da finanza pubblica non hanno modo di riflettersi in ambito privato; e che a quest'ultimo appartenevano le con troversie a quibus, sì che la pronuncia può ben limitarsi a considerare
l'impatto della norma impugnata sui soli crediti dei dipendenti privati. Si riespande, a questo punto senza remore, il piglio declamatorio sul l'art. 36 Cost.; il cauto processo di revisione dei meccanismi miranti a
preservare il valore dei crediti di lavoro viene cortocircuitato; si risco
pre persino che il datore di lavoro inadempiente potrebbe investire in ti toli di Stato e locupletare la differenza rispetto a quanto dovuto in ra
gione dell'assorbimento fra rivalutazione ed interessi. Tutto questo, vai la pena di ribadire, con esclusivo riguardo al versante privato.
Viene così risolta una questione; ma se ne apre un'altra, decisamente più grave. Non è chiaro, infatti, se il gioco di prestigio, operato dalla corte, sia valso soltanto a dilazionare nel tempo, in barba ad elementari
precetti di economia del giudizio costituzionale, una questione che, tra un momento, verrà sollevata da una pletora di provvedimenti; ovvero se la pronunzia abbia lasciato intendere che l'argine da finanza pubblica degradata possa davvero mettere nell'angolo la garanzia alla giusta re tribuzione del dipendente pubblico, con buona pace di quanti avevano avvertito l'incongruità di una tale traiettoria in vista della convergenza in atto, e neppure da poco, tra impiego pubblico e privato (v. Marazza, Interessi e rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro: il cumulo dal l'alba al tramonto, in Argomenti dir. lav., 1998, 767, 771; Pardini, Crediti di lavoro: nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di ri valutazione ed interessi, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 542, 544; De Noz za, Il divieto di cumulo di interesse legale e rivalutazione monetaria nei crediti di lavoro: ribadita la portata generale dell'art. 22, 36° comma, l. n. 724 del 1994, in Rass. giur. energia elettrica, 1999, 147, che non riesce a scorgere «per quale ragionevole motivazione — non
potendo spingersi sino al punto di considerare tale l'esigenza di conte nimento della spesa pubblica — il lavoratore alle dipendenze di un da tore pubblico debba [possa?, n.d.r.] essere discriminato rispetto a quello alle dipendenze di un soggetto privato», a maggior ragione in vista del processo di privatizzazione del pubblico impiego).
Parabola riassuntiva, con annessa morale spicciola. In esito ad un iti nerario che aveva impegnato gli addetti ai lavori per più di tre lustri, l'«interpretazione omogeneizzante della giurisprudenza civile, ammini strativa e contabile» (l'espressione si deve a Cons. Stato, ad. plen., 15
giugno 1998, n. 3, Foro it., 1998, III, 401, con nota di Pardolesi) aveva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione
del valore del suo credito.
La norma impugnata, applicabile, secondo la recente giuris
prudenza della Corte di cassazione, anche ai crediti dei dipen denti dai privati datori di lavoro, sarebbe, ad avviso dei rimet
tenti, lesiva dell'art. 3 Cost, sotto molteplici aspetti e precisa mente:
a) per l'ingiustificata disparità di trattamento che ne conse
guirebbe in danno dei dipendenti pubblici e privati rispetto agli altri lavoratori di cui all'art. 409, nn. 2 e 3, c.p.c., ai quali conti
nuerebbe ad applicarsi la disciplina più favorevole disposta dal
previgente testo dell'art. 429, 3° comma, c.p.c.;
b) per la disparità di trattamento che si verrebbe a determina
re in danno dei dipendenti pubblici e privati rispetto ai soci delle
cooperative di lavoro i quali, a differenza dei primi, potrebbero continuare a giovarsi, in caso di ritardo nella corresponsione del
trattamento di fine rapporto da parte del fondo di garanzia, della
più favorevole disciplina di cui alprevigente testo dell'art. 429,
3° comma, c.p.c.;
c) per la disparità di trattamento che si verificherebbe tra i di
pendenti pubblici e privati ed i soci delle cooperative di lavoro
per quanto riguarda il pagamento da parte del fondo di garanzia dei crediti inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro in
relazione ai quali l'art. 2, 5° comma, d.leg. 27 gennaio 1992 n.
80 prevede che siano dovuti gli interessi e la rivalutazione mo
netaria dalla data di presentazione della domanda;
d) per l'irragionevolezza della disciplina denunciata in quanto l'esclusione del cumulo di interessi e rivalutazione riguardereb be i soli emolumenti di natura retributiva con esclusione quindi di quelli non retributivi, pur collegati al rapporto di lavoro, quali ad esempio risarcimenti, rimborsi, indennità e premi non conti
nuativi;
e) per «l'irrazionalità della scelta legislativa» in quanto il
trattamento privilegiato attribuito ai crediti di lavoro dalla pre
vigente disciplina risultante dall'art. 429, 3° comma, c.p.c. sa
rebbe giustificata, secondo la costante giurisprudenza di questa
corte, da una molteplicità di ragioni connesse alla qualità stessa
del credito di lavoro e non potrebbe, dunque, in presenza di tali
ragioni, essere legittimamente abrogata. La norma impugnata sarebbe, poi, sotto un diverso aspetto,
costituzionalmente illegittima in quanto il cumulo di interessi e
rivalutazione dalla stessa abrogato risponderebbe — in confor
mità a quanto affermato da questa corte — sia alla finalità di di
fendere il potere di acquisto della retribuzione in quanto desti
nata a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore e della sua
famiglia sia alla finalità compensativa del lavoratore per il ritar
do nel pagamento della retribuzione, costituendo, sotto entrambi
tali profili, attuazione dell'art. 36 Cost.
2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni sostanzialmente
identiche, vanno riuniti per essere decisi con unica pronunzia. 3. - Va preliminarmente dichiarata l'irricevibilità della me
moria depositata in prossimità dell'udienza pubblica dalla Fiat
auto s.p.a., nella sua veste di successore a titolo particolare nel
assimilato, per quanto attiene agli effetti dell'inadempimento (i.e., cu mulo di rivalutazione ed interessi, salvo dividersi su come concreta
mente operare detto computo: v., per un aggiornato 'sguardo d'insie
me', Ciampolini, Criteri di computo di interessi e rivalutazione per crediti di lavoro maturati entro il 31 dicembre 1994: la Suprema corte
muta indirizzo, in Mass. giur. lav., 1999, 1191) qualsiasi credito di la
voro, pubblico o privato, retributivo o previdenziale. Di fronte ad un
panorama giurisprudenziale così 'normalizzato', il legislatore, «punto sulla carne viva (e che carne!)» (così Magrini, op. cit., 3), ha reagito,
togliendo dal giro, per il futuro, un meccanismo che rischiava di pro durre effetti devastanti sulle casse dello Stato. A questo punto, è scat
tata l'equiparazione di ritorno: una norma — quale l'art. 22, 36° com
ma, della finanziaria 1994 —, di evidente rilievo pubblicistico, viene
estesa al versante privato. E se, in precedenza, il trend a collassare il
tutto in un unico ticket aveva chiara valenza di tutela per il lavoratore, ora la vicenda punta a ridimensionarne la 'tutela differenziata', ripor tando la sostanza dell'art. 429 c.p.c. nell'alveo dei crediti di valuta.
Saggezza vuole, però, che, al profilarsi del pericolo, torni in auge il
primordiale 'si salvi chi può'. Ed ecco, allora, che la 'lunga marcia'
verso la neutralizzazione dei tratti soggettivi nel rapporto di lavoro vie
ne dismessa senza esitazioni. Basta cancellare dalla norma la formula
«e privati». Peccato che, così facendo, si cancelli anche un pezzo di no
stra storia giuridica e. quel che peggio, di razionalità: nel nome, va da
sé, dell'art. 3, 2° comma, Cost.! [R. Pardolesi]
Il Foro Italiano — 2001.
diritto controverso. La mancata costituzione di tale società nel
giudizio a quo, attestata nel corso dell'udienza pubblica da uno
dei difensori, porta infatti ad escludere la sua qualità di parte non solo di tale giudizio, ma anche di quello di legittimità co
stituzionale che, per la sua incidentalità, non può di norma avere
un ambito soggettivo diverso e più esteso del primo. 4. - Devono, poi, disattendersi le eccezioni di inammissibilità
della questione avanzate dalle parti dei giudizi in oggetto. In particolare, la presidenza del consiglio dei ministri e l'i
stituto nazionale della previdenza sociale (Inps) affermano che
la presente questione, essendo identica ad altra già dichiarata da
questa corte manifestamente inammissibile (v. ordinanza n. 147
del 1998, Foro it., 1998, I, 2598), debba essere decisa negli stessi termini di quest'ultima.
In contrario, è da osservare che nel caso giudicato da questa corte era stata ritenuta del tutto apodittica ed immotivata la
premessa da cui muoveva il giudice a quo circa l'applicabilità della norma impugnata ai dipendenti privati.
Formatasi su tale punto una costante giurisprudenza di legit timità alla quale gli odierni rimettenti dichiarano di aderire resta
con ciò stesso superata la stessa base giustificativa della citata
pronunzia di inammissibilità.
Egualmente infondata è l'eccezione di inammissibilità, avan
zata dalla Fiat auto partecipazioni s.p.a. sul rilievo che il rimet
tente nell'individuare la sfera soggettiva di applicabilità della
norma avrebbe dovuto adottare l'interpretazione restrittiva,
dallo stesso ritenuta più corretta, senza sentirsi vincolato alla
diversa e più lata interpretazione della giurisprudenza di legit timità.
Il rimettente non ha, infatti, dichiarato di ritenere l'in
terpretazione restrittiva più corretta di quella accolta dalla Cas
sazione, essendosi limitato a dar conto delle ragioni che lo han
no indotto a modificare la propria scelta al riguardo aderendo,
con opzione di per sé non censurabile, all'indirizzo seguito dalla
costante giurisprudenza di legittimità venutasi a formare sul
punto. 5. - Nel merito la questione è fondata.
6. - Va ricordato che questa corte, in sede di scrutinio di co
stituzionalità dell'art. 429, 3° comma, c.p.c., ha avuto modo di
affermare che «la prima (e, di per sé, già decisiva) giustificazio ne del trattamento privilegiato attribuito ai crediti di lavoro sta
(. . .) nella qualità stessa del credito che trova, nello sfondo, il
presidio e la garanzia (per così dire rafforzata) di più precetti costituzionali, quali quelli contenuti negli art. 1,3, cpv., 4, 34 e
36». Sulla base di siffatta premessa la corte ha quindi ritenuto
che il citato art. 429 c.p.c. si collocasse razionalmente nel con
testo di tale peculiare tutela, «apprestando un meccanismo di
conservazione del valore in senso economico delle prestazioni dovute al lavoratore, volto a preservare (o, comunque, ripristi
nare) quel 'potere di acquisto di beni reali' che si connette alla
retribuzione ed alle indennità di fine rapporto (costituenti la
parte indiscutibilmente prevalente dei crediti del lavoratore) e
nel contempo ad eliminare il vantaggio che (in precedenza) con
seguiva il datore di lavoro col ritardato adempimento». Ulterio
re ma non secondaria ragione giustificatrice della norma è stata
altresì rinvenuta nella sua funzione di remora «rispetto (. . .) al
fatto stesso del non puntuale adempimento alla scadenza delle
prestazioni destinate ad assolvere esigenze primarie del lavora
tore» (sentenza n. 13 del 1977, id., 1977, I, 259; in senso con
forme le sentenze n. 207 del 1994, id., 1994, I, 2034; n. 76 del
1981, id., 1981,1, 1778; n. 161 del 1977, id., 1978,1, 8). La citata giurisprudenza, pur riferita all'art. 429, 3° comma,
c.p.c., ha, del resto, rappresentato, sotto altro aspetto, il presup
posto logico delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale,
per contrasto con gli art. 3 e 38 Cost., dell'art. 442 c.p.c., nella
parte in cui non prevedeva un analogo meccanismo di tutela per i crediti previdenziali e per quelli assistenziali (sentenze n. 196
del 1993, id., 1993, I, 2425, e n. 156 del 1991, id., 1991, I, 1321).
È noto che il legislatore ha nuovamente escluso, con l'art. 16,
6° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412 (disposizioni in materia di
finanza pubblica), il cumulo di interessi legali e rivalutazione
per i crediti previdenziali e che detta norma ha superato indenne
il vaglio di costituzionalità, con riferimento ancora ai parametri di cui agli art. 3 e 38 Cost.
Le uniche ragioni giustificatrici dell'intervento legislativo sono state peraltro individuate dalla corte, in un «contesto di
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PARTE PRIMA
progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubbli ca», nella «necessità di una più adeguata ponderazione dell'inte
resse collettivo al contenimento della spesa pubblica», necessità
costituente, come reso evidente anche dal suo inserimento nella
legge finanziaria, «ratio autonoma» della norma in quella sede
censurata (sentenza n. 361 del 1996, id., 1996,1, 3266). 7. - La norma impugnata dagli odierni rimettenti estende ai
crediti di lavoro la medesima regola della non cumulabilità di
rivalutazione ed interessi già prevista per i crediti previdenziali dal citato art. 16, 6° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412, ricono
scendo, in buona sostanza, al lavoratore la maggior somma tra
l'ammontare degli interessi e quello della rivalutazione mo
netaria.
Poiché le ragioni di contenimento della spesa pubblica, nelle
quali la corte ha rinvenuto la giustificazione dal punto di vista
costituzionale della norma richiamata, non sono evidentemente
riferibili ai crediti di lavoro derivanti da rapporti di diritto pri vato —
rispetto ai quali esclusivamente rileva la questione sol
levata dai rimettenti — ciò che occorre allora valutare, con rife
rimento innanzitutto al parametro di cui all'art. 36 Cost., è se la
nuova disciplina degli accessori soddisfi quelle specifiche esi
genze di tutela dei crediti di lavoro già individuate da questa corte nella giurisprudenza sopra citata.
Va infatti e preliminarmente ribadito, a tale riguardo, che la
materia concernente le conseguenze del ritardato adempimento dei crediti di lavoro non può in alcun modo ritenersi estranea
alla garanzia costituzionale della giusta retribuzione, essendo
indubbio che l'idoneità della retribuzione ad assicurare al lavo
ratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa si
ponga in funzione non solo del suo ammontare ma anche della
puntualità della sua corresponsione, del pari essenziale, come è
evidente, al soddisfacimento delle quotidiane esigenze di vita
del lavoratore e dei suoi familiari. Aspetto quest'ultimo che
porta necessariamente a diversificare i crediti di lavoro da quelli comuni e che, perciò stesso, richiede per i primi una tutela diffe
renziata da quella accordata ai secondi.
7.1. - La nuova disciplina, pur prevedendo l'automatico rico
noscimento, in favore del lavoratore, dell'intero ammontare
della rivalutazione monetaria, anche se superiore a quello degli interessi ed a prescindere dalia prova del relativo danno, risulta
carente sotto uno dei profili di giustificazione enunciati dalla
giurisprudenza della corte.
La regola da essa introdotta, infatti, diversamente dalla pre cedente, rende nuovamente conveniente per il debitore, da un
punto di vista economico, dirottare verso investimenti finanziari
pur privi di rischio (quali, ad esempio, i titoli di Stato) le somme
destinate al pagamento delle retribuzioni e degli altri crediti di
lavoro, lucrando in tal modo l'eventuale differenziale tra il ren
dimento dell'investimento ed il tasso della svalutazione. Con
evidente vanificazione di quella funzione di remora all'inadem
pimento richiamata dalla giurisprudenza di questa corte.
Ciò non vuol dire, ovviamente, che il meccanismo di cumulo
di interessi e rivalutazione monetaria, previsto dall'art. 429, 3°
comma, c.p.c., debba intendersi costituzionalizzato. Il legislatore, nella sua discrezionalità, resta, infatti, libero di
sostituire il precedente meccanismo con altro, con il limite però
rappresentato dalla necessità di riconoscere ai crediti di lavoro, in considerazione della loro natura, una effettiva specialità di
tutela rispetto alla generalità degli altri crediti prevedendo un
meccanismo di riequilibrio del vantaggio patrimoniale indebi
tamente conseguito dal datore di lavoro attraverso l'inadempi mento.
Ed è proprio siffatta tutela che viene a mancare nella specie, limitandosi la norma impugnata
— a parte alcuni aspetti proce durali di scarsa significatività
— a ricondurre, come afferma lo
stesso giudice di legittimità, la disciplina dei crediti di lavoro all'interno della disciplina generale di cui all'art. 1224 c.c. sulla
responsabilità contrattuale da inadempimento. La norma stessa risulta, in tal modo, in evidente contrasto con
l'art. 36 Cost, e va, pertanto, dichiarata incostituzionale, limita
tamente alle parole «e privati», venendo in tal modo ricondotta
a legittimità la disciplina dei rapporti di lavoro di diritto privato che, come si è detto, vengono in esclusiva considerazione nei
giudizi a quibus. Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità dedotto dai
rimettenti.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di
chiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, 36° comma, 1.
23 dicembre 1994 n. 724 (misure di razionalizzazione della fi
nanza pubblica), limitatamente alle parole «e privati».
Il Foro Italiano — 2001.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 ottobre 2000, n.
440 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 2000, n.
45); Pres. Mirabelu, Est. Neppi Modona; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Assise Nuoro 22 marzo 2000 (G.U., la s.s., n.
23 del 2000).
Dibattimento penale — Letture — Sopravvenuta impossibi lità di ripetizione dell'atto — Dichiarazione resa in sede di indagini dal prossimo congiunto dell'imputato — Suc cessiva astensione dalla deposizione
— Questione infonda
ta di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. Ill; cod. proc. pen., art. 199, 512).
Dibattimento penale — Istruzione dibattimentale — Conte
stazioni nell'esame testimoniale — Questione manifesta
mente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. Ili; cod. proc. pen., art. 199, 500).
E infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 512 c.p.p., nella parte in cui,
alla stregua dell'interpretazione indicata dalla sentenza n.
179 del 1994 della Corte costituzionale, consente di dare let
tura dei verbali delle dichiarazioni rese alla polizia giudizia ria o al pubblico ministero nel corso delle indagini prelimi nari da prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento
si avvalgano della facoltà di non deporre ai sensi dell'art.
199 c.p.p., in riferimento all'art. Ill Cost. (1) È manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione in
punto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 500, commi 2 bis e 4, c.p.p., in riferimento all'art.
Ill Cost. (2)
II
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 25 ottobre 2000, n. 439 (Gazzetta ufficiale, ld serie speciale, 2 novembre 2000, n.
45); Pres. Mirabelli, Est. Flick; Ielo e altri. Ord. Trib. Locri
23 marzo 2000 (G.U., la s.s., n. 29 del 2000).
Dibattimento penale — Letture — Dichiarazioni di imputato di reato connesso o collegato — Rifiuto di rispondere del
dichiarante nel corso dell'istruzione dibattimentale —
Questione manifestamente inammissibile di costituzionali
tà (Cost., art. Ill; cod. proc. pen., art. 513; d.l. 7 gennaio 2000 n. 2, disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art. 2 1.
cost. 23 novembre 1999 n. 2, in materia di giusto processo, art. 1; 1. 25 febbraio 2000 n. 35, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 7 gennaio 2000 n. 2).
E manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione in
punto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, 2° comma, c.p.p., nel testo risultante a seguito della sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale, in
riferimento all'art. Ill Cost. (3)
(1-3) I. - Le due pronunce in epigrafe meritano anzitutto di essere se
gnalate poiché costituiscono, sul terreno cruciale delle logiche del con traddittorio per la prova, la prima lettura contenutistica del «nuovo» art. 111 Cost, offerta dal giudice delle leggi (per importanti sottolineature, cfr. Ferrua, Ottima accoglienza a corte per il «111», in Dir. e giust., 2000, fase. 39, 36 s.). Era, invero, inevitabile che la nuova esplicita ste sura delle regole del «giusto processo» schiudesse la via ad un com
plesso di verifiche di costituzionalità: sono molteplici gli snodi del co dice di rito penale scopertamente distonici rispetto al nuovo quadro co
stituzionale; l'area delle regole probatorie costituisce, sotto tale profilo, la vera e propria punta d'iceberg, su cui non si è, ad oggi, ancora reso
possibile il varo di una adeguata riforma, la cui progettazione si è ripe tutamente arenata, nei meandri parlamentari, tra le secche di visioni
particolaristiche quando non speciose (cfr. i complessi itinerari della
proposta — Atti camera n. 6590 e abbinati — recante «modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova»: dapprima approvato all'unanimità, in sede
deliberante, dalla commissione giustizia del senato I'll novembre
1999, il testo è stato interamente riscritto dalla camera dei deputati, che lo ha varato — al termine di un tormentato dibattito sviluppatosi nel l'arco di poco meno di un anno — il 6 novembre 2000; né l'ulteriore transito senatoriale si annuncia agevole, sicché non pare peregrino ipo
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