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sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petrucci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - società...

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sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petrucci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - società editrice «Il giorno »(Avv. Mariconda, Zingoni) Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2319/2320-2323/2324 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23173055 . Accessed: 25/06/2014 09:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 09:03:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petrucci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - società editrice « Il giorno » (Avv. Mariconda, Zingoni)

sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petrucci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - societàeditrice «Il giorno »(Avv. Mariconda, Zingoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2319/2320-2323/2324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173055 .

Accessed: 25/06/2014 09:03

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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2319 PARTE PRIMA 2320

sua sostanza, deve essere rilevata d'ufficio mediante sentenza con

la quale viene disposto il termine perentorio per la riassunzione

della causa davanti al conciliatore competente di Bassano del

Grappa. Il termine per detta riassunzione può essere fissato in quello

di trenta giorni. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI ROMA; sentenza 20 maggio 1981; Giud. Petruc

ci; Barberi (Avv. Rienzi, Sulas) c. Soc. Segisa - società edi

trice « Il giorno » (Avv. Mariconda, Zingoni).

PRETURA DI ROMA;

Lavoro (rapporto) — Lavoro giornalistico — C. d. clausola di

coscienza — Dimissioni del giornalista — Giusta causa — Esclu

sione — Fattispecie.

Non costituisce giusta causa di dimissioni dal rapporto di lavoro

giornalistico ai sensi dell'art. 32 del relativo c.c.n.l. la man

cata pubblicazione di una notizia ritenuta « inopportuna » dal

la direzione (che non ne metteva in dubbio l'autenticità e la

veridicità), ove il giornalista all'atto dell'instaurazione del rap

porto possa essere stato in grado, tra l'altro anche in base alle

sue capacità professionali, di individuare la connotazione po

litica del giornale, notoriamente legato a determinati ambienti

e gruppi politici e dunque inevitabilmente attento e cauto

nel trattare fatti e vicende che tali ambienti e gruppi avessero

potuto in qualche modo danneggiare (nella specie, la notizia

proposta per la pubblicazione voleva costituire una prova del

la esistenza di contatti remoti, del resto già noti nell'ambito

del c. d. scandalo Lockheed, tra la famiglia Leone ed i fra telli Lefebvre; il giudice ha, tra l'altro, rilevato che il gior nalista non poteva dolersi del comportamento della direzione

in quanto, in altra occasione, aveva esercitato una attività di

filtro di quanto veniva apprendendo sullo scandalo non pro

ponendo, come risulta dal suo ricorso, per la pubblicazione,

per esempio, la notizia sulle affermazioni, riportate poi da al

tri giornali, sulla identificazione della fantomatica « Antilope »

nell'on. Moro). (1)

Il Pretore, ecc. — Svolgimento del processo1 e motivi della de

cisione. — Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., depositato il

giorno 11 dicembre 1978 e notificato, con il decreto ex art. 415

cod. proc. civ., il 22 dicembre 1978, Andrea Barberi ha conve

nuto in giudizio la Segisa, società editrice « Il giorno », s.p.a. con sede in Milano, in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, chiedendo:

(1) Scarsi i precedenti giurisprudenziali sull'interpretazione e ap plicazione dell'art. 32 c.c.n.l. giornalistico relativo alla c. d. clausola di coscienza, che consente al giornalista di recedere dal contratto di lavoro senza subire gli svantaggi conseguenti alle dimissioni ordinarie: cfr., a tal proposito, l'ampia nota di richiami e le osservazioni di P. Genoviva a Cass. 19 maggio 1979, n. 2885, in Foro it., 1979, I, 2021, relativa alla vicenda del cambiamento di indirizzo politico del « Cor riere della sera », adde, successivamente, la nota di commento alla sent, di R. Franceschelli, Il giornalista e il suo diritto alla « coda », in Riv. dir. ind., 1979, II, 412; dello stesso autore cfr. inoltre, id., 1979, II, 7, Ancora sulla clausola di coscienza di cui all'art. 32 del contratto collettivo di lavoro giornalistico, nota a Trib. Milano 20 settembre 1977, resa nella vicenda processuale di cui a Cass. 2885/ 1979, e a Trib. Milano 17 gennaio 1978. In dottrina, tra gli altri, da ultimo, P. Zanelli, in II contratto dei giornalisti, Commento al contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, a cura di F.

Carinci, Bologna, 1980, 184 segg.; per il diritto comparato, Desantes, Nieto, Urabayen, La clàusola de conciencia, Ed. Universidad de Na

varca, Pamplona, 1978. Per riferimenti storici v., da ultimo, C. Pinelli, Il giornalista, l'indirizzo politico e l'impresa editoriale nella giurispru denza e nella dottrina del periodo giolittiano: spunti ricostruttivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 217.

Sull'interpretazione del 2° comma dell'art. 32 applicabile ogni volta che si sia in presenza di fatti imputabili a responsabilità dell'editore e tali da integrare nell'ambito della azienda una situazione incom patibile con la dignità del giornalista cfr. Trib. Milano 23 luglio - 8 ottobre 1976 (Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro (rapporto), n. 879 e id., Rep. 1978, voce cit., n. 1141 e per esteso in Riv. dir. ind., 1978, II, 100, con nota di R. Franceschelli, e in Riv. dir. comm., 1976, II, 384, con nota di F. Chiomenti) secondo cui costituiscono giusta causa di dimissioni i mutamenti dei titoli di un articolo scritto da un caposervizio di una data sezione, cambiamento obiettivamente ingiu stificato e imposto, all'insaputa del caposervizio stesso e autore del l'articolo, da un gruppo di redattori che lavorano alle sue dipendenze.

Le varie fasi processuali della vicenda Lockheed sono ricordate nella nota di richiami a Corte conti, Sez. I, 12 novembre 1980, n. 106, Foro it., 1981, III, 22.

— dichiararsi che il rapporto di lavoro con la società (inizio:

15 febbraio 1978 — qualifica: giornalista professionista, inviato

speciale — normativa regolatrice del rapporto: c.c.n.l. 29 giu

gno 1977 — trattamento economico lordo: lire 1.659.381 men

sili) era stato risolto per dimissioni di esso ricorrente (cfr. let

tera 16 marzo 1978) determinate da fatto e colpa esclusiva del da

tore di lavoro, ex art. 32 del contratto collettivo;

— la condanna della società al pagamento delle indennità tut

te dovute nel caso di risoluzione del rapporto ex art. 32 (inden

nità redazionale ex art. 16 c.c.n.l., indennità di anzianità ex art.

27, indennità fissa ex art. 27, lett. c, indennità di mancato preav

viso, compenso per ferie non godute ex art. 23, rimborso B.T.P.,

assegni familiari parziali, compenso per servizi speciali, 13a men

silità ex art. 13) per l'ammontare complessivo di lire 20.916.859

oltre agli interessi del 9 % ex art. 28 c.c.n.l. e rivalutazione mo

netaria.

In particolare il ricorrente, a sostegno della sua domanda, ha

dedotto: di godere, per l'alto grado di professionalità e perizia

sempre dimostrate e riconosciutegli durante -a sua lunga attività

professionale, la stima incondizionata dell'intero mondo giorna

listico; di avere, non appena assunto presso « Il giorno », con

dotto una laboriosa e delicata indagine, previo contatto con « nu

merose ed autorevoli fonti di informazione », che lo aveva por tato a conoscere fatti riguardanti i rapporti intercorsi tra Anto

nio Lefèbvre e Vittoria Michitto, moglie dell'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, e, in particolare, che la Mi

chitto era stata interrogata dal giudice istruttore della Corte co

stituzionale Gionfrida in merito all'assegno dell'importo di circa

lire 100.000.000 da lei emesso a favore del Lefèbvre per resti

tuzione della somma avuta molti anni prima alla stipula di

compromesso per la vendita di un terreno di proprietà sua e

dei suoi due fratelli; di avere anche appreso che la Corte costi

tuzionale aveva stabilito di non approfondire le indagini relative

all'on. Aldo Moro, dopo avere ascoltato tale sig. Dainelli che, in una conversazione telefonica intercettata dall'apparecchio del

la moglie del gen. Fanali, aveva affermato: «insomma, l'An

tilope è Moro », e che, chiamato a render conto di tale affer

mazione, aveva a sua volta chiamato in causa il giornalista Enrico Mattei, l'ex ambasciatore U.S.A. in Italia John Volpe, un suo assistente ed un ufficiale della C.i.a.; di avere riferito

tali notizie al suo superiore gerarchico dott. Giovanni Cervigni,

capo della redazione romana del giornale, e di avere dallo stesso

poi appreso che la direzione rifiutava la pubblicazione di noti

zie di quel genere riguardanti lo scandalo Lockheed; di avere, il

13 marzo 1978, inviato una lettera di protesta al Cervigni con

testando l'atteggiamento del giornale e riesponendo le notizie da

pubblicare, in un primo tempo accettate dalla direzione e poco

dopo rifiutate, « in seguito ad un contatto della direzione stessa

con la dirigenza della Segisa », con l'unica spiegazione che « la

moglie di Cesare non può neppure essere nominata »; di avere

quindi annunciato la propria intenzione di dimettersi, con riferi

mento a quanto stabilito dall'art. 32 del contratto collettivo, per la gravità dei fatti accaduti ed a tutela della propria dignità pro fessionale e della propria credibilità, e di avere ribadito tale vo lontà nella lettera 16 marzo 1978; di avere avuto dimostrazioni

di solidarietà da parte del presidente dell'Istituzo nazionale di

previdenza dei giornalisti italiani e dei colleghi della redazione di

Roma de «Il giorno»; di avere perciò diritto a tutte le inden

nità spettanti in caso di licenziamento ed alla restituzione del

l'indennità di mancato preavviso trattenutagli dalla società in

revoca di « tutte le precedenti indicazioni ».

Depositando memoria difensiva e documenti si è ritualmente

e tempestivamente costituita in giudizio la società convenuta

chiedendo la reiezione della domanda ritenuta infondata per in

sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per una applica zione della norma del contratto collettivo invocata dal ricorrente

che si era limitato ad offrire notizie e non un servizio od un ar

ticolo, notizie che la direzione del giornale (e non l'editore) ave

va ritenuto, « con atteggiarr. nto di responsabile cautela », di

non pubblicare.

Interrogate le parti, espletata la prova testimoniale dedotta dal

ricorrente, depositate note illustrative autorizzate, nel corso del

l'udienza odierna, dopo la discussione orale, è stata pronunciata la decisione di cui al dispositivo.

Dalla deposizione resa dal teste Cervigni, capo della redazione romana de « Il giorno », di piena ed indiscussa attendibilità, è emerso: nel pomeriggio del 13 marzo 1978 il ricorrente ha espo sto al capo-redattore il contenuto del pezzo che aveva intenzione di proporre, per l'edizione del giorno successivo, sulla vicenda

Lockheed, con particolare riguardo ad una notizia (in possesso anche di altro giornale) su un assegno che da Vittoria Leone sarebbe stato dato ad uno dei fratelli Lefèbvre; il Cervigni, nel

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

corso della rituale e quotidiana telefonata fatta alla direzione del

giornale a Milano per ricevere istruzioni sui servizi e gli articoli da preparare e pubblicare (« per ciò che riguarda linea, quan tità e tono »), ha comunicato al vice direttore Rozzoni anche il contenuto del servizio proposto dal Barberi ricevendone l'indi cazione di lasciar fuori dal pezzo la notizia riguardante Vittoria

Leone, notizia della quale non è stata in alcun modo messa in dubbio l'autenticità ma di cui è stata ritenuta « inopportuna »

la pubblicazione.

Questo il fatto che ha determinato la violenta reazione del ricorrente e la sua decisione di dimettersi con effetto immediato dal giornale.

Il fatto in sé, valutato dal punto di vista socio-politico, si com

menta, ovviamente, da solo ed appare veramente stupefacente come sia stata ritenuta inopportuna la pubblicazione di una no

tizia, posseduta praticamente in esclusiva, in merito ad una vi cenda di tanta importanza e di cosi' grande rilievo; è evidente

che il giudizio di « inopportunità » della pubblicazione, indipen dentemente da quanto possa in effetti essere stato detto, non

può che aver avuto stretto riguardo ad una precisa volontà di

non portare ulteriori attacchi alla famiglia del presidente della

Repubblica posto che, come ha riconosciuto anche il rappre sentante dell'azienda e come ha dichiarato il Cervigni, non ve

niva in alcun modo messa in dubbio l'autenticità e la veridicità

della notizia.

Decisione, dunque, di carattere strettamente politico: se si

ripensa al clima del momento, alle roventi polemiche sulla vi cenda Lockheed, alle implicazioni politiche di quanto di giorno in giorno si veniva a sapere sui coinvolgimenti e responsabilità di tanti importanti ed autorevoli personaggi nonché di alte ca

riche dello Stato, al fatto che, a livello politico, era già da tem

po in corso una vera e propria « campagna » per la successione

al Quirinale mentre da più parti, ed ormai da tempo, si chie

devano con sempre maggiore insistenza le dimissioni del presi dente Leone, il giudizio (del cittadino e del lettore) sulla vi

cenda che è oggetto di questa causa è presto dato e non può che coincidere con quello che il Barberi ne ha dato e ne con

tinua a dare.

Il problema, tuttavia, non è certamente da porsi in questi ter

mini poiché compito del giudicante è solo quello di stabilire

se, in relazione alle circostanze di fatto accertate, ricorrano gli estremi per l'applicazione della norma del contratto collettivo in

vocata dal ricorrente.

Dispone la norma in questione: « Nel caso di sostanziale

cambiamento dell'indirizzo politico del giornale ovvero di uti

lizzazione dell'opera del giornalista in altro giornale della stessa

azienda con caratteristiche sostanzialmente diverse, utilizzazione

tale da menomare la dignità professionale del giornalista, que sti potrà chiedere la risoluzione del rapporto con diritto alla in

dennità di licenziamento. Uguale diritto spetta al giornalista al

quale per fatti che comportino la responsabilità dell'editore si

sia creata una situazione evidentemente incompatibile con la

sua dignità».

Trattasi, come appare evidente, di tre distinte ipotesi, l'ultima

soltanto delle quali potrebbe ricorrere nella fattispecie poiché non vi è stata certamente utilizzazione dell'opera del giornalista in altro giornale della stessa azienda né, nonostante i timidi ac

cenni contenuti in ricorso, vi è stato un sostanziale cambiamento dell'indirizzo politico del giornale (ed anzi il tipo di vicenda

ben si colloca in quella che è la connotazione politica del gior nale in questione, notoriamente legato a determinati ambienti e

gruppi politici e dunque inevitabilmente attento e cauto nel trat

tare fatti e vicende che tali ambienti e gruppi possano in qual che modo danneggiare), cambiamento che, del resto, nei pochi

giorni in cui ebbe vita il rapporto tra le parti non avrebbe avuto

certo modo di manifestarsi e che comunque non potrebbe mai

concretizzarsi ed essere provato attraverso un unico episodio. Ad avviso del giudicante, tuttavia, non ricorre neppure la terza

delle ipotesi previste dall'art. 32: indipendentemente da quanto dedotto dalla società convenuta sulle condizioni poste dalla nor

ma per la concretizzazione della fattispecie (sarebbe necessaria

una pluralità di fatti e non sufficiente il verificarsi di un sin

golo episodio — i fatti dovrebbero essere addebitati a respon sabilità dell'editore mentre nel caso riguardante il Barberi si sa

rebbe trattato di una legittima, nell'ambito dei poteri suoi pro

pri, iniziativa e decisione della direzione politica del giornale mancando la prova, ed essendovi anzi la prova del contrario; che tale decisione sia stata adottata a seguito di ' contatti ', e

quindi di pressioni, con ' la dirigenza della Segisa ') vi è da dire

che la norma in questione non pare proprio essere creata, tenuto

conto anche della pesante sanzione che per l'editore giustamente

prevede, per situazioni del tipo di cui si sta trattando.

Ha spiegato il teste Cervigni, ed è del resto fatto notorio, co me sia assolutamente normale che, quotidianamente, vi siano con

trasti, spesso anche violenti, tra giornalisti e direzione in ordine alle notizie da pubblicare ed al taglio e rilievo da dare ai vari

articoli; è ovvio che, fin quando tali contrasti rimangono nei

margini della « normalità », il giornalista non può lamentarsene oltre misura e, pur avendo certamente il diritto (e/o dovere) di non proseguire la sua collaborazione con un giornale nel qua le non si identifica, non può di sicuro invocare la cosiddetta nor ma di coscienza, prevista per fatti ed ipotesi che travalichino da quella normalità di cui si è detto e possano risultare tali da

porre in concreto pericolo la dignità professionale del giorna lista.

Si è già detto come debba considerarsi fatto, se non notorio certamente noto nell'ambiente e quindi a tutti i giornalisti, lo stretto collegamento esistente tra il giornale in questione e de terminati gruppi politici (come avviene, del resto, anche per altri giornali e non solo per gli organi ufficiali dei partiti, al di là dell'affermata indipendenza); è ovvio e connaturale a tali

collegamenti, indipendentemente dalle pur assai lodevoli affer mazioni di principio contenute negli accordi aziendali, che, al

momento di adottare determinate decisioni e di scegliere se pub blicare o no alcune notizie o di stabilire come pubblicarle, si

facciano sentire, più o meno pesantemente, dei condizionamenti.

Un professionista dell'esperienza, capacità e preparazione del

Barberi, tanto stimato e noto anche fuori dell'ambiente stretta

mente professionale, non poteva certo ignorare quanto si è detto

né poteva ragionevolmente non prevedere, nel momento in cui

prendeva la decisione di iniziare un rapporto di lavoro con la

Segisa per « Il giorno », quali potessero essere i condizionamenti

ed i collegamenti di tale giornale e dunque i problemi che si sa

rebbero potuti porre al momento di proporre articoli o servizi non

in tono con la cosiddetta linea politica del giornale e oggettiva mente contrastanti con gli interessi di chi al giornale era in

qualche modo collegato ed interessato.

La vicenda di cui è causa risulta allora del tutto emblema

tica ed era assolutamente prevedibile che la decisione della di

rezione sarebbe stata quella che è stata e ciò nonostante il fatto

che la notizia proposta non fosse di particolare rilievo e costi

tuisse solo la prova dell'esistenza di contatti remoti (del resto

già noti) tra la famiglia Leone ed i fratelli Lefèbvre.

Bene ha fatto, è chiaro, il Barberi a decidere di non prose

guire una collaborazione che non poteva, nel tempo, articolarsi

secondo i suoi desideri ma, visto che al momento in cui egli

presentò le sue dimissioni nulla era cambiato rispetto al mo

mento in cui era stato assunto né si erano verificati fatti (ad

opera dell'editore o di suoi preposti) che non fossero in pre cedenza del tutto prevedibili (se si escludono, ovviamente, le

specifiche circostanze di fatto), deve parlarsi piuttosto di un

errore di valutazione commesso dal ricorrente al momento in

cui decise di iniziare il rapporto e non di una responsabilità del

datore di lavoro per aver messo in serio e concreto pericolo la

dignità professionale del suo dipendente.

11 Barberi, si vuol dire, è certamente troppo attento profes sionista per non essere in grado di prevedere, al momento stesso

in cui si accingeva a proporre la notizia di cui si tratta, quale sarebbe stata la reazione della direzione del giornale e non può

quindi, a posteriori, lamentare che ciò abbia leso la sua dignità

professionale e posto in pericolo il suo prestigio che, è pure un

fatto notorio, non è stato affatto scalfito dalla vicenda (del re

sto neppure nota al pubblico che due giorni dopo fu interes

sato a ben più gravi avvenimenti); neppure può condividersi

l'affermazione secondo cui vi sarebbe stata una caduta di con

siderazione tra le « fonti di informazione » presso le quali il ri

corrente aveva appreso la notizia poiché, a parte la conside

razione che il prestigio di un giornalista come il ricorrente non

può di sicuro essere misurato, soprattutto se le fonti di infor

mazione sono particolarmente qualificate, in relazione alle deci

sioni, comunque non note, prese da terzi in ordine all'uso da

farsi delle notizie, è lo stesso ricorrente a contraddire tale ar

gomentazione e tutta la tesi sostenuta in ricorso nel momento

in cui afferma di avere appreso anche un'altra notizia (relativa

alle indagini della Corte costituzionale sul Dainelli ed alle af

fermazioni, poi pubblicate da altri giornali, sulla identificazione

della fantomatica « Antilope » nell'on. Moro) senza proporla al

la direzione; si trattava certamente di notizia di importanza al

meno pari a quella su Vittoria Leone ed il fatto di non averla

proposta per la pubblicazione (né il Cervigni ha dimostrato di sa

perne nulla) costituisce la prova che il ricorrente per primo,

tenuto conto dei « collegamenti » del giornale e senza preoccu

parsi in alcun modo di una eventuale caduta di prestigio presso

le fonti di informazione, esercitava una attività di filtro su

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2323 PARTE PRIMA 2324

quanto veniva apprendendo e non può quindi lamentarsi del

fatto che la stessa cosa, ed in base alle stesse considerazioni (vi

sto che non sembra certo facile spiegare perché non era pro

ponibile la notizia sull'on. Moro), abbiano fatto coloro che ave

vano il potere di farlo.

Certamente da condividere appaiono le affermazioni in astrat

to sulla natura e la portata della clausola di coscienza conte

nute nella ponderosa memoria depositata dal procuratore del ri

corrente, ma non può condividersi l'affermazione che ricorrano

gli estremi per l'applicazione nella fattispecie della clausola.

La domanda, dunque, apparendo, per quel che è dato capire,

interamente collegata al riconoscimento dell'applicabilità della

clausola e non essendovi, allo stato, contestazione dei conteggi

effettuati dalla convenuta, deve essere respinta; l'oggettiva in

certezza della questione trattata costituisce, ad avviso del giu

dicante, giusto motivo per una integrale compensazione delle

spese. Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI ROMA; sentenza 9 aprile 1981; Giud. Cortesani;

Liberati (Avv. Serrao) c. Soc. officine Romanazzi (Avv. Vesci).

Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbli

gatorie — Invalidi — Dimissioni volontarie — Diritto a nuo

vo collocamento obbligatorio — Insussistenza — Provvedimen

to di avviamento al lavoro — Illegittimità — Fattispecie

(Legge 20 marzo 1865 n. 248, ali. E, sul contenzioso ammini

strativo, art. 5; legge 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale

delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministra

zioni e le aziende private, art. 19).

L'invalido, dimissionario da un posto di lavoro compatibile con

le sue condizioni fisiche e confacente alle sue attitudini, non

ha diritto, in dipendenza della volontarietà del suo stato di di

soccupazione, ad essere nuovamente avviato al lavoro ai sensi

della legge 2 aprile 1968 n. 482 (nella specie, era stato emesso

un nuovo provvedimento di avviamento al lavoro, al quale il

datore di lavoro non aveva ottemperato, e che il pretore ha

ritenuto di dover disapplicare, in quanto illegittimo). (1)

(1) In senso conforme v. Pret. Genova 18 marzo 1978, Foro it.,

Rep. 1978, voce Lavoro (collocamento), n. 45 (e, per esteso, in Mass.

giur. lav., 1978, 359, con nota adesiva di C. E. Lucifredi, Sull'in

terpretazione del termine disoccupato in materia di collocamento ob

bligatorio) che alla motivazione fondata sulla ratio legis aggiunge — per ovviare al silenzio della legge n. 482/1968 (e segnatamente

dell'art. 19) sulla ritenuta involontarietà dello stato di disoccupazione

(richiesto per la iscrizione negli appositi elenchi degli invalidi e degli

altri soggetti protetti) — la considerazione che « ogni qual volta le

leggi protettive del lavoro fanno riferimento alla disoccupazione, si

riferiscono a quella involontaria, proprio perché le relative provvi denze devono essere garantite a chi, non per volontà propria, si trova

privo di lavoro ». In senso contrario v. Pret. Trento 12 novembre 1979 (Riv. giur.

lav., 1980, II, 769), che, confutando analiticamente la motivazione

della citata sentenza del Pretore di Genova (e le argomentazioni del

commento di Lucifredi), rileva:

a) l'art. 19 legge n. 482/1968 prevede la iscrizione negli appositi elenchi degli invalidi « che risultino disoccupati », senza che debbano

ricorrere altri requisiti: usa, cioè, le stesse parole della legge 29

aprile 1949 n. 264 sul collocamento ordinario;

b) nel linguaggio corrente, « quando si parla di disoccupazione e

di disoccupato, il pensiero va, rispettivamente, ad una situazione ca

ratterizzata da mancanza di lavoro e a persona senza lavoro e alla

ricerca di esso » (cfr. Levi Sandri, Disoccupazione, voce dell 'Enciclo

pedia del diritto, 1964, XIII, 138); c) nel diritto positivo, mentre ai fini dell'assicurazione obbligato

ria la disoccupazione indennizzabile è quella involontaria « per man

canza di lavoro », ai fini del collocamento « non si tiene conto delle

cause che hanno determinato la cessazione del rapporto, ma solo della

volontà di occuparsi », criteri che valgono anche per i disoccupati

invalidi; d) l'avviamento di invalido, dimissionario da un posto di lavoro

precedentemente occupato, non pregiudica (contrariamente all'opinio ne espressa da Lucifredi nella cit. nota a Pret. Genova) né i lavo

ratori validi disoccupati, con i quali l'invalido non concorre ai fini

del collocamento, né altri lavoratori protetti, in quanto egli viene

collocato all'ultimo posto della relativa lista e, del resto, se non occu

pa un nuovo posto di lavoro, ne ha anche lasciato uno che viene

coperto da un altro invalido; e) la soluzione disattesa porta alla conseguenza « abnorme » che

l'invalido, che si dimette da un posto di lavoro, non possa lavorare

mai più, in quanto non solo non potrebbe iscriversi alle liste per il

collocamento obbligatorio, ma, in dipendenza della sua invalidità, « non potrebbe iscriversi nemmeno in quelle riservate ai lavoratori in

II Pretore, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso

depositato il 15 settembre 1979 Liberati Giancarlo, avviato quale

invalido civile, per l'assunzione obbligatoria presso la soc. officine

Romanazzi con atto obbligante del 12 settembre 1979, lamentava

che la ditta predetta non aveva adempiuto all'obbligo impostole e chiedeva pertanto all'adito Pretore di Roma di voler ordinare

alla soc. Romanazzi l'immediata assunzione al lavoro di esso ri

corrente e con domanda al risarcimento del danno subito nella

misura pari alla retribuzione mensile (lire 300.000) dalla data

di avviamento a quella della decisione con interessi legali e con

vittoria di spese di lite. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Nel merito si osserva che

la domanda attorea non è fondata e deve essere respinta. Invero l'assistenza sociale dei minorati, tra i quali vanno com

presi i mutilati e gli invalidi civili, rientra in quella funzione di

sicurezza sociale mediante la quale lo Stato si propone di realiz

zare una più larga redistribuzione del reddito anche garantendo ad ogni cittadino l'effettività del diritto al lavoro che l'art. 4 Cost,

riconosce e tutela.

Le provvidenze in favore degli invalidi, con specifico riferi

condizioni di salute normale », e, comunque, « anche ammesso che venisse iscritto, giustamente il datore di lavoro non lo ammetterebbe nella sua azienda, poiché ha il diritto di assumere lavoratori in con dizioni normali di salute ».

Nel vigore della normativa precedente la legge n. 482 del 1968, che non prevedeva espressamente lo stato di disoccupazione quale requisito per il collocamento obbligatorio degli invalidi e degli altri soggetti protetti (cfr. Pera, Assunzioni obbligatorie e contratto di lavoro, 1970, 8, nota 14; Id., Invalidi e mutilati, voce dell'Enciclo pedia del diritto, 1972, XXII, 542 ss., specie 547), si è formato — con specifico riferimento alla disciplina del collocamento obbligatorio dei mutilati e degli invalidi di guerra presso le pubbliche amministrazioni:

legge 3 giugno 1950 n. 375 e relativo regolamento esecutivo, d. pres. 18 giugno 1952 n. 1176, specie art. 43 — un consolidato orienta mento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (cfr. Ad. plen. 1° febbraio 1958, n. 1, Foro it., Rep. 1958, voce Concorso ad im piego, n. 122 e, per esteso, in Cons. Stato, 1958, I, 109; Giust. civ., 1958, II, 29 e Giur. it., 1958, III, 161; Sez. V 23 gennaio 1959, n. 2, Foro it., Rep. 1959, voce cit., n. 117; 15 luglio 1961, n. 415, id., Rep. 1961, voce Invalidi, n. 15 e, per esteso, in Foro amm., 1961, I, 1415; Ad. gen. 22 febbraio 1963, n. 496, e Sez. V 13 marzo 1964, n. 365, Foro it., Rep. 1964, voce cit., nn. 19, 20) nel senso che lo stato di occupazione non osta al collocamento obbligatorio anche in un posto « identico » a quello già ricoperto.

Per una valutazione critica di tale orientamento giurisprudenziale v. Guicciardi, Per un ridimensionamento della precedenza nella as sunzione degli invalidi, in Giur. it., 1966, III, 201 (nota a Cons. Stato, Sez. V, 11 marzo 1966, n. 418, Foro it., Rep. 1966, voce cit., n. 27).

Sulla ratio e la « giustificazione costituzionale » delle assunzioni ob bligatorie, fulcro della motivazione della sentenza su riportata, cfr. Corte cost. 15 giugno 1960, n. 38, id., 1960, I, 1677 e 11 luglio 1961, n. 55, id., 1961, I, 1267 (che, pur riguardando, la prima, il d. 1. 3 ottobre 1947 n. 1222 e, la seconda, la legge 3 giugno 1950 n. 375 sulla assunzione obbligatoria dei mutilati e degli invalidi di guerra, contengono enunciazioni, che si attagliano perfettamente anche alla disciplina generale, di cui alla legge n. 482 del 1968); Cass. 27 gen naio 1978, n. 400, e 10 agosto 1977, n. 3702, id., 1978, I, 1226, con nota di richiami e commento di O. Mazzotta, Interrogativi su di una « contrastata » svolta giurisprudenziale (a proposito di assun zioni obbligatorie e patto di prova)-, Sez. un. 27 marzo 1979, n. 1764, id., 1979, I, 918; 27 febbraio 1981, n. 1199, (che sarà riportata su uno dei prossimi fascicoli), Giust. civ., 1981, I, 943, definita «una specie di felice trattatello sul sistema delle assunzioni obbligatorie » nella nota di Pera. In dottrina: Pera, Assunzioni obbligatorie, cit., 4-6, 65 ss., spec. 117; Id., Invalidi e mutilati, cit., 543.

Sul collocamento ordinario della mano d'opera v. Corte cost. 17 aprile 1957, n. 53, Foro it., 1957, I, 729, con nota di Flammia, Col locamento dei lavoratori e art. 16 Cost.; 8 aprile 1958, n. 30, id., 1958, I, 843.

Sulla nozione « costituzionale » di disoccupazione involontaria, ai diversi fini della tutela previdenziale relativa, v. Corte cost. 6 giugno 1974, n. 160, id., 1974, I, 1962, con nota di Alibrandi, Tutela previ denziale della disoccupazione e comportamento del lavoratore, in Mass. giur. lav., 1974, 596.

La soluzione, proposta dalla sentenza che si riporta, concorre ad arricchire l'elenco (riportato nella nota redazionale a Cass. 2 marzo 1979, n. 1322, e 22 gennaio 1979, n. 487, Foro it., 1979, I, 1462) delle ipotesi, identificate dalla giurisprudenza, di rifiuto legittimo, da parte del datore di lavoro, di assumere invalidi od altri beneficiari del collocamento obbligatorio.

In dottrina, sulle assunzioni obbligatorie in generale, v. Pera, As sunzioni obbligatorie, cit.; Id., Invalidi e mutilati, cit.; Condemi, Di sciplina generale delle assunzioni obbligatorie al lavoro, 1970; Cre mascoli, Le assunzioni obbligatorie al lavoro; Montuschi, I limiti legali nella conclusione del contratto di lavoro, 1967.

M. De Luca

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