sentenza 20 luglio 1992, n. 345 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 luglio 1992, n. 32);Pres. Corasaniti, Est. Mirabelli; Pacciani. Ord. App. Napoli 13 novembre 1991 (G.U., 1 a s.s., n.13 del 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 3007/3008-3009/3010Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188220 .
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3007 PARTE PRIMA 3008
Se cosi è, anche la distinzione tra «previa intesa» e «previo
assenso», che è stata delineata nella stessa sentenza n. 179 del
1987, non può essere considerata priva di rilevanza. E invero, la «previa intesa» — per il fatto di riferirsi ad attività suscetti
bili di incidere sugli indirizzi della politica estera dello Stato — non può non comportare l'esigenza di un controllo più pene trante da parte del governo, controllo che, attraverso l'«inte
sa», è destinato a realizzarsi mediante un consenso che necessa
riamente dev'essere manifestato in forme esplicite e che si pre
senta, in ogni caso, pregiudiziale e condizionante ai fini
dell'attivazione dell'iniziativa che la regione intende svolgere fuori
del territorio nazionale (cfr. art. 1 d.p.c.m. 11 marzo 1980). Diversa, e caratterizzata da minore rigore formale, è, invece,
l'ipotesi del «previo assenso», ritenuto da questa corte necesssa
rio ai fini dello svolgimento da parte delle regioni di «attività
di mero rilievo internazionale», insuscettibili, per la loro natu
ra, di incidere sulla politica estera dello Stato o di determinare
forme di responsabilità a carico dello stesso. In questo caso
l'assenso potrà essere manifestato anche in forme implicite, una
volta che la regione abbia dato tempestiva notizia delle iniziati
ve in programma, cosi da non precludere la possibilità per il
governo di opporre — al di là delle ordinarie forme di controllo
sull'attività amministrativa regionale di cui all'art. 125 Cost. — un esplicito divieto nei confronti di quelle attività che fosse
ro ritenute, eventualmente, inconciliabili con l'indirizzo politico
generale (cfr. sent. 179 del 1987, par. 8). Un meccanismo cosi configurato comporta, peraltro, che la
richiesta di assenso da parte della regione venga avanzata con
ragionevole anticipo rispetto alla data prevista per l'inizio del
l'attività «di mero rilievo internazionale», in modo da consenti
re al governo di operare una valutazione adeguata dall'iniziati
va e di manifestare utilmente, se del caso, il proprio divieto.
E questo induce a sottolineare l'opportunità che un termine per l'inoltro delle domande di assenso da parte delle regioni possa essere preventivamente fissato — pur con una elasticità commi
surata alle singole ipotesi — da parte del legislatore o del gover no, eventualmente mediante un atto di indirizzo e coordina
mento integrativo del d.p.c.m. dell'11 marzo 1980.
4. - Le considerazioni che precedono inducono ad accogliere la domanda avanzata dalla regione Umbria nei confronti della
nota della presidenza del consiglio del 4 gennaio 1992 e della
lettera del commissario del governo del 16 gennaio 1992, nella
parte in cui tali atti affermano la necessità della «previa intesa»
con il governo anche per le «attività di mero rilievo internazio
nale» delle regioni.
Va, invece, dichiarata cessata la materia del contendere in
relazione alle tre deliberazioni della commissione di controllo
adottate in data 21 febbraio 1992, dal momento che le delibera
zioni nn. 1177 e 1178 sono state revocate dalla stessa commis
sione in data 20 marzo 1992 (delib. nn. 1984 e 1985), mentre
la deliberazione n. 1218 ha per oggetto un atto di controllo
su una delibera della giunta regionale umbra (delib. n. 214 del
28 gennaio 1992) che non può più produrre alcun effetto in
quanto annullata di ufficio dalla stessa giunta (delib. n. 1950
del 16 marzo 1992). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che non
spetta allo Stato il potere di richiedere alla regione Umbria la
«previa intesa», prevista dall'art. 4, 2° comma, d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, per le «attività di mero rilievo internazionale», di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1987,
e, di conseguenza, annulla la nota della presidenza del consiglio dei ministri (dipartimento affari regionali) del 4 gennaio 1992, telex 200/0008/1.12.SO.7./247, e la lettera del commissario del
governo della regione Umbria in data 16 gennaio 1992, prot. n. 9/Gab., nella parte in cui tali atti affermano la necessità
della «previa intesa» con il governo per le «attività di mero
rilievo internazionale» delle regioni; dichiara cessata la materia
del contendere in relazione alle deliberazioni della commissione
regionale di controllo sugli atti della regione Umbria nn. 1177, 1178 e 1218 in data 21 febbraio 1992.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 luglio 1992, n. 345
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 luglio 1992, n. 32); Pres. Corasaniti, Est. Mirabelli; Pacciani. Ord. App. Na
poli 13 novembre 1991 (G.U., la s.s., n. 13 del 1992).
Adozione e affidamento — Adozione di maggiorenni — Assen
so dei figli legittimi o legittimati — Incapacità — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. civ., art. 291,
297).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 291 c.c., come modificato dalla pronuncia di parziale illegittimità di cui alla sentenza
Corte cost. 557/88, nella parte in cui non consentirebbe l'a
dozione di persone maggiori di età in presenza di figli legitti mi o legittimati dell'adottante incapaci di esprimere il proprio assenso perché interdetti, in riferimento all'art. 3 Cost, (in
motivazione, la corte ha ritenuto applicabile la disciplina det
tata dall'art. 297, 2° comma, c.c. che assume significato e
contenuto generale relativamente alle persone chiamate ad
esprimere il proprio assenso all'adozione). (1)
(1) L'art. 297 c.c. indica i soggetti che devono manifestare il loro
assenso per l'adozione di persone maggiorenni: i genitori dell'adottan do e il coniuge dell'adottante e dell'adottando. Prevede, inoltre, la pos sibilità per il tribunale di pronunciare l'adozione quando l'assenso non sia ottenibile per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad
esprimerlo. Corte cost. 557/88, Foro it., 1988, I, 2801, ha, sia pure in riferimen
to all'art. 291 c.c., esteso la previsione relativa alla necessità dell'assen so anche ai figli maggiorenni dell'adottante, legittimi o legittimati, la cui presenza anteriormente alla citata pronuncia costituiva un impedi mento all'adozione.
Nell'ordinanza di rimessione, App. Napoli 21 gennaio 1992, id., Rep. 1992, voce Adozione, n. 31, si era sottolineato, richiamando i principi
espressi nella sentenza 557/88, che l'esigenza di salvaguardare la fami
glia legittima non giustifica limitazioni eccessive e, come tali irrazionali,
rispetto allo scopo perseguito, potendo, peraltro, a giudizio della corte di appello, fungere da filtro contro possibili abusi il controllo del rap presentante legale e degli organi tutelari «deputati costituzionalmente a garantire la posizione di diritto soggettivo». La corte ha, con la sen tenza in epigrafe, invece, affermato che l'assenso può anche mancare
nel caso di incapacità delle persone chiamate ad esprimerlo, come pre visto dall'art. 297 c.c., applicabile in seguito alla modifica dell'art. 291 c.c. di cui a Corte cost. 557/88, anche ai discendenti legittimi o legitti mati. La sentenza sottolinea il parallelismo, evidenziato dalla n. 557, tra la tutela della posizione del coniuge e la tutela della posizione dei
figli legittimi o legittimati «maggiorenni», e, anche se omette quest'ulti mo aggettivo quando afferma l'applicabilità dell'art. 297 c.c., ad essi soli sembra riferirsi la pronuncia in oggetto, la quale lascia irrisolti i dubbi sollevati dalla Corte d'appello di Napoli relativi all'ipotesi della
presenza di figli minori. Circa il permanere di una preclusione all'adozione in presenza di figli
minori, anche dopo la sentenza n. 557, si sono espressi, in giurispru denza: App. Napoli, decr. 17 maggio 1991, Giur. merito, 1993, 375; Trib. Catania 19 aprile 1990, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 28 (si esclude la possibilità di un consenso prestato da un curatore speciale per l'espressa riserva al tribunale prevista dall'art. 297 c.c., e si sottoli nea l'intento della corte di limitare la modifica alla sola ipotesi di mag giore età dei figli dell'adottante per non introdurre «ulteriore, e più impervio, caso di assenso per provvedimento giudiziale»).
In dottrina, v. A. De Cupis, Il consenso dei discendenti legittimi all'a
dozione, in Giur. it., 1988,1, 1, 1441 (nota a Corte cost. 19 maggio 1988, n. 557, cit.) (l'autore auspica l'integrale eliminazione del requisito del l'assenza di discendenti); G. Cattaneo, Adozione, in Riv. dir. civ., 1989, II, 687, spec. 697; G. Manera, Sul divieto di adozione da parte dell'a dottante che abbia discendenti legittimi o legittimati minorenni, in Giur.
merito, 1993, 377 (nota ad App. Napoli, decr. 17 maggio 1991, cit.). Sul
punto, v. anche C. Ebene Cobelli, Adozione di maggiorenni (voce ag giornata - 1991), in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, I.
Una diversa interpretazione dell'art. 291 c.c. secondo la quale l'as senso per i figli minori dell'adottante potrebbe essere manifestato da un curatore speciale sotto il controllo del giudice tutelare è stata pro spettata da M. Dogliotti, L'adozione di maggiorenni. Prospettiva sto rica e problemi attuali, in Giur. it., 1991, IV, 134.
Una piccola curiosità: nella relazione al progetto definitivo del libro
primo del codice civile, nn. 298-299, si fa cenno alla previsione conte nuta nel progetto preliminare che permetteva alla corte di appello, in casi particolari, di autorizzare l'adozione anche in presenza di figli le
gittimi o legittimati; previsione soppressa in quanto «veniva a menoma re quella doverosa, salda tutela, di cui il nostro ordinamento deve cir condare la famiglia legittima»: v. L. Vaccaro, Codice civile - Libro
primo - Illustrato con i lavori preparatori, 2a ed., Roma, 1939, 187.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. -La Corte di appello di Napoli dubita della
legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art.
291 c.c., nella parte in cui non permette a chi ha figli legittimi o legittimati maggiorenni, ma incapaci di esprimere il proprio
assenso, di adottare altra persona maggiore di età.
2. - La questione è stata sollevata a seguito della dichiarazio ne di illegittimità costituzionale dell'art. 291 c.c. «nella parte in cui non consente l'adozione a persone che abbiano discen
denti legittimi o legittimati maggiorenni e consezienti» (senten za n. 557 del 1988, Foro it., 1988, I, 2801). Con la stessa sen
tenza la corte ha rilevato che nel sistema normativo vigente l'e
sistenza del coniuge non impedisce, sempre che questi presti il suo assenso (art. 297, 1° comma, c.c.), di procedere alla ado
zione, ed ha affermato che non sussiste un motivo razionale
per ritenere sufficientemente tutelata la posizione del coniuge, attraverso la previsione del suo assenso, e per non disporre ana
logamente nella situazione, valutata come sostanzialmente iden
tica, dei discendenti legittimi o legittimati maggiorenni. 3. - La questione ora sollevata dalla Corte di appello di Na
poli ha per logico presupposto la ritenuta necessità ed inderoga bilità della manifestazione di volontà, da parte del figlio legitti mo o legittimato, in ordine alla adozione di altra persona mag
giorenne voluta dal proprio genitore. Si tratta di una
prospettazione che non tiene adeguatamente conto della specifi ca disciplina normativa dettata dall'art. 297, 2° comma, ultima
parte, c.c., per il caso in cui sia impossibile ottenere l'assenso
all'adozione, per incapacità delle persone chiamate ad esprimer lo. In tal caso il tribunale può egualmente pronunziare l'ado
zione, con le modalità previste dall'art. 297 c.c., apprezzando
gli interessi indicati nella stessa disposizione. Questa specifica disciplina, pur se inserita nel contesto delle disposizioni relative
all'assenso del coniuge e dei genitori, assume, nel rispetto del
tenore letterale del testo normativo che si riferisce a tutte le
persone chiamate ad esprimere il proprio assenso alla adozione, un significato ed un contenuto generale e quindi, a seguito della
sentenza di questa corte n. 557 del 1988, deve essere applicata anche ai discendenti legittimi o legittimati dell'adottante, quan do è impossibile ottenere il loro assenso per incapacità.
La questione di legittimità costituzionale, cosi ricostruito il
sistema normativo, è dunque infondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 c.c., sollevata, con riferimetno al
l'art. 3 Cost., dalla Corte di appello di Napoli con ordinanza
emessa il 13 novembre 1991.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 6 ot
tobre 1993, n. 9893; Pres. Bile, Est. Baldassarre, P.M. Mo
rozzo della Rocca (conci, parz. diff.); Colucci (Avv. Gal
litto) c. Proc. gen. Cass. e Consiglio ordine avvocati e pro curatori di Foggia. Conferma Cons. naz. forense 28 dicembre
1992.
CORTE DI CASSAZIONE;
Avvocato e procuratore — Azione disciplinare — Prescrizione
quinquennale — Procedimento penale — Decorrenza (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di
avvocato e procuratore, art. 44, 51; 1. 22 gennaio 1934 n.
36, conversione in legge, con modificazioni, del r.d.l. 27 no
vembre 1933 n. 1578, art. unico).
La prescrizione quinquennale dell'azione disciplinare nei con
fronti di avvocato, per fatto determinante l'avvio a carico
del medesimo di procedimento penale, decorre dalla data di
definizione di quest'ultimo con sentenza irrevocabile. (1)
(1) Sul principio riassunto in massima, condiviso in dottrina da Ric
ciardi, Lineamenti dell'ordinamento professionale forense, Giuffrè, Mì
Il Foro Italiano — 1993.
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 29 marzo
1982 il presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati e pro curatori di Foggia comunicava all'aw. Giovanni Colucci di avere
iniziato procedimento disciplinare a suo carico, in relazione ai
fatti per i quali, come da comunicazione in data 5 febbraio
s.a., il locale procuratore della repubblica aveva promosso con tro di lui l'azione penale per reati «commessi a causa e nell'e
sercizio del suo ministero professionale in danno di tale Piaz
zolla Gerardo», e di avere fissato all'uopo l'udienza del 7 mag
gio 1982. Di tale udienze non è stato rinvenuto il verbale; ma dalla
decisione in data 6 aprile 1991 — con la quale detto consiglio infliggeva al Colucci la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio professionale per la durata di mesi tre — risultava
che in tale detta udienza «fu disposta la sospensione in attesa
del processo penale».
Questo era difatti proseguito, portando — come da sentenza
del Tribunale di Foggia in data 11 marzo 1986 — alla condanna del Colucci ad anni uno e mesi due di reclusione e a lire 1.000.000
di multa per i reati di truffa ed appropriazione indebita aggra vate in danno del Piazzolla e di altre persone, che erano state
assistite dal professionista in vertenze arbitrali e giudiziarie con
tro l'Ente di riforma fondiaria per la Puglia e la Lucania, non
ché al risarcimento del danno in favore delle parti civili costitui
te (con esclusione del Piazzolla che aveva rinunciato a con
cludere). Su appello dell'imputato la corte di Bari, con sentenza 24
marzo 1988, ritenuto che non sussistesse l'aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravità, dichiarava non doversi proce dere per essere i reati estinti per amnistia; confermava, tuttavia, le statuizioni civili, condannando il Colucci a pagare alle parti civili costituite le spese di secondo grado.
Questa Corte suprema, con sentenza 1° febbraio 1990, di
chiarava poi inammissibili i ricorsi del procuratore generale e
dell'imputato. Il consiglio dell'ordine riapriva quindi il procedimento disci
plinare e — dopo avere contestato all'aw. Colucci, con atto
notificato il 31 gennaio 1990, oltre il fatto riguardante il Piaz
zolla, anche gli altri che avevano costituito oggetto dell'azione
penale — pronunciava la decisione 6 aprile 1991, con la quale
infliggeva la suddetta sanzione.
Il Consiglio nazionale forense, con la decisione qui impugna ta, ha rigettato il ricorso del Colucci, e — disattesa l'eccezione
di prescrizione sul rilievo che il relativo termine decorre dal pas
saggio in giudicato della sentenza conclusiva del procedimento
penale — ha ritenuto che la sentenza dichiarativa dell'estinzione
del reato con conferma delle decisioni civili, nel procedimento
disciplinare abbia valore di giudicato in ordine alla verità dei
fatti accertati.
Con riguardo al caso in esame ha considerato che, sulla scor
ta della succinta sentenza del Tribunale di Foggia e di quella
più ampia della corte d'appello, risulta accertato che l'avv. Co
lucci si prodigava, con grande abilità, per ottenere dall'Ersap i rimborsi di migliorie compiute sui fondi dai numerosi conces
sionari suoi clienti e, realizzati gli incassi, si approppriava di buona parte di essi, vantando il particolare pregio del proprio intervento e ponendo in essere veri e propri artifizi, come l'uso
lano, 1990, 392-393, si può consultare, in aggiunta ai precedenti richia mati in motivazione, Cass. 23 ottobre 1979, n. 5523, Foro it., Rep. 1979, voce Avvocato e procuratore, n. 138, che ha formulato enuncia zione coincidente con quella della riportata sentenza.
La citata Cass. 8 marzo 1993, n. 2762, id., Mass., 287, pur mante
nendosi sulla stessa linea di quest'ultima, ha, più in particolare, affer mato che il procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato o pro curatore per il fatto che ha formato oggetto d'imputazione in sede pe nale è, ai sensi dell'art. 44, 1° comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n.
1578, obbligatorio, tranne il caso che sia intervenuta sentenza di pro
scioglimento perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non l'ha
commesso, e resta automaticamente sospeso fino alla definizione del
procedimento penale che si concluda con una formula diversa da quelle
sopra indicate, con la conseguenza che, prima di tale conclusione del
processo penale, l'azione disciplinare non è soggetta alla prescrizione
quinquennale sancita dall'art. 51 r.d.l. Nel senso che la prescrizione quinquennale, prevista dal ripetuto art.
51, non corre durante il procedimento disciplinare a carico di avvocati
e procuratori legali, v. sez. un. 15 ottobre 1992, n. 11258, id., 1992,
I, 3284, con ulteriori indicazioni.
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