sentenza 20 gennaio 2004, n. 26 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 gennaio 2004, n. 4);Pres. Chieppa, Est. Capotosti; Regione Marche (Avv. Grassi), Regione Toscana (Avv. Lorenzoni),Regione Emilia-Romagna e Regione Umbria (Avv. Falcon) c. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Cosentino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2005), pp. 1997/1998-2005/2006Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201706 .
Accessed: 25/06/2014 10:55
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gine ai dati meno risalenti, la disciplina del reclutamento del
personale delle pubbliche amministrazioni è oggetto dell'art. 35
d.leg. n. 165 del 2001, il cui 1° comma, lett. b), riguarda proprio il personale per il quale «è richiesto il solo requisito della scuola
dell'obbligo». D'altra parte, per quanto concerne il più recente complesso
normativo costituito dalla 1. 14 febbraio 2003 n. 30 (delega al
governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e dal
d.leg. 10 settembre 2003 n. 276 (attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla 1. 14
febbraio 2003 n, 30), contenente anche la disciplina dei servizi
per l'impiego ed in particolare del collocamento, espressamente ne è esclusa l'applicabilità al personale delle pubbliche ammini
strazioni, salvo il caso di esplicito richiamo (v. art. 6 1. n. 30 del
2003). La formazione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni costituisce quindi
— come regola generale —
oggetto di disciplina autonoma, rispetto alle norme dei suindi
cati provvedimenti legislativi. L'art. 22 ter, oggetto delle doglianze logicamente prioritarie
del ricorrente, non si limita ad adeguare la disciplina del testo
unico regionale alle più recenti previsioni ed in particolare a
quelle relative agli elenchi anagrafici, sostitutivi delle liste di
collocamento, ed all'efficacia di autorizzazione dell'atto di av
viamento, né regola soltanto la fase dell'incontro tra domanda
ed offerta. Essa incide direttamente sui modi del reclutamento e, mediante il regolamento, sui contenuti e sugli effetti di tale re
clutamento in relazione al personale delle pubbliche ammini
strazioni, ivi comprese — ed è ciò che rileva ai fini della que
stione di costituzionalità come proposta — le sedi centrali e gli
uffici periferici di amministrazioni ed enti pubblici a carattere
nazionale.
Si deve, pertanto, ritenere che la norma impugnata incida
sulla organizzazione amministrativa delle amministrazioni sta
tali e degli enti pubblici nazionali. Né vale osservare che la disposizione regionale non si disco
sta dal contenuto dell'art. 35, 1° comma, lett. b), d.leg. n. 165
del 2001, perché la novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di ille
gittimità della norma.
In aderenza ai termini in cui la questione è stata posta dal ri
corrente, come sopra precisati, deve essere dunque dichiarata la
illegittimità costituzionale dell'art. 2 1. reg. Toscana n. 42 del
2003, che inserisce l'art. 22 ter nella 1. reg. Toscana n. 32 del
2002, nella parte in cui include tra i destinatari suoi e del rego lamento previsto dall'art. 22 bis le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali esistenti nel territorio regionale.
Per effetto di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale
risulta inammissibile la censura proposta contro l'art. 1 1. reg. Toscana n. 42 del 2003, in quanto, non essendo oggetto di auto
nome censure, viene meno l'interesse a ricorrere.
Per questi motivi, la Corte costituzionale:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 1. reg. To
scana 4 agosto 2003 n. 42 (modifiche alla 1. reg. 26 luglio 2002
n. 32, t.u. della normativa della regione Toscana in materia di
educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro), che inserisce l'art. 22 ter, commi 1°, 2° e 3°, nella 1.
reg. n. 32 del 2002, nella parte in cui include tra i destinatari
suoi e del regolamento previsto dall'art. 22 bis le amministra
zioni statali e gli enti pubblici nazionali esistenti nel territorio
regionale; b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 1 1. reg. Toscana n. 42 del 2003, sollevata, in ri
ferimento all'art. 117, 2° comma, lett. g), 3° e 6°, Cost., dal pre sidente del consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Il Foro Italiano — 2005.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 gennaio 2004, n. 26 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 gennaio 2004, n. 4); Pres. Chieppa, Est. Capotosti; Regione Marche (Avv.
Grassi), Regione Toscana (Avv. Lorenzoni), Regione Emi
lia-Romagna e Regione Umbria (Avv. Falcon) c. Pres. cons,
ministri (Avv. dello Stato Cosentino).
Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici in genere — Patrimonio artistico — Fruizione pubblica e valorizza
zione — Concessione a soggetti diversi da quelli statali —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 117, 118,
119; d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti lo cali, in attuazione del capo 11. 15 marzo 1997 n. 59, art. 152; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2002), art. 33).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
33 I. 28 dicembre 2001 n. 448, nella parte in cui stabilisce
che il ministero per i beni e le attività culturali può dare in
concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di
servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e
della valorizzazione del patrimonio artistico come definiti dall'art. 152, 3° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, secon
do modalità, criteri e garanzie definiti con regolamento ema
nato ai sensi dell'art. 17, 3° comma, l. 400/88, in riferimento
agli art. 117, 118 e 119 Cost. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 13 gennaio 2004, n. 9
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 gennaio 2004, n. 3); Pres. Chieppa, Est. Amirante; Regione Toscana (Avv. Lo
renzoni) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiorilli).
Conflitto di attribuzione.
Opere pubbliche — Beni culturali mobili e superfici decora
te di beni architettonici — Restauro e manutenzione —
Requisiti per la qualifica di restauratore — Definizione —
Spettanza allo Stato (Cost., art. 3, 97, 117; 1. 11 febbraio
1994 n. 109, legge quadro in materia di lavori pubblici, art. 8).
Spetta allo Stato, e per esso al ministero per i beni e le attività
culturali, emanare l'art. 3 d.m. 24 ottobre 2001 n. 420, il
quale, nel fissare i requisiti di qualificazione dei soggetti ese
cutori di lavori di restauro e manutenzione di beni culturali
mobili e di superfici decorate di beni architettonici, determi
na quelli per la qualifica di restauratore. (2)
(1-2) Entrambe le pronunce in epigrafe vengono affrontate e risolte dalla Corte costituzionale attraverso la distinzione e la specificazione delle nozioni di «tutela», «gestione» e «valorizzazione» dei beni cultu
rali, in base alle quali il giudice costituzionale procede ad individuare i confini tra la competenza esclusiva dello Stato e quella concorrente, ai sensi dell'art. 117 Cost., come riformato dalla 1. cost. 3/01, dando par ticolare significato alle distinzioni contenute nel precedente d.leg. 112/98. La corte giunge in ambedue le ipotesi a soluzioni favorevoli allo Stato, dichiarando in un caso (sent. 26/04) infondata la questione di
costituzionalità sollevata in ordine all'art. 33 1. 448/01, sul rilievo che la tutela, gestione e valorizzazione è riferibile ad una materia-attività,
per la quale Stato, regioni ed enti locali sono abilitati ad espletare tali
funzioni riguardo ai beni culturali di cui abbiano la titolarità e che, nel
caso di specie, quest'ultima spetta senza dubbio allo Stato. Nell'altro
caso (sent. 9/04), la corte ritiene che la disciplina concernente l'acqui sizione della qualifica di restauratore di beni culturali rientra nella ma
teria della tutela dei beni culturali e quindi nella competenza esclusiva
dello Stato.
Sui concetti di tutela e valorizzazione dei beni culturali, ricavati dal
d.leg. 112/98, v. Corte cost. 28 marzo 2003, n. 94, Foro it., 2003, I,
1308, con nota di richiami e osservazioni di Benini, commentata da
FoÀ, in Giornale dir. amm., 2003, 904; da Carpentieri, in Urbanistica e appalti, 2003, 1015, e da Marini, in Giur. costit., 2003, 775, in tema
di tutela e valorizzazione dei locali storici.
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA 2000
I
Diritto. — 1. - La questione di legittimità costituzionale pro
posta, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle regioni Marche,
Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria ha ad oggetto l'art. 33 1.
28 dicembre 2001 n. 448 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge finanziaria
2002), che viene impugnato insieme con altre disposizioni della
medesima legge. Per ragioni di omogeneità di materia, la tratta
In ordine alla ripartizione di competenza in materia di beni culturali tra Stato e regioni, dopo l'approvazione del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, v. Cons. Stato, sez. per gli atti normativi, 26 agosto 2002, n. 1794, Foro it., Rep. 2003, voce Beni culturali, pae saggistici e ambientali, n. 73, commentata da Barbati, in Giornale dir.
amm., 2003, 145, e da Passeri, in Riv. giur. ambiente, 2003, 361, se condo cui la gestione dei beni culturali, pur essendo attività propedeuti ca anche alla tutela, non è ad essa riconducibile, ma appartiene all'«ambito funzionale» della valorizzazione, assegnato alla potestà le
gislativa concorrente delle regioni; di conseguenza, non sono rintrac ciabili spazi per un intervento regolamentare dello Stato e si delinea, in tal modo, almeno agli effetti delle competenze normative, una separa zione tra tutela e valorizzazione che dovrà confrontarsi con le «necessa rie interferenze» delle due funzioni.
Secondo Corte cost. 10 giugno 1993, n. 277, Foro it., 1993, I, 2397, con nota di richiami, posto che nell'ambito di musei appartenenti ad enti locali possono esistere beni di tale rilevanza artistica o storica da
attingere l'interesse culturale nazionale, e che tra le funzioni espressa mente delegate alle regioni a statuto ordinario compare la «manuten zione e la conservazione dell'integrità delle cose raccolte in musei», ma non il restauro, spetta allo Stato il rilascio di autorizzazione, prevista dall'art. 11 1. 1° giugno 1939 n. 1089, alla rimozione ed al restauro di beni d'interesse storico-artistico, appartenenti a musei di enti locali, o di interesse locale.
Per l'affermazione, anteriore alla riforma del titolo V, secondo cui l'art. 9 Cost., che affida alla repubblica la tutela del patrimonio artistico e storico della nazione, rimette alla valutazione del legislatore la deter minazione dei soggetti competenti a provvedere e la successiva evolu zione legislativa e la normazione degli statuti regionali ordinari sono nel senso della conservazione della competenza statale, pur ammetten do il concorso delle regioni alla valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali, secondo programmi concordati con lo Stato, v. Corte cost. 28 luglio 1988, n. 921, id., 1991, I, 731, che ha dichiarato infondata la
questione di costituzionalità degli art. 1, lett. b) e c), e 4, 2°, 3°, 4° e 5°
comma, d.l. 7 settembre 1987 n. 371, convertito, con modificazioni, dalla 1. 29 ottobre 1987 n. 449, nelle parti in cui dispongono che lo Stato possa provvedere al restauro conservativo ed al consolidamento di edifici di interesse artistico e storico dello Stato, di enti pubblici e di
privati e possa erogare contributi per la realizzazione di manifestazioni, artistiche, culturali, congressuali e scientifiche. In senso analogo, v. Tar
Campania, sez. Ili, 23 gennaio 1996, n. 30, id.. Rep. 1996, voce Anti
chità, n. 24, secondo cui l'art. 9 Cost., che affida alla repubblica la tu tela del patrimonio artistico e storico della nazione, rimette alla valuta zione del legislatore la determinazione dei soggetti competenti a prov vedere e la successiva evoluzione legislativa e la normazione degli statuti regionali ordinari sono nel senso della conservazione della com
petenza statale, pur ammettendo il concorso delle regioni alla valoriz zazione dei beni culturali ed ambientali, secondo programmi concordati con lo Stato.
In ordine alla competenza richiesta per il restauro di beni culturali ed alla regolamentazione del rapporto con il restauratore, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 2002, n. 860, id., Rep. 2003, voce Professioni in
tellettuali, n. 116, secondo cui non esiste riserva assoluta degli archi tetti per gli interventi di restauro da eseguirsi sui beni culturali vincolati e soltanto la parte tecnica degli interventi va comunque affidata a inge gneri o architetti, mentre per la parte considerata non tecnica dell'inter vento sono ammessi anche altri professionisti; 20 settembre 1996, n.
1244, id., Rep. 1997, voce Antichità, n. 24, secondo cui il provvedi mento di revoca dell'incarico di restauro di opere d'arte per sfiducia dell'amministrazione nei confronti del soggetto incaricato, deve essere
dettagliatamente motivato in merito alle circostanze che abbiano de terminato l'amministrazione all'emanazione dell'atto; Tar Toscana, sez. II, 17 aprile 1989, n. 146, id., 1991, III, 155, con nota di richiami, che ha ritenuto legittimo il diniego della sovrintendenza per i beni arti stici e storici di autorizzazione al restauro, da parte della pievania pro prietaria. di un organo di importanza storica e culturale, anche se non formalmente vincolato, in quanto affidato non ad uno dei restauratori considerati idonei e indicati dalla sovrintendenza stessa, ma ad altro, ritenuto non in grado di restituire allo strumento il suo temperamento originale e che il restauro di un bene storico assume un valore non solo in vista di una utilizzazione immediata, ma anche per il futuro, e deve
quindi essere condotto in modo tale da garantire la conservazione degli
Il Foro Italiano — 2005.
zione di questa questione di legittimità costituzionale viene se
parata dalle altre, sollevate con gli stessi ricorsi, le quali sono
oggetto di distinte decisioni.
2. - Secondo le ricorrenti, la norma impugnata, introducendo
nell'art. 10, 1° comma, d.leg. 20 ottobre 1998 n. 368 la lett. b
bis) che, nella formulazione censurata, stabilisce, tra l'altro, che
il ministero può «dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi finalizzati al miglioramento della
fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artisti
co come definiti dall'art. 152, 3° comma, d.leg. 31 marzo 1998
n. 112, secondo modalità, criteri e garanzie definiti con regola mento emanato ai sensi dell'art. 17, 3° comma, 1. 23 agosto 1988 n. 400», violerebbe diverse disposizioni costituzionali. Ed
infatti la medesima norma è censurata dalle ricorrenti sotto
molteplici profili inerenti ai parametri costituzionali degli art.
117, 118 e 119 Cost., nonché in riferimento ai principi costitu
zionali attinenti al rapporto tra Stato e regione ed al canone di
ragionevolezza. In particolare, la regione Marche denuncia che la norma im
pugnata disciplina con norme di dettaglio una materia — la va
lorizzazione dei beni culturali — riconducibile tra quelle attri
buite, ai sensi dell'art. 117, 3° comma. Cost., alla potestà legis lativa concorrente delle regioni, e conferisce al ministro dei beni
culturali, in contrasto con il 6° comma dell'art. 117 cit., un po tere regolamentare in una materia di competenza regionale. Ed
infatti, benché la lett. b bis) del 1° comma faccia riferimento al
l'attività di «gestione», tale attività può essere riferita a profili sia di «tutela», sia di «valorizzazione», secondo la specifica fi
nalità, che di volta in volta si trovi a perseguire. Inoltre, anche
ammettendo che lo Stato possa riservare determinate funzioni al
livello centrale, in attuazione dell'art. 118, 1° comma, Cost., solo per tali funzioni deve dettare la relativa disciplina e non già
per semplici integrazioni parziali della previgente normativa.
Secondo le regioni Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria, in
fine, essendo la materia della «valorizzazione» dei beni culturali
attribuita alla competenza legislativa concorrente delle regioni, lo Stato dovrebbe dettare solo i principi fondamentali, essendo
anche illegittima la previsione di un regolamento ministeriale in
materia. La regione Umbria denuncia altresì la lesione del prin
cipio di sussidiarietà, spettando in via generale ai comuni le
funzioni amministrative.
Per ragioni dì connessione oggettiva e di coincidenza di pro fili di illegittimità costituzionale sollevati, i ricorsi in esame vengono riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
3. - La questione non è fondata nei termini di seguito indicati.
Le censure di legittimità costituzionale prospettate nei ricorsi
in esame si incentrano essenzialmente su due profili: il primo è
relativo alla materia oggetto della disposizione impugnata, la
quale, pur riguardando formalmente la «gestione» di servizi fi
nalizzati al miglioramento della fruizione pubblica del patrimo nio artistico, in realtà, secondo le ricorrenti, disciplinerebbe con
norme di dettaglio la «valorizzazione dei beni culturali», mate
ria rientrante tra quelle che l'art. 117, 3° comma, Cost, attribui
sce alla competenza legislativa regionale concorrente. Il secon
do profilo, strettamente collegato al primo, si incentra sulla pre visione di un regolamento ministeriale incidente sul predetto ambito materiale, da ricondurre appunto, secondo quanto sopra detto, alla sfera di competenza legislativa regionale concorrente.
Al fine di valutare la pretesa lesione delle attribuzioni legis lative regionali, occorre dunque individuare i caratteri distintivi
originari caratteri; pertanto a tali fini, si rende necessario un giudizio sull'idoneità culturale dei restauratori, rimesso alla soprintendenza per i beni artistici e storici.
Nel senso che al restauratore di un'opera d'arte deve essere ricono sciuta la protezione della legge sul diritto d'autore quando la sua opera si estrinsechi in un'attività particolarmente complessa, implicante co noscenze tecniche, artistiche e culturali di carattere innovativo e creati
vo, v. Trib. Bologna 23 dicembre 1993, id., Rep. 1995, voce Diritti
d'autore, n. 100, commentata da Arceri, in Giur. merito, 1994, 822. Nella sent. 9/04 la Corte costituzionale rileva come, ai fini dell'ap
plicabilità per la soluzione del conflitto delle disposizioni costituzionali
precedenti o successive alla revisione del 2001, non rileva tanto la data di delibera dell'atto impugnato, quanto quella della pubblicazione dello stesso sulla Gazzetta ufficiale (nella specie successiva alla revisione co stituzionale del titolo V).
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della «gestione» dei servizi in oggetto e il settore materiale al
quale essa è riconducibile. Al riguardo la norma impugnata, che
appunto prevede la facoltà del ministero per i beni e le attività
culturali di dare in concessione a «soggetti diversi da quelli statali» la gestione di servizi finalizzati «al miglioramento della
fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artisti
co come definiti dall'art. 152, 3° comma, d.leg. 31 marzo 1998
n. 112», non è chiara. Essa invero si inserisce nell'ambito delle
discipline della c.d. esternalizzazione della gestione dei servizi
culturali di competenza statale, il cui controverso accoglimento in sede parlamentare
— come si ricava dai relativi lavori prepa ratori — si è evidentemente riflesso su una certa oscurità di
formulazione della norma in esame e spiega altresì i vari muta
menti che il testo legislativo in questione ha subito successiva
mente alla sua entrata in vigore. Le indicate difficoltà interpretative riguardano essenzialmente
la distinzione dell'attività in esame — di «gestione» —
rispetto a quelle di «tutela» o di «valorizzazione» dei beni culturali e
quindi l'ambito di applicazione della disposizione denunciata, non tanto perché è dubbio in che misura la lett. b bis), aggiunta dall'art. 33 all'art. 10 citato d.leg. n. 368 del 1998, innovi ri
spetto ad altre norme dello stesso art. 10, che già prevedono che
per le stesse finalità il ministero per i beni e le attività culturali
possa «stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con
soggetti privati», ma soprattutto perché non risulta affatto chiaro
in che cosa consista l'oggetto della concessione e quali beni
culturali riguardi. Tanto più che modalità, criteri e garanzie per l'affidamento in concessione dei servizi finalizzati alla migliore fruizione di tali beni dovrebbero essere fissati, secondo la mede
sima disposizione, da un apposito e dettagliato regolamento mi
nisteriale, che dovrebbe regolare persino aspetti minuti della
convenzione concessoria, quali le forme di reclutamento ed i li
velli di professionalità del personale. La norma censurata, rinviando all'art. 152 d.leg. n. 112 del
1998 il quale stabilisce, sia pure ai fini della definizione delle funzioni e dei compiti di valorizzazione dei beni culturali, che
Stato, regioni ed enti locali esercitano le relative attività, «cia
scuno nel proprio ambito», presuppone un criterio di ripartizio ne di competenze, che viene comunemente interpretato nel sen
so che ciascuno dei predetti enti è competente ad espletare
quelle funzioni e quei compiti riguardo ai beni culturali, di cui rispettivamente abbia la titolarità. Tale criterio, pur essendo in
serito nel d.leg. n. 112 del 1998, anteriore alla modifica del ti
tolo V della Costituzione, conserva tuttora la sua efficacia inter
pretativa non solo perché è individuabile una linea di continuità
tra la legislazione degli anni 1997-98, sul conferimento di fun
zioni alle autonomie locali, e la 1. cost. n. 3 del 2001, ma so
prattutto perché è riferibile a materie-attività, come, nel caso di
specie, la tutela, la gestione o anche la valorizzazione di beni
culturali, il cui attuale significato è sostanzialmente corrispon dente con quello assunto al momento della loro originaria defi
nizione legislativa. Alla stregua di tale criterio, nella disposizione in esame appa
re chiaro che il soggetto che ha la titolarità dei beni culturali in
questione è lo Stato, come appunto si ricava dai riferimenti del
previsto regolamento ministeriale sia ai «rispettivi compiti dello
Stato e dei concessionari» relativamente ai restauri ed alla ordi
naria manutenzione dei «beni oggetto del servizio, ferma re
stando la riserva statale sulla tutela dei beni», sia al «canone
complessivo» della concessione «da corrispondere allo Stato per tutta la durata stabilita», sia alla previsione che «ritornino nella
disponibilità» del ministero i beni culturali conferiti in gestione, in caso di cessazione, per qualsiasi causa, della concessione
stessa. Trattandosi dunque di beni «oggetto del servizio», per la
cui concessione deve essere corrisposto un canone allo Stato e
per i quali, tra l'altro, è previsto il ritorno «nella disponibilità» del ministero per i beni culturali alla cessazione della conces
sione, è evidente che la convenzione concessoria dei servizi di
sciplinata dalla disposizione in esame e dal regolamento mini
steiriale ivi previsto non può che concernere servizi finalizzati a
beni culturali, di cui appunto allo Stato sono riservate la titola
rità e la gestione, oltre che la tutela.
Tale linea interpretativa appare logicamente plausibile, cosic
ché è da escludere che la disposizione impugnata possa essere
lesiva delle pretese delle regioni ricorrenti, le cui attribuzioni in
materia non rientrano, appunto secondo l'interpretazione pro
li. Foro Italiano — 2005.
spettata, nell'ambito di previsione del denunciato art. 33. In
proposito va altresì osservato che nella legge in esame n. 448
del 2001 l'ipotesi di concessione disciplinata dalla medesima
norma è nettamente distinta da quella regolata dall'art. 35 che, senza stabilire vincoli procedurali o contenutistici, si limita a
facoltizzare gli enti locali — nel cui ambito vanno considerate
anche le regioni, come si deduce dal 15° comma del suddetto
art. 35 — a scegliere l'affidamento diretto dei «servizi cultura
li» locali ad associazioni e fondazioni dagli stessi enti costituite
o partecipate, oppure a soggetti terzi, sulla base di contratti di
servizio. Il carattere di «principio» che riveste questa normativa
sull'affidamento dei servizi culturali locali, rispetto a quella sull'affidamento dei servizi inerenti ai beni culturali di cui è ti tolare lo Stato, si spiega appunto con le incidenze che la disci
plina dell'art. 35 — e non già quella dell'art. 33 — può avere
sulle competenze legislative regionali e sull'autonomia degli enti locali in materia.
Infine, ad ulteriore conferma dell'interpretazione qui accolta, secondo cui il citato art. 33, si riferisce ai servizi dei soli beni
culturali di cui lo Stato ha la titolarità e la gestione, si possono ricordare, per quanto vale, le modifiche introdotte al citato art.
10 d.leg. n. 368 del 1998 — nel testo risultante dopo l'entrata in
vigore dell'art. 33 — dall'art. 80 1. 27 dicembre 2002 n. 289, le
quali sopprimono ogni riferimento testuale alle finalità di «valo
rizzazione del patrimonio artistico» e specificano anche che la
gestione dei servizi in questione deve riguardare i «beni cultu
rali di interesse nazionale», di cui all'art. 2, 1° comma, lett. b) e
c), d.p.r. 7 settembre 2000 n. 283, e cioè i beni immobili di «in teresse particolarmente importante a causa del loro riferimento
con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della
cultura in genere», nonché i beni di interesse archeologico. Pertanto, così interpretato l'art. 33 1. n. 448 del 2001, non ri
sultano fondate le censure prospettate dalle ricorrenti.
Per questi motivi, la Corte costituzionale riservata a separate
pronunce ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della 1. 28 dicembre 2001 n. 448 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato —
legge finanziaria 2002), riuniti i giudizi relativi all'art. 33 me desima legge, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33 1. 28 dicembre 2001 n. 448 (disposi zioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli art.
117, 118 e 119 Cost., dalle regioni Marche, Toscana, Emilia
Romagna ed Umbria con i ricorsi in epigrafe.
II
Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione, proposto dalla re
gione Toscana in relazione all'art. 3 del decreto del ministro per i beni e le attività culturali 24 ottobre 2001 n. 420 (regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000 n.
294 del ministro per i beni e le attività culturali concernente
l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti ese cutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e
delle superfici decorate di beni architettonici), che ha sostituito
l'art. 7 precedente decreto 3 agosto 2000 n. 294, è diretto ad
ottenere la dichiarazione che non spetta allo Stato, nel fissare i
requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di re
stauro e manutenzione di beni culturali mobili e di superfici de
corate di beni architettonici, determinare quelli per la qualifica di restauratore, con il conseguente annullamento del citato
art. 3.
La regione ricorrente sostiene, in via principale, che con la
norma regolamentare impugnata lo Stato ha invaso la sua sfera
di competenza legislativa c.d. residuale, e quindi esclusiva, in
materia di formazione professionale; in subordine si duole che
lo Stato, in una materia di legislazione concorrente, quale è
quella sulle professioni, abbia emanato norme regolamentari, con ciò violando l'art. 117, 3°, 4° e 6° comma, Cost.
Infine, la regione Toscana afferma che la norma regolamenta re censurata è illegittima anche per irragionevolezza, in quanto non tiene conto della posizione di coloro che, al momento della
sua entrata in vigore, avevano già frequentato per due annualità
i corsi di scuole regionali ed erano al terzo anno di frequenza. La norma censurata secondo la ricorrente contrasta quindi con
gli art. 3 e 97 Cost.
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2003 PARTE PRIMA 2004
2. - Si rileva, in via preliminare, che l'ultima prospettazione della ricorrente non può avere ingresso in questa sede.
Il giudizio per conflitto di attribuzione proposto dalla regione nei confronti dello Stato è finalizzato, per sua natura, ad accer
tare l'esistenza di una lesione, da parte del secondo, della sfera
di competenza della prima. Come questa corte ha in più occa
sioni rilevato, affinché vi sia effettivamente materia per simile
conflitto occorre che sia prospettata la lesione di una competen za «costituzionalmente garantita delle regioni nella materia su
cui verte la controversia» (sentenza n. 27 del 1996, Foro it.,
1997, I, 3522). Nel caso specifico, la presunta lesione di tali
competenze troverebbe fondamento nell'aver lo Stato dettato
norme in un ambito che non è di sua spettanza alla luce del vi
gente art. 117 Cost., sicché le ulteriori censure avanzate per so
spetta lesione degli art. 3 e 97 Cost, esulano dal tema proprio
dell'oggetto del conflitto di attribuzione. Diversamente argo mentando potrebbe accadere che, tramite lo strumento del con
flitto. la corte venga chiamata impropriamente ad un sindacato
generale di legittimità costituzionale — del tutto estraneo al si
stema — su atti non aventi forza di legge. 3. - Una volta delineati i limiti del presente giudizio, occorre
ancora osservare che, essendo la potestà regolamentare dello
Stato circoscritta alle materie di propria competenza legislativa esclusiva, il conflitto può essere risolto accertando se l'atto cen
surato rientri o meno in una delle materie elencate nel 2° com
ma dell'art. 117 Cost, e, più in particolare, se sia fondata la tesi
difensiva dell'avvocatura dello Stato secondo la quale la norma
impugnata attiene alla disciplina della tutela dei beni culturali
(art. 117, 2° comma, lett. s, Cost.). Non sarebbe invece esausti
va la conclusione che il regolamento impugnato non rientra
nelle materie indicate dalla regione ricorrente.
4. - Si deve rilevare, ancora in via preliminare, che non può essere accolta la tesi dell'avvocatura dello Stato secondo la
quale, poiché la norma regolamentare in esame è stata deliberata
prima dell'entrata in vigore della 1. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, di
modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione, è al
testo originario di questo che dovrebbe farsi riferimento. Ciò
che assume rilievo, infatti, è la data di pubblicazione nella Gaz
zetta ufficiale, nel caso in esame successiva a quella di entrata
in vigore della citata legge costituzionale.
5. - Il regolamento in esame radica la sua legittimazione nella
1. 11 febbraio 1994 n. 109 (legge quadro in materia di lavori
pubblici), il cui art. 8 — mentre al 2° comma prevede che, con
regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, 2° comma, 1. 23
agosto 1988 n. 400, sia istituito un sistema di qualificazione, unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di
cui all'art. 2, 1° comma, d'importo superiore ai centocinquan tamila euro — al comma 11 sexies stabilisce che «per le attività
di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici de
corate di beni architettonici, il ministro per i beni culturali e
ambientali, sentito il ministro dei lavori pubblici, provvede a
stabilire i requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei
lavori».
Poiché, come questa corte ha già rilevato (v. sentenza n. 303
del 2003, id., 2004, I, 1004), i lavori pubblici non costituiscono una materia, la derivazione del decreto dalla suindicata legge non fornisce alcun elemento utile al fine di individuare la collo
cazione della norma impugnata nel sistema di riparto delle com
petenze legislative; la specialità del regolamento, sotto diversi
profili, rispetto alle altre potestà regolamentari previste dalla
stessa legge ed esercitate con il d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554
(regolamento di attuazione della 1. 11 febbraio 1994 n. 109), e
con il d.p.r. 25 gennaio 2000 n. 34 (regolamento recante istitu
zione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori
pubblici), induce, quindi, a ricercare in altre fonti normative i
criteri per la decisione del conflitto. La provenienza della dispo sizione regolamentare impugnata dalla 1. n. 109 del 1994, in
tanto, consente di affermare che l'ambito della sua applicazione è circoscritto ai lavori eseguiti per conto di amministrazioni
statali e di enti pubblici nazionali (v. sentenze n. 302 del 2003,
id., Rep. 2003, voce Opere pubbliche, n. 151; n. 61 del 1997,
id., 1997, I, 1685; n. 250 del 1996, id., 1996, I, 3575, e n. 482 del 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 121).
6. - Il quadro complessivo della disciplina dei beni culturali
va ricostruito sulla base di molteplici dati normativi, eterogenei
per il loro contesto specifico e per il rango della fonte.
Il Foro Italiano — 2005.
In particolare, benché il d.leg. 31 marzo 1998 n. 112, sia stato
emanato in un momento antecedente la riforma di cui alla 1.
cost. n. 3 del 2001, questa corte ha già riconosciuto (v. sentenza
n. 94 del 2003, id., 2003, I, 1308) che utili elementi per la di stinzione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali possono essere desunti dagli art. 148, 149, 150 e 152 di tale decreto.
L'art. 148 stabilisce che ai fini del decreto stesso s'intende
per tutela «ogni attività diretta a riconoscere, conservare e pro
teggere i beni culturali e ambientali»; per gestione «ogni attività
diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concor
rendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione»;
per valorizzazione «ogni attività diretta a migliorare le condi
zioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e am
bientali e ad incrementarne la fruizione».
L'art. 149, 1° comma, prescrive che «ai sensi dell'art. 1, 3°
comma, lett. d), 1. 15 marzo 1997 n. 59, sono riservate allo Stato
le funzioni e i compiti di tutela dei beni culturali la cui discipli na generale è contenuta nella 1. 1° giugno 1939 n. 1089, e nel
d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, e loro successive modifiche e
integrazioni». L'art. 150 disciplina il trasferimento della gestione di alcuni
beni, secondo il principio di sussidiarietà, alle regioni, alle pro vince o ai comuni.
L'art. 152 prevede al 1° comma che lo Stato, le regioni e gli enti locali curino, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione
dei beni culturali e che, ai sensi dell'art. 3, 1° comma, lett. c), 1.
n. 59 del 1997, la valorizzazione venga di norma attuata me
diante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato,
regioni ed enti locali, secondo quanto previsto dagli art. 154 e
155 stesso decreto legislativo. Il 3° comma dell'art. 152 stabilisce che le funzioni e i compiti
di valorizzazione comprendono, in particolare, le attività con
cernenti: «a) il miglioramento della conservazione fisica dei be
ni e della loro sicurezza, integrità e valore; b) il miglioramento dell'accesso ai beni e la diffusione della loro conoscenza anche
mediante riproduzioni, pubblicazioni ed ogni altro mezzo di
comunicazione; c) la fruizione agevolata dei beni da parte delle
categorie meno favorite; d) l'organizzazione di studi, ricerche
ed iniziative scientifiche anche in collaborazione con università
ed istituzioni culturali e di ricerca; e) l'organizzazione di attività
didattiche e divulgative anche in collaborazione con istituti di
istruzione;/) l'organizzazione di mostre anche in collaborazione
con altri soggetti pubblici e privati; g) l'organizzazione di
eventi culturali connessi a particolari aspetti dei beni o ad ope razioni di recupero, restauro o ad acquisizione; h) l'organizza zione di itinerari culturali, individuati mediante la connessione
fra beni culturali e ambientali diversi, anche in collaborazione
con gli enti e organi competenti per il turismo».
A sua volta il d.leg. 20 ottobre 1998 n. 368 (istituzione del
ministero per i beni e le attività culturali), all'art. 10, 1° comma, lett. b bis) —
disposizione aggiunta con l'art. 33 1. 28 dicembre
2001 n. 448, successivamente quindi all'entrata in vigore della
1. cost. n. 3 del 2001, e poi modificata dal comma 52 dell'art. 80
1. 27 dicembre 2002 n. 289 e dall'art. 6 1. 16 gennaio 2003 n. 3 — nel prevedere la possibilità di dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi relativi ai beni
culturali di interesse nazionale, tramite l'emanazione di un re
golamento che disciplini tali concessioni, indica tra i criteri e le
garanzie cui il regolamento dovrà uniformarsi la salvezza della
riserva statale sulla tutela dei beni.
7. - I dati normativi riferiti permettono di affermare quanto
segue. La tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normati
ve anteriori all'entrata in vigore della 1. cost. n. 3 del 2001, sono
state considerate attività strettamente connesse ed a volte, ad
una lettura non approfondita, sovrapponibili. Così l'art. 148
d.leg. n. 112 del 1998 annovera, come s'è visto, tra le attività
costituenti tutela quella diretta «a conservare i beni culturali e
ambientali», mentre include tra quelle in cui si sostanzia la valo
rizzazione quella diretta a «migliorare le condizioni di conser
vazione dei beni culturali e ambientali».
La gestione, poi, nella definizione che ne dà il medesimo arti
colo, è funzionale sia alla tutela sia alla valorizzazione.
Il menzionato art. 152 stesso decreto legislativo considera la
valorizzazione come compito che Stato, regioni ed enti locali
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
avrebbero dovuto curare ciascuno nel proprio ambito. Tuttavia
le espressioni che, isolatamente considerate, non denotano nette
differenze tra tutela e valorizzazione, riportate nei loro contesti
normativi dimostrano che la prima è diretta principalmente ad
impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e
quindi nel suo contenuto culturale; ed è significativo che la pri ma attività in cui si sostanzia la tutela è quella del riconoscere il
bene culturale come tale.
La valorizzazione è diretta soprattutto alla fruizione del bene
culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conserva
zione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui avviene la fruizio
ne ed ai modi di questa. Occorre infine rilevare che in nessun atto normativo prece
dente la modifica del titolo V della parte seconda della Costitu
zione la tutela dei beni culturali viene attribuita a soggetti diver
si dallo Stato; successivamente a questa, anzi, il citato 1° com
ma, lett. b bis), dell'art. 10 d.leg. n. 368 del 1998, nel prevedere le concessioni per la gestione dei servizi relativi ai beni culturali
di interesse nazionale, stabilisce, come s'è detto, che deve resta
re ferma la riserva statale sulla tutela dei beni. Alla luce delle
suesposte considerazioni la riserva di competenza statale sulla
tutela dei beni culturali è legata anche alla peculiarità del patri monio storico-artistico italiano, formato in grandissima parte da
opere nate nel corso di oltre venticinque secoli nel territorio ita
liano e che delle vicende storiche del nostro paese sono espres sione e testimonianza. Essi vanno considerati nel loro comples so come un tutt'uno, anche a prescindere dal valore del singolo bene isolatamente considerato.
Nel modificare il quadro costituzionale delle competenze di
Stato e regioni per la parte che qui interessa, il legislatore co
stituente ha tenuto conto sia delle caratteristiche del patrimonio storico-artistico italiano, sia della normativa esistente, attri
buendo allo Stato la potestà legislativa esclusiva e la conse
guente potestà regolamentare in materia di tutela dei beni cultu
rali e ambientali (art. 117, 2° comma, lett. 5, Cost.) ed alla legis lazione concorrente di Stato e regioni la valorizzazione dei beni
culturali e ambientali (art. 117, 3° comma, Cost.). Inoltre, al 3°
comma dell'art. 118 ha prescritto che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento tra Stato e regioni nella materia
della tutela dei beni culturali. Norma quest'ultima di cui può
auspicarsi un'applicazione che, attribuendo allo Stato la salva
guardia delle esigenze primarie della tutela che costituisce il
fondamento di tutta la normativa sui beni culturali, non trascuri
le peculiarità locali delle regioni. 8. - Una volta chiarito il quadro costituzionale per la parte che
può riguardare la controversia in esame, occorre porre attenzio
ne al contenuto specifico della norma regolamentare impugnata. Essa concerne l'attribuzione della qualifica di restauratore di
beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici
ai fini della qualificazione occorrente per poter eseguire i lavori
di manutenzione e restauro e, inserita nel regolamento emanato
in esecuzione dell'art. 8, comma 11 sexies, 1. n. 109 del 1994, è
soggetta ai limiti di applicabilità propri dei regolamenti esecuti
vi di tale legge (v. anche la citata sentenza n. 482 del 1995).
L'impugnato art. 3, non riguardando la qualifica generale di
«restauratore» e non disciplinando corsi di istruzione, requisiti di ammissione, reclutamento e status dei docenti, non può rien
trare nella materia della formazione professionale. Ciò a pre scindere da ogni valutazione sulla correttezza della tesi, soste
nuta dalla regione Toscana, secondo cui la formazione profes sionale comprende anche quella dei restauratori.
Quanto alla pretesa violazione del riparto di competenze nella
materia delle professioni va rilevato che la relativa censura, es
sendo priva di adeguata specifica motivazione, è da ritenere
inammissibile. 9. - La corte ritiene pertanto, alla luce delle considerazioni
esposte, che la norma in questione rientri nella materia della tu
tela dei beni culturali, perché essa concerne il restauro dei me
desimi, ossia una delle attività fondamentali in cui la tutela si
esplica. Infatti, l'art. 34 d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490 (t.u. delle dispo
sizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'art. 1 1. 8 ottobre 1997 n. 352), definisce il restauro
come «intervento diretto sulla cosa volto a mantenere l'integrità materiale e ad assicurare la conservazione e protezione dei suoi
Il Foro Italiano — 2005.
valori culturali»; l'art. 212 d.p.r. n. 554 del 1999 descrive il re
stauro come «una serie organica di operazioni tecniche specifi che indirizzate alla tutela e valorizzazione dei caratteri storico
artistici dei beni culturali ed alla conservazione della loro consi
stenza materiale».
A sua volta questa corte, con la sentenza n. 277 del 1993 (id.,
1993, I, 2397), ha affermato che il restauro «implica sempre un
intervento diretto sulla cosa, volto (nel rispetto dell'identità
culturale della stessa) a mantenerla o modificarla, per assicurare
o recuperare il valore ideale che essa esprime, preservandolo e
garantendone la trasmissione nel tempo». Tutte queste definizioni non si connotano per la descrizione e
tanto meno per la prescrizione delle operazioni in cui si sostan
zia il restauro dei beni culturali, limitandosi ad indicarne le fi
nalità; e, d'altra parte, non potrebbe essere diversamente, dal
momento che le modalità di restauro sono oggetto di continua
evoluzione in conseguenza del progredire dello stato delle cono
scenze tecniche e storico-artistiche sull'argomento. Per quanto concerne le finalità, tuttavia, le definizioni nella loro sostanza
coincidono e pongono l'accento non solo sulla inscindibilità tra
la struttura materiale ed il valore ideale che essa esprime, bensì
anche sulla necessità di incidere sulla stessa struttura materiale
del bene, allo scopo di conservarlo o di recuperarlo (si pensi al
distacco di affreschi o alla reintelaiatura di dipinti). Attraverso le operazioni di restauro può giungersi anche alla
valorizzazione dei caratteri storico-artistici del bene, che è cosa
diversa, però, dalla valorizzazione del bene al fine della fruizio
ne; quest'ultima, infatti, non incidendo sul bene nella sua strut
tura, può concernere la diffusione della conoscenza dell'opera e
il miglioramento delle condizioni di conservazione negli spazi
espositivi. Poiché la norma impugnata concerne l'acquisizione della
qualifica di restauratore ai fini dell'esecuzione dei lavori di ma
nutenzione e restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici ricadenti nella disciplina della 1.
n. 109 del 1994 e perciò — rientrando nella normativa relativa
al restauro di tali beni — fa parte di un ambito riservato alla le
gislazione esclusiva dello Stato, appare evidente che non sussi
ste alcuna violazione delle competenze costituzionalmente ga rantite alle regioni; e da ciò consegue l'infondatezza del pre sente conflitto di attribuzione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta allo Stato, e per esso al ministro per i beni e le attività culturali,
emanare l'art. 3 d.m. 24 ottobre 2001 n. 420 (regolamento re
cante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000 n. 294
del ministro per i beni e le attività culturali concernente l'indi
viduazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori
dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle su
perfici decorate di beni architettonici).
This content downloaded from 195.78.108.107 on Wed, 25 Jun 2014 10:55:40 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions