sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petrucci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - societàeditrice «Il giorno »(Avv. Mariconda, Zingoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2319/2320-2323/2324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173055 .
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2319 PARTE PRIMA 2320
sua sostanza, deve essere rilevata d'ufficio mediante sentenza con
la quale viene disposto il termine perentorio per la riassunzione
della causa davanti al conciliatore competente di Bassano del
Grappa. Il termine per detta riassunzione può essere fissato in quello
di trenta giorni. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI ROMA; sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petruc
ci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - società edi
trice « Il giorno » (Avv. Mariconda, Zingoni).
PRETURA DI ROMA;
Lavoro (rapporto) — Lavoro giornalistico — C. d. clausola di
coscienza — Dimissioni del giornalista — Giusta causa — Esclu
sione — Fattispecie.
Non costituisce giusta causa di dimissioni dal rapporto di lavoro
giornalistico ai sensi dell'art. 32 del relativo c.c.n.l. la man
cata pubblicazione di una notizia ritenuta « inopportuna » dal
la direzione (che non ne metteva in dubbio l'autenticità e la
veridicità), ove il giornalista all'atto dell'instaurazione del rap
porto possa essere stato in grado, tra l'altro anche in base alle
sue capacità professionali, di individuare la connotazione po
litica del giornale, notoriamente legato a determinati ambienti
e gruppi politici e dunque inevitabilmente attento e cauto
nel trattare fatti e vicende che tali ambienti e gruppi avessero
potuto in qualche modo danneggiare (nella specie, la notizia
proposta per la pubblicazione voleva costituire una prova del
la esistenza di contatti remoti, del resto già noti nell'ambito
del c. d. scandalo Lockheed, tra la famiglia Leone ed i fra telli Lefebvre; il giudice ha, tra l'altro, rilevato che il gior nalista non poteva dolersi del comportamento della direzione
in quanto, in altra occasione, aveva esercitato una attività di
filtro di quanto veniva apprendendo sullo scandalo non pro
ponendo, come risulta dal suo ricorso, per la pubblicazione,
per esempio, la notizia sulle affermazioni, riportate poi da al
tri giornali, sulla identificazione della fantomatica « Antilope »
nell'on. Moro). (1)
Il Pretore, ecc. — Svolgimento del processo1 e motivi della de
cisione. — Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., depositato il
giorno 11 dicembre 1978 e notificato, con il decreto ex art. 415
cod. proc. civ., il 22 dicembre 1978, Andrea Barberi ha conve
nuto in giudizio la Segisa, società editrice « Il giorno », s.p.a. con sede in Milano, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, chiedendo:
(1) Scarsi i precedenti giurisprudenziali sull'interpretazione e ap plicazione dell'art. 32 c.c.n.l. giornalistico relativo alla c. d. clausola di coscienza, che consente al giornalista di recedere dal contratto di lavoro senza subire gli svantaggi conseguenti alle dimissioni ordinarie: cfr., a tal proposito, l'ampia nota di richiami e le osservazioni di P. Genoviva a Cass. 19 maggio 1979, n. 2885, in Foro it., 1979, I, 2021, relativa alla vicenda del cambiamento di indirizzo politico del « Cor riere della sera », adde, successivamente, la nota di commento alla sent, di R. Franceschelli, Il giornalista e il suo diritto alla « coda », in Riv. dir. ind., 1979, II, 412; dello stesso autore cfr. inoltre, id., 1979, II, 7, Ancora sulla clausola di coscienza di cui all'art. 32 del contratto collettivo di lavoro giornalistico, nota a Trib. Milano 20 settembre 1977, resa nella vicenda processuale di cui a Cass. 2885/ 1979, e a Trib. Milano 17 gennaio 1978. In dottrina, tra gli altri, da ultimo, P. Zanelli, in II contratto dei giornalisti, Commento al contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, a cura di F.
Carinci, Bologna, 1980, 184 segg.; per il diritto comparato, Desantes, Nieto, Urabayen, La clàusola de conciencia, Ed. Universidad de Na
varca, Pamplona, 1978. Per riferimenti storici v., da ultimo, C. Pinelli, Il giornalista, l'indirizzo politico e l'impresa editoriale nella giurispru denza e nella dottrina del periodo giolittiano: spunti ricostruttivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 217.
Sull'interpretazione del 2° comma dell'art. 32 applicabile ogni volta che si sia in presenza di fatti imputabili a responsabilità dell'editore e tali da integrare nell'ambito della azienda una situazione incom patibile con la dignità del giornalista cfr. Trib. Milano 23 luglio - 8 ottobre 1976 (Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro (rapporto), n. 879 e id., Rep. 1978, voce cit., n. 1141 e per esteso in Riv. dir. ind., 1978, II, 100, con nota di R. Franceschelli, e in Riv. dir. comm., 1976, II, 384, con nota di F. Chiomenti) secondo cui costituiscono giusta causa di dimissioni i mutamenti dei titoli di un articolo scritto da un caposervizio di una data sezione, cambiamento obiettivamente ingiu stificato e imposto, all'insaputa del caposervizio stesso e autore del l'articolo, da un gruppo di redattori che lavorano alle sue dipendenze.
Le varie fasi processuali della vicenda Lockheed sono ricordate nella nota di richiami a Corte conti, Sez. I, 12 novembre 1980, n. 106, Foro it., 1981, III, 22.
— dichiararsi che il rapporto di lavoro con la società (inizio:
15 febbraio 1978 — qualifica: giornalista professionista, inviato
speciale — normativa regolatrice del rapporto: c.c.n.l. 29 giu
gno 1977 — trattamento economico lordo: lire 1.659.381 men
sili) era stato risolto per dimissioni di esso ricorrente (cfr. let
tera 16 marzo 1978) determinate da fatto e colpa esclusiva del da
tore di lavoro, ex art. 32 del contratto collettivo;
— la condanna della società al pagamento delle indennità tut
te dovute nel caso di risoluzione del rapporto ex art. 32 (inden
nità redazionale ex art. 16 c.c.n.l., indennità di anzianità ex art.
27, indennità fissa ex art. 27, lett. c, indennità di mancato preav
viso, compenso per ferie non godute ex art. 23, rimborso B.T.P.,
assegni familiari parziali, compenso per servizi speciali, 13a men
silità ex art. 13) per l'ammontare complessivo di lire 20.916.859
oltre agli interessi del 9 % ex art. 28 c.c.n.l. e rivalutazione mo
netaria.
In particolare il ricorrente, a sostegno della sua domanda, ha
dedotto: di godere, per l'alto grado di professionalità e perizia
sempre dimostrate e riconosciutegli durante -a sua lunga attività
professionale, la stima incondizionata dell'intero mondo giorna
listico; di avere, non appena assunto presso « Il giorno », con
dotto una laboriosa e delicata indagine, previo contatto con « nu
merose ed autorevoli fonti di informazione », che lo aveva por tato a conoscere fatti riguardanti i rapporti intercorsi tra Anto
nio Lefèbvre e Vittoria Michitto, moglie dell'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, e, in particolare, che la Mi
chitto era stata interrogata dal giudice istruttore della Corte co
stituzionale Gionfrida in merito all'assegno dell'importo di circa
lire 100.000.000 da lei emesso a favore del Lefèbvre per resti
tuzione della somma avuta molti anni prima alla stipula di
compromesso per la vendita di un terreno di proprietà sua e
dei suoi due fratelli; di avere anche appreso che la Corte costi
tuzionale aveva stabilito di non approfondire le indagini relative
all'on. Aldo Moro, dopo avere ascoltato tale sig. Dainelli che, in una conversazione telefonica intercettata dall'apparecchio del
la moglie del gen. Fanali, aveva affermato: «insomma, l'An
tilope è Moro », e che, chiamato a render conto di tale affer
mazione, aveva a sua volta chiamato in causa il giornalista Enrico Mattei, l'ex ambasciatore U.S.A. in Italia John Volpe, un suo assistente ed un ufficiale della C.i.a.; di avere riferito
tali notizie al suo superiore gerarchico dott. Giovanni Cervigni,
capo della redazione romana del giornale, e di avere dallo stesso
poi appreso che la direzione rifiutava la pubblicazione di noti
zie di quel genere riguardanti lo scandalo Lockheed; di avere, il
13 marzo 1978, inviato una lettera di protesta al Cervigni con
testando l'atteggiamento del giornale e riesponendo le notizie da
pubblicare, in un primo tempo accettate dalla direzione e poco
dopo rifiutate, « in seguito ad un contatto della direzione stessa
con la dirigenza della Segisa », con l'unica spiegazione che « la
moglie di Cesare non può neppure essere nominata »; di avere
quindi annunciato la propria intenzione di dimettersi, con riferi
mento a quanto stabilito dall'art. 32 del contratto collettivo, per la gravità dei fatti accaduti ed a tutela della propria dignità pro fessionale e della propria credibilità, e di avere ribadito tale vo lontà nella lettera 16 marzo 1978; di avere avuto dimostrazioni
di solidarietà da parte del presidente dell'Istituzo nazionale di
previdenza dei giornalisti italiani e dei colleghi della redazione di
Roma de «Il giorno»; di avere perciò diritto a tutte le inden
nità spettanti in caso di licenziamento ed alla restituzione del
l'indennità di mancato preavviso trattenutagli dalla società in
revoca di « tutte le precedenti indicazioni ».
Depositando memoria difensiva e documenti si è ritualmente
e tempestivamente costituita in giudizio la società convenuta
chiedendo la reiezione della domanda ritenuta infondata per in
sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per una applica zione della norma del contratto collettivo invocata dal ricorrente
che si era limitato ad offrire notizie e non un servizio od un ar
ticolo, notizie che la direzione del giornale (e non l'editore) ave
va ritenuto, « con atteggiarr. nto di responsabile cautela », di
non pubblicare.
Interrogate le parti, espletata la prova testimoniale dedotta dal
ricorrente, depositate note illustrative autorizzate, nel corso del
l'udienza odierna, dopo la discussione orale, è stata pronunciata la decisione di cui al dispositivo.
Dalla deposizione resa dal teste Cervigni, capo della redazione romana de « Il giorno », di piena ed indiscussa attendibilità, è emerso: nel pomeriggio del 13 marzo 1978 il ricorrente ha espo sto al capo-redattore il contenuto del pezzo che aveva intenzione di proporre, per l'edizione del giorno successivo, sulla vicenda
Lockheed, con particolare riguardo ad una notizia (in possesso anche di altro giornale) su un assegno che da Vittoria Leone sarebbe stato dato ad uno dei fratelli Lefèbvre; il Cervigni, nel
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
corso della rituale e quotidiana telefonata fatta alla direzione del
giornale a Milano per ricevere istruzioni sui servizi e gli articoli da preparare e pubblicare (« per ciò che riguarda linea, quan tità e tono »), ha comunicato al vice direttore Rozzoni anche il contenuto del servizio proposto dal Barberi ricevendone l'indi cazione di lasciar fuori dal pezzo la notizia riguardante Vittoria
Leone, notizia della quale non è stata in alcun modo messa in dubbio l'autenticità ma di cui è stata ritenuta « inopportuna »
la pubblicazione.
Questo il fatto che ha determinato la violenta reazione del ricorrente e la sua decisione di dimettersi con effetto immediato dal giornale.
Il fatto in sé, valutato dal punto di vista socio-politico, si com
menta, ovviamente, da solo ed appare veramente stupefacente come sia stata ritenuta inopportuna la pubblicazione di una no
tizia, posseduta praticamente in esclusiva, in merito ad una vi cenda di tanta importanza e di cosi' grande rilievo; è evidente
che il giudizio di « inopportunità » della pubblicazione, indipen dentemente da quanto possa in effetti essere stato detto, non
può che aver avuto stretto riguardo ad una precisa volontà di
non portare ulteriori attacchi alla famiglia del presidente della
Repubblica posto che, come ha riconosciuto anche il rappre sentante dell'azienda e come ha dichiarato il Cervigni, non ve
niva in alcun modo messa in dubbio l'autenticità e la veridicità
della notizia.
Decisione, dunque, di carattere strettamente politico: se si
ripensa al clima del momento, alle roventi polemiche sulla vi cenda Lockheed, alle implicazioni politiche di quanto di giorno in giorno si veniva a sapere sui coinvolgimenti e responsabilità di tanti importanti ed autorevoli personaggi nonché di alte ca
riche dello Stato, al fatto che, a livello politico, era già da tem
po in corso una vera e propria « campagna » per la successione
al Quirinale mentre da più parti, ed ormai da tempo, si chie
devano con sempre maggiore insistenza le dimissioni del presi dente Leone, il giudizio (del cittadino e del lettore) sulla vi
cenda che è oggetto di questa causa è presto dato e non può che coincidere con quello che il Barberi ne ha dato e ne con
tinua a dare.
Il problema, tuttavia, non è certamente da porsi in questi ter
mini poiché compito del giudicante è solo quello di stabilire
se, in relazione alle circostanze di fatto accertate, ricorrano gli estremi per l'applicazione della norma del contratto collettivo in
vocata dal ricorrente.
Dispone la norma in questione: « Nel caso di sostanziale
cambiamento dell'indirizzo politico del giornale ovvero di uti
lizzazione dell'opera del giornalista in altro giornale della stessa
azienda con caratteristiche sostanzialmente diverse, utilizzazione
tale da menomare la dignità professionale del giornalista, que sti potrà chiedere la risoluzione del rapporto con diritto alla in
dennità di licenziamento. Uguale diritto spetta al giornalista al
quale per fatti che comportino la responsabilità dell'editore si
sia creata una situazione evidentemente incompatibile con la
sua dignità».
Trattasi, come appare evidente, di tre distinte ipotesi, l'ultima
soltanto delle quali potrebbe ricorrere nella fattispecie poiché non vi è stata certamente utilizzazione dell'opera del giornalista in altro giornale della stessa azienda né, nonostante i timidi ac
cenni contenuti in ricorso, vi è stato un sostanziale cambiamento dell'indirizzo politico del giornale (ed anzi il tipo di vicenda
ben si colloca in quella che è la connotazione politica del gior nale in questione, notoriamente legato a determinati ambienti e
gruppi politici e dunque inevitabilmente attento e cauto nel trat
tare fatti e vicende che tali ambienti e gruppi possano in qual che modo danneggiare), cambiamento che, del resto, nei pochi
giorni in cui ebbe vita il rapporto tra le parti non avrebbe avuto
certo modo di manifestarsi e che comunque non potrebbe mai
concretizzarsi ed essere provato attraverso un unico episodio. Ad avviso del giudicante, tuttavia, non ricorre neppure la terza
delle ipotesi previste dall'art. 32: indipendentemente da quanto dedotto dalla società convenuta sulle condizioni poste dalla nor
ma per la concretizzazione della fattispecie (sarebbe necessaria
una pluralità di fatti e non sufficiente il verificarsi di un sin
golo episodio — i fatti dovrebbero essere addebitati a respon sabilità dell'editore mentre nel caso riguardante il Barberi si sa
rebbe trattato di una legittima, nell'ambito dei poteri suoi pro
pri, iniziativa e decisione della direzione politica del giornale mancando la prova, ed essendovi anzi la prova del contrario; che tale decisione sia stata adottata a seguito di ' contatti ', e
quindi di pressioni, con ' la dirigenza della Segisa ') vi è da dire
che la norma in questione non pare proprio essere creata, tenuto
conto anche della pesante sanzione che per l'editore giustamente
prevede, per situazioni del tipo di cui si sta trattando.
Ha spiegato il teste Cervigni, ed è del resto fatto notorio, co me sia assolutamente normale che, quotidianamente, vi siano con
trasti, spesso anche violenti, tra giornalisti e direzione in ordine alle notizie da pubblicare ed al taglio e rilievo da dare ai vari
articoli; è ovvio che, fin quando tali contrasti rimangono nei
margini della « normalità », il giornalista non può lamentarsene oltre misura e, pur avendo certamente il diritto (e/o dovere) di non proseguire la sua collaborazione con un giornale nel qua le non si identifica, non può di sicuro invocare la cosiddetta nor ma di coscienza, prevista per fatti ed ipotesi che travalichino da quella normalità di cui si è detto e possano risultare tali da
porre in concreto pericolo la dignità professionale del giorna lista.
Si è già detto come debba considerarsi fatto, se non notorio certamente noto nell'ambiente e quindi a tutti i giornalisti, lo stretto collegamento esistente tra il giornale in questione e de terminati gruppi politici (come avviene, del resto, anche per altri giornali e non solo per gli organi ufficiali dei partiti, al di là dell'affermata indipendenza); è ovvio e connaturale a tali
collegamenti, indipendentemente dalle pur assai lodevoli affer mazioni di principio contenute negli accordi aziendali, che, al
momento di adottare determinate decisioni e di scegliere se pub blicare o no alcune notizie o di stabilire come pubblicarle, si
facciano sentire, più o meno pesantemente, dei condizionamenti.
Un professionista dell'esperienza, capacità e preparazione del
Barberi, tanto stimato e noto anche fuori dell'ambiente stretta
mente professionale, non poteva certo ignorare quanto si è detto
né poteva ragionevolmente non prevedere, nel momento in cui
prendeva la decisione di iniziare un rapporto di lavoro con la
Segisa per « Il giorno », quali potessero essere i condizionamenti
ed i collegamenti di tale giornale e dunque i problemi che si sa
rebbero potuti porre al momento di proporre articoli o servizi non
in tono con la cosiddetta linea politica del giornale e oggettiva mente contrastanti con gli interessi di chi al giornale era in
qualche modo collegato ed interessato.
La vicenda di cui è causa risulta allora del tutto emblema
tica ed era assolutamente prevedibile che la decisione della di
rezione sarebbe stata quella che è stata e ciò nonostante il fatto
che la notizia proposta non fosse di particolare rilievo e costi
tuisse solo la prova dell'esistenza di contatti remoti (del resto
già noti) tra la famiglia Leone ed i fratelli Lefèbvre.
Bene ha fatto, è chiaro, il Barberi a decidere di non prose
guire una collaborazione che non poteva, nel tempo, articolarsi
secondo i suoi desideri ma, visto che al momento in cui egli
presentò le sue dimissioni nulla era cambiato rispetto al mo
mento in cui era stato assunto né si erano verificati fatti (ad
opera dell'editore o di suoi preposti) che non fossero in pre cedenza del tutto prevedibili (se si escludono, ovviamente, le
specifiche circostanze di fatto), deve parlarsi piuttosto di un
errore di valutazione commesso dal ricorrente al momento in
cui decise di iniziare il rapporto e non di una responsabilità del
datore di lavoro per aver messo in serio e concreto pericolo la
dignità professionale del suo dipendente.
11 Barberi, si vuol dire, è certamente troppo attento profes sionista per non essere in grado di prevedere, al momento stesso
in cui si accingeva a proporre la notizia di cui si tratta, quale sarebbe stata la reazione della direzione del giornale e non può
quindi, a posteriori, lamentare che ciò abbia leso la sua dignità
professionale e posto in pericolo il suo prestigio che, è pure un
fatto notorio, non è stato affatto scalfito dalla vicenda (del re
sto neppure nota al pubblico che due giorni dopo fu interes
sato a ben più gravi avvenimenti); neppure può condividersi
l'affermazione secondo cui vi sarebbe stata una caduta di con
siderazione tra le « fonti di informazione » presso le quali il ri
corrente aveva appreso la notizia poiché, a parte la conside
razione che il prestigio di un giornalista come il ricorrente non
può di sicuro essere misurato, soprattutto se le fonti di infor
mazione sono particolarmente qualificate, in relazione alle deci
sioni, comunque non note, prese da terzi in ordine all'uso da
farsi delle notizie, è lo stesso ricorrente a contraddire tale ar
gomentazione e tutta la tesi sostenuta in ricorso nel momento
in cui afferma di avere appreso anche un'altra notizia (relativa
alle indagini della Corte costituzionale sul Dainelli ed alle af
fermazioni, poi pubblicate da altri giornali, sulla identificazione
della fantomatica « Antilope » nell'on. Moro) senza proporla al
la direzione; si trattava certamente di notizia di importanza al
meno pari a quella su Vittoria Leone ed il fatto di non averla
proposta per la pubblicazione (né il Cervigni ha dimostrato di sa
perne nulla) costituisce la prova che il ricorrente per primo,
tenuto conto dei « collegamenti » del giornale e senza preoccu
parsi in alcun modo di una eventuale caduta di prestigio presso
le fonti di informazione, esercitava una attività di filtro su
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2323 PARTE PRIMA 2324
quanto veniva apprendendo e non può quindi lamentarsi del
fatto che la stessa cosa, ed in base alle stesse considerazioni (vi
sto che non sembra certo facile spiegare perché non era pro
ponibile la notizia sull'on. Moro), abbiano fatto coloro che ave
vano il potere di farlo.
Certamente da condividere appaiono le affermazioni in astrat
to sulla natura e la portata della clausola di coscienza conte
nute nella ponderosa memoria depositata dal procuratore del ri
corrente, ma non può condividersi l'affermazione che ricorrano
gli estremi per l'applicazione nella fattispecie della clausola.
La domanda, dunque, apparendo, per quel che è dato capire,
interamente collegata al riconoscimento dell'applicabilità della
clausola e non essendovi, allo stato, contestazione dei conteggi
effettuati dalla convenuta, deve essere respinta; l'oggettiva in
certezza della questione trattata costituisce, ad avviso del giu
dicante, giusto motivo per una integrale compensazione delle
spese. Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI ROMA; sentenza 9 aprile 1981; Giud. Cortesani;
Liberati (Avv. Serrao) c. Soc. officine Romanazzi (Avv. Vesci).
Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbli
gatorie — Invalidi — Dimissioni volontarie — Diritto a nuo
vo collocamento obbligatorio — Insussistenza — Provvedimen
to di avviamento al lavoro — Illegittimità — Fattispecie
(Legge 20 marzo 1865 n. 248, ali. E, sul contenzioso ammini
strativo, art. 5; legge 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale
delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministra
zioni e le aziende private, art. 19).
L'invalido, dimissionario da un posto di lavoro compatibile con
le sue condizioni fisiche e confacente alle sue attitudini, non
ha diritto, in dipendenza della volontarietà del suo stato di di
soccupazione, ad essere nuovamente avviato al lavoro ai sensi
della legge 2 aprile 1968 n. 482 (nella specie, era stato emesso
un nuovo provvedimento di avviamento al lavoro, al quale il
datore di lavoro non aveva ottemperato, e che il pretore ha
ritenuto di dover disapplicare, in quanto illegittimo). (1)
(1) In senso conforme v. Pret. Genova 18 marzo 1978, Foro it.,
Rep. 1978, voce Lavoro (collocamento), n. 45 (e, per esteso, in Mass.
giur. lav., 1978, 359, con nota adesiva di C. E. Lucifredi, Sull'in
terpretazione del termine disoccupato in materia di collocamento ob
bligatorio) che alla motivazione fondata sulla ratio legis aggiunge — per ovviare al silenzio della legge n. 482/1968 (e segnatamente
dell'art. 19) sulla ritenuta involontarietà dello stato di disoccupazione
(richiesto per la iscrizione negli appositi elenchi degli invalidi e degli
altri soggetti protetti) — la considerazione che « ogni qual volta le
leggi protettive del lavoro fanno riferimento alla disoccupazione, si
riferiscono a quella involontaria, proprio perché le relative provvi denze devono essere garantite a chi, non per volontà propria, si trova
privo di lavoro ». In senso contrario v. Pret. Trento 12 novembre 1979 (Riv. giur.
lav., 1980, II, 769), che, confutando analiticamente la motivazione
della citata sentenza del Pretore di Genova (e le argomentazioni del
commento di Lucifredi), rileva:
a) l'art. 19 legge n. 482/1968 prevede la iscrizione negli appositi elenchi degli invalidi « che risultino disoccupati », senza che debbano
ricorrere altri requisiti: usa, cioè, le stesse parole della legge 29
aprile 1949 n. 264 sul collocamento ordinario;
b) nel linguaggio corrente, « quando si parla di disoccupazione e
di disoccupato, il pensiero va, rispettivamente, ad una situazione ca
ratterizzata da mancanza di lavoro e a persona senza lavoro e alla
ricerca di esso » (cfr. Levi Sandri, Disoccupazione, voce dell 'Enciclo
pedia del diritto, 1964, XIII, 138); c) nel diritto positivo, mentre ai fini dell'assicurazione obbligato
ria la disoccupazione indennizzabile è quella involontaria « per man
canza di lavoro », ai fini del collocamento « non si tiene conto delle
cause che hanno determinato la cessazione del rapporto, ma solo della
volontà di occuparsi », criteri che valgono anche per i disoccupati
invalidi; d) l'avviamento di invalido, dimissionario da un posto di lavoro
precedentemente occupato, non pregiudica (contrariamente all'opinio ne espressa da Lucifredi nella cit. nota a Pret. Genova) né i lavo
ratori validi disoccupati, con i quali l'invalido non concorre ai fini
del collocamento, né altri lavoratori protetti, in quanto egli viene
collocato all'ultimo posto della relativa lista e, del resto, se non occu
pa un nuovo posto di lavoro, ne ha anche lasciato uno che viene
coperto da un altro invalido; e) la soluzione disattesa porta alla conseguenza « abnorme » che
l'invalido, che si dimette da un posto di lavoro, non possa lavorare
mai più, in quanto non solo non potrebbe iscriversi alle liste per il
collocamento obbligatorio, ma, in dipendenza della sua invalidità, « non potrebbe iscriversi nemmeno in quelle riservate ai lavoratori in
II Pretore, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso
depositato il 15 settembre 1979 Liberati Giancarlo, avviato quale
invalido civile, per l'assunzione obbligatoria presso la soc. officine
Romanazzi con atto obbligante del 12 settembre 1979, lamentava
che la ditta predetta non aveva adempiuto all'obbligo impostole e chiedeva pertanto all'adito Pretore di Roma di voler ordinare
alla soc. Romanazzi l'immediata assunzione al lavoro di esso ri
corrente e con domanda al risarcimento del danno subito nella
misura pari alla retribuzione mensile (lire 300.000) dalla data
di avviamento a quella della decisione con interessi legali e con
vittoria di spese di lite. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Nel merito si osserva che
la domanda attorea non è fondata e deve essere respinta. Invero l'assistenza sociale dei minorati, tra i quali vanno com
presi i mutilati e gli invalidi civili, rientra in quella funzione di
sicurezza sociale mediante la quale lo Stato si propone di realiz
zare una più larga redistribuzione del reddito anche garantendo ad ogni cittadino l'effettività del diritto al lavoro che l'art. 4 Cost,
riconosce e tutela.
Le provvidenze in favore degli invalidi, con specifico riferi
condizioni di salute normale », e, comunque, « anche ammesso che venisse iscritto, giustamente il datore di lavoro non lo ammetterebbe nella sua azienda, poiché ha il diritto di assumere lavoratori in con dizioni normali di salute ».
Nel vigore della normativa precedente la legge n. 482 del 1968, che non prevedeva espressamente lo stato di disoccupazione quale requisito per il collocamento obbligatorio degli invalidi e degli altri soggetti protetti (cfr. Pera, Assunzioni obbligatorie e contratto di lavoro, 1970, 8, nota 14; Id., Invalidi e mutilati, voce dell'Enciclo pedia del diritto, 1972, XXII, 542 ss., specie 547), si è formato — con specifico riferimento alla disciplina del collocamento obbligatorio dei mutilati e degli invalidi di guerra presso le pubbliche amministrazioni:
legge 3 giugno 1950 n. 375 e relativo regolamento esecutivo, d. pres. 18 giugno 1952 n. 1176, specie art. 43 — un consolidato orienta mento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (cfr. Ad. plen. 1° febbraio 1958, n. 1, Foro it., Rep. 1958, voce Concorso ad im piego, n. 122 e, per esteso, in Cons. Stato, 1958, I, 109; Giust. civ., 1958, II, 29 e Giur. it., 1958, III, 161; Sez. V 23 gennaio 1959, n. 2, Foro it., Rep. 1959, voce cit., n. 117; 15 luglio 1961, n. 415, id., Rep. 1961, voce Invalidi, n. 15 e, per esteso, in Foro amm., 1961, I, 1415; Ad. gen. 22 febbraio 1963, n. 496, e Sez. V 13 marzo 1964, n. 365, Foro it., Rep. 1964, voce cit., nn. 19, 20) nel senso che lo stato di occupazione non osta al collocamento obbligatorio anche in un posto « identico » a quello già ricoperto.
Per una valutazione critica di tale orientamento giurisprudenziale v. Guicciardi, Per un ridimensionamento della precedenza nella as sunzione degli invalidi, in Giur. it., 1966, III, 201 (nota a Cons. Stato, Sez. V, 11 marzo 1966, n. 418, Foro it., Rep. 1966, voce cit., n. 27).
Sulla ratio e la « giustificazione costituzionale » delle assunzioni ob bligatorie, fulcro della motivazione della sentenza su riportata, cfr. Corte cost. 15 giugno 1960, n. 38, id., 1960, I, 1677 e 11 luglio 1961, n. 55, id., 1961, I, 1267 (che, pur riguardando, la prima, il d. 1. 3 ottobre 1947 n. 1222 e, la seconda, la legge 3 giugno 1950 n. 375 sulla assunzione obbligatoria dei mutilati e degli invalidi di guerra, contengono enunciazioni, che si attagliano perfettamente anche alla disciplina generale, di cui alla legge n. 482 del 1968); Cass. 27 gen naio 1978, n. 400, e 10 agosto 1977, n. 3702, id., 1978, I, 1226, con nota di richiami e commento di O. Mazzotta, Interrogativi su di una « contrastata » svolta giurisprudenziale (a proposito di assun zioni obbligatorie e patto di prova)-, Sez. un. 27 marzo 1979, n. 1764, id., 1979, I, 918; 27 febbraio 1981, n. 1199, (che sarà riportata su uno dei prossimi fascicoli), Giust. civ., 1981, I, 943, definita «una specie di felice trattatello sul sistema delle assunzioni obbligatorie » nella nota di Pera. In dottrina: Pera, Assunzioni obbligatorie, cit., 4-6, 65 ss., spec. 117; Id., Invalidi e mutilati, cit., 543.
Sul collocamento ordinario della mano d'opera v. Corte cost. 17 aprile 1957, n. 53, Foro it., 1957, I, 729, con nota di Flammia, Col locamento dei lavoratori e art. 16 Cost.; 8 aprile 1958, n. 30, id., 1958, I, 843.
Sulla nozione « costituzionale » di disoccupazione involontaria, ai diversi fini della tutela previdenziale relativa, v. Corte cost. 6 giugno 1974, n. 160, id., 1974, I, 1962, con nota di Alibrandi, Tutela previ denziale della disoccupazione e comportamento del lavoratore, in Mass. giur. lav., 1974, 596.
La soluzione, proposta dalla sentenza che si riporta, concorre ad arricchire l'elenco (riportato nella nota redazionale a Cass. 2 marzo 1979, n. 1322, e 22 gennaio 1979, n. 487, Foro it., 1979, I, 1462) delle ipotesi, identificate dalla giurisprudenza, di rifiuto legittimo, da parte del datore di lavoro, di assumere invalidi od altri beneficiari del collocamento obbligatorio.
In dottrina, sulle assunzioni obbligatorie in generale, v. Pera, As sunzioni obbligatorie, cit.; Id., Invalidi e mutilati, cit.; Condemi, Di sciplina generale delle assunzioni obbligatorie al lavoro, 1970; Cre mascoli, Le assunzioni obbligatorie al lavoro; Montuschi, I limiti legali nella conclusione del contratto di lavoro, 1967.
M. De Luca
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