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sentenza 20 luglio 2001; Giud. Palestini; Angelini (Avv. Carbone) c. Soc. Ocma (Avv. Valori)

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sentenza 20 luglio 2001; Giud. Palestini; Angelini (Avv. Carbone) c. Soc. Ocma (Avv. Valori) Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2971/2972-2975/2976 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196338 . Accessed: 25/06/2014 05:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 05:38:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 20 luglio 2001; Giud. Palestini; Angelini (Avv. Carbone) c. Soc. Ocma (Avv. Valori)

sentenza 20 luglio 2001; Giud. Palestini; Angelini (Avv. Carbone) c. Soc. Ocma (Avv. Valori)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2971/2972-2975/2976Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196338 .

Accessed: 25/06/2014 05:38

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PARTE PRIMA 2972

come il diritto di credito per cui è causa sarebbe sorto a cavallo

degli anni 1989-1991, sì da potersi affermare, in prima istanza, che l'utile decorso del termine quinquennale per tutti i singoli crediti portati dalle fatture in atti si sarebbe verificato nell'anno

1996; sennonché esiste in atti («L'interruzione della prescri zione costituisce oggetto di una difesa e non di un'eccezione in

senso stretto, cosicché il giudice deve rilevare d'ufficio i fatti

che l'hanno determinata, se essi risultano da prove acquisite al

processo, e non è necessario che la parte difendendosi dall'ec

cezione di prescrizione opponga espressamente la prima inter

venuta interruzione. Ciò perché la prescrizione si basa non solo

sul passaggio del tempo, ma sul mancato esercizio del diritto

per un tempo determinato, cosicché quando il diritto è stato in

precedenza esercitato, l'eccezione di prescrizione non è fondata

e il giudice, dovendo applicare il diritto al fatto, deve dichia

rarlo»: Cass. 28 marzo 2000, n. 3726, id., Rep. 2000, voce cit., n. 39) una lettera del 20 ottobre 1993, regolarmente spedita con

raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale il curatore

fallimentare diffidava il pagamento entro un termine di quindici

giorni delle somme dovute all'associazione macellai convenuta

(«Per aversi valido atto di costituzione in mora, ai fini dell'in

terruzione della prescrizione, occorre che la richiesta, oltre che

formulata per iscritto, sia rivolta dal creditore al debitore con

chiara manifestazione della volontà del primo di ottenere il sod

disfacimento di un proprio diritto»: Tar Lazio, sez. II, 29 set tembre 1992, n. 1933, id., Rep. 1993, voce Impiegato dello Sta

to, n. 764; Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 1992, n. 992, ibid., voce Prescrizione e decadenza, n. 49).

Tale atto promanante dall'ufficio fallimentare, nella persona del curatore, era certamente fatto idoneo a determinare l'inter

ruzione del decorso del termine prescrizionale, sì da doversi a

quella data ritenere iniziato il decorso di un nuovo periodo pre scrizionale conclusosi in data 20 ottobre 1998, senza che altro

distinto atto interruttivo sia stato poi posto in essere dalla cura

tela attrice.

Ed invero le citazioni in giudizio tanto dell'associazione ma

cellai che delle altre parti convenute risultano tutte effettuate con notifica perfezionatasi nell'anno 1999 allorquando il termi ne quinquennale era ormai definitivamente elasso. (Omissis)

TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO; sentenza 20 luglio 2001; Giud. Palestini; Angelini (Avv. Carbone) c. Soc. Ocma

(Avv. Valori).

TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO;

Lavoro (rapporto di) — Dimissioni — Incapacità di intende re e di volere — Annullamento — Estremi (Cod. civ., art.

428). Lavoro (rapporto di) — Dimissioni — Annullamento per in

capacità di intendere e di volere — Conseguenze (Cod. civ., art. 428).

Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento delle dimissioni ai sensi dell'art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle fa coltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazio ne di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente. (1)

All'annullamento, ai sensi dell'art. 428 c.c., delle dimissioni

rassegnate da un lavoratore subordinato in un momento in cui era incapace di intendere e di volere, consegue esclusi vamente il diritto a riprendere servizio, ma non anche alle

retribuzioni maturate medio tempore. (2)

(1-2) I. - Nella riportata sentenza si affronta un duplice ordine di

problemi: l'annullamento delle dimissioni compiute da un lavoratore subordinato in stato di incapacità di intendere e di volere, e gli effetti

conseguenti alla pronuncia di annullamento. II. - Con riferimento alla prima questione, il Tribunale di Ascoli Pi

ceno ha deciso conformemente alla prevalente giurisprudenza di legit timità (e di merito): Cass. 15 giugno 1995, n. 6756, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1334; Pret. Milano 24 gennaio 1992, id..

Il Foro Italiano — 2001.

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di

Ascoli Piceno, in funzione di giudice del lavoro, Angelini Ro

berto conveniva in giudizio la Ocma s.p.a. A tale riguardo espo neva di essere stato assunto dalla resistente I'll gennaio 1988; di soffrire di disturbi psicotici della personalità; di avere pre sentato in data 11 gennaio 1999 una lettera di dimissioni; di es

sersi successivamente accorto della gravità e della inesattezza

del gesto e di avere pertanto impugnato le dimissioni stesse.

Tutto ciò premesso, il ricorrente affermava di essere stato, al

l'atto delle dimissioni, in stato di incapacità di intendere e di

Rep. 1992, voce cit., n. 1509; Cass. 5 aprile 1991, n. 3569, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1386; 5 novembre 1990, n. 10577, id., Rep. 1990, voce Interdizione, n. 17; Pret. Milano 13 febbraio 1987, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2213; Trib. Milano 12 dicembre 1984, id.,

Rep. 1985, voce cit., n. 1903 (in cui si afferma che uno stato di incapa cità di intendere e di volere può consistere in una insufficiente discre zionalità critica ed inadeguata libertà volitiva); Cass. 4 marzo 1986, n.

1375, id., Rep. 1986, voce Interdizione, n. 4; 17 aprile 1984, n. 2499, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1899; 6 febbraio 1984, n.

918, ibid., n. 1902. In ordine allo stato di incapacità di intendere e di volere, si è affer

mato che non occorre la totale esclusione della capacità psichica e vo litiva del soggetto, purché l'incapacità sussista al momento del compi mento dell'atto «dimissionario» (Cass. 25 ottobre 1997, n. 10505, id.,

Rep. 1998, voce Interdizione, n. 6; 5 aprile 1991, n. 3569, id., Rep. 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 1386; 16 dicembre 1983, n. 7421, id.,

Rep. 1983, voce Interdizione, n. 7; 4 novembre 1983, n. 6506, ibid., n. 8; Trib. Milano 3 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 13; 12 dicembre 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 9) e sia comunque tale da arrecare al soggetto un notevole stato di turbamento psichico, idoneo a far venir meno la sua capacità di autodeterminazione e la consapevo lezza dell'atto che sta per compiere (Cass. 26 maggio 2000, n. 6999, id., Rep. 2000, voce Contratto in genere, n. 551; 15 giugno 1995, n.

6756, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1334; 7 agosto 1972, n. 2634, id., Rep. 1972, voce Interdizione, n. 8; 4 marzo 1986, n. 1375, id., Rep. 1986, voce cit., n. 4; 28 ottobre 1969, n. 3543, id., Rep. 1969, voce Obbligazioni e contratti, n. 496; Trib. Milano 9 luglio 1991, id., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 1511; Pret. Torino 8 maggio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1895).

E consolidato in giurisprudenza il principio della qualificazione giu ridica delle dimissioni come atto unilaterale recettizio (Cass. 20 no vembre 1990, n. 11179, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1383; 4 marzo

1986, n. 1375, id., Rep. 1986, voce Interdizione, n. 4; 6 febbraio 1984, n. 918, cit.; Trib. Milano 3 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 12; Trib. Cosenza 28 maggio 1993, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rap porto), n. 1326, e Giur. it., 1994, I, 2, 458, con nota di Mainardi, Mi naccia di far valere un diritto e limiti all'annullamento delle dimissio

ni), e dell'applicabilità del 1° comma dell'art. 428 c.c. e non già del 2° comma del medesimo articolo (Cass. 5 aprile 1991, n. 3569, cit.; 6 feb braio 1984, n. 918, cit.; 17 aprile 1984, n. 2499, cit., e Dir. lav., 1984, II, 446, con nota dì Gorla; Pret. Brescia 3 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 2064. In dottrina, Pietrobon, Gli atti e i contratti

dell'incapace naturale, in Contratto e impr., 1987, 766 ss.; Forchielli, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, sub art. 414 432, 63); ne consegue che non è necessario indagare sulla malafede del datore di lavoro per la pronuncia di annullamento delle dimissioni: Trib. Milano 18 dicembre 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 1522; Pret. Ravenna 29 febbraio 1996, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1338, e Lavoro giur., 1996, 557, con nota di A. Lassandari; Pret. Milano 30 marzo 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 1336 (in cui si afferma che la malafede del datore di lavoro assume rilievo al fine di determina re l'ambito della sua responsabilità risarcitoria). Contra, per la rilevan za della conoscenza del datore di lavoro delle condizioni mentali del lavoratore, Pret. Milano 24 gennaio 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1509.

In ordine al requisito del grave pregiudizio (per l'annullamento delle dimissioni rese in stato di incapacità di intendere e di volere), la giuris prudenza ha affermato che il grave pregiudizio non è soltanto di natura

patrimoniale, ma può incidere sull'intera sfera di interessi del lavorato re, e, quindi, i fattori da considerare sono molteplici (Cass. 5 novembre 1990, n. 10577, id., Rep. 1990, voce Interdizione, n. 17; 4 marzo 1986, n. 1375, cit.; Pret. Ravenna 29 febbraio 1996, cit.; Pret. Napoli 3 marzo 1995, id., Rep. 1996. voce Lavoro (rapporto), n. 1344; Pret. Milano 30 marzo 1993, cit.; Pret. Firenze 13 giugno 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1387 (relativa a dimissioni del prestatore di lavoro minorenne); Pret. Torino 8 maggio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1896 (in cui è stata esclusa l'incapacità di intendere e di volere sulla base di una sem

plice nevrosi depressiva). Per quanto concerne la valutazione del bene, che sia stato oggetto di

un atto giuridico compiuto da persona incapace di intendere e di volere, al fine di stabilire se ne sia derivato un grave pregiudizio all'autore, Cass. 17 aprile 1984. n. 2499, id., Rep. 1984. voce Interdizione, n. 7.

In ordine all'onere per il lavoratore dimissionario di fornire la prova

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

volere e chiedeva pertanto l'annullamento delle suddette dimis

sioni e la reintegra nel suo posto di lavoro. Chiedeva il risarci

mento del danno e le spese di causa.

La società Ocma s.p.a. si costituiva in giudizio, deducendo la

validità delle dimissioni per avere il suo dipendente manifestato

del tutto autonomamente e scientemente l'intento di interrompe re il rapporto lavorativo.

In esito alla fase istruttoria la causa era discussa e decisa co

me da dispositivo letto in udienza.

Motivi della decisione. — La domanda è fondata nei limiti di

cui si dirà in motivazione. Va subito precisato in punto di diritto che alla fattispecie in

esame deve essere applicato il disposto dell'art. 428 c.c., sicché

per ottenere l'annullamento delle dimissioni sono richieste due

condizioni: 1) l'esistenza di un grave pregiudizio per il lavoratore;

2) lo stato di incapacità di intendere e di volere al momento

del compimento dell'atto stesso.

Quanto alla prima condizione è innegabile che la perdita del

posto di lavoro costituisce, oltre che in astratto, anche in con

creto un grave pregiudizio, in considerazione: — dell'età dell'Angelini perché, essendo egli nato nel 1964

ed avendo oltre trentacinque anni si trova oggettivamente in una

posizione di difficile collocazione nel mercato del lavoro; — delle sue precarie condizioni di salute consistenti in di

sturbi strutturali della personalità di tipo psicotico non emenda

bili ed in continua fragile alternanza compenso-scompenso. In relazione poi alla seconda condizione, emerge dalla con

sulenza medico-legale del dott. Ianni improntata a retti criteri

giuridici e qui integralmente recepita, che il lavoratore era al

momento dell'atto (cioè nel contesto temporale in cui le dimis

sioni sono state date) colpito da spunti acuti di scompenso psi chico e non era in grado di comprendere cosa significasse nella

realtà oggettiva dare le dimissioni.

dello stato di incapacità di intendere e di volere, Pret. Torino 8 maggio 1987, id.. Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1896.

Per i riflessi sul rapporto di lavoro «in corso», Cass. 26 gennaio 1989, n. 472, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1766, afferma che non può es sere considerata giusta causa o giustificato motivo di licenziamento

l'incapacità di intendere e di volere del lavoratore occasionalmente ac certata ai fini dell'annullamento delle dimissioni del medesimo, ove non risulti alcuna manifestazione o influenza della detta incapacità nel concreto svolgimento, da parte del lavoratore, delle mansioni affidate

gli III. - In ordine alla problematica relativa agli effetti conseguenti alla

sentenza di annullamento delle dimissioni rese in stato di incapacità di intendere e di volere, in senso conforme alla riportata decisione, Cass. 6 novembre 2000, n. 14438, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1509 (in cui si afferma l'insussistenza del diritto del lavoratore alle retribuzioni matu rate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, a nulla rilevando che le dimissioni siano state immediatamente revocate,

giacché le dimissioni producono istantaneamente lo scioglimento del

rapporto di lavoro); 5 luglio 1996, n. 6166, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1333 (in cui si afferma che nell'ipotesi di annullamento delle dimissio ni presentate da un lavoratore subordinato, il principio secondo cui la

pronuncia di annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroat

tiva, nel senso che essa comporta il ripristino, tra le parti, della situa zione giuridica anteriore al negozio annullato, che si considera come insussistente fin dall'inizio, non comporta il riconoscimento del diritto del lavoratore al trattamento retributivo e previdenziale maturato nel

periodo di tempo compreso tra la data delle dimissioni e la decisione di annullamento del giudice di primo grado, atteso che, in tale ipotesi, l'effetto risolutorio delle dimissioni permane fino alla data della sen

tenza, non essendo configurabile alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il lavoratore in azienda prima di tale momento, e non potendo quindi profilarsi un'ipotesi di mora del datore di lavoro rispetto ad un

rapporto che, prima della sentenza di annullamento, deve considerarsi

inesistente); Trib. Napoli 7 ottobre 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n.

1325, e Riv. it. dir. lav., 1994, II, 758, con nota di A. Valli, Sull'an nullamento delle dimissioni e gli effetti che ne conseguono', Pret. Mila

no 24 gennaio 1992, cit. Contra, Cass. 15 giugno 1995, n. 6756, cit. (in cui si afferma che la sentenza che accoglie l'azione di annullamento del

negozio ha efficacia retroattiva ed importa il ripristino della situazione

di fatto e di diritto preesistente al negozio annullato); Pret. Brescia 3

ottobre 1981, cit.; Pret. Napoli 9 giugno 1994, Foro it., Rep. 1995, voce

cit., n. 1383 (che subordina il diritto al pagamento della retribuzione

alla prova dell'offerta della prestazione lavorativa e dell'illegittimo ri

fiuto della stessa da parte del datore di lavoro); Pret. Milano 30 marzo

1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1335, e Lavoro giur., 1994, 26, con nota di Di Ruocco; 30 gennaio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n.

1673.

Il Foro Italiano — 2001.

Sul punto va rilevato che, ai fini della sussistenza della inca

pacità di intendere e di volere, costituente causa di annulla

mento delle dimissioni ai sensi dell'art. 428 c.c., non occorre la

totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo

sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente. Dalle conclusioni del

consulente d'ufficio, risulta che l'Angelini era, al momento del

l'atto di dimissioni, colpito da stato di stupefazione e disturbi

dell'ideazione connessi a scompenso psicotico (eventualmente

aggravati ma non determinati da stato etilico) che hanno inciso

in via diretta sulla volizione, rendendola incoerente rispetto al

reale stato dei fatti. Gli spunti psicotici hanno, in altri termini, messo avanti alla volontà di Angelini un quadro irreale determi

nando detta volontà in modo errato. Il lavoratore, conseguente mente, non si è reso conto della vera portata dell'atto che anda

va a compiere, ed ha finito per dimettersi non perché voleva di

mettersi ma perché ha formulato irreali ed irrealizzabili progetti alternativi alla propria vita lavorativa.

Le dimissioni possono dunque essere annullate avendo cura

di precisare che, nella presente fattispecie, non va applicato il 2°

comma dell'art. 428 c.c. e pertanto condizione per la pronunzia dell'annullamento dell'atto impugnato non può essere la ricor

renza di uno stato soggettivo di malafede da parte della società

resistente, come non condivisibilmente ritenuto dalla difesa

della stessa.

Vanno di seguito esaminate le conseguenze della pronunzia di

annullamento.

Secondo l'assunto della parte resistente l'azione di annulla

mento (esperibile contro gli atti messi in essere da persone che, sebbene non interdette, si trovino in uno stato, anche transitorio, di incapacità di intendere e di volere) sfocia in una sentenza che

modifica la situazione creata dall'atto e ne elimina gli effetti

sicché la sentenza di annullamento di un atto non può avere ef

fetto se non ex nunc, cioè dalla data della sentenza.

Secondo la difesa del ricorrente invece se l'azione di annul

lamento viene accolta, la sentenza relativa ha efficacia retroatti

va. Verrebbe in tal caso a verificarsi la stessa situazione che ha

luogo nell'ipotesi di nullità, in quanto il negozio o l'atto annul

lato si viene a configurare come improduttivo di effetti sin dal

suo sorgere. In altri termini la pronuncia di annullamento di un

negozio giuridico avrebbe efficacia retroattiva e importerebbe il

ripristino della situazione di fatto e di diritto preesistente al ne

gozio annullato.

Costituisce principio pacifico che la pronuncia di annulla

mento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva, nel senso

che essa comporta il ripristino, tra le parti, della situazione giu ridica anteriore al negozio annullato, che si ha come ricomposto sin dall'inizio.

Ritiene questo giudicante tuttavia che da tale premessa di or

dine generale non è possibile far discendere il riconoscimento

del diritto del lavoratore al trattamento retributivo e previden ziale che sarebbe maturato nel periodo di tempo intercorrente

tra la data delle dimissioni e la decisione del giudice di primo

grado. Va detto che sul punto esiste difformità di orientamento nella

giurisprudenza di legittimità e di merito (v., nel senso qui indi cato, Cass. 6166/96, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rappor

to), n. 1333, e, in senso contrario, Cass. 15 giugno 1995, n.

6756, ibid., n. 1335). L'orientamento qui condiviso collega all'annullamento delle

dimissioni un effetto risolutorio delle stesse protratto sino alla

data della sentenza.

E ciò perché: — non vi è alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il

lavoratore in azienda prima di tale momento e non è configura bile una mora del datore in un rapporto di lavoro che è — allo

stato — inesistente; — solo per effetto della sentenza si ricostituisce la situazione

contrattuale preesistente, ma fino a tale momento non vi è alcu

na obbligazione a carico delle parti. In tal senso la Cassazione nell'indicata pronunzia 6166/96 ha

ritenuto, confermando la sentenza di primo grado, quanto segue: «sono da condividere pertanto le conclusioni cui è giunto il Tri

bunale di Monza nella sentenza impugnata, il quale ha osservato

che nel periodo intercorso fra la data delle dimissioni e la pro nuncia del giudice di primo grado ebbe a verificarsi una 'sia pur anomala sospensione delle obbligazioni principali derivanti dal

rapporto di lavoro inter partes' che aveva fatto 'venir meno

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2975 PARTE PRIMA 2976

l'obbligo per la datrice di lavoro di erogare la retribuzione in

favore del dipendente, versandosi in tema di obbligazione con

nessa in rapporto di sinallagmaticità alla prestazione lavorativa, non erogata per essere ancora sub ìudice, la questione della va

lidità delle rassegnate dimissioni'. Secondo i principi generali, una eventuale responsabilità del datore di lavoro potrebbe na

scere da un comportamento doloso o gravemente colposo, pro duttivo di un danno ingiusto per il lavoratore».

Circa il comportamento tenuto dalla società resistente nel ca

so di specie va detto che esso non riveste i caratteri determinati

vi del danno da illecito. Ed infatti dalla istruttoria esperita è

ravvisabile al più la conoscibilità-conoscenza dello stato di in

fermità psichica del lavoratore ma nessun comportamento dolo

so o gravemente colposo è stato posto in essere dalla Ocma

s.p.a. per cui sotto ogni profilo la domanda di pagamento delle

retribuzioni medio tempore maturate e di risarcimento dei danni

deve essere respinta. Va incidentalmente rilevata l'inapplicabilità alla presente fat

tispecie della tutela reintegratoria prevista in riferimento all'i

potesi del licenziamento ed alle conseguenze della pronuncia di

annullamento dello stesso per mancanza di giusta causa o giusti ficato motivo, secondo le previsioni di cui all'art. 18 1. n. 300

del 1970 e successive modificazioni. Infatti, nei casi di annul

lamento del licenziamento, l'obbligo risarcitorio, oltre a quello della reintegrazione del lavoratore, conseguono per legge ad un

fatto (la estromissione del lavoratore) che è imputabile al datore di lavoro. Nel caso dell'annullamento delle dimissioni per inca

pacità naturale del lavoratore manca invece qualsiasi fatto non

solo imputabile ma anche solo riferibile al datore di lavoro, il

quale non può non prendere atto delle dimissioni del lavoratore.

E logico pertanto che lo stesso non abbia alcun obbligo nei con fronti del lavoratore dimissionario, almeno fino alla pronuncia di annullamento perché il limite di tutela prevista in favore del

lavoratore incapace è il ripristino del rapporto dalla sentenza, non anche le retribuzioni fino a quella data.

In definitiva va pronunziata sentenza che annulli le dimissioni

per incapacità di intendere con conseguente diritto del lavorato re alle retribuzioni dalla data della presente sentenza che rico

stituisce il rapporto di lavoro, attribuendo al lavoratore la posi zione giuridica di cui era in precedenza titolare.

TRIBUNALE DI MESSINA; ordinanza 20 giugno 2001; Pres. ed est. Iannello; Soc. Affari Fisco-Finanza (Avv. Billè) c. Soc. Marketing Research (Avv. Monti, Milicia).

TRIBUNALE DI MESSINA;

Provvedimenti di urgenza — Titolo di pubblicazione — Uti lizzazione come «domain name» —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 669 terdecies; 1. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art.

100, 102).

Va rigettato il ricorso avverso il provvedimento che abbia ne

gato l'inibitoria dell'uso di una testata giornalistica come

domain name identificativo di un sito Internet, in considera

zione della scarsa capacità identificativo della testata stessa e della conseguente insussistenza del rischio di confusione. (1)

(1) «Nomina nuda tenemus», ovvero: della testata giornalistica e del «domain name», un conflitto annunciato nella guerra dei nomi.

Il nome ci consente di parlare sia delle cose scomparse, sia di quelle inesistenti; e, per tale ragione, è uno dei cardini intorno ai quali ruota il mondo virtuale di Internet (lo rilevava già Eco, Postille a II nome della rosa, in Alfabeta, 1983, fase. 49). Non stupisce, dunque, che l'artico lata vicenda giudiziaria dei domain names, da semplice casus belli ten

II Foro Italiano — 2001.

Fatto. — Con l'ordinanza impugnata (Foro it., 2001,1, 2032) il primo giudice ha negato la sussistenza del fumus boni iuris

della pretesa cautelarmente azionata escludendo (in mancanza di

disciplina specifica dedicata al fenomeno di nuova emersione)

l'applicabilità al caso di specie delle norme di cui agli art. 100 e 102 l.d.a. (1. 22 aprile 1941 n. 633), stante la diversità intrinseca

e funzionale del nome di dominio di un sito Internet rispetto alla

testata di un giornale tradizionale, ed inoltre non ravvisando, in

fatto, una fattispecie di concorrenza sleale atteso che la parola utilizzata per la contestata indicazione del domain name sarebbe

da ormai ad assurgere al ruolo di primario banco di prova per le solu zioni ricercate dalla giurisprudenza nel difficile tentativo di adattare l'assetto normativo esistente alla nuova realtà creata dalla «rete». In

questo senso depone non solo il numero non trascurabile di precedenti giudiziari, ma anche il corposo contributo della dottrina, tenacemente

impegnata a districare le numerose implicazioni del problema, vuoi sul versante della disciplina codicistica in materia di concorrenza sleale, vuoi sul versante della normativa dettata a tutela della proprietà intel lettuale.

Il domain name può definirsi come la sequenza di caratteri alfanume rici utilizzata per collegarsi ad un determinato sito. Il Domain Name

System (DNS), infatti, è un sistema creato proprio per semplificare l'accesso ad un sito Internet, altrimenti raggiungibile solo digitando una sequenza numerica (Internet Protocol - IP) di non facile memorizza zione (da un più completo e dettagliato chiarimento tecnico ci esenta ora Pascuzzi, Da IANA a ICANN: un nuovo regime per l'attribuzione dei nomi di dominio su Internet, nota a Tribunal de grande instance de Paris 23 marzo 1999, in Foro it., 1999, IV, 415). In parole semplici: ad

ogni sito viene associato un nome di dominio, ovvero una breve se

quenza alfanumerica che, digitata nell'apposito spazio predisposto nel

programma di navigazione, consente un immediato contatto con il sito

ricercato, senza la necessità di digitare per esteso l'indirizzo IP, la cui

complessità renderebbe improbo (almeno per i profani della tastiera) ogni sforzo di memorizzazione, con le difficoltà che si possono imma

ginare. In un mercato di rete in progressiva ed inarrestabile espansione, in

cui l'esigenza di semplicità assume un ruolo primario per il raggiungi mento del vasto pubblico e per l'attuazione delle regole di un'economia di scala, il domain name assume, dunque, un significato determinante e diventa segno distintivo del prodotto, ma anche vero e proprio biglietto da visita dell'imprenditore, che viene appunto contattato attraverso l'a cronimo prescelto. Non stupisce, quindi, che il titolare del sito cerchi in tutti i modi di ottenere un nome di dominio il più possibile simile al

proprio marchio o — a seconda delle circostanze — di avvantaggiarsi commercialmente con l'utilizzo di un altro, echeggiante un marchio

(non suo ma) ben più radicato sul mercato. Il precedente più illustre in materia è senz'altro Trib. Modena, ord.

23 ottobre 1996, id.. 1997, I, 2316, con nota di Cosentino, e Riv. dir. ind., 1997, II, 177, con nota di Frassi. Con provvedimento ex art. 700

c.p.c., fu allora inibito a terzi l'uso della nota abbreviazione del titolo di questa rivista giuridica, come domain name identificativo di una «conferenza in rete», avente ad oggetto la discussione di problematiche inerenti alla professione forense. Anche in quell'occasione, il tribunale valutò l'illegittimità della fattispecie sia come atto di concorrenza sleale per confusione (art. 2598 c.c.), sia come violazione del diritto di autore (art. 100 l.d.a.) ed esaminò, quindi, la capacità identificativa del titolo della rivista — anche nella sua forma abbreviata — per poter ac certare la conseguente sussistenza del pericolo di confusione. La vicen da si concluse con il riconoscimento di una chiara violazione del diritto d'autore.

A margine di tale pronunzia vanno, però, annotati gli episodi di una vera e propria guerra dei nomi, che ha imposto alla giurisprudenza la ricerca di un'interpretazione evolutiva del r.d. 929/42 (v. Trib. Bari 24

luglio 1996, Foro it., 1997, I, 2316: rigetto del ricorso, ex art. 700

c.p.c., proposto da una società commerciale che lamenti l'utilizzo inde bito della propria denominazione sociale, da parte di altra società, come domain name identificativo di un sito Internet, in quanto, non avendo tale nome la funzione di identificare il soggetto che lo utilizza, difetta il

pericolo di confusione. Cfr., altresì, Trib. Roma 2 agosto 1997, id., 1998, I, 923, nonché Dir. ind., 1998, 138, con nota di Montuschi, In ternet, «la guerra dei nomi» ed il ruolo della «registration authority», e Arch, civ., 1998, 952, con nota di Sciaudone, Internet, «domain na me» e tutela del marchio: la pronunzia ritiene che la violazione di un marchio (nella specie, «Porta Portese»), perpetrata mercé il suo impie go quale domain name di un sito Internet, non è esclusa dalla circostan za che tale utilizzo sia avvenuto previa autotorizzazione dell'apposita autorità preposta alla registrazione dei nomi di dominio, né dal fatto che il titolare del marchio non abbia in precedenza registrato presso detta autorità il medesimo nome. Infine, v. Trib. Milano 10 giugno 1997, Foro it., 1998,1, 923, secondo la quale va inibito, in quanto inte

gra contraffazione del marchio «Amadeus», l'utilizzo della denomina zione «Amadeus.it» quale domain name di un sito Internet destinato ad

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