sentenza 20 giugno 1995, n. 269 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 giugno 1995, n. 27);Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Verusio (Avv. Guarino), Pierangeli (Avv. Clarizia) e Beyeler (Avv.P. Guerra, Caravita di Toritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri). Ord. Cass., sez.un., 11 novembre 1993 (G.U., 1 a s.s., n. 28 del 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 807/808-811/812Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190835 .
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PARTE PRIMA
siasi titolo dallo Stato alla regione confluiscono nel bilancio,
salvo talune eccezioni, senza vincolo a specifiche destinazioni.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale della legge della re
gione Campania, riapprovata il 2 dicembre 1994 (definizione
dei rapporti con la società Italsiel per la lettura automatica delle
prescrizioni farmaceutiche a tutto il 31 ottobre 1994), sollevata,
in riferimento agli art. 81 e 97 Cost., dal presidente del consi
glio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 giugno 1995, n. 269
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 giugno 1995, n. 27);
Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Verusio (Aw. Guarino), Pie
rangeli (Avv. Clarizla) e Beyeler (Avv. P. Guerra, Caravi
ta di Toritto) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fer
ri). Ord. Cass., sez. un., 11 novembre 1993 (G.U., la s.s., n. 28 del 1994).
Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denunzia irregolare — Prelazione — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; 1. 1° giugno 1939
n. 1089, tutela delle cose di interesse artistico o storico, art.
31, 32, 61).
È infondata la questione di legittimità costituzionale del dispo sto coordinato dagli art. 61, 31, 32 l. 1° giugno 1939 n. 1089,
nella parte in cui, in mancanza di regolare denuncia dell'alie
nazione di bene vincolato, consente in ogni tempo l'esercizio
della prelazione statale su cose di interesse storico-artistico
al prezzo dichiarato nell'atto di alienazione, in riferimento
agli art. 3 e 42 Cost. (1)
(1) La sentenza prende posizione in ordine al consolidato orienta
mento giurisprudenziale, dal quale muove la stessa ordinanza di rimes sione (Cass., sez. un., 19 marzo 1994, n. 228, Foro it., Rep. 1994, voce Antichità, n. 57, e Nuova giur. civ., 1994, I, 739, con nota di
Cozzuto Quadri, Principi costituzionali e prelazione artistica), che co
stituisce la prelazione artistica come negozio di diritto pubblico, inqua drandolo nella categoria degli atti espropriativi in senso lato (Cass. 26
giugno 1956, n. 2291, Foro it., 1957, 1, 1244; 21 agosto 1962, n. 2613,
id., 1963, I, 303; 17 gennaio 1985, n. 117, id., 1985, I, 1070; sez. un. 1° luglio 1992, n. 8079, id., Rep. 1992, voce cit., n. 73; Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 1987, n. 400, id., Rep. 1987, voce cit., n. 51; 30
gennaio 1991, n. 58, id., 1991, III, 345. Valorizzando il collegamento dell'istituto ad un atto di iniziativa privata (il trasferimento del bene a titolo oneroso), ne esclude qualsiasi assimilazione agli ordinari prov vedimenti espropriativi, pur tuttavia ribadendone la sostanza ablatoria e la prevalenza, nella peculiare fattispecie di cui all'art. 61, del profilo autoritativo su quello negoziale.
La netta differenziazione della prelazione dai provvedimenti espro priativi si riverbera sulla disciplina del prezzo che lo Stato deve erogare, non equiparabile, secondo l'indirizzo della corte, ad un indennizzo espro priativo ed individuato in quello negozialmente dichiarato. Sul princi pio della corrispondenza del prezzo della prelazione a quello indicato nell'atto di trasferimento anche nell'ipotesi regolata dall'art. 61, v. Tar Toscana 14 febbraio 1984, n. 84, id., 1984, III, 448 (che in un caso
di più vendite non denunziate ha affermato la legittimità dell'acquisto al prezzo, più vantaggioso, pattuito nella prima alienazione); Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 1987, n. 802, id., Rep. 1988, voce cit., n. 40, che
esclude una possibilità di adeguamento del prezzo dichiarato a quello venale, anche ad iniziativa della stessa amministrazione; Tar Lazio, sez.
II, 26 gennaio 1990, n. 224, id., 1991, III, 37, e Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1991, n. 58, cit., entrambe relative alla vicenda traslativa
che ha occasionato l'esame della questione di legittimità sottoposta alla corte. Viceversa, Tar Lazio, sez. II, 17 ottobre 1983, n. 900, id., Rep. 1984, voce cit., n. 44, riconosce all'amministrazione la facoltà di disco starsi dal prezzo contrattuale, quando sia manifestamente illogico per eccesso, oppure simulato, sempre per eccesso, e di determinarlo auto nomamente con l'ausilio dei propri organi consultivi.
Sul carattere sanzionatorio della prelazione ex art. 61 non constano
precedenti in termini, essendosi l'attenzione della giurisprudenza foca lizzata sulla prestazione pecuniaria prevista dall'art. 64 1. n. 1089 per l'ipotesi, ivi prevista, che dalla violazione dell'obbligo di denunzia del trasferimento della cosa d'arte derivi la perdita di questa (la natura
Il Foro Italiano — 1996.
Diritto. — 1. - Con l'ordinanza in esame le sezioni unite civili
della Corte di cassazione sollevano questione di legittimità co
stituzionale, per violazione degli art. 3 e 42 Cost., nei confronti
del disposto coordinato degli art. 61, 31 e 32 1. 1° giugno 1939
n. 1089 (tutela delle cose di interesse artistico e storico).
L'art. 61 della legge in questione dispone, al 1° comma, che
«le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, com
piuti contro i divieti stabiliti dalla presente legge e senza l'osser
vanza delle condizioni e modalità da essa prescritte sono nulli
di pieno diritto» e, al 2° comma, che «resta sempre salva la
facoltà del ministro (per i beni culturali e ambientali) di eserci
tare il diritto di prelazione a norma degli art. 31 e 32». A loro
volta, gli art. 31 e 32 regolano le condizioni e le modalità per
l'esercizio del diritto di prelazione, che, nell'ipotesi ordinaria — collegata all'avvenuta denuncia al ministro dell'alienazione
del bene da parte del proprietario — deve essere esercitata nel
termine di due mesi dalla data della stessa denuncia (v. art.
32, 1° comma, in relazione all'art. 30). Ad avviso della Cassazione le norme impugnate risulterebbe
ro lesive degli art. 3 e 42 Cost, sotto due profili e cioè: a) per
l'«illimitata compressione del diritto reale dell'alienante, ingiu
stificatamente sottoposto ad un trattamento diverso da quello
riservato ad ogni altro espropriato, essendo data facoltà all'am
ministrazione di porre in essere l'atto ablativo in ogni momen
to, con correlativa incertezza, del pari illimitata nel tempo, cir
ca l'effettivo assetto dei rapporti giuridici concernenti il bene»;
b) per la «mancata garanzia per l'espropriato di un adeguato
indennizzo, in quanto la corresponsione di somme pari al prez
zo contrattuale ben si attaglia alla sola ipotesi di prelazione eser
citata nel breve lasso di due mesi, ma non anche a quella eserci
tabile in ogni tempo». Nel prospettare la questione, l'ordinanza muove da alcuni pre
supposti interpretativi, condivisi negli orientamenti prevalenti
della giurisprudenza ordinaria ed amministrativa: in particola
di sanzione amministrativa è ritenuta da Cass. 3 maggio 1974, n. 1235,
id., 1974, I, 2334, laddove la funzione risarcitoria, già adombrata da Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1965, n. 128, id., 1965, III, 463, in rela
zione all'analoga misura contemplata dall'art. 59 1. n. 1089, è netta
mente affermata da Cass. 26 gennaio 1994, n. 728, id., 1994, I, 1053, e Nuova giur. civ., 1994, I, 447, con nota di Cozzuto Quadri, In
tema di sanzioni per l'omessa denunzia di vendita di cosa d'arte). In relazione, poi, agli altri temi accennati nel corso della motivazione
della sentenza e, partendo dalla denunzia prevista dall'art. 30, che deve avere i requisiti stabiliti dall'art. 57 r.d. 30 gennaio 1913 n. 363 (Cons.
Stato, sez. VI, 7 ottobre 1987, n. 802, Foro it.. Rep. 1988, voce cit., n. 38; e, quindi, nell'ipotesi di alienazione a mandatario senza rappre sentanza, anche gli estremi del contratto di mandato: Tar Lazio, sez.
II, 26 gennaio 1990, n. 224, cit.; Cass. 26 gennaio 1994, n. 728, cit.), la cui perdurante vigenza si fonda sul richiamo dell'art. 73 1. n. 1089
(Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 26, id., Rep. 1984, voce cit., n. 6, e 30 gennaio 1991, n. 58, cit.), la giurisprudenza concorda
nel ritenere che, ove le parti non adempiano al relativo obbligo, la fa
coltà dello Stato di esercitare la prelazione è svincolata dal rispetto del
termine bimestrale fissato dall'art. 32 (sulla scadenza del quale, v. Cass. 6 maggio 1994, n. 4386, id., 1995, I, 895, con nota di richiami) in
relazione ad atto ritualmente denunziato (Cons. Stato, sez. VI, 23 mar zo 1982, n. 129, id., 1982, III, 285; 31 gennaio 1984, n. 26, cit.; 30
gennaio 1991, n. 58, cit.; 3 aprile 1992, n. 226, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 71). Isolata è invece rimasta la posizione di Tar Lazio, sez.
II, 28 ottobre 1981, n. 1021, id., Rep. 1982, voce cit., n. 36, secondo
cui anche nell'ipotesi di prelazione esercitata ai fini dell'art. 61 debba
essere rispettato il termine perentorio di due mesi, che va computato dalla data della piena conoscenza del contratto di alienazione acquisita dall'amministrazione.
Per quanto riguarda, poi, la nullità sancita dall'art. 61 per gli atti
di alienazione non denunziati, la giurisprudenza, fin dalla più risalente, la configura come ipotesi di nullità relativa, che soltanto lo Stato, e non anche i privati contraenti, sarebbe facultato a far valere (Cass. 14 aprile 1947, n. 554, id., 1948, I, 32; 17 giugno 1967, n. 1429, id., 1967, I, 2381; 15 maggio 1971, n. 1440, id., 1971, I, 2829; 24 novembre
1989, n. 5070, id., Rep. 1989, voce cit., n. 50; 12 giugno 1990, n. 5688, id., Rep. 1990, voce cit., n. 22). È da segnalare, tuttavia, il recente
revirement della Cassazione, la quale, nella sentenza 7 aprile 1992, n.
4260, id., 1992, I, 2402, ha per la prima volta affermato che la nullità
ex art. 61 è da ritenere assoluta perché in contrasto con norme impera tive dirette ad impedire il depauperamento del patrimonio artistico na zionale ed è, pertanto, opponibile al terzo acquirente, anche se di buo na fede, il quale, ove trattasi di beni mobili, non può avvalersi del
principio di cui all'art. 1153 c.c.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
re, dalla considerazione che l'art. 61, 2° comma, consente, nei
casi di omessa o irregolare denuncia, l'esercizio della prelazione senza limiti temporali e che la stessa prelazione storico-artistica,
per i suoi caratteri differenziati dalla prelazione di diritto co
mune, va ricondotta nella categoria generale degli atti espro
priativi (e questo tanto più quando la prelazione venga esercita
ta, come nel caso del 2° comma dell'art. 61, in relazione a ne
gozi riconosciuti nulli). 2. - Vanno in primo luogo esaminate le eccezioni di inammis
sibilità prospettate dalla difesa statale.
Ad avviso dell'avvocatura dello Stato, la questione sarebbe
inammissibile per non avere esattamente individuato l'oggetto del giudizio (cioè la norma impugnata), nonché per il fatto di
aver enunciato due diverse soluzioni di accoglimento indicate
in via alternativa.
Né l'una né l'altra di tali eccezioni possono essere accolte.
In primo luogo va rilevato che dal contenuto dell'ordinanza — e, in particolare, dalla connessione tra il dispositivo e la mo
tivazione della stessa — l'individuazione dell'oggetto del giudi
zio emerge chiara senza dar luogo a dubbi.
Tale oggetto investe, nel suo nucleo centrale, la previsione
dell'esercizio del diritto di prelazione senza limiti temporali di
sciplinata nel 2° comma dell'art. 61, norma il cui contenuto
risulta specificato e integrato — oltre che attraverso la connes
sione con il 10 comma dello stesso articolo — dal richiamo espres
so agli art. 31 e 32.
Il riferimento al «disposto coordinato» degli art. 61 e 32,
espresso nel dispositivo dell'ordinanza, anziché rendere incerti,
serve, pertanto, a completare e meglio definire i termini della
questione. Né assume maggiore valore l'eccezione relativa al presunto
carattere alternativo della questione proposta.
Tale carattere viene riferito al fatto che nell'ordinanza risulta
prospettata la possibilità di un duplice esito del giudizio e cioè
sia la caducazione totale del 2° comma dell'art. 61 sia la dichia
razione d'illegittimità delle norme denunciate nella parte in cui
non prevedono che il termine stabilito dall'art. 32, 1° comma,
debba decorrere, nel caso di prelazione esercitata ai sensi del
l'art. 61, dalla data in cui l'amministrazione abbia acquisito
la piena conoscenza dei dati dei quali è obbligatoria la denun
cia. Tale prospettazione viene, peraltro, enunciata soltanto nel
la motivazione relativa alla rilevanza della questione, al fine
di argomentare che la rilevanza stessa — collegata ad un giudi
zio sulla giurisdizione — sarebbe destinata a permanere anche
nell'ipotesi di un accoglimento parziale della questione quale
quella sopra richiamata. Si tratta, quindi, di una formulazione
limitata ad un passaggio della motivazione, che non viene mini
mamente a incidere sul carattere unitario della questione propo
sta, quale si desume dal dispositivo dell'ordinanza il cui peti
tum risulta incentrato sulla dichiarazione d'illegittimità del «di
sposto coordinato» degli art. 61, 31 e 32 1. n. 1089 del 1939.
3. - Nel merito, la questione non è fondata.
Per quanto concerne l'asserita lesione dell'art. 3 Cost., l'or
dinanza, muovendo dal riconoscimento del carattere di «prov vedimento espropriativo» della prelazione storico-artistica — tan
to più se esercitata, ai sensi dell'art. 61, 2° comma, 1. n. 1089,
nel caso di nullità del negozio di trasferimento del bene —,
contesta la disparità di trattamento che il soggetto colpito da
tale misura viene a subire rispetto a tutti gli altri soggetti sotto
posti a procedimenti espropriativi. Ad avviso del giudice a quo, chi subisce la prelazione in que
stione, oltre a percepire un «indennizzo calcolato in modo del
tutto diverso da quanto previsto in materia di espropriazione
e senza possibilità di revisione in sede amministrativa o giudi
ziaria», è sottoposto, in relazione ai limiti temporali, ad «un
trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a colui che sia
assoggettabile all'ordinario procedimento espropriativo»: e que
sto in relazione al fatto che «mentre tutte le leggi in tema di
espropriazione per pubblica utilità assegnano all'espropriarne ri
gorosi termini decadenziali, la prelazione ex art. 61 non solo
non è sottoposta a decadenza, ma non soggiace nemmeno al
limite della prescrizione» (che potrebbe decorrere soltanto a se
guito di regolare denuncia).
Un ulteriore profilo di disparità viene, poi, denunciato po nendo a confronto la situazione di chi abbia effettuato una de
nuncia irregolare, tenuto a percepire il prezzo denunciato —
che, per il tempo decorso al momento della prelazione, potreb
II Foro Italiano — 1996.
be risultare del tutto inadeguato — con quella di chi, invece,
abbia omesso di fare la denuncia, che, in assenza di un prezzo
denunciato, potrebbe — ad avviso del giudice a quo — percepi
re un indennizzo calcolato ai sensi dell'art. 31, 3° comma, 1.
n. 1089 (in base cioè al valore attuale del mercato): con un
conseguente, ingiustificato trattamento più favorevole concesso
al soggetto responsabile dell'inadempienza più grave.
Tali argomentazioni non possono essere condivise, perché tra
scurano di considerare il carattere del tutto peculiare del regime
giuridico fissato per le cose di interesse storico e artistico dalla
1. n. 1089 del 1939 e, nell'ambito di tale regime, dell'istituto
della prelazione storico-artistica: un regime che trova nell'art.
9 Cost, il suo fondamento e che si giustifica nella sua specificità
in relazione al fine di salvaguardare beni cui sono connessi inte
ressi primari per la vita culturale del bene.
L'esigenza di conservare e di garantire la fruizione da parte
della collettività delle cose di interesse storico e artistico — che
siano state sottoposte a notifica ai sensi dell'art. 3 1. n. 1089 — giustifica, di conseguenza, per tali beni l'adozione di parti
colari misure di tutela che si realizzano attraverso poteri della
pubblica amministrazione e vincoli per i privati differenziati dai
poteri e dai vincoli operanti per altre categorie di beni, sia pure
gravati da limiti connessi al perseguimento di interessi pubblici.
Questo porta ad escludere la comparabilità delle procedure abla
tive connesse al settore della tutela artistica e storica con le or
dinarie procedure espropriati ve previste per beni di diversa natura.
Ciò vale, in particolare, per la prelazione storico-artistica, che,
pur manifestando — quanto meno nel caso contemplato dal
2° comma dell'art. 61 — una sostanza ablativa, è istituto ben
distinto dagli ordinari provvedimenti di natura espropriativa. Basti solo considerare che, a differenza di quanto accade nelle
ordinarie procedure espropriative, la prelazione viene a colle
garsi ad una iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) che non
è attivata dalla parte pubblica, bensì dalla parte privata, titola
re del bene: e questo nonostante che la stessa prelazione, ove
sia esercitata in conseguenza della violazione di un preciso ob
bligo imposto al privato (denuncia del trasferimento), venga chia
ramente a configurarsi come istituto in cui prevale, sul profilo
negoziale, il profilo autoritativo.
Non sussiste, dunque, alcun elemento che consenta di compa
rare, sotto il profilo della violazione del principio di eguaglian
za, le modalità della prelazione storico-artistica — e, in partico
lare, le modalità temporali del suo esercizio — con quelle pro
prie degli ordinari istituti espropriativi. Né può valere il richiamo, operato nella ordinanza sempre
sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., alla disparità
di trattamento tra i soggetti che hanno effettuato una denuncia
irregolare e quelli che non hanno fatto alcuna denuncia. Tale
disparità non sussiste, perché la corretta lettura della disciplina
posta in tema di prelazione (e, in particolare, nell'art. 31, 1°
comma) induce a ritenere che anche per questa seconda catego
ria di soggetti il prezzo da erogare non possa essere altro che
quello pattuito all'atto del trasferimento e non quello corrispon
dente al valore venale del bene all'atto della prelazione. Il prez
zo in questione, ove non conosciuto, andrà, pertanto, indivi
duato attraverso l'adozione di idonei mezzi di prova, riferiti
al valore del bene in relazione alle condizioni esistenti nel mer
cato all'atto del trasferimento.
4. - Infondata si presenta anche la censura formulata con
riferimento all'art. 42 Cost. Tale censura, nell'ordinanza di ri
messione, viene prospettata in relazione all'assenza di un «ade
guato indennizzo per l'espopriato», dal momento che l'esercizio
della prelazione senza limiti temporali non potrebbe non con
durre alla conseguenza di alterare il rapporto tra prezzo erogato
(riferito alla data dell'alienazione non denunciata o irregolar
mente denunciata) e valore di mercato del bene (riferito alla
data dell'esercizio della prelazione).
Ora, non si può certo dubitare del fatto che l'esercizio della
prelazione a distanza di molto tempo dalla alienazione possa
determinare — in conseguenza sia della svalutazione monetaria
che della rivalutazione del bene sul mercato — uno scarto an
che elevato tra prezzo corrisposto e valore reale del bene «espro
priato» con conseguente danno economico per il venditore sot
toposto a prelazione tardiva (e questa è, del resto, l'ipotesi che,
in concreto, ricorre nella fattispecie che ha dato luogo al giudi
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PARTE PRIMA
zio a quo): ma da tale premessa non si può anche trarre la
conseguenza che l'ordinanza di rimessione intende affermare in
ordine alla illegittimità costituzionale della prelazione storico
artistica di cui al 2° comma dell'art. 61 1. n. 1089 del 1939
per inadeguatezza dell'indennizzo.
In proposito due sono i profili che vanno rilevati.
Il primo attiene, ancora una volta, alla peculiarità dell'istitu
to della prelazione storico-artistica che — pur manifestando,
nell'ipotesi di cui al 2° comma dell'art. 61, una sostanza ablati
va — viene, come sopra si accennava, a differenziarsi sensibil
mente dagli istituti connessi agli ordinari procedimenti espro
priativi. Questo punto induce, in primo luogo, a sottolineare
la difficoltà di operare una piena assimilazione — quale quella
operata nell'ordinanza di rinvio — tra prezzo della prelazione e indennità di esproprio. Si aggiunga che il prezzo della prela zione — quand'anche potesse ritenersi assimilabile alla indenni
tà di esproprio, in quanto riferito ad un atto dichiarato «nullo
di pieno diritto» — risulta pur sempre collegato ad un elemento
negoziale rimesso alla libera contrattazione delle parti, elemen
to che, almeno nella normalità dei casi (riferibili all'esercizio
della prelazione entro un arco temporale contenuto), non può assumere le connotazioni di un compenso, oltre che ridotto ri
spetto al valore reale del bene, del tutto irrisorio e simbolico
e, pertanto, lesivo dei criteri desumibili in tema di indennizzo
dall'art. 42 Cost.
II secondo profilo attiene alla stessa natura della prelazione storico-artistica prevista dal 2° comma dell'art. 61, che la 1.
n. 1089 del 1939 viene a inquadrare nel capo III, dedicato alle
sanzioni. In proposito, il punto decisivo che va rilevato è che
il danno economico che i contraenti vengono a subire in conse
guenza dell'esercizio ritardato della prelazione da parte dell'am
ministrazione non è altro che la conseguenza diretta dell'ina
dempimento realizzato dagli stessi contraenti a seguito della man
cata presentazione di una denuncia regolare: inadempimento suscettibile di dar luogo ad una situazione di illiceità, che può
essere, peraltro, rimossa in ogni momento da parte del privato mediante la presentazione tardiva della stessa denuncia.
I rischi che in conseguenza dell'omessa o dell'irregolare de
nuncia (equiparate negli effetti ai sensi dell'art. 57 r.d. 30 gen naio 1913 n. 363, richiamato dall'art. 73 1. n. 1089) possono determinarsi ai fini della conservazione del bene al patrimonio culturale nazionale vengono, d'altra parte, a giustificare il par ticolare rigore della disciplina in esame: rigore che conduce a
sanzionare l'inadempienza del privato non solo sul piano delle
norme penali (art. 63), ma anche su quello delle norme di natu
ra civilistica, attraverso la previsione della nullità (necessaria) dell'atto di alienazione compiuto in violazione delle prescrizioni in tema di denunzia (art. 61, 1° comma) e della prelazione (even tuale) del bene pur in presenza di un negozio nullo. Né — a
differenza di quanto si afferma nell'ordinanza di rimessione —
il carattere sanzionatorio di quest'ultima misura può ritenersi
in contrasto con il suo esercizio discrezionale, dal momento che
la misura stessa viene a operare su di un piano che non può essere equiparato a quello proprio delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale del disposto coordi
nato degli art. 61, 31 e 32 1. 1° giugno 1939 n. 1089 (tutela delle cose di interesse artistico e storico), sollevata, in relazione
agli art. 3 e 42 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 giugno 1995, n. 245
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 giugno 1995, n. 26); Pres. Baldassarre, Est. Guizzi; Palillo; interv. Pres. giunta
reg. Sicilia. Ord. Corte conti, sez■ giur. reg. sic., 4 ottobre
1994 (G.U., la s.s., n. 3 del 1995).
Sicilia — Deputati dell'assemblea regionale — Indennità mensi
le e diaria — Sequestro e pignoramento — Esclusione totale — Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod. proc. civ., art. 545; statuto della regione siciliana, art. 14, 17; 1. 31 ottobre 1965
n. 1261, determinazione della indennità spettante ai membri
del parlamento, art. 5, 6; 1. reg. sic. 30 dicembre 1965 n.
44, provvedimenti relativi all'assemblea regionale siciliana, art.
1).
È incostituzionale l'art. 1, 2° comma, l. reg. sic. 30 dicembre
1965 n. 44, nella parte in cui fa assoluto divieto di sequestro e di pignoramento dell'indennità mensile e della diaria corri
sposte ai deputati dell'assemblea regionale siciliana, anziché
prevedere il sequestro ed il pignoramento delle stesse nella
misura di un quinto. (1)
Diritto. — 1. - La Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la regione siciliana, solleva questione di legittimità costitu zionale della 1. reg. sic. 30 dicembre 1965 n. 44, nella parte in cui — richiamando l'art. 5 1. statale 31 ottobre 1965 n. 1261 — esclude il sequestro dell'indennità e della diaria corrisposte ai deputati dell'assemblea regionale siciliana, ritenendo che vi
sia lesione dell'art. 3 Cost, (per la diversa posizione dell'assem
blea regionale siciliana rispetto a quella delle camere) e degli art. 14 e 17 dello statuto speciale della regione, giacché la legge
regionale inciderebbe sulla tutela di diritti patrimoniali e, quin
di, su materia che rientra nei rapporti di diritto privato, per i quali la regione non è competente.
2. - La regione eccepisce che l'ordinanza di rimessione non
indica specificamente la disposizione sospettata di incostituzio
nalità, né è assistita da autonoma motivazione, dal momento
che fa rinvio — peraltro in forma dubitativa — ai rilievi formu
lati dal procuratore regionale. Entrambe le eccezioni sono da disattendere.
Esaminata nel suo complesso, l'ordinanza individua chiara
mente la norma regionale oggetto di censura: la questione di
legittimità viene sollevata con riguardo alla 1. reg. n. 44
(1) La Corte costituzionale, escludendo l'identità tra le funzioni svol te dai deputati regionali rispetto ai parlamentari, afferma che per i pri mi deve valere la regola generale del limite di un quinto per la pignora bilità dell'indennità mensile e della diaria, anziché quella speciale della esclusione totale, valida per i secondi.
Per la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 1 1. reg. sic. appro vata il 23 giugno 1965, nella parte in cui disponeva che l'indennità par lamentare stabilita per i deputati regionali fosse esente da ogni tributo e non potesse essere comunque computata agli effetti dell'accertamento del reddito imponibile e della determinazione dell'aliquota, per qualsia si tributo dovuto sia allo Stato che ad altri enti, v. Corte cost. 17 aprile 1968, n. 24, Foro it., 1968, I, 1113, con nota di richiami, commentata da Contini, Qualche osservazione sui privilegi parlamentari, in Giur.
costit., 1968, 442. L'affermazione secondo cui l'analogia tra le attribuzioni delle assem
blee regionali e quelle delle assemblee parlamentari non significa identi tà e non toglie che le prime si svolgano a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantita, e le seconde, invece, a livello di sovra
nità, è stata di recente ribadita da Corte cost. 2 giugno 1994, n. 209, Foro it., Rep. 1994, voce Responsabilità contabile, n. 1029.
In ordine al principio generale, fissato dall'art. 545 c.p.p., relativo alla sequestrabilità ed alla pignorabilità, entro il limite di un quinto, degli stipendi e delle indennità di fine rapporto, v. Pret. Salerno - Eboli 27 aprile 1993, id., 1995, I, 2005, con nota di richiami, secondo cui il debitore esecutato ha l'onere di proporre opposizione all'esecuzione
per ottenere la declaratoria di impignorabilità dello stipendio o di altro emolumento similare in misura superiore al quinto, non potendo il giu dice dell'esecuzione surrogarsi, con attività d'ufficio, nell'espletamento di tale compito; Corte cost. 19 marzo 1993, n. 99, id., 1993, I, 2129, con nota di richiami; Pret. Modena, ord. 25 luglio 1991, id., 1992, I, 570, con nota di richiami.
Costante è la giurisprudenza costituzionale nel senso di escludere la
competenza legislativa regionale nella sfera dei rapporti di diritto priva to: da ultimo, v. Corte cost. 7 novembre 1994, n. 379, id., 1995, I, 21, con nota di richiami e osservazioni di Fuzio.
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