sentenza 20 maggio 1983; Pres. Brachetti, Est. Iacoboni; Romadori (Avv. Ponzi) c. I.n.a.i.l. (Avv.Ciafrè, Petacca, Zucconi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2269/2270-2271/2272Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177021 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
comunque, potrai essere ancora costretta a contrarre sino al
termine della locazione, da te stipulata con la curatela fallimenta
reb) a sostituirmi immediatamente a te in tutte le obbliga zioni e passività, nonché a rivalerti e garantirti da tutte le
conseguenze dannose, derivanti da eventuali azioni legali, sempre se connesse alla gestione dell'azienda ». La « utilizzazione » dell'a zienda e la « gestione » da parte dell'Amadio, di cui la Galitzine
riconobbe la correttezza e la regolarità quanto alle risultanze
economiche e contabili, e quegli impegni assunti dalla Galitzine
nei confronti dell'Amadio postulano l'esercizio da parte di que st'ultima della attività imprenditoriale utilizzando l'azienda quale necessario strumento finalizzato a quella funzione: che, altrimenti, non avrebbero senso né il riconoscimento della correttezza della « utilizzazione » della azienda e della regolarità « delle risultanze
economiche e contabili della gestione », né l'obbligazione assunta
dalla Galitzine di rilevare e garantire l'Amadio da tutte le
obbligazioni « connesse alla gestione dell'azienda », cioè sorte a
carico dell'Amadio nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, e
di sostituirsi alla medesima Amadio in quelle obbligazioni. Risul
tanze della scrittura privata, queste, in ordine alle quali vi fu
discussione tra le parti e di cui la corte di Roma ha tenuto conto, anche se limitandosi a riconoscere l'esistenza della clausola di
rilievo. Rilevante, poi, è il comportamento difensivo della Galitzine, la
quale domandò, in via riconvenzionale, che fosse ordinato all'A
madio il rendiconto della gestione. Domanda riconvenzionale,
questa, che postula anch'essa l'esercizio dell'attività imprenditoria le da parte dell'Amadio con lo strumento dell'azienda.
Non si poneva neppure, dunque, il problema — da impostarsi nei termini precisati sopra — sollevato in via di eccezione dalla
Galitzine nel giudizio di merito e riproposto dalla medesima in
questa sede di legittimità: perché l'attività imprenditoriale fu
esercitata dall'Amadio avvalendosi, quale strumento necessario, del
l'azienda di cui aveva ottenuto il godimento, a titolo di affitto, dal
curatore del fallimento, essendo la Galitzine estranea all'esercizio
di quell'attività imprenditoriale e non avendo, perciò, la medesima
neppure acquisito il godimento dell'azienda. (Esclusa, nella specie, la configurabilità di un contratto di mandato senza rappresentan
za, non sussistendone l'essenziale effetto obbligatorio consistente
nel trasferimento del diritto di godimento dall'Amadio alla Gali
tzine, la quale avrebbe esercitato essa l'attività imprenditoriale, non
interessa qui stabilire se e quale tipo di contratto fosse stato
concluso tra le suddette). Con la conseguenza che, per tale
ragione, l'eccezione della Galitzine doveva essere dichiarata desti
tuita di fondamento.
Pertanto, i primi due motivi del ricorso devono essere riget tati. (Omissis)
TRIBUNALE DI CAMERINO; sentenza 20 maggio 1983; Pres.
Brachetti, Est. Iacoboni; Romadori (Avv. Ponzi) c. I.n.a.i.l.
(Avv. clafrè, petacca, zucconi).
TRIBUNALE DI CAMERINO;
Infortuni sul lavoro — Agricoltura — Affini dell'imprenditore
agricolo — Indennità giornaliera per invalidità temporanea —
Diritto (D.p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, t. u. delle disposizioni
per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
e le malattie professionali, art. 205, 213).
Riguardo al diritto all'indennità per invalidità temporanea, gli
affini dell'imprenditore agricolo addetti all'azienda devono in
tendersi equiparati ai parenti di questo per i quali la garanzia
dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
opera indipendentemente dalla ricorrenza di un rapporto di
lavoro con vincolo di subordinazione. (1)
(1) Il Tribunale di Camerino propone un'interpretazione estensiva
dell'art. 205 t.u. sugli infortuni sul lavoro, in ciò contrastando Cass. 10
dicembre 1981, n. 6545, Foro it., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro,
n. 414, che ha differenziato la posizione dei compartecipanti familiari
agricoli da quella dei parenti dell'imprenditore. Tale interpretazione il tribunale ritiene sostenibile già prima del
la entrata in vigore della 1. 10 maggio 1982 n. 251 (Le leggi,
1982, 757) il cui art. 4, estendendo il diritto all'indennità giornalie
ra ai lavoratori di cui all'art. 205, lett. b, va ad incidere sulla
questione di legittimità dell'art. 213 t.u., nella parte in cui li escludeva,
rimessa alla Corte costituzionale da Pret. Ancona, ord. 27 febbraio
1980. Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 236: Pret. Modena, orci. 12
febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce cit. n. 222: Pret. Bologna, ord. 9
novembre 1979, ibid., n. 224; Pret. Modena, ord. 30 novembre 1978,
id., Rep. 1979, voce cit., n. 268; IPret. Modena, ord. 24 gennaio 1978,
id., 1978, 1, 2372, con nota di richiami.
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 28
settembre 1981 Ramadori Enrica chiedeva al Pretore di Camerino
che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, le venisse
riconosciuto il diritto all'indennità per inabilità temporanea asso
luta a carico dell'I.n.a.i.l.
Instauratosi il contraddittorio e assunte informazioni sull'attività
esplicata dalla ricorrente, il pretore con sentenza dell'I 1 gennaio 1982 rigettava la domanda.
Osservava, il giudice di primo grado, che la Ramadori, che
prestava attività lavorativa nell'azienda agricola di cui era titola
re il suocero, non rientrava in alcuna delle categorie previste dall'art. 213 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, che richiamava, a sua
volta, l'art. 205 dello stesso decreto.
E infatti, posto che il già citato art. 213 faceva riferimento alle
persone di cui ale lett. a) e c) dell'art. 205 — e dunque ai
« lavoratori fissi o avventizi, addetti ad aziende agricole o foresta
li », nonché ai « sovrastanti ai lavori di aziende agricole e
forestali che prestino opera retributiva » — nella previsione della
suddetta norma non poteva rientrare la ricorrente che, in quanto nuora del titolare dell'azienda, doveva presumersi compartecipe
nell'impresa familiare, e non quindi lavoratrice subordinata, alme
no fino a prova contraria, che, peraltro, non era stata fornita.
Avverso la detta sentenza ha proposto appello la Ramadori, che
adduce una diversa intepretazione della suddetta normativa, alla
cui stregua, poiché l'art. 205, ult. comma, ricomprende nella lett.
a) i parenti diversi da quelli indicati nella lett. 6), e cioè coniuge e figli purché ricorrano i requisiti di cui alla lett. a), anche la
Ramadori rientrebbe in tale previsione, in quanto addetta ad
azienda agricola, ma indipendentemente dalla ricorrenza di un
vero e proprio vincolo di subordinazione gerarchica, dal pretore già riconosciuto come fattore discriminante tra i requisiti di cui
all'art. 205, lett. a). In subordine l'appellante ha prospettato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 213, per contrasto con gli art. 3 e 38 Cost.
(Omissis) Motivi della decisione. — L'appello merita accoglimento. Va innanzitutto premesso che l'entrata in vigore, a far data dal
1° gennaio 1982, della disciplina di cui all'art. 4 1. 251/81, che
estende la previsione dell'art. 213 d.p.r. 1124/65 anche alle
persone indicate nella lett. b) dell'art. 205 (e dunque i proprietari,
mezzadri, loro coniugi e figli, anche naturali e adottivi, che
prestano opera manuale abituale nelle rispettive aziende) reca
ulteriori e specifici argomenti a sostegno della tesi dell'appellante, ancorché tale tesi si manifestasse fondata già nel vigore della
precedente normativa.
Che, infatti, l'esclusione, dalle categorie assicurate, di persone
che, come l'appellante, rivestono la qualità di affini del titolare
dell'azienda cui sono preposte, è stata motivata, dal giudice di
primo grado, in forza dell'argomento testuale secondo cui nessuna
menzione di tale persone si fa nell'art. 205.
A fronte di ciò, poi, starebbe una sostanziale assimilazione
della posizione economica del compartecipe all'impresa familiare
al titolare di questa, si da dover far capo alla disciplina di
esclusione delle persone di cui alla lett. b) del citato art. 205.
Per vero, una tale interpretazione non appare conforme alla
ratio della normativa desumibile dal combinato disposto dell'art.
205, ult. comma, e dell'art. 213.
Infatti, allorché la prima norma parla di « parenti diversi da
quelli indicati nella lett. b) » al fine di includerli nella categoria di cui alla lett. a) (sempre che di essa abbiano i requisiti), non
può che far riferimento a quelle persone che, seppur conviventi
con il titolare dell'azienda, in questa prestino il loro lavoro come
addetti.
In ciò, dunque, si concretano i requisiti predetti, e nulla lascia
presumere l'aggiunta di ulteriori specificazioni, quali la subordina
zione gerarchica che, del resto, proprio nell'economia agricola
dell'impresa familiare è in re ipsa, sol che si pensi ai ben noti
rapporti correnti nell'ambito di tali forme di conduzione agraria in molte zone d'Italia.
Né miglior sorte può avere l'interpretazione testuale, in forza
della quale ove si parla di « parenti » non si può che far
Per ulteriori riferimenti, v. Pret. Macerata 10 novembre 1976, id.,
Rep. 1978, voce cit., n. 194, e in Giur. agr. it., 1978, 113, con nota di
Vezzola. In dottrina, cons. Acconcia, in Trattato di previdenza socia
le, diretto da Bussi e Persiani, 1981, IV, 272; Alibrandi, Ifr
fortuni sul lavoro e malattie professionali, 1981, 841; Lega, L'assicu
razione contro gli infortuni e le malattie professionali in agricoltura, 1968, 181; Lo Porto, Requisiti richiesti per la tutela dei parenti diversi
dal coniuge e figli, in Protezione sociale, 1979, 7; Miraldi, Gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, 1979, 324; Simi, I
soggetti dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, in Rass. lav., 1965, 1484.
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2271 PARTE PRIMA 2272
riferimento ad una locuzione tecnica, che esclude, quindi, gli affini.
È agevole osservare che, se tale fosse la ratio normativa, le
censure di incostituzionalità ad essa mosse sarebbero più che
ovvie, in nessun modo giustificandosi l'esclusione degli affini.
Devesi, allora, desumere che il significato della parola « paren ti » non possa esser colto alla stregua della pura locuzione
tecnica, dovendosi, piuttosto, far capo ad una più elastica inter
pretazione che riconosca, nella parola in questione, le caratteristi
che dell'uso atecnico — e molto diffuso — del termine, in forza
del quale la cerchia dei « parenti » è allargata anche a quelli che,
tecnicamente, sarebbero soltanto affini.
Che una tale interpretazione sia l'unica sostenibile lo si evince,
d'altronde, dal fatto che quantomeno strano apparirebbe il tenore
della locuzione in esame laddove, parlando di « parenti diversi da
quelli indicati nella lett. b) » facesse poi riferimento a due
categorie (coniuge e figli) delle quali, in senso stretto, una sola è
ascrivibile al concetto di parentela (i figli), laddove tale concetto
apparirebbe improprio nel caso di rapporto di coniugio. Logica
vuole, allora, che tale uso improprio del termine « parenti » fatto
dalla norma in esame null'altro sottintende se non il significato
più largo del concetto, che deve essere, pertanto, inteso alla
stregua del comune linguaggio. Un argumentum a contrario si può, d'altra parte, ottenere
considerando che, pur accedendo alla tesi che qui si respinge, una
retta interpretazione della normativa in questione non può certo
portare ad escludere che gli affini, seppur non li si voglia considerare come parenti, possano altrimenti rientrare tra le
categorie assicurate, come qualsiasi altro soggetto dotato dei
requisiti di cui all'art. 205, lett. a) e c).
Ma, si ripete, neppur sembra necessario far ricorso a tale
sussidario spunto esegetico, apparendo più che sufficiente quanto
già esposto in precedenza.
L'interpretazione che il tribunale ritiene di dover accogliere, infine, appare rafforzata dall'entrata in vigore della già menziona
ta 1. 251/81, che ha esteso anche alle persone di cui alla lett. b) dell'art. 205 l'assicurazione contro gli infortuni in agricoltura.
In tale estensione, ovviamente, ricadono anche i parenti di cui
è menzione nell'ultima parte dell'art. 205 citato. Ditalché, una
interpretazione discriminatoria nei confronti degli affini, oltre che
irrazionale perché non fondata su alcun dato normativo, appari rebbe in netto contrasto con ben noti dettami costituzionali.
In punto di fatto, non appar dubbio che, essendo la Ramadori
abitualmente dedita al lavoro nell'azienda, cosi come risulta dalla
nota informativa dei carabinieri di Castelraimondo, compete alla
medesima il diritto all'indennità per inabilità temporanea, alla cui
corresponsione deve essere condannato l'I.n.a.i.l. (Omissis)
TRIBUNALE DI RIMINI; decreto 19 maggio 1983; Pres. Albe
rici, Rei. Ziniti; Soc. Residence Viserba.
TRIBUNALE DI RIMINI;
Società — Società per azioni — Assemblea ordinaria in seconda
convocazione — Deliberazioni — Maggioranza qualificata —
Atto costitutivo — Omologazione — Diniego (Cod. civ., art.
2369).
Non è omologabile l'atto costitutivo di società per azioni che
richieda il voto favorevole di una maggioranza qualificata per la validità delle deliberazioni dell'assemblea ordinaria in secon da convocazione. (1)
(1) Il decreto nega validità alla clausola statutaria che richieda una
maggioranza qualificata per le deliberazioni di assemblea ordinaria di società per azioni in seconda convocazione, quando tale clausola sia formulata in modo da richiedere, automaticamente, anche un determi nato quorum costitutivo. Al pari del provvedimento che si riporta, affermano l'inderogabilità della disciplina legale contenuta nell'art. 2369, 3° comma, c.c., con riferimento al quorum costitutivo dell'assemblea
ordinaria, altresì App. Milano 17 ottobre 1973, Foro it., Rep. 1974, voce Società, n. 270; App. Milano, decr. 27 aprile 1973, id.. Rep. 1973, voce cit., n. 192; in obiter, Trib. Vercelli 31 agosto 1967, id., Rep. 1967, voce cit., n. 224, e in Riv. not., 1967, 711, con nota di
Giuliani; Cass. 26 ottobre 1964, n. 2669, Foro it., 1964, I, 2087, con nota di richiami, e in Riv. dir. comm., 1965, II, 99, con nota di
Asquini; non esattamente in termini, ma pur sempre nel senso indicato, cfr. anche App. Torino 14 giugno 1967, Foro it., 1967, I, 1914. in cui si riafferma, in relazione ad una fattispecie particolare, il prin cipio generale della inderogabilità della disciplina dell'art. 2369, 3° comma.
Quanto al quesito se l'atto costitutivo di una società per azioni possa legittimamente stabilire un quorum soltanto deliberativo particolare per le
L'art. 2369, 3° comma, c.c. statuisce che: ... « In seconda
convocazione l'assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che a
vrebbero dovuto essere trattati nella prima qualunque sia la parte
rappresentata dai soci intervenuti... ».
La prevalente dottrina e la ormai concorde giurisprudenza
reputano inammissibile la previsione statutaria di un diverso quo rum costitutivo dell'assemblea ordinaria delle s.p.a. in seconda
convocazione, considerando la previsione legale di cui sopra
(... qualunque sia la parte rappresentata dai soci intervenuti...)
imperativa.
L'inderogabilità di detta norma si fonda su un triplice ordine di
considerazioni: — esegesi letterale-, l'esame congiunto degli art. 2368, 2369
e 2369 bis c.c. dimostra che quando il legislatore ha ritenuto
convenzionalmente derogabili i quorum costitutivi o delibera
tivi legali delle s.p.a. (... salvo che l'atto costitutivo richieda
una maggioranza più elevata...; se l'atto costitutivo non ri
chiede una maggioranza più elevata ...; ... a meno che l'atto
costitutivo richieda una maggioranza più elevata...) lo ha detto
espressamente; ubi voluit, dixit...; — interpretazione logica-, è essenziale (onde evitare l'impos
sibilità di funzionamento dell'assemblea e lo scioglimento della
società) che l'assemblea ordinaria delle s.p.a. (che ha il com
pito precipuo di approvare il bilancio, distribuire gli utili, no
minare o revocare amministratori e sindaci), possa funzionare
agevolmente almeno in seconda convocazione, « qualunque sia
la parte rappresentata dai soci intervenuti ». Questa esigenza
generale prevale sulla tutela delle minoranze; — criterio sistematico: per altri tipi di società (stante la diversa
struttura o natura) il legislatore ha previsto esplicitamente 'la
derogabilità convenzionale del quorum costitutivo legale della
assemblea ordinaria, sia in prima che in seconda convocazione
(cfr. per le s.ri. l'art. 2486 c.c. e per le società cooperative l'art.
2532, 4° comma, c.c.); ne consegue che ove manchi (come per le
s.p.a.) una norma espressa, si deve applicare il principio della
inderogabilità (cfr. in giurisprudenza per tutti: Cass. 26 ottobre
1964, n. 2669, est. Mirabelli, Foro it., 1964, I, 2087). Viceversa
l'art. 11 dello statuto dispone che: «l'assemblea ordinaria... in
seconda convocazione delibera validamente con il voto di tanti
soci che rappresentino almeno il 51% del capitale sociale...».
Tale clausola statutaria illecita, contraria a norma imperativa, è
nulla ex art. 1418 e 1419 c.c.
Per questi motivi, visto l'art. 2330 c.c., rigetta l'istanza di omo
logazione.
assemblee ordinarie in seconda convocazione, la giurisprudenza preva lente sembra propendere per la soluzione affermativa (sempreché, naturalmente, la cosa non si traduca necessariamente anche in un aumento del quorum costitutivo inderogabilmente fissato dalla legge): in questo senso v. App. Milano, decr. 27 aprile 1973, cit., e Trib. Vercelli 31 agosto 1967, cit.; contra, invece, v., ad es. Trib. Milano 19 dicembre 1972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 272.
In dottrina il problema in questione è vivamente dibattuto, e le soluzioni date sono molte e diverse, anche in considerazione dei due momenti — costituzione dell'assemblea e deliberazione da parte di questa — in cui il problema si articola. In argomento si veda, da
ultimo, Balzarmi, Note in tema di deroghe statutarie al regime legale dell'assemblea ordinaria di seconda convocazione, in Riv. società, 1974, 569-580, dove si esprime, relativamente al primo punto, una posizione intermedia, e, relativamente al secondo, si afferma la derogabilità del
regime legale. Ai richiami bibliografici dello scritto citato adde, infine, Corapi, Gli statuti delle società per azioni, 1971, 172 ss.
TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 26 aprile 1983; Pres. Gatti, Est. Di Nanni; Romano c. Comune di Piano di Sorrento e
Mari.
TRIBUNALE DI NAPOLI; t.j. r-\. xt . » r»
Calamità pubbliche — Ordinanza — Requisizione di immobile — Ordinanza del sindaco — Illegittimità — Azione di ri lascio — Carenza di giurisdizione del giudice ordinario (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4).
Calamità pubbliche — Requisizione di immobile — Durata —
Cessazione dello stato di emergenza — Illegittima occupazione — Obbligo di risarcimento del danno — Sanatoria per «ius
superveniens » (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, art. 4; 1. 25
giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pubblica uti
lità, art. 73; 1. 29 aprile 1982 n. 187, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 27 febbraio 1982 n. 57, concernente
disciplina per la gestione stralcio dell'attività del commissario
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